03-10-2014
Edith D. Stanley, della Sezione Malattie Infettive presso la Abraham Lincoln School of Medicine dell’Università dell’Illinois, Chicago, ha pubblicato un articolo sul Journal of the American Medical Association che dimostra alcuni interessanti dati di fatto sull’aspirina. Un gruppo di volontari infettati con virus di raffreddore e curati con aspirina, sperimentarono soltanto una moderata riduzione nella gravità dei sintomi. Per essere statisticamente rilevanti, le riduzioni avrebbero dovuto essere molto maggiori da apparire chiaramente attribuibili al trattamento piuttosto che al caso o all’errore. Nessuna di queste riduzioni fu statisticamente rilevante. Fu invece significativo il fatto che i volontari trattati con aspirina emisero dal 17 al 36% in più di virus dei gruppi trattati con placebo. Ciò significa che la quantità di virus contenuti nella secrezione nasale dei volontari trattati con aspirina fu considerevolmente più alta. Le persone che prendono aspirina per alleviare i loro disturbi da raffreddamento, aggravano dunque la minaccia di diffondere la loro malattia contagiando mariti, mogli, figli o colleghi di lavoro. E’ stato anche dimostrato che l’aspirina inibisce la capacità dei leucociti di trasferirsi nei tessuti infiammati: sopprimendo dunque la reazione naturale dell’organismo all’infezione, l’aspirina può alleviare sintomi che sono in realtà il risultato della battaglia dei leucociti contro i virus invasori. Ma la riproduzione dei virus stessi non viene limitata. Come ultima conseguenza, la persona che cura il proprio raffreddore con l’aspirina ha maggiori probabilità di “attaccare” il suo raffreddore ad altri. E per giunta, i virus non decimati dal sistema di reazione organica all’infezione possono diffondersi all’interno del corpo e prolungare o complicare la malattia.