19-05-2019
Nella medicina convenzionale il compito principale del medico è la diagnosi, ovvero l’identificazione della malattia di cui soffre una persona, e da questo approccio orientato alla diagnosi nasce il tipo di trattamento sintomatico prevalente nel sistema sanitario. Questo metodo si sta rivelando del tutto inadeguato. Abbiamo bisogno di una diversa concezione dell’assistenza sanitaria e di un tipo diverso di medico. Se vogliamo essere sani, dobbiamo darci da fare, prendere coscienza del nostro corpo, imparare come funziona, capire che cosa ci fa bene o male. In poche parole, dobbiamo imparare a curarci da soli.
La prospettiva dell’autodiagnosi vi spaventa? In realtà è quasi impossibile stabilire di quale delle varie migliaia di malattie esistenti soffra una persona. Specialisti con ore e ore di formazione e anni di esperienza al proprio attivo spesso, di fronte a malattie specifiche, fanno diagnosi inesatte. Ma per guarire, secondo me, non occorre dare un nome alla malattia; la diagnosi di cui abbiamo bisogno in realtà è molto più semplice. L’ossessione della nostra cultura per le malattie complicate non solo ci impedisce di riconoscere le vere cause delle malattie, ma ci rende impotenti e ci induce ad affidare la nostra salute a medici che usano un sistema che nella maggior parte dei casi offre solo palliativi. È come se dedicassimo tutto il nostro tempo e le nostre risorse a far riparare da un grande esperto una crepa nel soffitto con stucco e pittura quando la causa del problema è un cedimento strutturale delle fondamenta dell’edificio. Riflettete su quanto segue:
1. Spesso siamo perfettamente in grado di curarci da soli senza ricorrere ai medici. Nel 70-90% degli episodi di malattia, guariamo senza essere stati dal dottore.
2. Il nostro corpo ha una straordinaria capacità di autoguarigione. Quando andiamo dal medico, naturalmente, ci aspettiamo di ricevere una terapia efficace. Attualmente per stabilire l’efficacia di una terapia è lo studio clinico in doppio cieco, controllato con placebo, in cui né il medico né il paziente sanno se quest’ultimo riceve il farmaco o il placebo. È dimostrato però che dal 35 al 70% dei pazienti trattati con il placebo migliora! E anche se la percentuale dei soggetti che ricevono il farmaco è leggermente più alta, costoro subiscono gli effetti collaterali e il costo della cura. Ancora più interessante è la constatazione che, negli studi in doppio cieco, i pazienti trattati con placebo che aderiscono rigorosamente al protocollo, cioè che prendono il placebo seguendo scrupolosamente le istruzioni, ottengono risultati molto più favorevoli di coloro che non si attengono alle istruzioni ricevute. È chiaro quindi che le nostre convinzioni influiscono profondamente sul processo di guarigione.
3. Concentrandosi sulla patologia si perde di vista la capacità di guarigione intrinseca del corpo e ci si preclude la percezione dei segnali che esso ci invia. In uno studio sull’efficacia di un farmaco per l’ulcera gastrica, il 27% (12 su 45) dei pazienti la cui ulcera documentata endoscopicamente era guarita ha continuato a presentare sintomi, mentre il 55% di coloro che non sono guariti è diventato asintomatico, indipendentemente dal fatto che avesse ricevuto il farmaco oggetto dello studio o il placebo. In altre parole, la terapia era mirata esclusivamente alla patologia che, pur essendo riconoscibile, evidentemente non era l’unico e forse neppure il principale fattore causale dei sintomi accusati dai pazienti.
L’approccio orientato alla malattia porta a concentrarsi soprattutto sulle patologie più gravi, mentre gran parte della sintomatologia, cioè di quello che il paziente sente davvero, è dovuta agli sforzi che il corpo fa per guarire o per chiedere aiuto nel processo di guarigione. La sfida perciò consiste non tanto nel diagnosticare la particolare patologia instauratasi, quanto nel riconoscere i fattori che ostacolano la guarigione. Ritengo che i medici migliori siano quelli che capiscono i processi di guarigione spontanea, sanno riconoscere di che cosa ha bisogno il corpo per poter guarire più facilmente e incoraggiano i pazienti a credere nella propria capacità di guarire da soli, in parole povere, di avere una filosofia meno allopatica e più naturopatica.
Penso anche che questa conoscenza del proprio corpo sia alla portata di ognuno di noi e che, in ultima analisi, tutti possiamo imparare a curarci da soli. Dopo 10 anni di esperienza naturopatica, sono giunto alla conclusione che le cause o gli squilibri che stanno alla base della maggior parte delle malattie siano relativamente pochi. Per riconoscerli, tuttavia, occorre uno studio approfondito perché quasi tutti i pazienti presentano più cause o sindromi diverse. I sintomi o la malattia specifica di una persona sono determinati dai suoi squilibri e dalle sue predisposizioni, dal tipo di vita che conduce e dagli stimoli ambientali cui è sottoposta. Se a prima vista tutto questo può sembrare complicato, i sintomi rappresentano altrettanti importanti messaggi, pienamente comprensibili, riguardo alle nostre predisposizioni. Con un approccio graduale, partendo dai sintomi più gravi, è possibile riconoscere e lavorare sulle suscettibilità o sugli squilibri che provocano maggiori problemi. Ristabilendo l’equilibrio in una zona o curando una sintomatologia specifica talvolta se ne mette in evidenza un’altra, che può allora essere risolta con il risultato di un progressivo miglioramento delle condizioni di salute.