06-09-2016
VITAMINA A
E’ dimostrato che l’integrazione di vitamina A stimola e/o favorisce numerosi processi immunitari, tra cui quello dell’immunità cellulo-mediata contro le cellule tumorali, l’attività delle cellule natural killer, la produzione di linfociti, la fagocitosi (ingestione e digestione di batteri) e la produzione di anticorpi. Tali effetti non sono dovuti soltanto al fatto che viene a cessare la carenza di vitamina A, perché molti di essi si intensificano in seguito alla somministrazione di dosi di vitamina A normalmente considerate eccessive. Inoltre la vitamina A previene e arresta il rimpicciolimento del timo dovuto allo stress; l’integrazione di vitamina A può addirittura favorire la crescita di questa ghiandola. Anche il retinolo, una forma di vitamina A presente nei tessuti animali, è risultato molto efficace nell’eliminare le infezioni virali. Sono attualmente in corso numerose ricerche sul rapporto tra la vitamina A e i caroteni da una parte e dall’altra l’incidenza dei tumori epiteliali, per esempio del polmone, dell’apparato gastrointestinale, genitourinario e della pelle. Gli enzimi che si formano nei tessuti a causa dell’esposizione a fattori cancerogeni, quali per esempio una quantità eccessiva di luce solare, possono degradare la vitamina A rendendo il tessuto epiteliale più suscettibile ai tumori. In dosi elevate la vitamina A può contribuire a prevenire la carenza provocata da questi enzimi, ma non la si può prendere per lunghi periodi di tempo (più di un mese o due), perché si accumula nei tessuti e a lungo termine può provocare tossicità, che si manifesta con cefalea tensiva, nausea, vertigini, secchezza cutanea e dolori articolari.
VITAMINA C
Molti, tra i quali Linus Pauling, due volte premio Nobel, asseriscono l’importanza della vitamina C per sostenere e migliorare la funzionalità del sistema immunitario. Nonostante i numerosi studi clinici e sperimentali, tuttavia, l’effettiva validità di questa affermazione è ancora molto discussa nella comunità medica. Un considerevole numero di prove mostra l’importanza vitale della vitamina C in molti meccanismi immunitari. La sua alta concentrazione nei globuli bianchi (dalle 10 alle 80 volte maggiore rispetto al plasma), specialmente nei linfociti, viene rapidamente utilizzata durante le infezioni e se le riserve non vengono reintegrate al più presto si può osservare una reazione locale simile allo scorbuto. La vitamina C serve per proteggere i globuli bianchi dagli enzimi che essi stessi secernono per distruggere i microbi dopo averli inglobati.Quando gli animali hanno un’infezione, il livello di vitamina C nel sangue, nell’urina e nei tessuti diminuisce bruscamente perché la vitamina C si trasferisce nella parte infetta per essere usata dai globuli bianchi. A questo punto il fegato della maggior parte degli animali sintetizza grandi quantità di vitamina C per ripristinare i valori normali. Purtroppo noi esseri umani (come i maiali e alcune scimmie) siamo privi di un enzima indispensabile per produrre la vitamina C e, a meno che non assumiamo una grande quantità di vitamina C con l’alimentazione, ogni volta che prendiamo un’infezione rischiamo la carenza. Anche rispettando le quantità giornaliere raccomandate (RDA) la maggior parte delle persone non arriva a coprire il fabbisogno di vitamina C. Non è sorprendente pertanto che la somministrazione di vitamina C aiuti a combattere molte infezioni. La carenza di vitamina C nuoce gravemente ai globuli bianchi e all’immunità cellulare (il sistema delle difese non specifiche) e limita la normale risposta infiammatoria locale necessaria per attivare l’immunità umorale (il sistema delle difese specifiche). Se presente in livelli adeguati, la vitamina C stimola il movimento dei leucociti, soprattutto neutrofili, verso la sede dell’infiammazione e favorisce la trasformazione dei linfociti in cellule T e B e in cellule natural killer. Inoltre, essendo antiossidante, la vitamina C protegge i leucociti dai radicali liberi e dalle altre sostanze tossiche prodotte dai fagociti attivati. Gli effetti immunostimolanti della vitamina C si manifestano entro due settimane dall’inizio della somministrazione. Nei forti fumatori la concentrazione plasmatica di vitamina C è inferiore del 30% circa rispetto ai non fumatori.
VITAMINA E
Anche se viene di solito considerata un antiossidante con effetti protettivi contro le malattie cardiache, la vitamina E è molto importante anche per il sistema immunitario, sia per stimolarlo che per proteggerlo. La sua carenza abbassa le difese immunitarie generiche diminuendo la proliferazione dei linfociti e la risposta anticorpale agli agenti patogeni. Se la quantità di vitamina E è insufficiente, diminuiscono le reazioni ritardate di ipersensibilità che costituiscono una risposta immunologica di vitale importanza al cancro, ai parassiti intestinali e alle infezioni croniche. Essendo un potente antiossidante intracellulare, la vitamina E protegge i linfociti e i monociti dai radicali liberi, aumentando in modo significativo sia l’aspettativa di vita sia l’efficienza delle difese immunitarie. Anche se l’integrazione di vitamina E può stimolare la funzione immunitaria, in alte dosi (al di sopra di 600 UI) può invece inibire la risposta immunitaria. La funzione più importante della vitamina E dal punto di vista immunitario consiste nel proteggere il sistema immunitario dagli effetti ossidativi delle infezioni, dovuti sia ai microbi sia alla reazione immune dell’organismo, che comporta il rilascio di radicali liberi per distruggere gli agenti patogeni. Alcuni recenti studi molto autorevoli hanno dimostrato che l’integrazione con vitamina E può essere molto utile per combattere l’immunodepressione che accompagna l’invecchiamento. In un interessante esperimento grazie all’integrazione di vitamina E è stato possibile cambiare l’andamento di vari indicatori della funzione immunitaria in animali anziani, riportandoli ai livelli che si osservano negli animali giovani. In uno studio in doppio cieco controllato con placebo 32 ultrasessantenni sani hanno ricevuto vitamina E (800 mg al giorno) oppure placebo per 30 giorni. Soltanto il gruppo che prendeva la vitamina E ha dato segni di miglioramento della funzione immunitaria: maggiore produzione di anticorpi, migliore risposta linfocitaria e maggiore produzione di interleuchina II (una sostanza che contribuisce ad attivare il sistema immunitario). Questi dati sono estremamente importanti perché dimostrano che la vitamina E potenzia la funzione immunitaria anche in individui anziani sani che assumono già con la dieta la dose giornaliera consigliata di vitamina E. Tuttavia bisogna guardarsi dagli eccessi: uno studio su 18 volontari maschi sani ha dimostrato che alla dose di 300 mg al giorno, dopo tre settimane, si ha un calo dell’attività battericida dei neutrofili e della reattività dei linfociti in colture di tessuti. Si tratta però di risultati discutibili, perché le prove cutanee non hanno rilevato alcuna diminuzione della risposta immunologica e perché nell’esperimento è stata usata vitamina E di sintesi anziché naturale. In generale la quantità di vitamina E necessaria per potenziare l’attività immunitaria dipende dallo stile di vita di una persona. Chi fa molto sport, per esempio, o un lavoro che comporta l’esposizione a sostanze chimiche tossiche, chi lavora al sole oppure chi fuma o beve spesso alcolici ha bisogno di molta più vitamina E di chi conduce una vita che comporta la generazione di meno radicali liberi. Il fabbisogno di vitamina E è minore per coloro che svolgono un’attività fisica moderata, non bevono, non fumano e non si espongono molto al sole.
CAROTENI
Gli studi epidemiologici hanno dimostrato l’esistenza di un rapporto di proporzionalità inversa tra l’apporto di carotene (il pigmento contenuto nelle carote e in altri frutti e verdure di colore arancio) e l’incidenza dei tumori. Oltre a venire trasformati in vitamina A, i caroteni hanno una funzione antiossidante; il betacarotene, in particolare, neutralizza l’ossigeno singoletto, un radicale libero molto distruttivo. Dal momento che il timo è molto sensibile ai danni da radicali liberi, è possibile che il betacarotene sia ancora più utile della vitamina A per proteggere il sistema immunitario. Il betacarotene, pur essendo il più noto di queste sostanze ed essendo dotato della massima attività vitaminica, è soltanto uno di oltre 500 carotenoidi. La cantaxantina, per esempio, è un carotenoide privo di attività vitaminica A, ma molto antiossidante, soprattutto per la retina. Sembra che i caroteni proteggano dai tumori. In particolare, è accertato che in coltura inibiscono lo sviluppo del carcinoma a cellule squamose (un tumore della pelle). In modelli animali, l’integrazione di betacarotene ha permesso di ridurre l’incidenza dei tumori mammari. Oltre alle proprietà antiossidanti, che contribuiscono a prevenire i danni ai tessuti e al DNA (primo passo verso lo sviluppo dei tumori), i caroteni stimolano anche gli enzimi che distruggono le sostanze cancerogene, potenziano l’attività dei globuli bianchi e stimolano il metabolismo delle sostanze tossiche, rendendole innocue. L’integrazione con grandi quantità di betacarotene (da 100.000 a 200.000 UI al giorno) porta a notevoli aumenti del numero di cellule T helper sia negli adulti sani sia nei soggetti sieropositivi per l’HIV. Anche a dosi così elevate non è stata riscontrata alcuna tossicità. A differenza della vitamina A, l’unico problema osservato in caso di apporto eccessivo di caroteni è che la pelle assume una sfumatura color carota, simile a quella prodotta da alcune creme autoabbronzanti, che scompare rapidamente non appena si riduce l’apporto di caroteni.
ZINCO
Lo zinco è un oligoelemento determinante ai fini della funzione immunitaria. Ha un ruolo fondamentale in molti meccanismi immunitari quali la funzionalità della ghiandola del timo e l’azione degli ormoni timici, la produzione di cellule T e i meccanismi dell’immunità cellulo-mediata e anticorpale. Quando i valori di zinco sono bassi, il numero delle cellule T precipita. La riduzione dei valori di zinco è associata a un calo dell’immunità cellulo-mediata, a una diminuzione dell’attività delle cellule natural killer e degli ormoni timici, a un calo dimensionale del timo, a un’atrofia delle ghiandole linfatiche, a un’alterazione dell’ipersensibilità ritardata, a una minore risposta dei linfociti agli agenti patogeni e a una minor capacità dei globuli bianchi di inglobare e distruggere agenti patogeni e residui cellulari. Come si può facilmente immaginare da questo lungo elenco, i bambini e gli adulti con carenze di zinco sono più vulnerabili alle infezioni batteriche, virali e micotiche. L’acrodermatite enteropatica, una malattia ereditaria da carenza di zinco, è un ottimo esempio per comprendere l’importanza del ruolo dello zinco nella funzione immunitaria. Nell’acrodermatite enteropatica il numero di cellule T è ridotto, i linfociti non proliferano quando necessario, i valori degli ormoni del timo sono bassi e l’ipersensibilità ritardata diminuisce. Il movimento dei neutrofili verso la sede dell’infiammazione, la fagocitosi dei globuli bianchi e la distruzione delle cellule patogene si bloccano. Tutti questi effetti spariscono non appena il livello dello zinco si normalizza. La concentrazione di oligoelementi è stata misurata in 28 bambini di età compresa tra dieci mesi e dieci anni, tutti affetti da frequenti infezioni delle vie respiratorie o dell’orecchio medio (otite media); nessuno di loro presentava alcun difetto immunitario. Rispetto a 13 bambini sani, i partecipanti allo studio avevano valori di zinco molto più bassi. Ciò non è sorprendente se si pensa che i macrofagi degli animali carenti di zinco hanno una minore capacità di aderire agli agenti patogeni e distruggerli, rispetto a quelli di animali con valori di zinco adeguati. Somministrando lo zinco ai macrofagi in soluzione per 30 minuti è possibile ripristinare completamente la funzionalità normale. Questo può spiegare perché ad alcune persone basta prendere pastiglie di zinco per bloccare un raffreddore allo stadio iniziale. Molte ricerche hanno dimostrato che la somministrazione di zinco stimola le difese immunitarie anche in coloro che hanno livelli sierici normali di questo oligoelemento. In un esperimento 83 uomini e donne apparentemente sani hanno ricevuto 150 mg di zinco al giorno. Dopo quattro settimane la funzione delle cellule T era notevolmente aumentata e, dal momento che non è stata trovata correlazione tra il livello sierico di zinco e l’intensità della risposta, gli autori hanno concluso che l’effetto non era dovuto alla carenza del minerale. Tuttavia, dal momento che il livello sierico non è un buon indicatore dello stato dello zinco, a mio parere è possibilissimo che l’effetto sia dovuto alla normalizzazione della carenza, che è un problema molto comune ma spesso ignorato. Lo zinco è importante soprattutto nelle persone anziane, che spesso ne sono carenti e hanno il sistema immunitario già indebolito dall’atrofia del timo. L’integrazione di zinco in anziani apparentemente sani provoca un aumento del numero delle cellule T e un miglioramento della risposta immune cellulo-mediata.Nei topi persino l’atrofia timica legata all’invecchiamento è reversibile grazie alla somministrazione di zinco. Ciò induce a pensare che la causa della degenerazione del timo negli anziani sia la carenza cronica di zinco. Per quanto utile, anche lo zinco va preso con cautela. In soggetti con un livello di zinco normale (misurato nei globuli bianchi, che per quanto riguarda il bilancio dello zinco sono un indicatore migliore del siero) l’integrazione con 75 mg di zinco elementare al giorno dopo qualche mese inibisce la funzione immunitaria; 150 mg due volte al giorno provocano immunodepressione nel giro di sei settimane.
SELENIO
Gli effetti deleteri della carenza di selenio sulla funzione immunitaria sono ben documentati, ma esistono relativamente pochi lavori riguardo agli effetti della somministrazione di selenio. Alcune ricerche recenti, tuttavia, sembrano abbastanza promettenti. In una di esse, è stata confrontata con placebo l’integrazione di 200 mcg di selenio al giorno per otto settimane a studenti universitari sani e i ricercatori hanno osservato che l’integrazione determinava un aumento del 118% della distruzione di cellule tumorali da parte dei linfociti e dell’82,3% dell’attività delle cellule natural killer. Curiosamente, l’integrazione non ha modificato in maniera significativa il livello plasmatico di selenio (che probabilmente è un indicatore poco affidabile dello stato del selenio).