24-04-2019
In pochi anni, l’angioplastica coronarica con il palloncino, o angioplastica coronarica transluminale percutanea (PCTA), per darle il suo vero nome, è diventata il metodo più diffuso per trattare i problemi di cuore. La medicina si è focalizzata su di essa come misura preventiva perché nella stragrande maggioranza dei casi, il primo attacco di cuore è spesso anche l’ultimo. Dei 3 milioni di persone che soffrono di attacchi di cuore in Europa ogni anno, solo 700.000 vivono abbastanza per raccontarlo. L’angioplastica coronarica con il palloncino è stata in ascesa dal 1978 e implica l’inserimento di un palloncino nelle arterie bloccate e l’espansione dello stesso per pulirle, di solito spingendo le placche ateromatose contro la parete arteriosa. Quando l’angioplastica arrivò per la prima volta sulla scena, la soluzione meravigliosa per le malattie alle arterie dell’epoca era la chirurgia per il by-pass coronarico. Man mano che l’angioplastica diveniva più sofisticata guadagnava terreno rispetto alla chirurgia cardiaca, rappresentando, come fece, l’alternativa più economica, più facile e meno traumatica. Ben presto venne vista come una cura praticamente per tutte le malattie cardiache, veniva praticata a chi soffriva di angina, a chi si riprendeva da attacchi di cuore ed anche come “misura di sicurezza” per quelli che si preoccupavano dello stato delle loro arterie.
Entro il 1990, 12 anni dopo la sua prima comparsa nella letteratura scientifica, solo in America 200.000 persone si erano sottoposte a questo procedimento e altre 100.000 in Europa, anche se fino a quel momento solo una quantità molto limitata di test scientifici in prospettiva ne avevano valutato l’efficacia. La straordinaria percentuale di successo dei test iniziali, alcuni fino al 90% con complicazioni in meno del 10% dei casi, tendevano a supportare gli entusiasti. Anche Madre Teresa, che subì questo intervento a 81 anni, gli diede un’ulteriore spinta. Solo nel 1991 The Lancet, la rivista che per prima applaudì il trattamento meraviglioso, cominciò a parlare delle preoccupazioni che stavano emergendo. Un inviato della rivista partecipò a un corso di angioplastica e scrisse che, secondo le sue osservazioni personali, tendeva ad avere una visione meno favorevole dei risultati rispetto ai chirurghi che effettuavano l’intervento. In generale i risultati dell’angioplastica coronarica parevano peggiori di quelli riportati dai giornali. Negli USA una dichiarazione ancora più negativa venne diffusa dall’Albo Americano dei Cardiologi: “Aumentano le osservazioni sulla possibilità che la cardiologia si sia focalizzata troppo sulle procedure di angioplastica coronarica piuttosto che essere indirizzata a chi veramente ne ha bisogno. Quali sono i criteri e quali sono i risultati? L’angioplastica viene fatta per i cardiologi o per i pazienti?”.
Come dimostra un’esperienza ventennale, l’angioplastica è ben lontana dall’essere una cura istantanea e miracolosa per tutto, la verità è molto più complicata. Innanzitutto è più efficace per i casi semplici. Uno studio condotto a Boston, ha scoperto che i pazienti che si sono sottoposti all’angioplastica con due o tre fattori di rischio hanno avuto delle percentuali di sopravvivenza di più di cinque anni solo nel 13% dei casi. Si è scoperto che la stenosi (restringimento delle arterie) si verifica entro sei mesi dopo l’angioplastica; il diametro dei vasi sanguigni trattati era aumentato solo del 16% rispetto al periodo precedente il trattamento, secondo l’Albo Americano dei Cardiologi. In uno studio condotto in Italia, la stenosi si ripresentava nei tre quarti dei casi. Data la necessità di trattamenti continui e di monitoraggio, i costi reali dell’angioplastica potrebbero essere molto superiori a quelli per la terapia medica in caso di angina leggera e di malattie a singoli vasi sanguigni. I prezzi degli ospedali son raddoppiati negli ultimi 20 anni in cui l’angioplastica è stata utilizzata, secondo una stima di uno studio condotto nel Maryland.
L’angioplastica non funziona molto bene per i pazienti che hanno una malattia a vaso triplo, cioè quando tutte e tre le arterie principali del cuore sono chiuse. Uno studio condotto in Italia ha riportato solo il 52% di successi in questi casi. L’angioplastica è stata inoltre di poco successo in più dei due terzi dei casi di blocco totale delle arterie. L’angioplastica ha inoltre basse percentuali di successo quando viene utilizzata per trattare arterie bloccate nella parte inferiore del corpo. Se questi tipi di blocchi non vengono trattati, il paziente può finire con una gamba amputata. Inoltre, ci sono prove chiare che molti interventi di angioplastica potrebbero essere inutili. Uno studio americano ha analizzato i pazienti a cui veniva consigliata; lo studio concludeva che per la metà di loro, l’operazione non era necessaria o poteva essere deferita con sicurezza. Nonostante inizialmente ci si aspettasse che l’angioplastica coronarica avrebbe sostituito la chirurgia per il by-pass, entrambe le tecniche sono invece cresciute in tandem e nessuna delle due ha ridotto la frequenza dell’altra. Inoltre, nuove prove mostrano che la chirurgia per il by-pass potrebbe essere il trattamento più di successo per l’angina rispetto all’angioplastica. In uno studio, quasi il quadruplo dei pazienti sottoposti ad angioplastica hanno avuto bisogno di ripetere il trattamento o un intervento rispetto a quelli che si erano sottoposti ad intervento di by-pass; l’angina era diffusa quasi il triplo delle volte nei pazienti sottoposti ad angioplastica rispetto a quelli sottoposti a by-pass entro sei mesi dall’intervento. In altri studi, i due procedimenti hanno mostrato che nessuno dei due fa una differenza sostanziale in termini di salvare la vita prevenendo attacchi cardiaci o aumentando il flusso di sangue nelle arterie dopo tre anni. In realtà entrambi procedimenti hanno gravi effetti collaterali: uno studio scientifico ha mostrato che le persone che hanno subìto l’angioplastica hanno più possibilità, in seguito, di doversi sottoporre a nuovi interventi o di iniziare l’assunzione di nuovi medicinali, mentre il gruppo del by-pass aveva più possibilità di soffrire di attacchi di cuore gravi durante l’operazione. E le ultimissime ricerche, che hanno esaminato più di 1.000 pazienti di 26 centri in tutta Europa, indicano che la percentuale di sopravvivenza tra i pazienti nel primo anno dopo l’angioplastica è più bassa rispetto a coloro che si sono sottoposti ad interventi complicati per il by-pass. I pazienti che hanno subìto l’angioplastica necessitano inoltre di maggiori cure rispetto a chi si sottopone al by-pass, ed hanno maggiori possibilità di dover ripetere l’operazione entro il primo anno.