11-11-2014
I danni causati dall’abuso dei pesticidi sono incalcolabili. E’ lo scotto da pagare per le colture intensive che si basano sulla richiesta di grandi raccolti su scala industriale: grandi numeri, ma scarsa qualità (assenza quasi totale di vitamine e minerali utili). Prodotti belli a vedere, ma cattivi per la salute. E così spesso ci ritroviamo a portare in tavola cibi (e acqua inquinata alle falde) ricchi di veleni, dei cui danni ci accorgeremo soltanto nel lungo periodo. Ma non finisce qui, ovviamente. Se pesticidi e veleni vari stanno distruggendo l’ecosistema del Pianeta, la loro azione arriva anche a distruggere l’ecosistema del corpo umano. Uno di questi casi è l’influenza sul rischio di sviluppare l’endometriosi, una grave patologia che arriva a colpire fino al 10% delle donne in età riproduttiva. L’endometriosi si caratterizza come una condizione non cancerosa che si verifica quando il tessuto che riveste l’interno dell’utero, o utero, cresce al di fuori dell’organo e si annette ad altre strutture o organi. Questa patologia colpisce in genere le ovaie, le tube di Falloppio e il rivestimento della cavità pelvica. Tra i sintomi più comuni vi sono dolore pelvico cronico, dolore mestruale e infertilità. Le cause dell’endometriosi (o eziologia) non sono ancora del tutto chiare, tuttavia un nuovo studio suggerisce che potrebbe esserci la complicità di due pesticidi organoclorurati, che hanno proprietà estrogeniche.
I ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Research Center hanno scoperto che le donne con maggiore esposizione a due di questi pesticidi, beta-esaclorocicloesano e mirex, presentavano un aumento del rischio di sviluppare la patologia dal 30% al 70%. I risultati completi dello studio sono stati pubblicati online prima della stampa su Environmental Health Perspectives, una rivista del National Institute of Environmental Health Sciences, parte del National Institutes of Health. «Per molte donne i sintomi dell’endometriosi, che possono essere cronici e debilitanti, colpiscono negativamente la salute e la qualità della vita, le relazioni personali e la produttività sul lavoro – spiega la dott.ssa Kristen Upson, coautrice dello studio – Dal momento che l’endometriosi è una malattia estrogeno correlata, eravamo interessati a indagare il ruolo delle sostanze chimiche ambientali che hanno proprietà estrogeniche, come i pesticidi organoclorurati, sul rischio della malattia». «Questa ricerca è importante – sottolinea la prof.ssa Victoria Holt, professore di epidemiologia presso la University of Washington School of Public Health e autrice principale dello studio – poiché l’endometriosi è una condizione grave che può influenzare negativamente la qualità della vita di una donna, ma non abbiamo ancora una chiara comprensione del perché l’endometriosi si sviluppa in alcune donne, ma non in altre».
Lo studio ha coinvolto 248 donne con nuova diagnosi di endometriosi e altre 538 donne senza la malattia, che avrebbero fatto da gruppo di controllo. Alle partecipanti sono stati prelevati dei campioni di sangue per rilevare l’eventuale presenza di pesticidi organoclorurati. La sorpresa avuta dai risultati dei test è che nonostante questo genere di veleni sia oggetto di limitazione d’uso, e in alcuni Paesi anche vietati, sono stati comunque trovati nel sangue delle donne che facevano parte dello studio e sono stati associati all’aumentato rischio di sviluppare l’endometriosi. Tutto questo dimostra che, anche se oggi non utilizziamo più certi pesticidi, la loro azione nefasta si prolunga per anni e anni, e oggi ci ritroviamo a pagarne le conseguenze. «Il messaggio che viene dal nostro studio è che le sostanze chimiche ambientali persistenti, anche quelle utilizzate in passato, possono influenzare la salute dell’attuale generazione di donne in età riproduttiva, con riguardo a una malattia ormone-correlata», fa notare Upson. «Alla luce di questi interventi, è plausibile ritenere che i pesticidi organoclorurati potrebbero aumentare il rischio di una malattia estrogeno-correlata come l’endometriosi. Speriamo che i nostri risultati possano aiutare a informare le attuali politiche globali per ridurre o eliminare il loro uso», conclude la dott.ssa Upson.