21-10-2016
Lo stress è sempre stato considerato un potente fattore esterno di fronte al quale siamo vittime impotenti, ma la scienza ha dimostrato che lo stress di per sè non provoca malattia. Dopo cinquant'anni di studi in proposito, Hans Selye, il padre della teoria dello stress, è giunto alla conclusione che non contano tanto i fattori di stress della vita di una persona, ma il modo in cui vi si reagisce, e nel suo libro "Stress of Life" lo spiega con un esempio ipotetico. Che cosa succede se passiamo accanto a un ubriaco che ci copre di insulti? Se ignoriamo l'affronto, non subiremo danni fisici, ma se ci arrabbiamo scarichiamo adrenalina, che fa aumentare la pressione e la frequenza cardiaca, mentre l'intero sistema nervoso entra in allarme e si prepara alla lotta. Se questo succede a un potenziale cardiopatico, il risultato può essere un attacco di cuore fatale. Qual è la causa della morte, in tal caso? L'ubriacone? I suoi insulti? No, spiega il dottor Selye, la morte è dovuta all'aver scelto la reazione sbagliata. Un gruppo di studiosi del comportamento dell’University of Chicago, coordinato da Suzanne Kobasa e Salvatore Maddi, ha voluto mettere alla prova da un punto di vista nuovo la popolare teoria secondo cui un alto livello di stress equivale ad alto rischio di malattia seguendo un gruppo di 200 dirigenti della Illinois Bell Telephone Company nel periodo in cui la società è stata smembrata e concentrandosi su quelli che stavano bene, anzichè su coloro che si ammalavano. La metà dei dirigenti lamentava molti sintomi, mentre gli altri 100 ne presentavano pochissimi. I sani risultarono poi avere un modo di vedere le cose e di affrontare lo stress fondamentalmente diverso da quelli che si ammalavano. I manager sani vedevano il cambiamento come un processo inevitabile e un'opportunità di crescita, anzichè come una minaccia alla propria sicurezza. Di fronte ai problemi, invece di sentirsi sopraffatti o di pensare che fossero insormontabili, reagivano con quella che gli autori dello studio definiscono "valutazione cognitiva ottimistica", una strategia che dava loro un senso di controllo interiore sulla situazione. Inoltre nutrivano un profondo interesse per il lavoro e la famiglia e da tale impegno ricavavano un notevole entusiasmo e la sensazione di avere uno scopo nella vita. I dirigenti dotati di quelle che Kobasa e Maddi definiscono le tre "risorse di resistenza" - forza psicologica (senso di controllo, sfida e impegno), supporto sociale e regolare esercizio fisico - avevano meno di una probabilità su dieci di andare incontro a una malattia grave nell'immediato futuro. Invece tra i dirigenti stressati che non avevano nessuna delle tre risorse, le probabilità di ammalarsi gravemente erano più di nove su dieci.
Un altro ricercatore ha condotto studi su reclute della Marina al Naval Health Research Center di San Diego, da cui è emerso che lo stress non sempre equivale a sofferenza fisica. Nè il numero nè la gravità degli eventi stressanti spiega perchè una persona si ammala. Il fattore cruciale è il significato che la persona attribuisce agli eventi. Il tasso di colesterolo aumenta solo nelle reclute che considerano l'addestramento pesante, deprimente e destinato a fallire. In coloro che lo trovano stimolante, anche se un pò preoccupante, non si registra alcun aumento del colesterolo. Anche in uno studio sui controllori del traffico aereo, categoria notoriamente sottoposta a stress elevato, è emerso che è l'atteggiamento e non la dose di stress il fattore che determina chi si ammala. David Jenkins, professore di medicina preventiva all’University of Texas di Galveston, ha coordinato uno studio durato 27 mesi, nel quale i partecipanti sono stati valutati inizialmente e quindi una volta ogni 9 mesi. A differenza della maggior parte delle ricerche, che analizzano a posteriori la frequenza delle malattie, i ricercatori di Jenkins hanno elaborato delle previsioni basandosi sull'ipotesi che le personalità di tipo A - competitive, aggressive, colleriche, sempre frettolose e costantemente in lotta contro il tempo e l'ambiente - si ammalino più spesso. I risultati hanno dato loro ragione. Gli individui di tipo A hanno fatto registrare il triplo di piccoli disturbi e lesioni dei tipi B, più rilassati. L'ipertensione, disturbo molto diffuso tra i controllori del traffico aereo, non è risultata correlata alla quantità di stress cui una persona è sottoposta, ma al modo in cui essa la affronta. Coloro che esprimevano lo stress, si sfogavano e cercavano di reagire non diventavano ipertesi, mentre coloro che addirittura negavano di essere stressati avevano il maggior rischio di ipertensione. Jenkins ha scoperto anche un fattore protettivo: la competenza. Coloro che tra i colleghi erano considerati i più efficienti sul lavoro non si ammalavano. Tra le persone ciniche o con atteggiamenti ostili o di collera repressa è stata riscontrata una maggior incidenza di aterosclerosi e coronaropatie, con un maggior rischio di attacchi cardiaci. Uno studio venticinquennale su 255 medici sottoposti a una batteria di test psicologici quando studiavano alla facoltà di medicina dell’University of North Carolina ha rivelato che l'incidenza di cardiopatie era quattro volte e la mortalità sei volte più alta tra coloro che avevano riportato i punteggi più alti per quanto riguarda l'ostilità. Oltre all'apparato cardiovascolare e al sistema immunitario, lo stress cronico può influire anche sulle difese a livello molecolare. I ricercatori dell'Ohio State University College of Medicine and Comprehensive Care Center hanno osservato alterazioni del processo di riparazione del DNA in persone angosciate con difficoltà ad affrontare lo stress. Il processo di riparazione del DNA è la prima difesa contro i tumori. Quando le cellule vengono danneggiate da radicali liberi, sostanze chimiche o radiazioni, il meccanismo di riparazione del DNA, se non è compromesso, impedisce le mutazioni e lo sviluppo dei tumori.