TRICLOSAN E DANNI AL FEGATO.

17-03-2015

Una sostanza contenuta in molti saponi per le mani in commercio, l'antimicrobico Triclosan, può favorire l'insorgenza di fibrosi epatica e del cancro al fegato. A dirlo è uno studio pubblicato su Pnas da un team dell'Università della California. La ricerca ha evidenziato su modello murino un innalzamento del rischio di danni epatici con un'esposizione a lungo termine del prodotto, attraverso un'alterazione dei meccanismi molecolari che arriva a danneggiare in maniera irreversibile il corretto funzionamento del fegato. Il coordinatore della ricerca Robert H. Tuckey spiega: “l’aumento della diffusione del Triclosan rappresenta un rischio di tossicità epatica per le persone, superando il vantaggio moderato che può rappresentare come detergente antimicrobico”. Il tempo di esposizione durante la sperimentazione è stato di 6 mesi, un tempo equivalente nell'uomo a 18 anni. Il Triclosan interferisce con lo sviluppo del recettore dell'androstano, una proteina responsabile del metabolismo di sostanze chimiche estranee al corpo. La proteina danneggiata scatena una proliferazione di cellule epatiche e con il passare del tempo una fibrosi epatica. Secondo stime recenti, nel 97 per cento dei campioni di latte materno è presente il Triclosan, oltre che nel 75 per cento delle urine delle persone testate. “Potremmo ridurre una quota importante dell’impatto di questo antimicrobico eliminandolo dove è quasi inutile nel rapporto quantità-benefici, ovvero dai saponi liquidi. Mentre si potrebbe lasciare nei dentifrici, dove la sua quantità è molto bassa”, propone Tukey. L'aspetto positivo è che per arrivare a produrre danni seri deve esserci un'esposizione non solo prolungata alla sostanza ma anche molto marcata. In pratica una persona dovrebbe utilizzare ogni giorno almeno 4-5 cosmetici oltre al dentifricio per 18 anni per vedere aumentare il proprio rischio di danni epatici.
Il Triclosan è stato oggetto anche di un altro studio che ne ha evidenziato un aspetto sorprendente. Pare infatti che fra i suoi effetti ci sia quello di aumentare il rischio di infezioni, nonostante sia un antimicrobico. A fornire la sorprendente interpretazione è una ricerca dell'Università del Michigan sul Triclosan, derivato dal clorurato del fenolo che si trova nella maggior parte dei prodotti per l'igiene personale. La sostanza è stata riscontrata nel 41 per cento degli adulti presi a campione, e un'alta percentuale di essi mostrava una certa predisposizione alle infezioni da stafilococco aureo. Blaise Boles, docente di biologia molecolare, cellulare e dello sviluppo dell'ateneo americano, spiega: «è molto comune nei saponi, dentifrici e collutori, ma non c’è alcuna prova che svolga un lavoro migliore del sapone normale. Questo agente potrebbe avere conseguenze indesiderate sui nostri corpi. Potrebbe promuovere lo Stafilococco aureus e colonizzare le vie nasali, mettendo alcune persone ad aumentato rischio di infezione».
Il Triclosan viene utilizzato da più di 40 anni come antibatterico nella maggior parte dei prodotti di uso comune. Alcuni studi hanno riscontrato la presenza della sostanza perfino nei fluidi umani a concentrazioni tali da disturbare la funzionalità del sistema endocrino, di quello cardiovascolare e del muscolo scheletrico. Alcune sperimentazioni hanno dimostrato che lo Stafilococco aureo coltivato in presenza di Triclosan si attaccava con molta più facilità alle proteine umane. «Alla luce del significativo utilizzo del Triclosan nei prodotti di consumo e la sua contaminazione ambientale diffusa, i nostri dati combinati con gli studi precedenti che mostrano impatti del Triclosan sul sistema endocrino e la funzione muscolare, suggeriscono che una rivalutazione del Triclosan nei prodotti di consumo sia urgente», spiegano i ricercatori. Lo studio, pubblicato su mBio, è stato finanziato dall'Istituto Nazionale di Allergologia e Malattie Infettive. Un altro studio della stessa università, pubblicato su Environmental Health Perspectives, dimostra un altro effetto negativo associato all'esposizione al Triclosan. Pare che in un gruppo di soggetti con età inferiore ai 18 anni e con livelli elevati di triclosan nelle urine ci fosse infatti anche una maggior predisposizione alle allergie, in particolare al cosiddetto raffreddore da fieno. Un autore dello studio, Allison Aiello, spiega: “i risultati confermano che per i giovani vivere in ambienti molto puliti può modificare l'esposizione a microrganismi che sono necessari per sviluppare il sistema immunitario correttamente. Essendo uno degli antimicrobici più diffusi il triclosan potrebbe essere il principale responsabile del cambiamento di questi microrganismi".
Secondo il presidente della Società Italiana di Pediatria Alberto Ugazio, la prima causa dell'aumento delle allergie negli ultimi decenni “sta proprio nella diminuzione del carico microbico ambientale. Ciò vuol dire che gli ambienti sono sempre più asettici e veniamo sempre di meno in contatto con batteri. Ma questi – precisa Ugazio – hanno anche l’importante funzione di inibire le reazioni allergiche. Si è determinato un grande aumento delle allergie, che si confermano come la patologia dei paesi ricchi. In Africa, infatti, le allergie sono un fenomeno trascurabile, proprio per la maggiore esposizione microbica”. Fattori come l’inquinamento possono aggravare la situazione allergica, ma non ne sono la causa primaria. Proprio perché il “naturale contatto con microbi e batteri in qualche modo serve anche a rafforzare le difese immunitarie dei bambini – afferma Ugazio – l’eccessiva igienizzazione è negativa. Il nostro sistema di memoria immunologica ricorda, infatti, i batteri con cui siamo entrati in contatto evitandoci infezioni successive”. Dunque non si deve esagerare neanche con l'igiene. Ad esempio si consiglia di non fare il bagno ai bambini ogni giorno, due volte a settimana è sufficiente.

 

http://www.pnas.org/content/111/48/17200.abstract

http://mbio.asm.org/content/5/2/e01015-13

http://www.sciencedaily.com/releases/2010/11/101129101920.htm

http://www.eurekalert.org/pub_releases/2010-11/uom-sst112410.php

http://ehp.niehs.nih.gov/1002883/

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