13-06-2019
La scienza ha scoperto che cervello e corpo comunicano mediante una serie di neurotrasmettitori che interagiscono con i recettori presenti nelle membrane delle cellule e che i nostri pensieri, stati d'animo e atteggiamenti hanno un notevole impatto sul tipo di neurotrasmettitori che vengono inviati e sul modo in cui vengono riconosciuti dai recettori. Candace Pert, ex direttore del Dipartimento di Neurobiochimica presso gli NIH, che ha scoperto i recettori cerebrali degli oppioidi permettendoci di capire in che modo i trasmettitori neuropeptidici collegano tra loro cervello e corpo, li chiama "l'equivalente biochimico delle emozioni", perchè la loro composizione e azione dipendono direttamente dallo stato d'animo in cui ci troviamo. I neurotrasmettitori traducono in cambiamenti fisiologici tutti i pensieri, le reazioni e le emozioni, sia consci che inconsci. Si trovano, oltre che nel cervello, anche nel sistema immunitario, nel sistema endocrino, nel cuore, nei polmoni, nell'intestino, insomma, un pò dappertutto. A mano a mano che aumenta la conoscenza di queste molecole, risulta sempre più chiaro che l'essere umano non è una mente dentro una macchina, ma un'unica entità integrata; i neuropeptidi costituiscono una "rete di comunicazioni psicosomatiche" tramite la quale la mente è letteralmente presente in tutto il corpo. Provocando il rilascio dei neuropeptidi, che comunicano direttamente con tutte le cellule del corpo, i nostri stati d'animo e i nostri atteggiamenti mentali si incarnano. Corpo e mente sono due manifestazioni dello stesso processo.
Emozioni e pensieri sembrano astratti, immateriali, ma producono una serie di cambiamenti organici, generando molecole capaci di dare istruzioni alle cellule su come dividersi, su quali geni far entrare in azione per la produzione di quantità più o meno grandi di proteine, ecc. In altre parole, il karma ha un fondamento nella chimica del nostro corpo. Siamo non solo ciò che mangiamo, ma anche ciò che pensiamo. La medicina che crede nell'unione mente/corpo, tuttavia, sostiene che ciò che succede dentro la nostra testa contribuisce solo in parte a determinare il nostro stato di salute; nessuno deve essere accusato di aver "causato" la malattia di cui soffre. Riconoscere che siamo un'unità mente/corpo le cui parti interagiscono costantemente significa semplicemente ammettere che la nostra suscettibilità alle malattie è determinata da fattori molteplici e non dettata da cause al di fuori del nostro controllo, quali i fattori genetici o i microrganismi patogeni. Il modello mente/corpo invita a non ignorare, bensì a utilizzare, l'input della mente. Stiamo muovendo i primi passi nello studio dei meccanismi con cui il cervello fa entrare in funzione i sistemi di guarigione interna, ma esiste la prospettiva affascinante di imparare ad usare la mente per raggiungere la salute fisica oltre che mentale.
Che le speranze di usare la mente per guarire siano realistiche è dimostrato dalle ricerche che provano che il cervello e il sistema immunitario dialogano costantemente. Da uno studio condotto recentemente alla UCLA è emerso che le emozioni intense influenzano l'attività del sistema immunitario. Margaret Kemeny, assistente di psichiatria e scienze comportamentali alla UCLA, ha chiesto a un gruppo di attori e attrici di pensare a varie sceneggiature. Le emozioni intense di felicità o tristezza da essi provate nel recitare hanno causato un aumento del numero di cellule natural killer nel sangue entro 20 minuti. Un altro studio coordinato dalla dottoressa Kemeny ha rivelato che tra 36 soggetti con herpes genitale, erano i depressi ad avere più recidive e livelli significativamente più bassi di cellule T suppressor citotossiche. Depressione, stress, ansia, ostilità e stanchezza sono tutti fattori predittivi di scarsa funzione delle cellule T suppressor.
David Felten, professore di neurobiologia e anatomia all'University School of Rochester, e sua moglie Susan Felten hanno dimostrato che oltre ai neuropeptidi, il sistema immunitario è collegato al sistema nervoso tramite fibre nervose che raggiungono praticamente tutti gli organi del sistema immunitario e sono in contatto diretto con le immunocellule. Dalle loro ricerche sono emersi numerosi dati a dimostrazione del fatto che il cervello emette segnali che influenzano la secrezione ormonale e che ormoni e neurotrasmettitori influiscono sull'attività del sistema immunitario. I Felten hanno scoperto inoltre che non si tratta di un collegamento unidirezionale: i prodotti del sistema immunitario influiscono a loro volta sul cervello. Ciò significa che il modo in cui scegliamo di reagire alle esperienze della vita quotidiana viene immediatamente registrato dal sistema nervoso autonomo e trasmesso al cervello, dove influisce, positivamente o negativamente, sull'efficienza del sistema immunitario. Il dottor Robert Ader ha dimostrato il potenziale di guarigione di questo rapporto in esperimenti basati su classiche tecniche di condizionamento, in cui ratti con risposte immunitarie eccessive (nell'uomo risposte di questo genere possono portare a malattie autoimmuni come l'artrite) hanno imparato a sopprimere il proprio sistema immunitario. Oltre a scoprire che i neuropeptidi trasmettono messaggi capaci di inibire il sistema immunitario, gli scienziati hanno appreso che la carenza di vari neuropeptidi ci può rendere più vulnerabili alle malattie. "I virus usano gli stessi recettori dei neuropeptidi per penetrare nelle cellule", spiega il dottor Pert. "A seconda della quantità di peptide naturale corrispondente a un certo tipo di recettore presente nell'organismo, perciò, per i virus sarà più o meno facile entrare nella cellula". Questo significa che lo stato emozionale può influire sulla probabilità individuale di ammalarsi in seguito a contatto con una stessa dose di virus.
Per sottolineare l'importanza dei fattori cognitivi ed emotivi nell'insorgenza delle malattie virali, John Mason, endocrinologo e studioso dello stress presso la Yale Medical School, ricorda che ormai da molto tempo i biologi sanno che la maggior parte dei microbi che infettano l'uomo sono già presenti nel nostro corpo e scatenano un processo patologico solo quando altri fattori provocano un abbassamento delle difese immunitarie. Mason fa notare che "avviene comunemente che molti microrganismi patogeni siano presenti nell'ospite senza provocare malattia nè sintomi. Esiste un complesso sistema di fattori di "resistenza dell'ospite" dai quali dipende il fatto che dall'infezione si passi alla malattia conclamata oppure no". Anche Louis Pasteur, fondatore della moderna batteriologia, sosteneva che le "cause interne" (ovvero in modo in cui le persone reagiscono alla vita e all'ambiente) possono essere più determinanti di un germe, e in punto di morte disse: "il microbo non è nulla, il terreno è tutto". In breve, nessun microbo, germe o virus, nessun agente patogeno da solo può bastare a provocare la comparsa di una malattia, ed è soltanto un mezzo capace di causare sintomi specifici in un ospite suscettibile.