23-08-2016
Intraprendere un cammino spirituale può far bene al corpo, oltre che all'anima. In un lavoro finanziato dai National Institutes of Health (NIH), Jeffrey S. Levin, un epidemiologo della Eastern Virginia Medical School che si interessa degli effetti delle pratiche spirituali e religiose, ha censito oltre 250 studi empirici pubblicati nella letteratura medica ed epidemiologica nei quali le pratiche spirituali o religiose sono risultate statisticamente associate con effetti benefici sulla salute. Sono stati osservati esiti positivi in malattie cardiovascolari, ipertensione, ictus, colite, enterite e in quasi tutti i tipi di cancro. Oltre venti studi dimostrano che il semplice fatto di andare regolarmente in chiesa o alla sinagoga fa bene alla salute. I benefìci sono stati riscontrati sistematicamente in tutte le razze, età e fedi religiose e riguardano malattie di ogni genere, dalle patologie acute a guarigione spontanea alle malattie croniche fatali. I risultati di Levin sono confermati dall'analisi retrospettiva di dieci annate del Journal of Family Practice effettuata da F.C. Craigie e dai suoi collaboratori, da cui emerge che secondo l'83% degli studi la partecipazione a cerimonie religiose, il supporto sociale, la preghiera e il rapporto con Dio procurano benefìci per la salute fisica; il rimanente 17% degli studi analizzati era neutrale e nessuno dimostrava alcun danno. La preghiera e le pratiche spirituali possono esercitare il loro influsso benefico sulla salute in vari modi: dando un senso di appartenenza e di comunione con il prossimo, assicurando il supporto sociale e tramite riti che generano emozioni positive le quali, a loro volta, provocano il rilascio di neurotrasmettitori che favoriscono la funzione immunitaria e cardiovascolare; infine, richiedendo a chi le pratica comportamenti sani, per esempio tramite norme che riguardano l'alimentazione, il consumo di alcolici e l'igiene personale.
Nel suo libro Healing Words, il dottor Larry Dossey riassume quello che definisce "uno dei segreti meglio conservati della scienza medica", ossia le numerosissime prove sperimentali degli effetti benefici della preghiera. Dossey passa in rassegna una serie di studi che dimostrano l'effetto positivo della preghiera non solo sugli esseri umani, ma su topi, pulcini, enzimi, miceti, saccaromiceti, batteri e cellule di vario tipo. Questi esperimenti danno credibilità all'idea che la preghiera possa guarire anche coloro che non ci credono o che non sanno che qualcuno sta pregando per loro. Dossey sottolinea: "non possiamo ignorare questi esiti attribuendoli alla suggestione o all'effetto placebo, perchè queste cosiddette forme di vita inferiore non pensano nel senso convenzionale del termine e pertanto si presume che non siano suggestionabili". Se gli effetti benefici della preghiera sugli altri restano oscuri, quelli su chi prega non lo sono affatto e vanno in parte assimilati all'effetto placebo. Sia nel caso della preghiera che nell'effetto placebo, si tratta di permettere ai meccanismi di autoguarigione del corpo di entrare in funzione. L'unico elemento in comune tra i numerosi esempi di remissione spontanea e guarigione da vari tumori riportati da Dossey in Healing Words è una sorta di resa ai livelli più profondi della coscienza, un'accettazione interiore, una variazione dell'invocazione "Sia fatta la tua volontà".
Si calcola che l'entità dell'effetto placebo si collochi intorno al 35%; questo significa che circa un paziente su tre può migliorare grazie a un trattamento non efficace, purchè sia convinto che esso invece lo è. Tra i fattori che contribuiscono all'effetto placebo ci sono la personalità del medico, la partecipazione del paziente alla scelta della terapia e il costo della terapia o procedura in questione. E' dimostrato che il placebo - o meglio la fiducia della gente nel placebo - può essere efficace quanto un farmaco. In uno studio clinico i pazienti sono guariti dalla nausea prendendo una pillola presentata loro come potente antinausea quando in realtà era una sostanza che provocava la nausea. Analogamente negli ambienti medici è risaputo che i farmaci nuovi sono più efficaci. Blair Justice, professore di psicologia all’University of Texas Health Science Center, ritiene che ciò sia in parte dovuta alle convinzioni della classe medica: "Di solito il lancio di un nuovo farmaco è accompagnato da campagne pubblicitarie che suscitano l'entusiasmo dei medici e li predispongono favorevolmente; quando poi entrano in gioco altri fattori, tra cui le idee e le aspettative dei pazienti e le informazioni sugli effetti collaterali del prodotto, cominciano a diffondersi notizie negative, la comunità dei medici entusiasti prende una posizione più scettica e, a mano a mano che le opinioni assumono una polarità negativa, l'efficacia del farmaco diminuisce".