30-10-2016
Troppa medicina fa male: quello che dieci anni fa era un sospetto oggi è una certezza. Siamo di fronte a un eccesso di diagnosi che porta a trattamenti inutili e spesso dannosi; accade cioè che, inseguendo la salute, paradossalmente si rendono malate le persone. Le evidenze sono ormai tali da indurre una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo, il British Medical Journal (BMJ), a impegnarsi in una vera e propria «chiamata alle armi», una campagna lanciata ufficialmente nel 2013 allo scopo di sensibilizzare e informare utenti e operatori sanitari sulla medicalizzazione ormai esasperata di pressoché tutti gli aspetti e le fasi della vita umana. «La situazione è realmente allarmante perché l’eccesso di diagnosi potrebbe diventare la norma» si leggeva sul BMJ nell’editoriale di febbraio 2013. Basti pensare, tanto per fare qualche esempio, che a una donna su cinque viene diagnosticato, con gli attuali screening, un cancro al seno che non le avrebbe mai procurato alcun problema nel corso della vita. E ancora: il DSM-V, la quinta edizione del Diagnostic and statistical manual of mental disorders, rischia di portare a sistematici eccessi di diagnosi con un utilizzo abnorme e pericoloso di farmaci a causa del moltiplicarsi delle definizioni di disturbi mentali. Si esagera pericolosamente anche con il cancro alla prostata e alla tiroide, con l’asma, le malattie renali croniche e il disordine da iperattività e deficit dell’attenzione, solo per citarne alcuni. Se si darà un taglio ai test e trattamenti non necessari e alle diagnosi inutili, allora si potrà evitare di fare danni e garantire un futuro di salute più sostenibile per tutti, hanno spiegato lo stesso direttore del BMJ, Fiona Godlee, e il professor Ray Moynihan dell’australiana Bond University. Siamo ormai letteralmente bombardati da slogan che snocciolano statistiche superlative e che ci lasciano intuire che più screening ed esami si fanno, più vite si salvano. Ma purtroppo si scopre che non sempre ci sono i vantaggi sperati. Ecco dove questo risulta più evidente:
- SCREENING PER IL CANCRO AL SENO. La domanda che si sono posti i ricercatori dell’Indipendent Uk panel on breast cancer screening è: quanto sono ampi i benefici degli screening in termini di riduzione della mortalità per cancro al seno e quanto pesa il danno in termini di eccesso di diagnosi, che si ha quando a una donna viene diagnosticato un tumore che nella sua vita non avrebbe dato segni clinici? Ebbene, se si facesse oggi una stima, su 10 mila donne britanniche di 50 anni chiamate per i controlli nei prossimi 20 anni, si potrebbero prevenire 43 morti per cancro al seno a fronte però di 129 casi di eccesso di diagnosi, ossia una morte prevenuta per ogni tre casi diagnosticati e trattati impropriamente.
- MANUALE DIAGNOSTICO E STATISTICO DEI DISTURBI MENTALI. La quinta edizione del DSM, è stata duramente criticata e una delle voci più autorevoli che ne hanno sottolineato la pericolosità è stata quella di Allen J. Frances, psichiatra americano che già aveva fatto parte della commissione che si era occupata della quarta edizione del manuale. «Avremo un’enormità di diagnosi sbagliate» ha detto «e le nuove diagnosi psichiatriche sono più pericolose dei nuovi farmaci perché da esse dipende la decisione di somministrare, o meno, quei farmaci a milioni di persone». Frances elenca poi alcune modifiche introdotte nella nuova edizione che ritiene particolarmente pericolose:
a) Il temperamento stizzoso viene trasformato in disturbo da disregolazione distruttiva dell’umore, con il rischio di esacerbare l’uso già inappropriato ed eccessivo di psicofarmaci sui giovanissimi;
b) il normale dolore da lutto diventa disturbo depressivo maggiore;
c) la caratteristica degli anziani di dimenticarsi di piccole cose nel quotidiano prende il nome di disturbo neurocognitivo minore, creando così moltissimi falsi positivi che non sono a rischio di demenza;
d) si amplia a dismisura la fascia del disordine da deficit dell’attenzione nell’adulto, così da incentivare ulteriormente un già florido mercato di psicofarmaci;
e) mangiare troppo per 12 volte in 3 mesi vi trasformerà da golosi in malati di disturbo da fame compulsiva;
f) chi assume droghe per la prima volta finirà nella medesima categoria dei tossicodipendenti incalliti;
g) viene introdotto il concetto di dipendenza comportamentale, un enorme buco nero dove finiranno tutti coloro cui piace particolarmente fare qualcosa;
h) si rende ancora più nebbioso il concetto di disturbo d’ansia generalizzato, con il rischio di creare milioni di nuovi malati;
i) viene ampliato oltremodo il già esistente disturbo post-traumatico da stress utilizzabile dagli esperti forensi.
- CHECK UP E RAGGI X. Nove organizzazioni americane di medici hanno individuato cinque test o procedure di cui si abusa. Ecco quali sono:
1. i pazienti colpiti da sincope probabilmente non necessitano di tomografia computerizzata o risonanza magnetica, giacché l’attesa di miglioramento è scarsa;
2. gli adulti sani senza sintomi cardiaci non necessitano di test da sforzo durante i check up;
3. non sono necessari tomografia o antibiotici per la sinusite acuta, poiché la maggior parte dei casi si risolve senza trattamenti in due settimane e può essere diagnosticata clinicamente;
4. i pazienti in dialisi con aspettativa di vita limitata e senza segni o sintomi del cancro non dovrebbero essere sottoposti agli screening antitumorali di routine, poiché non servono a migliorare la sopravvivenza e possono dare falsi risultati positivi;
5. le donne sotto i 65 anni e gli uomini sotto i 70 non dovrebbero essere sottoposti a Dexa (assorbimetria dei raggi X a doppia energia) per l’osteoporosi.
- EMBOLI POLMONARI. Uno studio pubblicato nel luglio 2013 mostra come l’avvento e la diffusione dell’angiografia polmonare ad alta risoluzione abbiano portato ad identificare, in un numero molto maggiore di casi, piccoli emboli polmonari isolati che non avrebbero mai causato problemi al paziente e non sarebbero mai stati rilevati in altro modo. Di conseguenza, dopo l’introduzione di questo esame, l’incidenza di embolia polmonare è aumentata in maniera significativa, eppure la mortalità ha subìto solo lievissime variazioni malgrado le campagne che raccomandano la tromboprofilassi. Gli autori dello studio affermano che i rischi dell’eccesso di diagnosi includono danni prodotti dal test stesso, legati all’esposizione non necessaria a sostanze di contrasto nefrotossiche e radiazioni cancerogene, e rischi di emorragia dovuti alla somministrazione di Warfarin; questi rischi sono molto maggiori rispetto ai rischi di tromboembolia ricorrente in pazienti con piccoli emboli polmonari isolati.
- OSTEOPOROSI. L’osteoporosi è una condizione assai controversa. Come ben spiegato da un team di ricercatori spagnoli, canadesi e australiani, esiste una sorta di «cartello» globale costituito da aziende farmaceutiche, medici e gruppi di pressione che promuove l’osteoporosi come un’epidemia silente ma mortale che minaccia decine di milioni di donne in menopausa. Per molti altri, meno legati all’industria del farmaco, tale visione rappresenta il classico caso di disease mongering; ossia le campagne di marketing delle case farmaceutiche e delle lobby introducono nuovi quadri clinici a scopi commerciali. Si è persino cominciato a trattare la pre-osteoporosi, una condizione in cui le donne sono «a rischio di essere a rischio».
- MALATTIE RENALI CRONICHE. La definizione è stata talmente ampliata da farci rientrare anche chi non è realmente malato. Applicandola, si ha che più di 1 adulto su 8 (circa il 14%) negli Stati Uniti presenta malattia renale cronica; prima che venisse formulata la nuova definizione, la percentuale di malati era pari all’1,7%. Un consorzio sanitario della California del Sud, ha modificato i criteri adattandoli all’età e ha visto scendere la percentuale dei malati al 3%. Insomma, anche in questo caso i pazienti possono essere etichettati con diagnosi sbagliate e ricevere trattamenti non necessari.
- SOPRAVVIVENZA A 5 ANNI NEL CANCRO. In questo caso non si è di fronte a un diretto utilizzo improprio di test, quanto a una strategia di marketing ben riuscita. Avrete sentito innumerevoli volte ripetere che l’aumento della sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di cancro significa che si stanno facendo progressi nello sconfiggere la malattia. Eppure la mortalità per cancro negli Stati Uniti e in Gran Bretagna è rimasta pressoché la stessa.
Perché? Per due motivi, come spiegano Gerd Gigerenzer e Odette Wegwarth del Max Planck Institute. Primo, l’individuazione precoce implica che il momento della diagnosi sia precoce; già di per sé questo fa aumentare la sopravvivenza a 5 anni anche quando il paziente non vive, complessivamente, più a lungo. Secondo, lo screening consente di individuare anche anomalie che rispondono alla definizione patologica di cancro, ma che non sarebbero mai progredite causando sintomi o morte. Maggiori sono gli eccessi di diagnosi, più alta è la percentuale di sopravvivenza a 5 anni.
Poi ci sono l’ipertensione, il diabete, il colesterolo alto, l’obesità, il deficit cognitivo: tutti casi in cui è stata cambiata la definizione della malattia, generando un aumento esponenziale di malati. Attualmente, come ha sottolineato ancora Fiona Godlee, non esistono standard condivisi per la costituzione dei panel che revisionano o alterano le definizioni delle malattie, né criteri per determinare chi debbano rappresentare gli esperti o quali siano i metodi per gestire i conflitti di interesse. Chi ci «guadagna»? Inutile dire che il massiccio ricorso ai test e l’aumento del consumo di farmaci crea un giro d’affari di tutto rispetto per le aziende; colossi farmaceutici e del biomedicale fanno i conti su fatturati miliardari e naturalmente hanno tutto l’interesse a far sì che il business non si riduca. «I risultati delle ricerche mediche vengono spesso distorti o nascosti per scopi commerciali e il sistema che controlla la condotta dei medici attraverso le erogazioni di denaro sfocia proprio in eccesso di diagnosi e di trattamenti» si legge sul BMJ in un editoriale dal titolo «Un appello per sfidare i venditori di malattie». Ma c’è dell’altro, come spiegano Leonard Leibovici e Michel Lièvre, il primo, docente di medicina all’israeliano Rabin Medical Center, il secondo, professore all’Unità di clinica farmacologica dell’università di Lione. «La medicalizzazione di tutti gli ambiti della vita umana dà all’establishment medico potere e controllo» sostengono. «Si appropriano della gravidanza e della nascita, così come della morte». Dando a un individuo l’etichetta di «personalità di tipo A, la medicina ridefinisce il comportamento maschile», o incarcerando gli altri per pazzia, li controlla e si impone su di loro. Oppure ancora, accade che i medici agiscano sulla base di condizionamenti esterni, divenendo meri esecutori di forzature che non fanno il bene del paziente. I due docenti forniscono esempi chiarificatori. Per una donna di 92 anni ricoverata in ospedale perché rifiutava di bere e di mangiare e si nascondeva sotto le coperte, il figlio parlava di depressione o tumore al cervello, il medico semplicemente di vecchiaia. Ma poiché il figlio insisteva, il medico ha prescritto una serie di test. Un anziano ha tentato il suicidio assumendo un farmaco; lo psichiatra non ha trovato nulla che non andava nella sua psiche, ma i familiari e il loro legale sono stati concordi nel richiedere che venisse legato al letto e il medico ha messo l’ordine per iscritto. Quando l’uomo si è ripreso è stato staccato dalle macchine e ha spiegato le ragioni del suo gesto: era solo, malato e triste. La moglie era morta e non andava d’accordo con la figlia: voleva morire. Allora il medico, per evitare dissidi con i parenti, ha rinnovato la restrizione. La famiglia di un sessantenne con cancro metastatico terminale rifiutava di riprendersi a casa il malato, perché, dicevano i parenti, «non riusciamo a concepire l’idea che muoia a casa». Così, l’incombenza di confortare e gestire questa persona è rimasta ai medici, che lo conoscevano da meno di una settimana. È complicato; e se siamo arrivati fin qui è probabilmente perché non esiste un solo colpevole e perché ci sono più corresponsabilità e connivenze, seppure di grado diverso.
«Lasciamo che la rivoluzione dei pazienti abbia inizio» si legge in un editoriale del BMJ che prova a indicare la strada per uscire da questo empasse. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti la mobilitazione è cominciata; anche in Italia sarebbe utile aprire un ampio dibattito. «Clinici e pazienti devono lavorare insieme collaborando se vogliamo migliorare la sanità e sfidare pratiche e comportamenti radicati» dice la Godlee. «Alcuni pazienti potranno continuare a preferire che sia il loro medico ad avere il ruolo di leader nelle decisioni, ma i buoni esempi indicheranno la strada». E uno dei buoni esempi è senza dubbio l’alleanza Choosing Wisely, che negli Stati Uniti permette a pazienti e medici di lavorare insieme per individuare e ridurre l’utilizzo di interventi non necessari e inefficaci. Sempre in Usa è attivo anche il Patient centered outcomes research institute e in Gran Bretagna la James Lind Alliance, che stanno facendo luce sullo sfasamento tra le domande per le quali pazienti e medici cercano risposte e le questioni sulle quali invece si soffermano a lavorare i ricercatori. Il confronto ha permesso di costituire un database di tutti i trattamenti sui quali ci sono incertezze. Ma come dice la Godlee «è anche necessario un cambiamento profondo delle strutture di potere del sistema sanitario e una revisione della missione e degli obiettivi del sistema stesso». È realistico pensare alla salute come alla definizione, assoluta e statica, che ne dà l’Oms? L’Oms afferma che la salute è «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in assenza di malattia». L’essere umano non è perfetto e nel corso della sua vita cambia, invecchia, deve trovare la capacità di adattarsi alle sfide fisiche, emotive, sociali cui la vita lo espone di continuo. Ed è questo «che ci spinge a funzionare al meglio e con un senso di benessere anche in presenza di malattie croniche o disabilità». Allora, forse, inseguire un ideale perfetto e assoluto di salute non potrebbe esporci (o condannarci) a una vita intera di non-salute?
POSSIBILI FALSE DIAGNOSI: I SEGNALI D’ALLARME
• L’incidenza della malattia aumenta, ma la mortalità resta la stessa.
• I fattori di rischio o i biomarcatori appaiono molto simili alla malattia.
• Vengono introdotte modifiche nelle definizioni diagnostiche o nei valori limite che definiscono la normalità, senza che vi sia chiara evidenza che i benefici siano maggiori dei danni. Si pensi, per esempio, ai continui ritocchi alle soglie che definiscono patologicamente elevato il colesterolo.
COSA SIGNIFICA DISEASE MONGERING?
• Disease mongering: letteralmente «mercificazione della malattia».
• Trasformare le persone in malati o far credere che siano malate o che saranno malate o potrebbero diventarlo, nella mente e nel corpo, per vendere prodotti ed espandere i mercati.
• Ampliare i limiti diagnostici per avere più diagnosi di malattia, sempre per far crescere il mercato.
• Dipingere problemi lievi come malattie gravi e incoraggiare accertamenti sempre più costosi ed estesi anziché ricorrere alla valutazione clinica e al buon senso.
• Corrompere la ricerca medica e influenzare le pubblicazioni allo scopo di aumentare le vendite dei farmaci o il numero degli accertamenti.
• Medicalizzare la normale vita delle persone in modo che la gente non si senta mai bene ma sempre a rischio.
http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(12)61611-0/abstract
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