LA PESCA INIBISCE IL CANCRO AL SENO.

15-06-2014

In questi ultimi anni, la ricerca scientifica verte sempre più verso componenti di origine naturale. I quali, trattati adeguatamente, possono divenire molto utili nella cura di svariate malattie, anche molto gravi come il cancro – in particolare quello al seno. E’ l’idea di alcuni ricercatori che sono riusciti a individuare nel dolce vellutato frutto di pesca un possibile aiuto per inibire le metastasi del cancro al seno. Lo studio è stato condotto, per ora, solo su modello animale, tuttavia i risultati sono stati promettenti. L’effetto benefico, secondo il team di ricerca, sarebbe reso possibile grazie alla presenza di alcuni composti fenolici presenti nel frutto. A indagare a fondo sulle possibili virtù di tali composti sono stati gli scienziati provenienti dal Texas AgriLife Research (Texas A&M University). Tra questi emerge il dottor Luis Cisneros-Zevallos, autore principale dello studio che ha scelto di impiantare le cellule tumorali nei topi, a livello sottocutaneo. Gli animali hanno così sviluppato una forma aggressiva di cancro al seno denominata MDA-MB-435.
«Quello che abbiamo notato è stata l’inibizione di un gene marcatore nei polmoni dopo poche settimane, individuando un’inibizione delle metastasi quando i topi hanno consumato l’estratto di pesca – ha spiegato il dottor Cisneros-Zevallos –. Inoltre, dopo aver determinato la dose necessaria per ottenere questi effetti nei topi, è stato calcolato che per l’uomo sarebbe equivalente al consumo di 2-3 pesche al giorno». La varietà di pesche utilizzata durante lo studio è stata quella denominata “Rich Lady”. Questo potrebbe essere stato determinante nella buona riuscita dell’esperimento anche se, specificano i ricercatori, più tipi e più parti del frutto contengono composti polifenolici simili che, tuttavia, potrebbero differire nella quantità.
Lo studio si è basato su altri precedenti che sono sempre stati condotti da AgriLife Research. Anch’essi dimostravano che i polifenoli presenti sia su pesche che prugne, erano stati in grado di eliminare in maniera selettiva le cellule cancerogene del seno. Ovviamente, evitando di intaccare quelle sane. L’esperimento si è focalizzato sulle metastasi, in quanto la maggior parte delle complicanze e dei tassi di mortalità associati al cancro al seno sono proprio dovute a queste. «L’importanza dei nostri risultati è molto rilevante, perché mostra in vivo l’effetto che i composti naturali, in questo caso i composti fenolici della pesca, sono attivi contro il cancro al seno e le metastasi. Ciò offre la possibilità di includere nella propria dieta un ulteriore strumento per prevenire e combattere questa terribile malattia che colpisce così tante persone», ha commentato Cisneros-Zevallos.
Lo studio è stato in grado di determinare il meccanismo di fondo per cui i polifenoli della pesca riuscirebbero a inibire le metastasi. Il motivo sarebbe riconducibile all’azione di questi composti che orienterebbe e modulerebbe l’espressione genica delle metalloproteinasi: una famiglia di enzimi che governano la penetrazione delle cellule tumorali nei tessuti. Ricordiamo che, generalmente, sembrano essere inibite con successo anche da altri composti naturali come la curcumina (curcuma), quercetina (ginkgo biloba, uva, mele ecc.), resveratrolo (uva) e vitamina C. «In generale, il frutto della pesca possiede composti chimici che sono responsabili dell’uccisione delle cellule tumorali senza influenzare le cellule normali, e ora stiamo osservando che questa miscela di composti è in grado di inibire le metastasi. Siamo entusiasti all’idea che (forse) consumando solo 2-3 pesche al giorno si possono ottenere effetti simili nell’uomo. Tuttavia, questo dovrà essere il prossimo passo dello studio per la conferma», conclude Cisneros-Zevallos. Nel frattempo, il team di ricerca sta continuando a testare vari estratti e composti per valutarne l’efficacia anche in altri tipi di cancro, e diabete, al fine di comprendere i meccanismi molecolari coinvolti.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24996346

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19530711

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