13-09-2016
Gli antibiotici scendono in campo contro i batteri, non contro i virus. Quello di cui non sembrano a volte rendersi conto i pediatri è che, quando prescrivono antibiotici per le normali affezioni del primo tratto respiratorio nell’infanzia, non fanno che usare munizioni pesanti contro un nemico che non c’è. Secondo un’indagine intensiva condotta in Canada, queste infezioni quando compaiono in bambini sotto i tre anni hanno raramente carattere batterico. Infatti, secondo Stewart e Moghadam dell’Hospital for Sick Children di Toronto, un bambino può presentare una coltura positiva e tuttavia non essere infettato da quel tipo di batteri che risponde agli antibiotici. I due autori sono convinti che “c’è molta confusione circa l’opportunità di usare antibiotici per trattare le infezioni del primo tratto respiratorio nei bambini, specie nel primo e secondo anno di vita” (Canadian Medical Association Journal). Stewart e Moghadam hanno eseguito una ricerca su 4.746 bambini sotto i tre anni. Metà dei soggetti presentava segni clinici di infezione, l’altra metà no, ma “non c’era nessuna differenza pratica nella frequenza delle colture positive prelevate da bambini infettati e non, il che indica l’inopportunità di un trattamento con antibiotici”. Prima di prescrivere un antibiotico, il medico dovrebbe tenere nel debito conto questi importanti dati scientifici, che secondo i due ricercatori canadesi indicano che la maggior parte di queste forme infettive non hanno origine batterica. Per un periodo di un anno, i due medici di Toronto hanno prelevato tamponi da oltre 5.000 bambini sotto i tre anni visitati (per qualunque motivo) presso gli ambulatori dell’Ospedale pediatrico. I tamponi venivano esaminati entro un’ora, presso il laboratorio batteriologico identificando i batteri presenti. I singoli pediatri degli ambulatori registravano regolarmente i loro reperti. Si è potuto così rilevare, per esempio, che su 2.193 bambini che non presentavano alcun segno clinico d’infezione, 77 (il 3,5%) aveva una coltura positiva per lo streptococco beta-emolitico del gruppo A, mentre su 885 bambini che invece soffrivano di un’infezione a carico del primo tratto respiratorio, solo 14 davano una coltura positiva per questo ceppo di streptococco. Lo streptococco beta-emolitico è la causa principale della faringite (mal di gola) nei bambini più grandi, lo è raramente sotto i due anni d’età, come rilevano Mortimer e Boxerbaum (Pediatrics). Basando il ragionamento sulla possibilità che la causa sia questo microrganismo, i medici di solito prescrivono penicillina e altri antibiotici nella cura delle faringiti. Come scrivono Stewart e Moghadam in un articolo sul Canadian Medical Association Journal, “oggi è raro che un bambino sotto i tre anni sfugga a queste medicine appena ha un mal di gola, qualunque ne sia la causa”. La faringite nei bambini piccoli di solito è un’infezione virale e non batterica, eppure la tendenza a usare antibiotici per queste forme infettive sembra in aumento. Perché? Forse, secondo i due medici canadesi, a causa “dei dubbi del curante, dell’ansia dei genitori o della pubblicità farmaceutica”, ma anche perché “il medico è così preso dalla fretta che spesso prescrive un antibiotico senza andare a cercare la vera causa della febbre, tosse o raffreddore. E’ una pratica comune, ma ingiustificabile e pericolosa. Può ritardare la diagnosi di una malattia più grave, come una meningite o un’infezione urinaria, con gravi conseguenze per il bambino”, affermano Stewart e Moghadam. “Un’anamnesi corretta, un esame completo e le opportune analisi di laboratorio per facilitare la diagnosi sono un diritto di qualunque bambino malato. Nella maggior parte dei casi il ritardo di 24 ore necessario per ottenere i risultati della coltura batteriologica è del tutto giustificato: la faringite non è quasi mai un’emergenza e rimandare la somministrazione di antibiotici di 12-24 ore, che bastano ad identificare i batteri, il più delle volte servirà a dimostrare che gli antibiotici non sono affatto necessari”. Talvolta, quando il bambino è molto malato, si giustifica la prescrizione di un antibiotico prima che siano noti i risultati della coltura, ma non c’è niente che giustifichi l’abitudine di prescrivere antibiotici per telefono appena c’è tosse, febbre o raffreddore. Ma succede di peggio: a volte i medici danno antibiotici a un bambino che non è nemmeno malato, solo perchè è stato a contatto con un altro che lo era. Questa pratica è quasi sempre da condannare, affermano George Rook ed Edward Wasserman in un articolo sul New York State Journal of Medicine: nel caso del morbillo e forse anche di altre infezioni virali, l’insorgere di un’infezione batterica secondaria è due volte più frequente se vengono somministrati antibiotici come misura profilattica, secondo quanto riferiva Weinstein sul New England Journal of Medicine. Naturalmente è del tutto comprensibile che i genitori di un bambino piccolo che sta male, ha la febbre, è malato, vadano dal pediatra nella speranza che prescriva una medicina miracolosa che lo guarisca subito. Purtroppo, le medicine miracolose hanno i loro limiti e i loro pericolosi effetti collaterali. Che cosa può fare un genitore? E’ assiomatico che il modo migliore per evitare l’uso di antibiotici è evitarne la necessità. La primissima cosa da fare se il bambino è soggetto a raffreddori e infezioni ripetute è migliorare la sua alimentazione. E’ accertato che quando l’alimentazione è corretta i raffreddori sono più rari, meno gravi e meno persistenti. Un bambino piccolo che goda di un’alimentazione adeguata è munito di una resistenza naturale ai batteri e ai virus che minacciano il suo organismo: i tessuti linfatici producono anticorpi o gammaglobuline, con una perfetta corrispondenza fra ogni singolo anticorpo e il virus o batterio attaccante. Una volta che gli anticorpi sono stati sintetizzati, le cellule del tessuto linfatico ne memorizzano i modelli e sono in grado di riprodurli ogni volta che si renda necessario, purchè l’alimentazione fornisca le sostanze nutritive indispensabili a costruirli. In assenza di questi ingredienti fondamentali, gli anticorpi non possono essere riprodotti neppure dopo che le ghiandole linfatiche ne hanno memorizzato i modelli. Qualunque disturbo nella produzione di anticorpi è uno dei primi segni di una carenza alimentare. Le infezioni ripetute sono un segnale della caduta nella produzione di anticorpi: se il bambino prende continuamente raffreddori e mal di gola, è il caso di dare seriamente un’occhiata alla sua alimentazione. Le proteine sono sufficienti? Sono sufficienti gli apporti di vitamina A, C, B1, B2, B6, B12, biotina, niacinamide, acido pantotenico e acido folico?
Queste vitamine son assolutamente indispensabili alla produzione di anticorpi. Cibi come il fegato, il tuorlo d’uovo, la carne e il pesce sono particolarmente efficaci per aumentare la produzione di anticorpi. Si può aggiungere anche lievito di birra nel biberon per garantire al bambino un apporto sufficiente non solo di proteine, ma anche di vitamine B, ferro e altri minerali: si comincia con piccole dosi, aumentando poi gradualmente. Dato che il lievito è estremamente ricco di fosforo, è opportuno cercare un lievito equilibrato, arricchito di calcio e magnesio. Quasi tutti abbiamo imparato a ricorrere alla vitamina C per stroncare il raffreddore al primo starnuto. Ma quante madri si giovano dello straordinario potere antibiotico della vitamina C, dandola regolarmente ai loro bambini nei primi anni di vita? Con l’allattamento artificiale il tasso di vitamina C nel sangue scende: livelli bassissimi in capo a tre o quattro giorni, se non si provvede a fornirla a sufficienza. Se manca la vitamina C, il bambino è esposto ad allergie e infezioni. La vitamina C in forma liquida è molto comoda con i bambini piccoli: si può aggiungere nel biberon o somministrare direttamente a cucchiaini, appena il bambino è più grande. Di solito i bambini la trovano gradevole. Un’altra vitamina troppo spesso trascurata nella prevenzione delle malattie infettive nella prima infanzia è la vitamina A. Questa sostanza, che è stata definita anche vitamina anti-infezioni, agisce in molti modi. Uno è quello di proteggere le membrane mucose, che sono la prima linea di difesa dell’organismo. Quando la vitamina A è presente in abbondanza, tutte le membrane mucose sono lavate dal muco, mosso in continuazione da ciglia sottilissime che oscillano avanti e indietro qualcosa come 250 volte al minuto. Questo movimento costante porta i corpi estranei nei bronchi, dove possono essere espulsi con un colpo di tosse, oppure sospingendoli su per la gola. Quando l’apporto di vitamina A è adeguato, le pareti dei polmoni e le altre cellule mucose sono ben protette, impedendo a virus e batteri di penetrarvi. Se invece le scorte di vitamina A sono insufficienti, le cellule della membrana mucosa si prosciugano: non riescono più a secernere muco e le ciglia, prosciugate, si afflosciano. Animali sperimentali sottoposti a carenza di vitamina A contraggono infezioni gravissime, ma basta reintrodurre la vitamina perché le loro condizioni migliorino. Lo stesso succede coi bambini piccoli: se si somministra olio di fegato di merluzzo, fonte molto ricca di vitamina A, entro cinque-sette giorni l’enzima lisozima aumenta nettamente ed è pronto ad assumere le due funzioni di distruttore di virus e batteri. Non si dimentichi che la vitamina A va immediatamente in fumo, non appena ci sono infezioni, febbre, stress o malattie di qualunque tipo. Anche le medicine distruggono la vitamina A, aumentandone il fabbisogno, così come la distruggono i nitrati provenienti dai fertilizzanti chimici, che contaminano la maggior parte dei nostri cibi, compresi quelli che vanno negli omogeneizzati. La tossicità della vitamina A è un dato che ogni madre dovrebbe tenere presente, pur senza lasciarsene impressionare. La cosa è stata gonfiata sproporzionatamente: nella maggior parte dei casi documentati di tossicità, si trattava di preparazioni idrosolubili, che vengono assorbite molto più rapidamente dell’olio di fegato di pesce. Infatti, la tolleranza a quantitativi eccessivi forniti dall’olio di fegato di pesce è così alta che il pericolo di tossicità è estremamente improbabile. Comunque, non c’è mai motivo di prendere più vitamina di quanta se ne possa ragionevolmente consumare. Per un bambino piccolo, 2.500 UI al giorno è un dosaggio molto abbondante, da aumentare semmai un poco quando davvero vi sia un’infezione. Anche i bioflavonoidi sono importanti nella prevenzione delle malattie infantili. Queste sostanze, che si trovano nella buccia bianca interna degli agrumi, proteggono la vitamina C dalla distruzione all’interno dell’organismo. Sembra che ne intensifichino l’azione antistaminica e che vadano a proteggere vasi sanguigni più piccoli di quelli su cui agisce la vitamina C. E’ opportuno quindi dare ai bambini il succo d’arancio fresco e non filtrato, in modo che possano ricevere anche i bioflavonoidi che sono nella polpa (se non passa dal foro della tettarella, si può provare a passarlo da un frullatore, in modo da sciogliere i grumi).