I FARMACI ANTIACIDI CAUSANO PATOLOGIE CARDIACHE.

28-06-2015

L'utilizzo costante degli inibitori di pompa protonica rende più probabile l'insorgenza di una crisi cardiaca. A dirlo è una ricerca della Stanford University pubblicata su Plos One da Nicholas Leeper, che spiega: “gli inibitori di pompa protonica sono stati associati a esiti clinici avversi tra gli utilizzatori di clopidogrel dopo sindrome coronarica acuta, e recenti risultati pre-clinici indicano che questo rischio potrebbe estendersi a soggetti senza precedente storia di malattia cardiovascolare”. Gli autori hanno esaminato le cartelle cliniche di quasi 3 milioni di pazienti ricoverati fra il 1994 e il 2012. Il rischio cardiovascolare connesso con l'uso dei farmaci antiacido sarebbe legato alla riduzione della produzione di ossido nitrico promossa dai medicinali nelle cellule che rivestono l'interno del sistema circolatorio, compreso il cuore. Tra i pazienti affetti da reflusso gastroesofageo, gli inibitori di pompa protonica sono associati a un aumento del 16 per cento del rischio di infarto miocardico. “Inoltre, da una sottoanalisi emerge che gli inibitori di pompa protonica raddoppiano la mortalità cardiovascolare, con risultati significativi a prescindere dall'uso di clopidogrel, utilizzato come marcatore di eventi cardiovascolari precedenti”, commenta Leeper. Tuttavia, David Johnson, direttore del Journal Watch Gastroenterology, ricorda che il reflusso gastroesofageo è spesso legato a malattie concomitanti come l'obesità e la sindrome metabolica, altrettanti fattori di rischio per la salute cardiovascolare. “In un'analisi come questa le comorbidità correlate a reflusso gastroesofageo potrebbero alterare la stratificazione dei pazienti. Quelli con rischio cardiovascolare ben riconosciuto non dovrebbero essere presi in considerazione, a causa di un potenziale sbilanciamento verso l'effetto dannoso degli inibitori di pompa protonica”.
Una ricerca dell'Università di Parma segnala invece il possibile rischio per la salute generale insito nell'uso prolungato degli inibitori di pompa protonica. Lo studio, pubblicato su JAMA Internal Medicine, è firmato dal professor Marcello Maggio, ricercatore e docente della Scuola di Specializzazione di Geriatria dell’Ateneo diretta dal Professor Gian Paolo Ceda. L’indagine, condotta in concerto con l’Italian National Research Council of Aging (INRCA) di Ancona e il National Institute on Aging di Baltimora, ha studiato la relazione tra l’uso di inibitori di pompa protonica (PPI) e mortalità in 491 pazienti ultra-65enni con elevato grado di comorbidità e in polifarmacoterapia: “I PPI, noti soppressori dell’acidità gastrica ed efficaci nel trattamento acuto delle ulcere gastroduodenali e della malattia da reflusso gastroesofageo - raccontano i professori Marcello Maggio e Fulvio Lauretani, della Scuola di Specializzazione di Geriatria - sono ampiamente utilizzati soprattutto nella popolazione anziana; il loro impiego è aumentato negli ultimi anni ed è addirittura triplicato tra il 2003 e il 2011. Tuttavia l’utilizzo di questi farmaci, specie in qualità di gastroprotettori, risulta frequentemente inappropriato e protratto nel tempo dopo l’ospedalizzazione”. 
L’indagine ha evidenziato infatti un aumento superiore al 50% del rischio di mortalità tra gli utilizzatori di inibitori di pompa protonica nell’anno successivo alla dimissione. “I dati suggeriscono”, continuano i due Professori, “che l’uso di PPI andrebbe maggiormente monitorato ed eventualmente interrotto”. In particolare, sottolineano i due professori “occorre fare attenzione al dosaggio: i PPI sono spesso prescritti ad alto dosaggio nella copertura gastrica di pazienti che fanno uso cronico di antiaggreganti, anticoagulanti orali e corticosteroidi”. Nel caso di pazienti anziani con comorbidità e in polifarmacoterapia, l’attenzione deve essere massima: “Queste categorie”, specificano gli esperti, “sono a rischio e meglio rispecchiano il real clinical world delle corsie dei Reparti di Geriatria e Medicina”. Lo studio si inserisce nell’ambito di un ampio progetto ministeriale assegnato all’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma. Tra i principali investigatori del progetto, che ha avuto dal Ministero della Salute un finanziamento di 150.000 euro, ritroviamo il professor Lauretani: “Nel corso di questo studio”, ci spiega, “saranno anche testati meccanismi di modulazione, ormonali e nutrizionali, attraverso cui l’uso cronico di questi farmaci può concorrere all’incremento di eventi avversi”.

 

http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0124653

http://archinte.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1657756

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