07-05-2015
I cibi che mettiamo ogni giorno sulla tavola sono cambiati rispetto al passato. Ma non è soltanto una questione di gusto. Dai risultati di uno studio pubblicato su Nature, infatti, emerge come l’aumento delle malattie infiammatorie intestinali e della sindrome metabolica possa essere collegato all’uso sempre più frequente di additivi negli alimenti. A lanciare l’ipotesi sono due ricercatori del dipartimento di scienze biomediche della Georgia State University, Benoit Chassaing e Andrew Gewirtz. A dare consistenza al loro lavoro, anche il prestigio della rivista che ha scelto di pubblicarlo. Nel corso della ricerca gli studiosi hanno somministrato per tre mesi a tre campioni di topi due emulsionanti molto utilizzati dall’industria alimentare: il polisorbato 80 (E433) e la carbossimetilcellulosa (E466). Entrambi sono aggiunti a gelati, integratori, piatti pronti e prodotti senza glutine per renderli più appetibili e favorirne una maggiore conservazione. Ma la loro presenza, alla luce dei nuovi riscontri, potrebbe non essere priva di conseguenze.
I ricercatori hanno fornito le due molecole «a concentrazioni relativamente basse» a tre categorie di topi: geneticamente predisposti a sviluppare le malattie infiammatorie intestinali e non, oltre a un gruppo reso privo della flora batterica intestinale. Osservando gli animali appartenenti al primo campione, è emersa l’alterazione del microbiota intestinale - l’insieme di batteri, virus e parassiti che vivono nel tubo digerente - che si verifica sempre nei pazienti che soffrono di morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa e sindrome metabolica.
Viste la coerenza della genetica umana e il costante aumento di casi di malattia nell’ultimo secolo, i ricercatori non escludono a questo punto che a favorirne la diffusione siano alcuni fattori ambientali: a partire dalla dieta. A suffragare la loro ipotesi altri due riscontri. Nei ratti non predisposti alle malattie la distribuzione dei due emulsionanti ha innescato il processo infiammatorio e la sindrome metabolica. In quelli privati dei batteri intestinali, invece, l’infiammazione s’è avuta dopo il trapianto di germi: a dimostrazione del ruolo centrale giocato da un’alterazione della flora microbica. «Il suo squilibrio è una delle poche certezze che abbiamo quando si parla delle malattie infiammatorie intestinali - spiega Silvio Danese, responsabile del centro di ricerca e cura per le malattie infiammatorie croniche intestinali dell’istituto Humanitas di Milano -. Le conclusioni della ricerca sono molto interessanti, ma prima di puntare il dito contro gli additivi occorre verificare i dati in uno studio condotto sull’uomo. Le dosi usate in laboratorio sono di norma molto superiori a quelle a cui si risulta normalmente esposti». A detta degli autori della ricerca, però, sarebbe già necessario mettere in discussione l’iter di approvazione degli additivi alimentari, «insufficiente a evidenziare un possibile ruolo nell’insorgenza di malattie a carattere infiammatorio». Al momento per utilizzarne uno occorre dimostrare che l’impiego è necessario per: una migliore conservazione dell’alimento, fornire nutrienti specifici e necessari per la dieta di alcuni consumatori, aumentare la conservabilità di un prodotto e contribuire a una sua migliore riuscita nel corso dell’intera filiera.
http://www.nature.com/nature/journal/v519/n7541/abs/nature14232.html