30-04-2015
Un nuovo studio rileva che rispetto ai controlli sani, le persone con malattia di Parkinson sembrano avere diversi batteri intestinali. Lo studio, condotto dall’Università di Helsinki Institute of Biotechnology in Finlandia, è stato pubblicato sulla rivista Movement Disorders, e ha coinvolto 72 pazienti con morbo di Parkinson ed un pari numero di controlli sani. Sempre più studi stanno scoprendo l’enorme influenza che i nostri batteri intestinali – che di gran lunga sono più numerosi delle cellule del nostro corpo – hanno sulla nostra salute. La malattia di Parkinson è una malattia progressiva che si sviluppa quando il cervello perde cellule che producono la dopamina – una sostanza chimica che controlla ricompensa e piacere e regola anche il movimento e le risposte emotive. I sintomi del Parkinson sono tremore, rigidità, lentezza dei movimenti e problemi di equilibrio e coordinazione. La malattia colpisce raramente prima dei 50 anni e gradualmente peggiora – al punto in cui la vita quotidiana e la cura di sé diventano molto difficili. Secondo la Fondazione Nazionale Parkinson, fino a 60.000 nuovi casi di Parkinson sono diagnosticati ogni anno negli Stati Uniti e si aggiungono a 1 milione circa di americani che attualmente vivono con la condizione. Alcuni indizi esistono già circa i legami tra il Parkinson e problemi intestinali. Ad esempio, nello studio gli autori affermano: “Disfunzioni gastrointestinali, in particolare la stitichezza, sono un sintomo importante nel morbo di Parkinson e spesso precedono l’insorgenza dei sintomi motori”.
I ricercatori riferiscono anche che la recente ricerca mostra che i batteri intestinali interagiscono con parti del sistema nervoso attraverso vari percorsi, tra cui il sistema nervoso enterico – il cosiddetto “cervello nello stomaco” – e il nervo vago. Evidenziando i risultati dello studio, l’autore principale, il dottor Filip Scheperjans, neurologo presso la Clinica Neurologica di Helsinki University Hospital, dice: “La più importante osservazione è che i pazienti affetti dal morbo di Parkinson hanno molto meno batteri della famiglia Prevotellaceae, a differenza del gruppo di controllo, praticamente nessuno nel gruppo di pazienti aveva una grande quantità di batteri di questa famiglia“. La squadra non ha scoperto che cosa l’assenza di Prevotellaceae potrebbe significare nella malattia di Parkinson, ma si è posta numerosi interrogativi. Ad esempio, se questa famiglia di batteri può proteggere contro la malattia oppure limitare la sua evoluzione. ”Sono domande interessanti a cui stiamo cercando di rispondere”, dice il Dott Sheperjans.
Il team ha anche scoperto che i livelli di un’altra famiglia di batteri chiamati Enterobacteriaceae sembrano essere collegati alla gravità dei sintomi del Parkinson. Essi hanno osservato pazienti che avevano più difficoltà di equilibrio e a camminare, tendevano ad avere più alti livelli di questi batteri. Il Dr. Sheperjans ed i suoi colleghi stanno già progettando ulteriori ricerche per esplorare la connessione tra malattia di Parkinson e batteri intestinali. Essi hanno cominciato a riesaminare lo stesso gruppo di pazienti per scoprire se le differenze di batteri intestinali sono permanenti o se cambiano con la progressione della malattia. Se le differenze batteriche non cambiano con la progressione della malattia, questo potrebbe aiutare i medici nelle diagnosi più accurate. “Inoltre”, dice il Dott Sheperjans, ”dobbiamo capire se questi cambiamenti dell’ecosistema batterico sono evidenti prima della comparsa dei sintomi motori, oltre a scoprire il meccanismo biologico sottostante, tra batteri intestinali e il morbo di Parkinson”. Le nuove scoperte potranno portare a nuovi test per il morbo di Parkinson e forse anche nuovi trattamenti per fermare, rallentare o addirittura impedire la malattia, concentrandosi sui batteri intestinali.
http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/mds.26069/abstract