23-06-2019
La vitiligine è un disturbo non doloroso che di solito colpisce soggetti nella fascia d’età dai 2 ai 30 anni, caratterizzato dalla comparsa improvvisa di chiazze chiare sulla pelle, che si allargano lentamente, segnata da un bordo scuro. Queste chiazze si formano perché la pelle, per qualche ragione ancora ignota, non è in grado di produrre melanina. Si crea così sulla superficie della pelle un fastidioso disegno pezzato. La vitiligine colpisce persone con ogni tipo di pelle, ma è più pronunciata nei soggetti più pigmentati. Nei testi di medicina si parla poco di questa malattia, salvo darne dettagliate descrizioni. L’impressione è che la scienza medica non veda che ci sia molto da fare per questi casi, a parte raccomandare l’uso di cosmetici (in genere alle persone con la pelle chiara) e mettere in guardia contro i bagni di sole, dato che l’abbronzatura non fa che accentuare il contrasto fra le zone interessate dalla vitiligine e quelle in cui la formazione del pigmento avviene normalmente. Vari anni fa il dottor Benjamin Sieve, professore alla Tufts Medical School, ha compilato una storia completa dei trattamenti in uso fino dagli anni ’30 e ’40 e delle teorie da cui avevano preso le mosse. Fra le cure descritte dal Sieve ce n’era una introdotta dal dottor Francis. Questo autore pensava che la malattia fosse dovuta all’assenza di acido cloridrico libero nello stomaco: soffriva egli stesso di vitiligine e aveva scoperto di mancare di questo acido. Cominciò a prendere ai pasti 15 cc di acido cloridrico e dopo due anni osservò che le macchie bianche erano completamente scomparse. Usò la stessa terapia su altri tre pazienti, ottenendo risultati simili. Il dottor Sieve avanzava l’ipotesi che l’effetto dell’acido cloridrico sia di facilitare l’elaborazione e l’assorbimento delle necessarie sostanze nutritive.
All’importanza dell’alimentazione per preservare una normale pigmentazione della pelle accennava già un articolo pubblicato sugli Archives of Dermatology and Syphilology, in cui si descriveva la sperimentazione condotta con la vitamina C per restaurare la pigmentazione della pelle. L’anno seguente una rivista medica tedesca pubblicava un altro articolo in cui egualmente si raccomandava l’uso della vitamina C nel trattamento della vitiligine. Anche l’acido para-amminobenzoico (PABA) una vitamina del complesso B, è nominato ripetutamente a proposito della cura della vitiligine. Il dottor Michael Costello, sempre in Archives of Dermatology and Syphilology, riferisce del successo ottenuto nel trattamento di una forma di vitiligine delle palpebre in un bambino di 2 anni, con 100 mg di PABA al giorno. Il dottor Sieve, colpito dalle possibilità terapeutiche di questa sostanza, ha condotto un esperimento per osservarne gli effetti su un campione di 48 casi di vitiligine. Il gruppo era formato di 25 femmine e 23 maschi dai 10 ai 70 anni. La vitiligine perdurava da un minimo di 2 a un massimo di 28 anni. Nella maggior parte dei casi c’era una storia di alimentazione inadeguata e di squilibrio ghiandolare; affaticamento, irritabilità e instabilità emotiva erano sintomi comuni, come la costipazione, eccesso di peso, artrite e vari tipi di cefalea. All’esame fisico si notavano in molti soggetti i segni classici di ipotiroidismo; accanto a questi erano frequenti la fragilità delle unghie, ispessimento e ruvidità della pelle e vari gradi di ipertensione. Dopo un successo solo parziale ottenuto con la somministrazione di fiale di complesso B, il dottor Sieve le sostituì con due iniezioni quotidiane, al mattino e alla sera, di acido para-amminobenzoico (PABA) abbinato a monoetanolammina (che serve a mantenere più a lungo la vitamina in circolo nel sangue) e con due compresse di PABA da prendere a mezzogiorno e la sera prima di coricarsi. Rapidamente si osservò una nuova pigmentazione nelle zone depigmentate, che in capo a quattro-otto settimane da bianco latte erano diventate rosee. Dopo sei-sedici settimane dall’inizio della terapia, si notavano generalmente nelle chiazze delle piccole isole di pigmento scuro, che ben presto emettevano prolungamenti, riunendosi le une con le altre. Infine le isole scomparvero e la repigmentazione fu completa. I risultati della terapia in tutti i 48 pazienti dopo sei-sette mesi erano “impressionanti”. Il dottor Sieve sottolinea ripetutamente l’importanza dell’alimentazione nella vitiligine. A suo avviso anche un squilibrio ormonale può causare la malattia, cui possono contribuire anche ferite, infezioni, pressioni localizzate e raggi solari. Il problema della vitiligine è più complesso di una semplice carenza di acido para-amminobenzoico. A quanto risulta dalla ricerca di Sieve, si devono correggere le carenze alimentari, rettificare gli squilibri ormonali ed eliminare le infezioni locali, prima che una specifica vitamina possa avere un qualche effetto. Rileva inoltre che oltre alle compresse sono necessarie le iniezioni, perché la vitamina assunta per via orale non rimane in circolo abbastanza a lungo da poter agire efficacemente.