25-11-2016
L’osteoporosi è una patologia che provoca la progressiva riduzione della mineralizzazione delle ossa che si verifica quando la formazione di nuovo tessuto osseo costruito per rimpiazzare quello eliminato è inferiore al necessario. Man mano che l’osso è perso, lo scheletro continua si ad avere una composizione normale ma risulta sempre più poroso e fragile. La martellante informazione mediale e la superficialità dei medici poco avvezzi all’approfondimento, ha inculcato nella testa delle donne non solo la paura di sviluppare questa malattia ma anche l’assoluta necessità di dover assumere estrogeni e calcio per prevenirla. Questa si chiama disinformazione. Non esistono studi clinici validi che dimostrano un incremento della mineralizzazione ossea dopo terapia sostitutiva né una supplementazione a base di calcio incrementa la densità ossea nella donna in pre-menopausa né la previene nel post-menopausa. La donna non sviluppa l’osteoporosi a causa di carenza estrogenica o di calcio bensì per tanti altri motivi che vedremo. Pensate che l’incidenza più alta di osteoporosi è stata raggiunta in paesi dove è molto elevato il consumo di latte e latticini. Utilizzare estrogeni sintetici non remineralizza un bel niente. Al massimo rallenta la velocità di demineralizzazione. Un lavoro pubblicato su NEJM nel 1993 ha dimostrato che il rischio di fratture all’anca in donne oltre i 75 anni era esattamente lo stesso con o senza terapia sostitutiva. Non parliamo degli ultimi ritrovati. Attualmente i medici, come una banderuola che segue il vento, hanno cambiato rotta: dalla calcitonina che aveva raggiunto qualche anno fa i sei milioni di pezzi annui, sono passati ai fosfonati. L’ultimo nato di questa famiglia possiede un’attività 1000 volte maggiore rispetto al bifosfonato originale. I suoi cristalli penetrano nell’osso e bloccano artificialmente l’attività degli osteoclasti (cellule deputate alla distruzione dell’osso). I cristalli del farmaco, però, non possono essere rimossi e rimangono nell’osso per tutta la vita impedendo la formazione di nuove cellule ossee. Man mano si forma una specie di struttura artificiale simile alla plastica in cui dovrebbe convivere un osso normale. Persino chi la produce avverte di non farne un uso indiscriminato non conoscendo gli effetti a lungo termine: nessuno ha idea degli effetti che il fosfonato possa avere oltre i quattro anni. Il farmaco diminuisce la velocità di riassorbimento osseo direttamente, il che porta a un riduzione indiretta di produzione ossea. Ha senso questa affermazione pubblicata sul Physicians Desk Reference nel 1998?
Altri effetti collaterali del farmaco sono:
- Patologie renali.
- Insufficienza epatica.
- Ulcere.
- Dolori articolari.
- Cefalee.
- Rash cutanei.
L’uso dei fosfonati è un approccio rischioso e artificiale all’osteoporosi ma molto remunerativo in quanto si stima che l’osteoporosi affligga circa il 50 % delle donne fra i 30-40 anni ed è una patologia presente circa nel 30% delle donne oltre i 65 anni. Molte sono in età più avanzata e soffrono per collassi vertebrali e fratture sia delle coste che delle anche per traumi anche di lieve entità. L’osteoporosi differisce da altre patologie dell’osso come l’osteomalacia e il rachitismo che si sviluppano a causa di un’anomala calcificazione ossea. L’osteomalacia è associata ad una normale formazione osteoide ma con una diminuita deposizione di calcio; il rachitismo è il risultato di un aumento dell’attività osteoclastica rispetto a quella osteoblastica. I fattori coinvolti nell’osteoporosi sono numerosi e multicausali in origine. Grazie agli studi del dott. Watts, l’osteoporosi può essere classificata in due specifiche tipologie:
• TIPO 1: osteoporosi associata ad una bilancia calcica negativa dovuta a scarsa assunzione del minerale, diminuito assorbimento o aumentata escrezione con ipercalciuria.
• TIPO 2: osteoporosi associata con assunzione adeguata di calcio, escrezione diminuita o normale ma con calcificazioni metastatiche.
Ogni tipologia presenta delle caratteristiche metaboliche ben precise e altrettanto ben precise necessità nutrizionali.
FATTORI ENDOCRINI ASSOCIATI
OSTEOPOROSI SENILE
L’osteoporosi senile si verifica sia nell’uomo che nella donna, ma essa viene più attribuita all’uomo. L’osteoporosi senile è associata ad insufficienza surrenalica e/o ridotta produzione di androgeni. Una riduzione della funzione surrenalica comporta una diminuzione degli ormoni anabolizzanti incrementando quindi il deposito di calcio nei tessuti molli. Un dato frequentemente associato a ridotta funzione surrenalica è infatti l’ipercalcemia. L’osteoporosi senile può essere classificata come osteoporosi di Tipo 2.
OSTEOPOROSI E IPERFUNZIONE SURRENALICA
La patologia surrenalica più seria da iperfunzione è senza dubbio il morbo di Cushing che provoca l’iperplasia della corteccia della ghiandola. Una produzione eccessiva di ormoni glucocorticosteroidi incrementa il catabolismo proteico con conseguente diminuzione della deposizione proteica a livello dello scheletro e deterioramento del collagene. La malattia di Cushing può provocare diabete che ulteriormente promuove un’attività anti-anabolica specie se viene soppressa la secrezione di insulina. Un’eccessiva secrezione di aldosterone dalla corteccia surrenalica incrementa l’escrezione urinaria di calcio in quanto l’ormone favorisce il riassorbimento di sodio a livello tubulare renale a sfavore di quello calcico. La demineralizzazione come risultato dell’ipertrofia surrenalica può essere classificata come osteoporosi di Tipo 1. Le condizioni patologiche descritte si verificano nei casi estremi, tuttavia anche un lieve incremento di produzione degli ormoni corticosurrenalici può contribuire alla bilancia negativa del calcio necessaria per indurre osteoporosi. Ciò è particolarmente vero quando lo stress si mantiene prolungato nel tempo. Un altro ormone surrenalico importante da considerare è il cortisolo. Valori elevati di cortisolo, provocati sia da iperproduzione che da somministrazione cronica di cortisone, sono cause ben precise di osteoporosi. Un livello eccessivo di cortisolo ematico è stato infatti correlato ad una riduzione di assorbimento di calcio e conseguente ridotta mineralizzazione ossea. Sebbene il Deidroepiandrosterone (DHEA) sia considerato un ormone maschile, viene prodotto in buona quantità anche da ovaie e surrenali. I suoi livelli declinano nel periodo della menopausa per peggiorare verso la settantina quando le ghiandole surrenali smettono di produrlo. Il DHEA migliora la formazione di nuovo tessuto osseo e quindi è molto importante cercare di sostenerne la produzione per prevenire l’osteoporosi aiutando nutrizionalmente l’attività delle ghiandole.
OSTEOPOROSI E IPERTIROIDISMO
L’ipertiroidismo contribuisce all’osteoporosi incrementando sia l’escrezione urinaria di calcio che l’attività osteoclastica. Poiché un’iperattività tiroidea incrementa anche il metabolismo basale si verifica anche un incremento dell’uso delle proteine che riduce ulteriormente la produzione di collagene e attiva la demineralizzazione. L’osteoporosi connessa all’ipertiroidismo può essere classificata come di Tipo 1. E’ interessante notare che spesso l’ipertiroidismo subentra a situazioni di stress fisico o psichico estremamente pesanti. Un’altra associazione interessante è la relazione che esiste fra tiroide e funzione della corticale surrenalica. La tiroxina incrementa, infatti, la secrezione di glucocorticosteroidi: tiroide e corteccia surrenalica si stimolano reciprocamente.
OSTEOPOROSI E PARATIROIDI
Le ghiandole paratiroidi non solo regolano i livelli ematici di calcio e fosforo ma esercitano anche un effetto sul loro assorbimento. Un incremento dell’attività paratiroidea provoca un incremento dell’assorbimento intestinale di calcio ed un incremento dell’escrezione di fosforo con le urine. Nell’ipoparatiroidismo invece si verifica esattamente l’opposto. L’iperparatiroidismo dunque provoca una calcificazione dei tessuti molli e può provocare un’osteoporosi classificabile come Tipo 2. Tiroide e paratiroidi presentano un’attività di tipo antagonistico fra loro L’iperparatiroidismo primario è spesso asintomatico è molto diffuso. E’ importante notare che due terzi dei pazienti diagnosticati con questa patologia sono donne in menopausa che, in caso di osteoporosi, sono diagnosticabili con una patologia di Tipo 2.
OSTEOPOROSI E ORMONI SESSUALI FEMMINILI
Gli ormoni sessuali femminili, estrogeni e progesterone, esercitano un potente effetto nel ridurre il rischio di perdita di densità ossea e rischio di fratture da osteoporosi. Gli estrogeni controllano l’attività degli osteoclasti ed osteoblasti nel tessuto osseo ed influenzano il livello di assorbimento e deposizione di calcio. Una carenza di estrogeni incrementa l’attività degli osteoclasti e della tiroide (essendone i principali antagonisti) potendo provocare una condizione osteoporotica di Tipo 1. Una diminuzione di estradiolo durante la menopausa normalmente sfocia in un processo osteoporotico di Tipo 1. Un eccesso di questi ormoni può invece attivare un’osteoporosi di Tipo 2 sia per l’effetto antagonista nei confronti della tiroide che per quello nei confronti del progesterone. Uno studio effettuato su un certo numero di donne in post-menopausa in trattamento con progesterone naturale, ha dimostrato un incremento della densità ossea in tutti i soggetti con una media di aumento della massa del 15,4%. Questo dato è molto importante perché dimostra, al contrario degli estrogeni che meramente inibiscono il riassorbimento del tessuto osseo vecchio, che il progesterone favorisce la formazione di nuovo tessuto osseo!
OSTEOPOROSI E TESTOSTERONE
Numerosi studi hanno evidenziato il ruolo primario del testosterone in questa problematica. Riequilibrare un livello subottimale di testosterone comporta un marcato miglioramento della densità ossea sia della parte trabecolare che corticale dell’osso.
OSTEOPOROSI E MELATONINA
Si pensa che la melatonina sia importante per la regolazione del metabolismo calcico in quanto stimola l’attività delle ghiandole paratiroidi. Quindi il calo del livello di melatonina può essere un fattore contribuente allo sviluppo di un’osteoporosi post-menopausa.
OSTEOPOROSI E IGF-1 (SOMATOMEDINA C)
L’ormone della crescita viene secreto dall’ipofisi ed esercita una profonda influenza sull’abilità dell’organismo di rigenerare e costruire tessuto osseo e muscolare. I livelli di questo ormone si riducono con l’età spesso drasticamente. Per questo motivo facilmente si riscontra una bassa densità ossea minerale negli individi con una carenza ormonale di questo tipo. L’IGF-1 (Insulin-like Growth Factor 1) viene prodotto a livello epatico come risposta alla secrezione dell’ormone della crescita. Esso è in grado di stimolare l’attività degli osteoblasti, cellule che promuovono la crescita della matrice minerale ossea. I livelli di IGF-1 sono direttamente proporzionali alla densità ossea.
CARATTERISTICHE FISICHE NELL’OSTEOPOROSI DI TIPO 1 E 2
Esistono dei dati clinici specifici associati agli individui affetti da osteoporosi di tipo 1 e 2. Conoscere queste differenze è di aiuto al clinico per poter determinare i coinvolgimenti eziologici biochimici, fisiologici ed endocrini di questi malati. Bisogna ricordare che la maggioranza dei pazienti sofferenti o predisposti all’osteoporosi presentano uno stadio iniziale generale di squilibrio endocrino. L’evidenza di questi squilibri non è facilmente evidenziabile in quanto tale squilibrio non è ancora uno stato patologico conclamato. La maggior parte delle autorità cliniche concorda nel ritenere diagnosticabile radiologicamente l’osteoporosi una volta raggiunto almeno un 30% di riduzione della massa ossea. Vari studi hanno dimostrato che negli stati di ipertiroidismo il riassorbimento è maggiore nella parte corticale dell’osso paragonandolo a quello trabecolare. In situazioni di iperparatiroidismo, invece, è maggiore il riassorbimento della parte trabecolare. Queste caratteristiche distintive sono notevoli se rapportate alla radiologia in quanto possono aiutare a distinguere un’osteoporosi di tipo 1 da una di tipo 2.
I pazienti di tipo 1 possono essere identificati grazie alle seguenti caratteristiche determinate dalle endocrinopatie subcliniche correlate quali ipertiroidismo, iperfunzione surrenalica e ipoparatiroidismo. Il paziente può presentare una temperatura corporea elevata, dovuta all’incremento del metabolismo basale, un incremento della sudorazione, ansia, sensibilità al rumore, iperreflessia e tachicardia. Il paziente può manifestare sintomi da carenza di calcio che includono crampi muscolari (specialmente durante la notte), insonnia (incapacità a prendere sonno), nervosismo e irritabilità. I pazienti di tipo 2, invece possono lamentare un quadro endocrinopatico subclinico completamente opposto con ipotiroidismo subclinico e carenza funzionale delle ghiandole surrenali in associazione ad iperparatiroidismo. A seconda del grado di squilibrio endocrino, possono manifestarsi sintomi come stanchezza e ridotta temperatura corporea (specialmente alle mani e piedi) dovute ad un rallentamento del metabolismo basale; ipotensione (specialmente posturale), iporeflessia e bradicardia. Spesso ad un esame radiologico si evidenziano delle calcificazioni nei tessuti molli, come linfonodi e colecisti, e questo fa molta impressione quando viene spiegato ai pazienti che non capiscono come mai sia possibile, avendo una carenza di calcio osseo, avere calcificazioni disseminate nei tessuti. Evidentemente non per tutti l’osteoporosi consiste in una carenza di calcio, bensì in un suo cattivo utilizzo. In questi pazienti è negativo un trattamento a base di calcio e vitamina D che non farebbe altro che incrementare il deposito del minerale nei tessuti molli senza apportare alcun giovamento alla densità ossea, semmai l’opposto.
FATTORI NUTRIZIONALI COINVOLTI NELL’OSTEOPOROSI
Diversi fattori nutrizionali sono richiesti per un normale processo di mineralizzazione e demineralizzazione della struttura ossea. La combinazione di uno o più squilibri nutrizionali,può contribuire al processo osteoporotico. Per fortuna è vero anche l’opposto: un riequilibrio dei vari fattori nutrizionali può essere di beneficio nel trattamento o nella prevenzione di questa patologia.
Analizziamo dunque gli effetti e gli squilibri connessi all’osteoporosi di tipo 1 e 2.
PROTEINE
Sono fondamentali per la produzione della matrice organica ossea. Esse rappresentano circa il 30% del tessuto osseo. Nonostante ciò ricevono scarsa attenzione in relazione all’osteoporosi. La matrice organica del tessuto osseo è formata in larga parte da fibre di collagene dove si depositano i sali minerali. Qualsiasi fattore che interferisca con il normale metabolismo proteico può contribuire alla demineralizzazione. Fra le varie disfunzione ricordiamo un aumento del catabolismo delle proteine, un incremento della loro utilizzazione ed una diminuita attività anabolica. Nel trattamento dell’osteoporosi è dunque molto importante un apporto proteico dietetico adeguato così come una sua digestione regolare, assorbimento e utilizzo metabolico. E’ risaputo che un apporto o utilizzo proteico inadeguato può influenzare negativamente una funzione endocrina normale. Una carenza proteica può contribuire allo sviluppo di calcificazioni metastatiche.
CALCIO E FOSFORO
Il metabolismo del calcio è controllato dalla disponibilità dietetica, dall’assorbimento di calcio e fosforo dagli alimenti e dai loro livelli ematici. I livelli plasmatici sono controllati dalla funzione renale e paratiroidea, dalla vitamina D e dai suoi metaboliti così come dalla disponibilità del calcio e del fosfato immagazzinati nell’osso. Ad ogni modo l’assunzione di calcio e la sua disponibilità dietetica non assicura il suo assorbimento e deposizione all’interno dell’osso. Una carenza di acido cloridrico gastrico (acloridria) riduce drasticamente l’assorbimento del calcio per cui, se cronica, può contribuire all’osteoporosi. Molti alimenti, come spinaci, rabarbaro, cacao e bietole, impediscono l’assorbimento del calcio. L’acido ossalico contenuto in essi, può legarsi al calcio nell’intestino producendo dei sali insolubili che non possono essere assorbiti. I cereali, specie integrali, contenendo acido fitico possono anch’essi ridurne l’assorbimento. Un’assunzione elevata di fibra non solo può ridurre l’assorbimento di calcio ma anche di magnesio, fosforo e zinco. Un’assunzione sporadica di questi cibi non è sufficiente per provocare gravi problemi cosa che invece si può verificare abusandone cronicamente. L’ingestione di alcol cosi come di sostanze alimentari e bevande ricche in sodio incrementa l’eliminazione urinaria di calcio e deve essere proibita in caso di trattamento di osteoporosi specialmente di tipo 1.
La supplementazione con calcio viene generalmente accettata come terapia contro l’osteoporosi, tuttavia vari studi hanno dimostrato che la supplementazione protratta solo di questo minerale può favorire una diminuzione di ritenzione del minerale stesso. Ciò probabilmente deriva dal fatto di non considerare gli altri meccanismi connessi. I sali minerali sono depositati nell’osso sotto forma di idrossiapatite grazie alla presenza anche di altri minerali come il magnesio, il sodio e il potassio. Uno squilibrio nell’assunzione di uno solo di questi minerali può disturbare l’assorbimento, la deposizione, il riassorbimento e l’escrezione di calcio e fosforo. Tenendo a mente gli effetti endocrini co-implicati nell’assorbimento ed escrezione di calcio e magnesio, è possibile stabilire le necessità reali di calcio che cambiano notevolmente nell’osteoporosi di tipo 1 e 2.
Un ipertiroidismo e un aumento di attività surrenalica porta ad una diminuzione dell’assorbimento intestinale di calcio associata ad un aumento del riassorbimento di fosforo e ipercalciuria tali da produrre un bilancio calcico negativo. In questo caso la condizione può essere etichettata come osteoporosi di tipo 1 che necessita di supplementazione a base di calcio. In caso di iperparatiroidismo primario e riduzione di attività tiroidea, a livello renale si verifica un aumento di ritenzione di calcio e diminuzione del riassorbimento di fosforo. Ciò dà adito ad un’osteoporosi di tipo2 che non risponde ad una supplementazione a base di calcio.
VITAMINA D
Da tempo si sa che la vitamina D3 favorisce l’assorbimento di calcio. L’ormone paratiroideo è richiesto per convertire la vitamina nella sua forma attiva. L’attività della vitamina è simile a quella dell’ormone PTH . Un’ipervitaminosi D può infatti incrementare il deposito di calcio nei tessuti molli. Le richieste di vitamina D3 sono dunque aumentate nell’osteoporosi di tipo 1 connessa con ipoparatiroidismo, ipertiroidismo e aumento di attività delle ghiandole surrenali.
MAGNESIO
Le connessioni fra calcio e fosforo esistono anche fra calcio e magnesio. Sebbene i due minerali abbiano attività sinergiche a livello metabolico, essi sono antagonisti fra loro a livello di assorbimento intestinale. Un’assunzione eccessiva di calcio può condurre ad una carenza di magnesio e viceversa. Il magnesio, come la maggior parte degli altri minerali, risponde velocemente alla regolazione ormonale. Un’ipomagnesemia è associata ad ipertiroidismo così come un eccesso di magnesio è connesso ad una condizione di ipotiroidismo. Un aumento dell’attività paratiroidea, provocando ipercalcemia, può sviluppare una carenza relativa di magnesio nonostante un incremento di assorbimento. Il magnesio viene utilizzato per diminuire gli effetti dell’attività iperparatiroidea. Una funzione surrenale eccessiva provoca un aumento delle perdite di magnesio. La bilancia magnesiaca è notevolmente influenzata da fattori dietetici. Un’assunzione proteica esagerata incrementa le richieste organiche di magnesio così come l’alcol provoca una marcata perdita di magnesio attraverso le urine. Una supplementazione di magnesio è dunque indicata in tutte e due i tipi di osteoporosi. Nel tipo 1 ci troviamo di fronte ad una franca carenza in concomitanza con quella di calcio. Nell’osteoporosi di tipo 2 invece, la carenza è relativa e la supplementazione può aiutare a diminuire il riassorbimento osseo del calcio indotto dall’attività paratiroidea.
VITAMINA C E RAME
Come evidenziato da vari studi inerenti allo scorbuto, gli effetti negativi della carenza di vitamina C nei confronti della sintesi del collagene sono stati ben documentati. Una carenza di vitamina C provoca infatti una riduzione della produzione della matrice ossea contribuendo quindi all’osteoporosi. La prolin-idrossilasi è un enzima necessario per la sintesi del collagene e la sua attività dipende dai livelli di vitamina C. Il minerale rame è strettamente associato alla vitamina C sia in modo sinergico che antagonista. Uno dei segni più precoci di carenza di rame comprende l’osteoporosi. In caso di sua carenza si riducono i legami di “cross-linking” del collagene essenziali per la funzione del collagene della matrice ossea. Anche un certo numero di enzimi coinvolti nella sintesi del collagene richiedono come cofattore il rame. L’ascorbato-ossidasi è un enzima rame-dipendente. Un aumento dei livelli tissutali di rame potrebbe provocare un incremento dell’ossidazione della vitamina C provocandone una carenza, nonostante una corretta assunzione della vitamina stessa. Di converso un quantitativo eccessivo di vitamina C può abbassare i livelli di rame con possibili sintomi analoghi a quelli dello scorbuto. La tipologia 2 risponde bene alla supplementazione di vitamina C ma non al rame che viceversa è necessario alla tipologia 1 che risente negativamente della vitamina C.
ZINCO
Lo zinco è necessario per la sintesi proteica e in caso di una sua carenza sono state scoperte varie anomalie del collagene. Fra zinco e rame esiste una relazione antagonistica.
PIOMBO
E’ risaputo che il metallo tossico piombo interferisce con la sintesi del collagene. Un’esposizione occupazionale o ambientale eccessiva, inoltre, può portare a una bilancia negativa del calcio, specialmente se l’assunzione di calcio è marginale.
CADMIO
Vari studi hanno dimostrato che il cadmio diminuisce il contenuto minerale dell’osso contribuendo allo sviluppo dell’osteoporosi. Osteomalacia e pseudofratture sono state riscontrate nei lavoratori afflitti da intossicazione da cadmio. Un’ulteriore evidenza della relazione deriva dagli studi effettuati su numerosi giapponesi viventi nelle vicinanze del fiume Jintsu noto per il suo inquinamento da cadmio. Essendo inoltre antagonista rispetto allo zinco, il cadmio interferisce con la normale sintesi proteica.
TMA (ANALISI DEI MINERALI TISSUTALI)
Un modello plausibile per determinare le tendenze e le tipologie osteoporotiche può essere quello presentato attraverso i parametri micro e macro minerali analizzabili tramite biopsie di tessuti umani. Per ovvie ragioni, il capello è il tessuto biologico elettivo. E’ facile da ottenere rispetto agli altri tessuti come pelle, organi o osso; il test di laboratorio è economico ed il capello è facilmente campionabile e trasportabile. Le analisi dei minerali tissutali sono più vantaggiose di quelle effettuate sul sangue per varie ragioni. I livelli di minerali ematici fluttuano ogni momento per via dei ritmi circadiani, delle tecniche di prelievo, dell’esercizio fisico, di patologie acute o croniche come infiammazioni, infezioni e neoplasie. I minerali sierici sono mantenuti normali a spese dei livelli presenti nei tessuti riflettendo solo l’attività extracellulare. In ogni caso l’analisi dei minerali tissutali non è priva di svantaggi. Includiamo un’impropria campionatura, una contaminazione esterna derivata da messa in piega, esposizione occupazionale, apparecchiature inadatte per la campionatura, improprie procedure di laboratorio e l’incapacità di interpretare adeguatamente i risultati. I valori dei minerali tissutali non devono essere utilizzati per individuare delle carenze assolute: essi rivelano invece carenze relative e squilibri reciproci. Determinare i rapporti ideali fra i vari minerali è di maggior importanza rispetto al singolo valore assoluto. Poiché i minerali hanno sinergie e antagonismi reciproci, gli eccessi e le carenze relative possono essere facilmente determinate attraverso l’analisi rendendo il TMA una delle analisi più valide per riconoscere le vere necessità nutrizionali di un individuo. Poiché le ghiandole endocrine governano il metabolismo dei minerali e, viceversa, i minerali influenzano la funzione endocrina, l’analisi tissutale dei minerali (TMA) trovati nel capello può essere considerato un modello accettabile per determinare i rapporti dei minerali di riserva e gli effetti endocrini.