27-09-2016
Nel 1998 negli USA sono stati uccisi nello svolgimento del loro lavoro più dipendenti della ristorazione che agenti di polizia. Sorprendente, vero? Meno sorprendente, visti i bassi salari praticati dalle catene di fast food, che i due terzi delle rapine ai danni di ristoranti siano compiuti da dipendenti o ex dipendenti. Da un’indagine del ’99 risultava che per rifarsi in parte delle paghe da fame e delle angherie subite la metà dei dipendenti dei fast food statunitensi rubava oggetti o denaro sul posto di lavoro, per un valore medio di 218 dollari l’anno. Per arginare questa particolare forma di lotta di classe le big della ristorazione veloce hanno speso miliardi di dollari in sofisticate tecnologie per il controllo a distanza del personale. Li avessero usati per pagare salari più decenti, i risultati sarebbero stati di certo migliori. Di informazioni paradossali come queste è pieno “Fast Food Nation. Il lato oscuro del cheeseburger”, di Eric Schlosser, uno degli ultimi titoli della vasta letteratura su McDonald’s e simili. Uno dei capitoli più affascinanti del libro è dedicato all’industria degli aromi, anello fondamentale e nascosto della fabbricazione del cibo. Il 90% di quel che gli americani spendono per nutrirsi serve a comprare cibo confezionato, inscatolato, surgelato, precotto, disidratato. Poiché queste tecniche tolgono sapore ai cibi, è necessario rimettercelo con gli aromi naturali o artificiali (la differenza tra i primi e i secondi spesso è arbitraria, perché deriva dal modo in cui vengono preparati, non dalle sostanze chimiche che contengono). L’industria statunitense degli aromi rende un miliardo e mezzo di dollari all’anno ed è concentrata nel New Jersey, dove si producono i due terzi degli additivi aromatici venduti negli USA.
L’International Flavors & Fragances (IFF) è l’agenzia di aromi più grande del mondo. Il suo nome è noto solo agli addetti ai lavori ma senza il suo ausilio gli hamburger non saprebbero di affumicato, il milk shake di fragola, il dentifricio di mela. Il processo di base è identico sia per gli aromi aggiunti ai cibi che per quelli usati nei prodotti cosmetici: si manipolano sostanze chimiche volatili per creare un odore particolare. Poiché gran parte del sapore di un cibo deriva dal suo odore, dai gas che si sprigionano da quel che mastichiamo, lo scopo degli “aromatisti” è di azzeccare e fabbricare l’odore giusto. Con le biotecnologie riescono a creare odori sempre più “realistici” e “particolari”. Le formule degli aromi, e le aziende che li utilizzano, sono top secret. La lista degli ingredienti per creare l’aroma artificiale di fragola è lunga mezza pagina di libro. Gli odori - a cui la memoria è legata a filo doppio (Proust docet) - sono forse l’arma più potente delle industrie del cibo per fidelizzare i consumatori. Poiché i sapori dell’infanzia lasciano un marchio indelebile, il target più ambito delle catene di fast food sono i bambini. Creato l’aroma, va verificata la “sensazione” che produce in bocca. Per questo si ricorre alla “reologia”, una branca della fisica che studia il flusso e la deformazione dei materiali. Delle “bocche meccaniche”, in grado di elaborare dati provenienti da svariate sonde, misurano le proprietà reologiche di un cibo: scorrimento, punto di rottura, densità, croccantezza, masticabilità, viscosità, grumosità, gommosità, duttilità, scivolosità, levigatezza, sofficità, umidità, succosità, spalmabilità, elasticità e adesività. E poi le chiamano patatine.
Di Manuela Cartosio da “Il Manifesto” del 17 agosto 2003