04-04-2016
Anche i farmaci possono rendere fragili le ossa. Un problema importante, se si considera che nei Paesi dell’Unione Europea si registra una frattura ogni 30 secondi. Le terapie farmacologiche e alcune malattie endocrine, ematologiche, gastrointestinali, renali sono infatti tra le principali cause di osteoporosi secondaria. Un disturbo che non interessa quindi solo le donne dopo la menopausa e gli anziani, ma anche i giovani. Tra i “colpevoli” i ben noti cortisonici, gli immunosoppressori, diuretici, anticoagulanti, chemioterapici e i comunissimi ormoni tiroidei. Ne hanno discusso gli esperti riuniti dal Gioseg, il Gruppo di studio su glucocorticoidi e osso e sull'endocrinologia dello scheletro, durante la Conferenza internazionale “Gio” di Roma. “Sappiamo ormai da tempo - spiega Andrea Giustina, docente di endocrinologia all'università di Brescia e presidente del Gruppo - che i glucocorticoidi, più conosciuti con il termine di cortisonici, determinano una perdita di densità minerale particolarmente rapida a livello trabecolare (il tessuto lamellare che costituisce l’osso maturo): nei primi 6-12 mesi di terapia può raggiungere una importante diminuzione sino al 15% in un anno, per poi rallentare, pur mantenendo un ritmo negativo del 3-5% per ogni anno di terapia”. “Fratture che possono essere asintomatiche - continua - si verificano nel 30-50% dei pazienti che ricevono queste terapie a lungo termine: l’analisi morfometrica del corpo vertebrale in uno studio multicentrico italiano coordinato da Gioseg, apparso sulla rivista scientifica “Bone”, ha rivelato che il 37% delle donne in menopausa in terapia cronica con cortisone ha subìto una o più fratture vertebrali”. E un terzo dei pazienti va incontro a fratture dopo soli 5 anni di trattamento, con una perdita di tessuto scheletrico direttamente proporzionale alla dose di farmaco. Tra 2,5 e 7,5 mg di prednisolone al giorno è la dose associata a un rischio di frattura 2,5 volte superiore. Dosaggi di 10 mg per almeno 90 giorni fanno impennare il rischio da 7 a 17 volte. “Dobbiamo pensare alle persone in senso globale, pensando anche alla loro Salute scheletrica presente e futura”, continua Giustina. “Innanzitutto è fondamentale sfatare il mito che l’osteoporosi sia solo al femminile. Soprattutto quando si parla di osteoporosi secondarie è spesso il maschio ad avere la peggio, ma pochi sono portati a considerare questo fatto nella pratica clinica. Va poi sottolineata l’importanza critica del cosiddetto ‘esame morfometrico vertebrale’ nei pazienti con osteoporosi secondaria che possono andare incontro a fratture vertebrali, anche con un quadro densitometrico osseo normale o poco alterato (comunemente chiamata osteopenia)”. Spesso i pazienti, soprattutto i maschi, trattati per le loro malattie con farmaci osteopenizzanti non vengono sottoposti ad adeguato e periodico (ogni 12-18 mesi) monitoraggio della densità minerale ossea con l’esame Moc Dexa. Inoltre, anche le terapie protettive e preventive che pure esistono non sempre sono instaurate per tempo (cioè prima che il paziente si fratturi). Per alcuni farmaci ad alto impatto negativo scheletrico, come i cortisonici e gli inibitori dell'aromatasi, le linee guida stabiliscono di avviare quanto prima un trattamento anti-osteoporotico di protezione per lo scheletro e di prevenzione delle fratture che in questi casi possono essere particolarmente precoci. E’ necessario quindi, consiglia lo specialista, un maggiore dialogo tra specialisti che prescrivono farmaci potenzialmente osteopenizzanti e specialisti dedicati alla diagnosi e cura dell’osteoporosi, tenendo presente che non esistono fasce di età protette dal danno scheletrico da farmaci. E anche in età pediatrica è purtroppo a volte necessario ricorrere a terapie farmacologiche a base di cortisone in corso di patologie renali, respiratorie, gastrointestinali, artriti a esordio giovanile e dopo il trapianto d’organo.