14-05-2015
Il rapporto tra farmaci e gravidanza è sempre complesso da interpretare. Uno studio pubblicato su Plos One segnala la pericolosità di una precisa classe di antibiotici nelle donne incinte, per via dei possibili danni prodotti al feto. La ricerca è stata condotta dal Great Ormond Street Hospital e dall’University College di Londra e ha fatto emergere un collegamento tra le pillole di eritromicina e condizioni gravi come l'epilessia o la paralisi cerebrale. Gli scienziati hanno esaminato le condizioni di salute dei bambini nati da 200 mila donne britanniche, scoprendo che quelle che avevano assunto eritromicina e altri antibiotici appartenenti alla classe dei macrolidi mostravano il doppio delle probabilità di mettere al mondo bambini affetti da epilessia o paralisi cerebrale. Nessun legame è stato trovato con altri antibiotici. Intanto, uno studio condotto negli Stati Uniti dai Centers for Disease Control and Prevention ha esaminato l'affidabilità delle informazioni disponibili su internet, strumento cui si rivolge un numero crescente di donne in età fertile, riscontrando che, su 25 siti, non esistono due liste identiche di farmaci indicati come sicuri in gravidanza e che, nel 40% dei casi, non esistono dati di letteratura a sostenerlo. La questione è rilevante in quanto è risultato che oltre il 90% delle donne in gravidanza assume un farmaco, eppure non esistono informazioni basate sull'evidenza di facile comprensione su quali farmaci mettono a rischio il nascituro.
«Il problema reale», spiega Cheryl Broussard ricercatrice dei CDC che ha condotto l'indagine, «non è se un farmaco sia sicuro in gravidanza o no, ma che questa informazione non sia reperibile». E nemmeno i bugiardini risolvono la disinformazione, come spiega Antonio Clavenna, ricercatore del Laboratorio per la salute materno infantile dell'Istituto Mario Negri di Milano: «Il problema è anche italiano poiché le schede di prodotto e i foglietti illustrativi non riflettono la disponibilità di dati e sono pensati per tutelare le industrie farmaceutiche dal punto di vista medico-legale ed evitare denunce. Quindi, gli effetti indesiderati sono una lista di tutto ciò che può capitare e la controindicazione rispetto a gravidanza e allattamento c'è nell'80% dei farmaci indipendentemente dalla presenza di dati. Negli Stati Uniti, dove è in uso una definizione del rischio in gravidanza per classi, per la maggior parte dei farmaci è indicato che non ci sono sufficienti dati per dire che non esistono rischi».
Dunque una sovrastima dei rischi, «plausibile al momento della registrazione» prosegue l'esperto «quando davvero l'azienda non ha abbastanza dati, ma che dopo cinque anni potrebbero essere disponibili per aggiornare foglietti, etichette e schede di prodotto». In Italia è stata proposta una revisione della sezione "Gravidanza e allattamento", «ma non si è concretizzata e ancora oggi le donne leggono la controindicazione anche in farmaci di cui è nota la sicurezza». Visto l'incremento dell'uso di farmaci anche nel primo trimestre, salito del 60%, l'FDA ha programmato un rinnovamento delle etichette e anche l'Ema ha in corso una revisione dei foglietti per renderli più comprensibili che dovrà essere recepita anche in Italia. Nel frattempo il compito di informare le pazienti viene affidato al medico e al farmacista: «Sono queste due figure» conclude Clavenna «che oggi devono fornire le informazioni aggiornate sui rischi in gravidanza, anche per i farmaci da banco, e valutare, nel caso dei medici, se prescrivere o proseguire una terapia sulla base di un bilancio rischi-benefici che non può prescindere dal primo trimestre di gestazione».