DSM E LE DIAGNOSI INVENTATE.

13-11-2016

Gli psichiatri hanno da sempre agognato il riconoscimento ufficiale da parte della medicina affinché la loro fosse considerata vera e propria scienza. La medicina moderna per effettuare le proprie diagnosi ha esami quali TAC, ecografia, risonanza ecc., nonché esami di laboratorio quali analisi di sangue, urine, biopsie che evidenziano, come prova dell’esistenza di una malattia, degli aspetti materiali. La psichiatria in realtà non ha nulla di materiale che possa comprovare una malattia, non ha nessun esame fisico che dimostri o provi l’esistenza del disagio psichico. La domanda posta dal mondo accademico rimaneva sempre questa: senza esami specifici, che possono confermare la presenza o meno di un disturbo mentale, come può funzionare la diagnosi psichiatrica? Qui entra in gioco il valore, accettato oramai come assoluto, del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), il testo pubblicato dall’A.P.A. (Associazione Psichiatrica Americana) che rappresenta la bibbia degli psichiatri di tutto il mondo. Esso é nato dal desiderio degli psichiatri e psicologi dell’epoca per essere accettati dalla comunità scientifica e solamente come mezzo per far sembrare il tutto scientifico. Nonostante il titolo però, il testo non contiene alcuna statistica. Quasi tutti i concetti clinici, usati ai giorni nostri, hanno avuto origine in quel periodo e l’attuale moderno approccio di classificare i disturbi psichiatrici risale ancora al XIX secolo. Il padre della cosiddetta classificazione psichiatrica fu lo psichiatra tedesco Emil Kraepelin, che cercò di classificare gli stati mentali alla stregua di stati patologici. All’epoca si ritenevano essere malattie “biologiche” del cervello la demenza precoce, malattie maniaco-depressive, psicosi paranoide, tre disturbi che si ritrovano anche nell’odierno DSM,
Kraepelin cercò di classificare anche i vari stati mentali alla stregua di questi tre e tra le malattie psichiatriche da lui individuate compaiono: il criminale nato, i bugiardi, i truffatori patologici e la masturbazione. Kraepelin era direttore della Reale Clinica Psichiatrica di Monaco e fu lui il vero padre del “morbo di Alzheimer”. La storia riconosce la paternità al dottor Alois Alzheimer, da cui ha preso il nome, ma fu Kraepelin a coniare ufficialmente il termine malattia di Alzheimer (Alzheimer Krankheit). Inventando di sana pianta l’Alzheimer, Kraepelin aveva conquistato un territorio diagnostico molto importante e, secondo alcuni storici, nel consolidare l’esistenza della malattia giocò un ruolo importante la diatriba tra lui e Sigmund Freud. A quel tempo la teoria di Freud rivoluzionò lo studio delle nevrosi attribuendo i sintomi delle malattie psichiatriche all’inconscio, ipotizzandone la cura tramite la psicoanalisi. Queste teorie erano però in netto contrasto con la concezione organicistica delle malattie mentali sostenuta da Kraepelin e Alzheimer: per loro le malattie avevano una base organica che poteva essere accertata scientificamente. Si venne a creare una profonda divisione tra psichiatria a base organica e psichiatria freudiana poiché ognuna di queste correnti cercava il proprio riconoscimento medico: la posta in gioco era elevatissima.
La determinazione di Kraepelin, affinché la malattia di Alzheimer fosse classificata come patologia organica, è il tentativo strategico di conquistarsi quel riconoscimento, oltre naturalmente a non perdere il proprio orgoglio di scienziato e la fama di studioso. Quando Kraepelin incluse l’Alzheimer nel suo testo Psychiatrie, diede l’avvio a una storia che, col tempo é diventata molto lunga. Da un paziente singolo infatti, bollato in modo approssimativo del morbo di Alzheimer, oggi si é arrivati a contare svariate decine di milioni! Kraepelin dedicò l’intera sua vita per dimostrare questa ipotesi senza mai però riuscirci, tanto che alla fine concluse che “era quasi impossibile distinguere scientificamente la persona normale da quella malata di mente”. Nonostante tale onesta presa di coscienza, il sistema di Kraepelin divenne molto famoso e prese piede rapidamente in Germania, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna e fu solo grazie a questo, se finalmente fu possibile parlare di pazienti poiché, fino a quel momento nessuno, in modo concorde, poteva parlare in questi termini. Fu nel 1952 che venne redatto il primo DSM in cui la parola disturbo viene usata solo come eufemismo per indicare una malattia mentale. In questo libro vengono catalogate malattie mentali per le quali però non è mai stata scoperta alcuna alterazione medica biologica. La prima edizione era composta da 130 pagine ed elencava 112 disturbi mentali , basati non su esami scientifici riproducibili, ma su voti apposti in una scheda di votazione inviata per posta al 10% dei soci psichiatri dell’A.P.A. Venivano definiti anormali aspetti e comportamenti di vita come:

- trattenere il fiato;
- mangiarsi le unghie;
- ciucciarsi il pollice;
- sonnambulismo;
- scarsa efficienza;
- timidezza (definita “S.A.D., Disturbo da Ansietà Sociale”);
- omosessualità.

Osservando tutto ciò si può ben affermare come la psichiatria, classificando un comune comportamento come disturbo mentale, stesse cercando in realtà d’impossessarsi della stessa vita! Nel 1968 viene redatto la nuova edizione, il DSM-II, ampliata e aggiornata a 145 disturbi. Inoltre per elevarla e portarla a livello internazionale, questa edizione fu allineata all’I.C.D. (Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Connessi). Quest’ultima è una classificazione molto usata in Europa e nel mondo, che, oltre alle diagnosi psichiatriche, elenca reali patologie di natura medica. Divenne così il primo importante passo compiuto dalla psichiatria per essere accettata nell’ambito medico in concomitanza, strano caso, con l’ondata di popolarità dei primi psicofarmaci messi in commercio in quel periodo, tra i quali il Miltown e soprattutto il Valium. Al DSM-II però mancava ancora la scientificità: non esistevano ancora delle spiegazioni biologiche. La soluzione fu trovata tramite la pubblicazione di un manuale che potesse definire i disturbi mentali in modo ancora più preciso: nacque così nel 1980 il DSM-III, a cura dello psichiatra Robert Spitzer. Da questo momento in poi le diagnosi diventarono di natura puramente biologica e le definizioni vennero gonfiate fino a raggiungere il numero 259. Ma ancora non bastava. Per far accettare al mondo l’idea che la psichiatria fosse una vera scienza medica il tutto doveva venir arricchito anche tramite una teoria che suonasse scientifica. Fu ripresa allora a tale scopo la nozione dello “squilibrio chimico” (chemical balance), una teoria ipotizzata dallo psichiatra Joseph J. Schildkraut nel 1965, per cercare di spiegare in tal modo la depressione. Per lui la vera causa dei disturbi psichiatrici era causata dallo squilibrio chimico dei neurotrasmettitori nel cervello. La realtà è che non esistono squilibri chimici misurabili; non esistono esami di laboratorio che dimostrano un qualsiasi squilibrio nel cervello; e quindi non c’è verso di misurare tale squilibrio. 

“Nessuno ha mai misurato, dimostrato o creato un test, per mostrare uno squilibrio chimico nel cervello. Punto e basta”. 

(Dottor Thomas Szasz)

Schildkraut non fu mai in grado di provare tale squilibrio chimico ma oramai la comunità psichiatrica e le lobbies del farmaco avevano adottato la sua teoria come “plausibile spiegazione medica per i disturbi mentali”. Nonostante lo squilibrio chimico fosse un termine usato come marketing pubblicitario, dal D.S.M.-III in poi gli psichiatri e l’industria farmaceutica hanno iniziato ad adottare e promuovere tale termine perché suonava “molto scientifico”. Con questa nuova aura di scientificità la psichiatria poteva iniziare ora a far parte della medicina.La glicemia di una persona può essere misurata mediante uno specifico esame del sangue assolutamente riproducibile e quindi, per conseguenza é accettabile come prova scientifica. Premesso questo, secondo le teorie psichiatriche la depressione sarebbe causata dalla carenza di una sostanza chimica chiamata serotonina, e per regolarizzarne il livello, la cura consisterebbe nella somministrazione di uno psicofarmaco. Numerosi studi hanno dimostrato invece che il livello misurabile della serotonina non ha nulla a che vedere con squilibri e depressione. Rimane allora ancora senza risposta la domanda di quale sia la causa vera della depressione. Anche i bambini etichettati come iperattivi (ADHD) avrebbero uno squilibrio chimico nel cervello secondo tale modo di cercare le cause delle malattie in sostanze chimiche. A tutt’oggi anche tale squilibrio, come per la depressione, non viene evidenziato da nessun esame conosciuto. Definire malattia l’ADHD deriva, come tantissime altre definizioni, da una arbitraria e totalmente soggettiva interpretazione degli psichiatri. La creazione di nuove malattie prosegue e nel 1994 viene pubblicato il DSM-IV, un tomo arricchito di quasi 886 pagine del peso di 2 chili e mezzo, che elenca 374 definizioni di disturbi mentali. A questo punto da semplice manuale diventa, a tutti gli effetti, una vera e propria industria. Non tutti però sono d’accordo con tali creazioni. “Non esiste una definizione di disturbo mentale. E’ una stronzata!”. Così ha dichiarato il dottor Allen Frances, il capo redattore del DSM-IV. “Al momento non conosciamo le cause di praticamente nessun disturbo mentale.”, rincara Darrell Regier, direttore delle ricerche dell’A.P.A. Due tra le massime autorità a livello mondiale della psichiatria affermano che “non esiste una definizione di disturbo mentale” e che “non conosciamo le loro cause”. Questa affermazione, oltretutto in modo incongruente, viene confermata dallo stesso DSM che nell’introduzione riporta: “Sebbene in questo manuale venga definita una classificazione dei disturbi mentali, si deve ammettere che nessuna definizione specifica adeguatamente i confini precisi del concetto del disturbo mentale”.
Nonostante questa ammissione, rimane il fatto che quanto maggiori sono le definizioni di disturbi mentali riportate nel DSM, quanto maggiori sono le etichettature, cioè le cosiddette diagnosi, tanto maggiori diventano le prescrizioni di farmaci. Per ogni comportamento che potrebbe essere considerato al massimo come strano, la psichiatria ha un nome, una definizione e dietro al nome di una diagnosi ci sarà, sempre pronta, una pillola per quel disturbo. I DSM hanno lo scopo dunque di fornire una diagnosi e quindi una giustificazione per poter somministrare uno psicofarmaco al paziente. Grazie al DSM ogni anno vengono compilate quasi 600 milioni di ricette di psicofarmaci. I dati parlano da soli: nel 98-99% dei casi, le persone entrate in uno studio psichiatrico, riceveranno una diagnosi specifica che giustificherà l’uso di uno psicofarmaco, che é una vera e propria droga. Ma tutto questo ancora non basta. La Quinta edizione del DSM è uscito nel maggio 2013. Agli attuali 374 disturbi ne sono stati aggiunti alcuni nuovi che allargheranno gli orizzonti delle diagnosi e delle prescrizioni e andranno a rimpinguare le sempre più floride casse delle lobbies farmaceutiche. Eccone alcune proposte nel nuovo manuale:

- “Disturbo da accumulo”: si è malati quando qualcuno ha qualche difficoltà ad eliminare e/o buttare via le cose, gli effetti personali.

- “Disturbo da abbuffata compulsiva”, se qualcuno mangia troppo.

- “Disturbo di stuzzicarsi la pelle”, se qualcuno si gratta e/o graffia la pelle.

- “Disturbo del temperamento irregolare”. Questo comportamento include tutti quei bambini i cui capricci non rientrano nel disturbo bipolare, condizione questa di buona parte dei giovani.

- “Disturbo da dipendenza da internet”, presentato come una spiritosaggine nel 1997. Oggi circa 25 milioni di navigatori incalliti rischiano la pillola.

- “Sindrome di rischio di psicosi” o anche “Sindrome di sintomi psicotici attenuati”. In questo caso si vogliono includere tutte quelle persone, in realtà assolutamente equilibrate, le quali secondo la psichiatria potrebbero essere in futuro a rischio di sviluppare una malattia mentale. Cosa significa questo?
Significa che gli psichiatri sanno anticipatamente che una persona sana avrà un grave disturbo mentale e senza bisogno di alcun tipo di esame. Risulta più che mai evidente come il fatto di poter addirittura identificare persone pre-psicotiche, sia un’industria enorme e soprattutto illimitata.

- “Disturbo dello shopping compulsivo”.

- “Disturbo dell’apatia”.

- “Sindrome di estraniazione da genitori”.

- “Disturbo delle relazioni”.

- “Disturbo dell’esplosione intermittente”.

Questo però é solo una parte dell’elenco delle nuove categorie di malattie in attesa di essere curate, naturalmente, con psicofarmaci. Secondo lo psichiatra Allen Frances, l’introduzione di nuovi disagi psichiatrici potrebbe includere tutta la popolazione mondiale. Solo in Italia potrebbero essere classificati nella categoria di ansia mista e depressione, almeno 3 milioni di potenziali pazienti grazie al DSM-V. Si pensi che perfino un “dolore da lutto”, quindi una reazione del tutto normale, verrà diagnosticata come depressione. Al pari di una vorace piovra ad ogni edizione il DSM allarga a dismisura il proprio mercato di potenziali pazienti-clienti.

 

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