I FARMACI PER L'INSONNIA POTREBBERO ACCRESCERE IL RISCHIO DI MORTALITA'.

28-09-2014

Gli ansiolitici e i medicinali contro l’insonnia potrebbero accrescere il rischio di mortalità fino al 36%. È questo lo scioccante dato emerso da una ricerca pubblicata sulla rivista Canadian Journal od Psychiatry e da prendere in considerazione, tuttavia, con le dovute cautele. Analizzando i dati di un ampio studio canadese durato 12 anni e condotto su un campione di 14 mila soggetti di età compresa tra i 18 e i 102 anni, intervistati dai ricercatori una volta ogni due anni, Geneviève Belleville, docente presso la Universitè Laval's School of Psychology canadese, ha verificato come il tasso di mortalità dei soggetti che assumevano ansiolitici o farmaci contro l’insonnia fosse pari al 15,7%, rispetto al 10,5% della mortalità di coloro che non assumevano questo tipo di medicinali. Mettendo in relazione il rischio di mortalità di ogni soggetto in base ad alcuni fattori chiave come il vizio del fumo, la dedizione all’alcol, il livello di attività fisica e la presenza di malattie depressive, Belleville ha stabilito che il consumo di medicinali per l’ansia o l’insonnia potrebbe incrementare il rischio di decesso fino al 36%. “Questi farmaci non sono caramelle e assumerli per molto tempo può essere dannoso”, ha commentato il ricercatore, secondo il quale il rischio di mortalità potrebbe essere ricollegato anche all’aumento delle cadute o incidenti provocati dalla mancanza di coordinazione legata all’uso di questi farmaci.
Tuttavia è opportuno osservare questo dato dalla giusta prospettiva. “Quando si compiono studi su un elevato numero di persone, bisognerebbe considerare tutte le variabili specifiche legate al rischio di mortalità, oltre all’uso del farmaco stesso”, spiega Cesario Bellantuono, Direttore della Clinica Psichiatrica presso gli Ospedali Riuniti di Ancona. “Le persone che fanno uso di ansiolitici e ipnotici, ad esempio, possono essere persone che contemporaneamente soffrono di altri disturbi come ansia, depressione, oppure malattie al cuore o al sistema respiratorio. È difficile, pertanto, stabilire a cosa sia dovuto l’incremento del rischio di mortalità evidenziato dallo studio”.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20840803

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