10-09-2016
L'autismo è una turba della personalità infantile che impedisce normali reazioni all'ambiente. I bambini autistici fin dalla prima infanzia non imparano a parlare, altri semplicemente smettono di parlare: non rispondono alle persone e sembra che non le vedano e sentano nemmeno. Sono totalmente chiusi in se stessi. La malattia si è dimostrata così refrattaria ai trattamenti da indurre alla disperazione la classe medica. Fino al maggio del 1973 c'erano poche speranze di un trattamento efficace dell'autismo. Poi, a un convegno promosso dalla Canadian Schizophrenia Foundation a Toronto, fu dimostrato che i bambini autistici rispondono bene alla terapia ortomolecolare: il dottor Bernard Rimland, psicologo ricercatore a San Diego, fece la storia di una sperimentazione col trattamento megavitaminico in un gruppo di questi bambini e dei buoni risultati ottenuti. La storia, molto avvincente, prendeva spunto da un articolo comparso nel 1965 sul New York Times, in cui si descrivevano i successi di Abram Hoffer e Humphrey Osmond nella cura degli schizofrenici adulti con dosi massicce di vitamine. Molti genitori di bambini autistici avevano letto l'articolo e presi dalla disperazione avevano deciso di tentare da soli con le vitamine (nella maggior parte dei casi avevano già provato inutilmente la psicoterapia). "Cominciai a ricevere lettere di genitori che descrivevano i risultati di questi loro esperimenti", riferì il dottor Rimland. "L'articolo del Times non era abbastanza esplicito da indicare ai genitori che tipo di vitamine usare e in che dosi, per cui c'era la massima variabilità. A leggere questi resoconti era evidente che alcuni bambini avevano avuto un miglioramento notevole con le vitamine: i genitori riferivano che quando i bambini prendevano le vitamine c'erano buoni risultati e che i sintomi rifiorivano appena smettevano". Ciò risvegliò l'interesse del dottor Rimland, che decise di fare un'inchiesta fra tutti i genitori del suo indirizzario all'Institute for Child Behavior Research. Risposero in 60 e risultò che gli effetti più notevoli si ottenevano con quattro vitamine, precisamente niacinammide (B3), acido pantotenico (B5), vitamina B6 e vitamina C. Come sottolineano regolarmente i sostenitori della terapia megavitaminica, le vitamina C e B sono idrosolubili, per cui non c'è nessun rischio di overdose: l'organismo semplicemente elimina la quantità in eccesso che non utilizza. Sulla base di questi resoconti, il dottor Rimland e la sua èquipe misero a punto una speciale formula vitaminica e ingaggiarono quindi un gruppo di 300 bambini per una ricerca su scala nazionale. Fra i requisiti per la partecipazione alla ricerca c'era che ogni bambino fosse seguito da un medico. La cosa creò qualche difficoltà, perchè la maggior parte dei medici non aveva nessuna voglia di essere conivolto in alcun modo con il programma di terapia vitaminica. Riferiva il dottor Rimland: "i genitori di due autistici ci hanno detto che il loro medico era inflessibile nel rifiuto di lasciarli partecipare alla nostra ricerca. Era così determinato a non lasciarsi coinvolgere che scrisse al dottor Linus Pauling, il quale si era offerto di rispondere personalmente ai quesiti dei medici circa la validità e innocuità della nostra sperimentazione. Ricevuta la risposta dal dottor Pauling, il medico autorizzò con riluttanza la partecipazione dei suoi pazienti. Il risultato fu che i due bambini migliorarono tanto che il medico ci scrisse per chiedere se avrebbero potuto entrare nella sperimentazione clinica anche i loro tre fratelli, per vedere se sarebbero migliorate le loro difficoltà di apprendimento. Fu di estremo interesse vedere un medico così scettico cambiare parere in maniera tanto radicale". La sperimentazione era impostata secondo questo programma: i bambini ricevevano le vitamine per tre mesi, poi il trattamento si interrompeva per un mese, in modo da osservare se vi fossero deterioramenti, e ripreso per breve tempo, per vedere se il loro comportamento migliorava di nuovo. Secondo il peso corporeo, i dosaggi erano 1-3 g al giorno di vitamina C, altrettanto di vitamina B3, 150-450mg di vitamina B6, 200 mg di acido pantotenico (B5), più una compressa di complesso B ad alta potenza. Sia i genitori che il medico curante dovevano compilare periodicamente un modulo con le loro osservazioni sui miglioramenti nel comportamento del bambino, per quanto riguardava il linguaggio, la partecipazione, le abitudini di sonno e alimentari, le crisi di bizze e altri tipi di risposta. Prima di iniziare la sperimentazione, i genitori rispondevano a un questionario dettagliato circa la nascita e in generale l'anamnesi medica del bambino, dati che venivano poi trasferiti su schede per l'elaboratore elettronico. Queste schede furono quindi inviate dal dottor Rimland ai centri elettronici di varie università, con la richiesta di sottoporle a un nuovo tipo di analisi dei dati, la cosiddetta analisi computerizzata dei raggruppamenti. Si tendeva con ciò ad accertare se fra questi autistici esistessero sottogruppi particolari, riconducibili a speciali raggruppamenti di variabili intorno a fattori comuni: in alcuni poteva esserci una dipendenza costituzionale da vitamine, nel qual caso l'ipotesi era che il trattamento fosse efficace, in altri poteva trattarsi della distruzione di tessuti cerebrali a seguito di un'infezione virale e l'ipotesi allora non prevedeva alcun miglioramento con le megadosi di vitamine. Una volta messa insieme tutta questa documentazione, il dottor Rimland e i suoi collaboratori l'hanno consegnata a tre esaminatori indipendenti, che dovevano valutare gli eventuali miglioramenti dei bambini secondo una scala da 0 a 99. Se i tre giudizi non erano conformi, il caso veniva scartato. Un punteggio di 99 significava che, secondo i tre specialisti che avevano analizzato i dati, il bambino aveva avuto un grosso miglioramento, 80 punti corrispondevano a un miglioramento reale ma non così netto, mentre se non c'era nessun miglioramento apparente venivano attribuiti dai 40 punti in giù, fino allo zero, che stava a indicare non solo assenza di miglioramenti, ma anche un certo deterioramento.
Una volta completata l'analisi computerizzata dei raggruppamenti e assegnati i punteggi col metodo descritto, i risultati mostravano che oltre il 50% dei bambini aveva avuto un miglioramento significativo col trattamento vitaminico, mentre solo un 3% era peggiorato. L'aspetto più importante sotto il profilo scientifico è che i soggetti differenziati in base all'analisi dei raggruppamenti presentavano una risposta diversa alle vitamine. "In tutti i casi - notava il dottor Rimland - si trattava principalmente delle valutazioni dei genitori, che osservavano quotidianamente i bambini". Il miglioramento si manifestava nelle bizze meno frequenti, nella maggiore partecipazione e socievolezza, in un linguaggio più adeguato e abitudini di sonno più regolari. Una madre scrisse: "siamo al 31° giorno della ricerca con le vitamine e voglio parlare dei cambiamenti che sono avvenuti in questi ultimi tre giorni. Sono troppo emozionata per aspettare il momento del prossimo rapporto. Da due giorni Susan non fa che chiacchierare, attaccare discorso, fare domande e osservazioni su tutto quello che sente dire intorno". Su consiglio del dottor Rimland, alcuni dei genitori che non avevano visto cambiamenti significativi durante la ricerca raddoppiarono il dosaggio di vitamina B6. Scrisse una di queste madri: "ora sì che fa differenza. La bambina ha molta voglia di far le cose...al minimo suggerimento è pronta a fare quasi tutto. Ha voglia di giocare a pallacanestro davanti a casa. Era oltre un anno che non scriveva il suo nome o numeri, ma ora lo fa...Perfino mio marito che è scettico dice che è migliorata in questi ultimi quattro giorni". Un altro genitore riferiva: "Elsie ha cominciato a prendere la dose doppia di B6 e ha mostrato un grande miglioramento...è più pronta e più attenta al mondo esterno...abbiamo acceso le candele per lo Hanukkah, la festa della dedica del tempio, e ci ha sorpresi tutti cantando un canto dello Hanukkah dal principio alla fine". Viceversa, quando si interruppero le vitamine, un genitore scrisse dopo dieci giorni di sospensione del trattamento: "William sembra che si sia rinchiuso in se stesso, non dimostra più quel vivo interesse per il mondo circostante che aveva caratterizzato il mese precedente. Quella disponibilità tutta nuova a collaborare e obbedire agli ordini che capiva è sparita rapidamente. Il vecchio repertorio di manierismi e di movimenti e posizioni bizzarre delle mani, che era andato perdendo, si è ristabilito peggio di prima". Quel 3% di bambini del campione sperimentale che avevano fatto registrare un peggioramento erano diventati irritabili e intrattabili: estremamente sensibili ai suoni, si coprivano gli orecchi a tutti i rumori forti o acuti. In qualche caso era ricomparsa l'enuresi. I problemi erano così gravi che alcuni genitori, non potendo sopportare più a lungo il comportamento dei bambini, avevano sospeso il trattamento vitaminico. Il dottor Rimland si rivolse a un certo numero di medici, nella speranza che potessero trovare una risposta al problema, ma la soluzione gliela dette la dietologa Adelle Davis: esaminata la composizione dei supplementi vitaminici che venivano somministrati ai bambini, suggerì di aggiungere il magnesio. Secondo la Davis, infatti, una carenza di magnesio può provocare enuresi, ipersensibilità ai suoni e irritabilità. "Centrò con grande esattezza quello che stava accadendo in una frazione del nostro gruppo sperimentale", osservò il dottor Rimland. "La cosa dipende dal fatto che quando si somministra vitamina B6 in dosi massicce, interagisce col magnesio in modo tale da sottrarre questa sostanza al sistema dell'organismo. Se quindi un bambino si trova per caso nella situazione di assimilare e immagazzinare nell'organismo una quantità di magnesio che è ai limiti del fabbisogno, la vitamina B6 ne sottrae un quantitativo essenziale e il risultato è una carenza di magnesio. Furono immediatamente avvisati i genitori dei bambini che avevano sviluppato questi effetti collaterali di aggiungere magnesio alla formula vitaminica: ci riferirono che gli effetti collaterali erano scomparsi da un giorno all'altro”. Sulla base dei casi esaminati, il dottor Rimland concludeva: “E’ mia impressione che fra queste vitamine somministrate ai bambini la B6 debba risultare la più importante. Alcuni bambini rispondono molto positivamente alla niacina o alla niacinammide, ma i risultati più impressionanti che abbiamo osservato, particolarmente nei casi classici di autismo, si sono avuti in risposta alla vitamina B6”. Naturalmente, ci sono anche degli insuccessi. Non tutti i problemi di comportamento discendono da una dipendenza vitaminica. Ci sono per esempio delle malattie che influiscono sul funzionamento cerebrale: una possibilità che varrebbe la pena di indagare a questo proposito è rappresentata dalle forme allergiche. Tuttavia, molti bambini autistici o altrimenti disturbati hanno risposto bene alla terapia vitaminica e ciò è particolarmente notevole per una malattia che per anni e anni si è dimostrata assolutamente refrattaria alle decine di trattamenti che si sono tentati.