08-05-2015
Le persone che assumono farmaci ipotensivi come i betabloccanti sanno che prima o poi, in caso di interventi cardiaci non chirurgici, sono a maggior rischio di ictus o decesso. La chirurgia incrementa l’esigenza di ossigeno da parte del cuore e i betabloccanti sono somministrati comunemente per ridurre la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca, quindi ridurre lo sforzo del cuore. Nello studio effettuato su oltre 8.300 pazienti, i partecipanti sono stati assegnati a caso per ricevere betabloccanti due - quattro ore prima della chirurgia, così come per 30 giorni dopo la procedura, o un placebo. Paragonati a quelli col placebo, coloro che hanno ricevuto i betabloccanti avevano un 27 per cento in meno di probabilità di avere un attacco di cuore. Tuttavia, avevano un 33 per cento in più di rischio di morire e un rischio doppio di ictus. Barattereste deliberatamente una modesta riduzione di rischio di attacco cardiaco con un aumento di rischio di morte o ictus? Io no di certo. Infatti, dubito che chiunque prima di subìre l’intervento sarebbe felice di questa chance. Naturalmente, se entrate in un ospedale per un intervento, sarebbe eccezionale trovare qualcuno che spiegasse i pro e i contro di ogni farmaco consigliato. Più realisticamente, sareste costretti ad assumere alcune pillole senza sapere a cosa andreste incontro.
In medicina convenzionale i vecchi trattamenti sono duri a morire. E i betabloccanti ne sono un grande esempio. I betabloccanti agiscono “bloccando” gli effetti di stimolazione che l’adrenalina normalmente esercita sul cuore. Inoltre rallentano la frequenza cardiaca e riducono l’esigenza di ossigeno del cuore durante uno sforzo, ovvero il cuore lavora con più facilità. Questi farmaci sono stati usati per più di 30 anni per trattare la pressione alta e sono raccomandati come prima linea terapeutica sia negli Stati Uniti che nella guida di riferimento internazionale della salute. Tuttavia, sempre più si sta capendo che i betabloccanti non sono una buona scelta per la pressione alta. Oltre ad essere spesso inefficaci, è risaputo che provocano un insieme di gravi effetti secondari fra cui:
• Ictus.
• Attacco cardiaco.
• Diabete Tipo 2.
• Affaticamento,vertigine e debolezza.
• Disfunzione sessuale.
• Riduzione del battito cardiaco e brevità del respiro.
• Difficoltà del sonno.
Una rassegna pubblicata nel 2007 sul Journal of the American College of Cardiology ha persino concluso che “c’è scarsità di dati o assenza di prove per sostenere l’uso dei betabloccanti come prima linea terapeutica farmacologica [per pressione alta]”. E continuano: “dato il rischio aumentato di ictus, la loro efficacia ”pseudo-ipotensiva“, e i numerosi effetti collaterali, il rapporto beneficio/rischio per i betabloccanti non è accettabile per questa indicazione”.