Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

Lunedì, 13 Ottobre 2014 09:32

IL SULFORAFANO CONTRO LA LEUCEMIA.

13-10-2014

Una forma concentrata di un composto chiamato sulforafano trovato nei broccoli e altre verdure crocifere, ha dimostrato di ridurre il numero di cellule di leucemia linfoblastica acuta in ambiente di laboratorio, secondo i ricercatori del Baylor College of Medicine. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista PLoS One. “La leucemia linfoblastica acuta è un tipo di tumore dei globuli bianchi, comune nei bambini”, ha affermato il Dott. Daniel Lacorazza, assistente professore di patologia e immunologia. “C’è un tasso di guarigione di circa l’80 per cento, ma alcuni bambini non rispondono al trattamento. In questi casi, abbiamo bisogno di trattamenti alternativi”. Lacorazza ed i suoi colleghi, hanno focalizzato l’attenzione sul purificato sulforafano, un composto naturale che si trova nei broccoli, noto per avere proprietà sia preventive che terapeutiche nei tumori solidi. Gli studi hanno dimostrato che le persone che mangiano verdure crocifere hanno un minor rischio di alcuni tipi di cancro. Per studiare come questo composto agisce nella leucemia linfoblastica acuta, i ricercatori, guidati dal dottor Koramit Suppipat, autore principale dello studio, hanno incubato linee cellulari leucemiche e linfoblasti da pazienti pediatrici, con il composto. Le cellule tumorali sono morte, mentre le cellule sane, ottenute da donatori sani, non sono state influenzate. Testati in studi pre-clinici con modelli murini hanno mostrato risultati simili. Lacorazza riferisce che il composto opera entrando nelle cellule per reagire con alcune proteine. Ulteriori studi saranno necessari, ma i ricercatori ritengono che questo composto potrebbe un giorno essere usato come opzione di trattamento in combinazione con le terapie attuali. Inoltre stanno lavorando per determinare quali proteine sono sensibili al sulforafano e come interagiscono. Questo potrebbe identificare un nuovo bersaglio per il trattamento della malattia e potrebbe influenzare altri tipi di cellule tumorali.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Koramit+Suppipat

13-10-2014

Bere alcol tra le giovani donne e le ragazze è purtroppo un costume piuttosto diffuso. Un’abitudine, anche occasionale, che può tuttavia avere serie conseguenze più avanti nella vita: tra le tante, una di queste è il maggior rischio di sviluppare il cancro del seno. A sostenerlo è uno studio pubblicato sul Journal of National Cancer Institute e condotto dai ricercatori della Facoltà di Medicina dell’Università di Washington, secondo cui una donna che inizi a bere alcolici dall’esordio delle prime mestruazioni, per magari proseguire fino all’età in cui decide per una gravidanza, fa aumentare del 13% il rischio di sviluppare un carcinoma mammario. I dati sono stati raccolti per mezzo di un’indagine che ha coinvolto 91.005 madri che facevano parte di un largo studio Usa sulla salute durato vent’anni (dal 1989 al 2009). Questi dati hanno permesso di scoprire che ogni giorno in più in cui la donna beve aumenta del 15% il rischio di malattie proliferative benigne al seno – che si tratti di birra, vino o superalcolici. Gli scienziati fanno presente che queste lesioni, sebbene non tumorali, contribuiscono ad aumentare il rischio di cancro al seno vero e proprio. I ricercatori ritengono inoltre che le cellule del seno nelle giovani donne siano molto suscettibili ai cambiamenti associati alle cause del cancro, perché queste cellule crescono con rapidità e proliferano proprio durante il periodo dell’adolescenza – un’attività che tuttavia prosegue anche oltre questa età. Altro fattore di rischio è la tendenza a procreare sempre più tardi, allungando di fatto il tempo che intercorre tra il menarca e il primo parto. «Ridurre il bere a meno di un bicchiere al giorno, soprattutto in questo periodo di tempo, è una strategia chiave per ridurre il rischio di vita per cancro al seno – spiega il dottor Graham Colditz, principale autore dello studio – L’abitudine al bere, sempre più pesante, è un’attività diffusa nei campus universitari e durante l’adolescenza, e non ci sono abbastanza persone che prendono in considerazione il rischio futuro». Già precedenti ricerche hanno trovato un legame tra consumo di alcol e l’elevato rischio di cancro al seno. Tra i molti fattori di rischio, tra cui l’età, la storia famigliare di cancro, una maternità in età avanzata o il non avere figli, bisogna dunque tener conto anche della tendenza giovanile al bere. In questo caso, sarebbe utile una maggiore informazione circa i rischi a cui le giovani donne vanno incontro.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23985142

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3797023/

http://jnci.oxfordjournals.org/content/early/2013/08/24/jnci.djt213.abstract

13-10-2014

Le autorità sanitarie del UK National Institute for Health and Care Excellence (NICE) hanno messo in guardia sia gli operatori sanitari che le persone dall’uso degli antidolorifici in caso di mal di testa nelle sue varie forme quali cefalee o emicranie. Secondo gli esperti del Nice è fondamentale comprendere quali possano essere le cause delle varie forme di mal di testa: questo perché permette agli operatori sanitari e ai pazienti una migliore gestione e trattamento del disturbo. I disturbi correlati al mal di testa possono assumere forme altamente invalidanti, e sono causa di migliaia di giorni di lavoro o scuola persi ogni anno. Tra le diverse e più note cause accertate per i mal di testa vi sono quelle derivanti da tensione e quelle derivanti da patologie sottostanti. Ma la causa a cui pochi fanno caso è l’uso di medicinali sintomatici come gli antidolorifici che, ironia della sorte, sono utilizzati proprio per lenire il dolore.
«E’ importante che la gente capisca che i diversi mal di testa richiedono un trattamento differente, e così una diagnosi corretta è fondamentale – spiega nel comunicato NICE il prof. Gillian Leng, Deputy Chief Executive e Direttore dell’Health and Social Care – Le persone non possono sapere che un uso eccessivo di alcuni tipi di farmaci per il trattamento della cefalea di tipo tensivo o emicrania possono effettivamente peggiorare le cose, causando ulteriore dolore». Per questo motivo gli esperti del NICE hanno promosso nuovi standard qualitativi per la diagnosi e gestione del mal di testa. Con la speranza che questa norma possa aiutare sia gli operatori sanitari che i pazienti. «Mal di testa ed emicrania possono essere debilitanti e dolorosi per le persone colpite – commenta Sam Chong, Consulente neurologo presso King College di Londra, e membro del comitato che ha sviluppato lo standard di qualità – Una gestione efficace del mal di testa dipende da una diagnosi corretta e dal concordare un appropriato piano di trattamento». «L’uso eccessivo di farmaci per il mal di testa sono un problema comune – aggiunge Chong – spero che questo standard di qualità sarà un modo per sensibilizzare i cittadini circa questo problema, e per garantire che le persone con mal di testa ed emicrania ottengano sempre il corretto trattamento». Attenzione dunque a non cercare di curare il mal di testa soltanto con gli antidolorifici perché si può ottenere l’effetto contrario.

 

http://www.huffingtonpost.co.uk/2012/09/19/painkiller-headache-nice-warns_n_1895609.html

Lunedì, 13 Ottobre 2014 09:07

LA PERMANENTE PUO' PROVOCARE IL CANCRO.

13-10-2014

L'acconciatura più amata dalle donne potrebbe essere molto pericolosa, almeno secondo una ricerca dell'Università di Boston. A quanto sembra infatti, farsi i capelli ricci con la permanente potrebbe favorire l'insorgere dei fibromi uterini. È quanto emerge da una ricerca condotta dalla professoressa Lauren Wise del Boston University’s Slone Epidemiology Center che ha seguito, dal 1997 al 2009, un campione di 23mila donne afroamericane non in menopausa, per comprendere come mai l'etnia nera è più soggetta a questa forma tumorale. Secondo quanto riportato da Leggo, ci sono voluti 12 anni prima che la ricercatrice si rendesse conto che le afroamericane si sottopongono con molta più frequenza allo stiraggio dei capelli (con lo stesso liquido che le caucasiche e le asiatiche usano per arricciarli) facendo impennare i numeri della malattia. Wise ha inoltre scoperto che le giovanissime di qualsiasi etnia che riescono a convincere i genitori a provare un trattamento arricciante o stirante vanno incontro a una pubertà più precoce.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22234483

http://www.medscape.com/viewarticle/759283

13-10-2014

La prescrizione di farmaci antipsicotici a bambini e giovani adulti con problemi comportamentali o disturbi dell’umore li sottopone al rischio di sviluppare diabete di tipo 2, secondo un nuovo studio del Vanderbilt University Medical Center pubblicato su JAMA Psychiatry. L’indagine ha dimostrato che i giovani che assumono farmaci come il risperidone (Risperdal), la quetiapina (Seroquel), l’aripiprazolo (Abilify) e l’olanzapina (Zyprexa) hanno un rischio tre volte maggiore di sviluppare diabete di tipo 2 entro il primo anno di somministrazione. La ricerca è la prima di grandi dimensioni a mostrare l’associazione tra l’uso di farmaci antipsicotici atipici e lo sviluppo di diabete nei bambini. Si tratta di farmaci che rappresentano la categoria attualmente maggiormente prescritta ai piccoli pazienti affetti da disturbi comportamentali, d’attenzione e dell’umore. Le prescrizioni di psicofarmaci ai bambini sono in continuo e vertiginoso aumento e per di più non c’è solo il diabete tra le conseguenze dell’assunzione. E’ stato stabilito anche un legame con la morte improvvisa. Inoltre è assai interessante leggere i foglietti illustrativi, ci si rende conto di quello che l’assunzione comporta, come parkinsonismo, cefalea, insonnia, letargia, discinesia, tachicardia e via dicendo.

 

http://archpsyc.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1731662

13-10-2014

Si sa, una dieta sana unita a un corretto stile di vita può fare la differenza in termini di salute: soprattutto nella prevenzione di malattie serie, come per esempio, il cancro. Una nuova indagine ha infatti posto l’accento su un maggior consumo di frutta e verdura associato a un minor rischio di cancro alla vescica. In particolare nelle donne. Se ne è occupato uno dei più grandi studi che valuta le diverse relazione tra dieta, fattori genetici e stile di vita in rapporto al rischio di cancro. Si tratta del “Multiethnic Cohort Study” (MEC), istituito nel 1993 e finanziato dal National Cancer Institute (NCI). Negli ultimi dodici anni sono stati analizzati dati appartenenti a oltre 180.000 adulti, di cui a circa 581 era stato diagnosticato il tumore invasivo della vescica. Di questi soltanto una piccola percentuale erano donne: 152. Dopo aver esaminato i diversi dati acquisiti durante lo studio, i ricercatori hanno scoperto che le donne che consumavano quantità maggiori di frutta e verdura avevano un ridotto rischio di cancro alla vescica.
In particolare, le donne che erano solite consumare le verdure e la frutta di color giallo/arancione avevano il 52% di possibilità in meno di sviluppare il cancro alla vescica, rispetto a quelle che consumavano altri tipi di vegetali. Probabilmente tutto ciò è dovuto a un maggior contenuto di vitamine antiossidanti come la A, la C e la E che hanno un ruolo particolarmente attivo nella prevenzione di tali patologie. Non possiamo, tuttavia, cantar vittoria e pensare di cavarcela con così poco. Secondo i ricercatori, infatti, gli stessi effetti non si ottengono con le persone di sesso maschile. I risultati dello studio, pubblicato sul The Journal of Nutrition, nonostante sembrino promettenti dovranno senz’altro essere ulteriormente verificati per comprendere il motivo per cui su un organismo di sesso maschile non si ottiene lo stesso identico successo riscontrato su quello femminile. Nel frattempo, mangiare buoni quantitativi di frutta e verdura non potrà fare altro che bene – sia a uomini che donne – visto che una sana alimentazione viene consigliata nella prevenzione di una grande varietà di disturbi e malattie.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23739308

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3709993/

13-10-2014

Una nuova ricerca dal National Institute on Ageing di Baltimora rivela che il digiuno intermittente offre benefici imprevisti per la salute del cervello. Appena due giorni di restrizione calorica a settimana potrebbero ritardare l’insorgenza di malattie degenerative come l’Alzheimer e il Parkinson e proteggere contro l’ictus. Secondo il professore Mark Mattson della John Hopkins University che guida anche l’Istituto di neuroscienze di Baltimora, il digiuno intermittente a lungo termine è relativamente migliore della restrizione calorica continua. Per gli effetti ottimali, la squadra di Mattson raccomanda un riduzione di assunzione di cibo a solo 500 calorie per uno o due giorni alla settimana, espressa in non più di una manciata di verdure, tè senza zucchero e acqua. Mattson è convinto che un tale regime non è poi così difficile da seguire: “Abbiamo scoperto che da un punto di vista psicologico funziona abbastanza bene. Si può affrontare il digiuno per un giorno, sapendo che per i prossimi cinque si può mangiare quello che si vuole“.
Il Dr. Mattson spera che in un prossimo futuro la gente possa comprendere che la salute ottimale del cervello può essere raggiunta naturalmente, regolando l’assunzione di cibo. I risultati della sua ricerca mostrano che l’attività di sostanze chimiche cerebrali specifiche, coinvolte nella crescita dei neuroni, aumenta significativamente quando una persona è sottoposta a digiuno intermittente. ”Le cellule del cervello sono messe sotto stress lieve, che è analogo agli effetti dell’attività fisica sulle cellule muscolari. L’effetto complessivo è vantaggioso”, ha spiegato il professor Mattson che ha intenzione di utilizzare tecniche investigative come risonanza magnetica e metodi computerizzati, per valutare il vero impatto della restrizione calorica sulla salute del cervello. Egli ritiene che, se la comunità scientifica è disposta a convalidare questa misura di protezione naturale, le persone a rischio di malattia del cervello potranno trovare beneficio, semplicemente attraverso periodi di digiuno settimanale.

 

http://rawfoodhealthwatch.com/raw-food-news/fasting-brain-disease/#ixzz2cxpsCwnP

http://www.theguardian.com/society/2012/feb/18/fasting-protect-brain-diseases-scientists

11-10-2014

L’India è il Paese dove si consuma (3-5 g per adulto al giorno)  e si produce più curcuma al mondo ed è anche quello con la più bassa incidenza di tumore alla prostata. In un recente studio sui topi si è visto che  l’associazione tra fenetil isotiocianati (PEICT, un composto naturale che si trova nelle crucifere (broccoli, cavolfiori, ecc.) e curcumina, ha una notevole azione preventiva sul tumore della prostata. Secondo quanto si legge sulla rivista “Cancer Research” in un articolo firmato da un gruppo di ricercatori della Rutgers University, che ha sede del New Jersey, la curcuma avrebbe un notevole importanza nella prevenzione e nel trattamento dei tumori della prostata. L’effetto protettivo sarebbe altresì evidente quando essa è associata al fenetil isotiocianato (PEITC), una sostanza presente in alcune verdure come i broccoli, il crescione, i cavoletti di Bruxelles, la rapa, il cavolfiore, il cavolo comune e il cavolo rapa. “Si tratta – ha spiegato Kong, docente di farmacologia della Rutgers – di test effettuati sui topi, ma il risultato è comunque interessante, non solo in termini preventivi ma anche per il trattamento di tumori della prostata già diagnosticati”. La portata di questo studio si può comprendere pienamente considerando la prevalenza e l’incidenza che ha attualmente il carcinoma della prostata nei paesi industrializzati, e soprattutto negli Stati Uniti, dove si hanno circa 500.000 nuovi casi ogni anno. Nuovi trattamenti si rendono necessari anche tenendo conto che tale neoplasia risponde poco agli agenti chemioterapici e alla radioterapia.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16423986

11-10-2014

Ricercatori dell’Università di Otago a Christchurch (UOC) hanno condotto uno studio in cui si afferma che mangiare due kiwi al giorno fa bene all’umore e alla salute; in più dona una sferzata di energia al corpo. Lo studio, condotto per osservare gli effetti sull’umore del frutto neozelandese, ha visto la partecipazione di un gruppo di 54 giovani sani che dovevano mangiare per 6 settimane o due kiwi al giorno o mezzo kiwi al giorno. I partecipanti sono stati selezionati in base alla propria dieta che, in questo caso, era contraddistinta dall’assunzione di poca frutta fresca, e i cui i livelli di vitamina C erano inferiori a quanto dovrebbero essere. I risultati osservati al termine del periodo di studio, e pubblicati sulla rivista Journal of Nutritional Science, hanno mostrato che gli appartenenti al gruppo “due kiwi al giorno” avevano sperimentato meno sintomi depressivi e meno fatica fisica e mentale rispetto al gruppo “mezzo kiwi al giorno”. Oltre a ciò, gli appartenenti al primo gruppo hanno riferito di sentirsi più energici e più di buonumore. Questi cambiamenti nell’umore e nei livelli di energia, secondo gli autori dello studio, possono essere correlati all’ottimizzazione della vitamina C assunta con la dose due kiwi: i kiwi sono infatti una fonte eccezionale di vitamina C. Lo studio è stato condotto dalla prof.ssa Margreet Vissers e il suo team del Centro di Ricerca sui Radicali Liberi della UOC. I ricercatori sono attualmente coinvolti in un ampio studio per comprendere meglio il ruolo fondamentale della vitamina C nel corpo umano. «I due kiwi al giorno hanno assicurato che i livelli di vitamina C del gruppo di studio fossero ottimali – spiega Vissers – e questo è stato necessario per osservare un effetto sull’umore e sull’energia. La quantità di vitamina C necessaria per questo è superiore alla dose attualmente raccomandata». «Il nostro studio – aggiunge Vissers – fornisce una buona prova a sostegno della tesi che ci sono misurabili benefici per la salute che possono essere ottenuti dal mangiare una buona quantità di frutta e verdura al giorno. Per un miglior beneficio è importante includere cibi ad alto contenuto di vitamina C nella nostra dieta quotidiana». Il ruolo della vitamina C è fondamentale in molti processi biochimici all’interno del corpo, sottolineano i ricercatori. Questa vitamina aiuta ad attivare un certo numero di enzimi nell’organismo che aumentano i livelli di energia metabolica e di diverse sostanze neurochimiche nel cervello: ciò significa che assumere maggiori quantità di vitamina C potrebbe ridurre la sensazione di fatica e aumentare l’energia fisica e mentale, ottenendo anche un effetto positivo sull’umore.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25191573

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4153016/

http://www.stuff.co.nz/science/9088473/Kiwifruits-surprising-health-benefits

 http://archive.indianexpress.com/news/eating-kiwifruit-can-prevent-depression-study/1160814/

 

11-10-2014

L’infezione da papilloma virus umano (HPV) è stata ormai da tempo correlata al possibile sviluppo del cancro alla gola. Questo tipo d’infezione, e relativo cancro, sono altresì stati collegati al sesso orale – fatto tornato alla ribalta dopo il caso, poi smentito, dell’attore americano Michael Douglas. Ora, però, un nuovo studio collega l’infezione da HPV anche alla scarsa igiene e salute orale, suggerendo che molti casi di cancro possono essere indipendenti dai rapporti sessuali a rischio. La ricerca ha trovato spazio sulla rivista Cancer Prevention Research ed è stata condotta dai ricercatori dell’Università del Texas Health Sciences Center di Houston. Qui, i ricercatori fanno sapere che tuttavia in questo caso ci sono buone speranze di guarire e non sviluppare il cancro associato se si seguono alcune raccomandazioni. «Una scarsa igiene e salute orale è un nuovo fattore di rischio indipendente per l’infezione orale da HPV e, a nostra conoscenza, questo è il primo studio a esaminare questa associazione – spiega Thanh Cong Bui, della School of Public Health presso l’UT –. La buona notizia è che questo fattore di rischio è modificabile. Mantenendo una buona igiene orale e una buona salute orale, si può prevenire l’infezione da HPV e i relativi tumori HPV correlati». Le infezioni da papilloma virus possono essere di due tipi: quella a basso rischio, che non causa il cancro ma può far insorgere una certa varietà di tumori benigni o verruche nella cavità orale; quella ad alto rischio che, invece, può essere causa di tumori orofaringei maligni. Lo studio è stato incentrato su circa 5000 persone appartenenti al 2009-2010 National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) condotto dal National Center for Health Statistics del Centers for Disease Control and Prevention (CDC). L’analisi dei dati raccolti ha permesso ai ricercatori di estrapolare 3.439 partecipanti di età compresa tra i 30 e i 69 anni, per i quali è stata rilevata la presenza o meno nella cavità orale di 19 tipi di HPV a basso rischio e 18 tipi di HPV ad alto rischio. I risultati dello studio hanno mostrato che coloro che hanno riportato una scarsa salute orale avevano una prevalenza del 56% più elevata di infezione orale da HPV; quelli che presentavano malattie gengivali e problemi dentali avevano rispettivamente un 51% e un 28% di più alta prevalenza di infezione orale da HPV. Anche la mancanza di denti è stata associata alle infezioni orali da HPV.
Thanh Cong Bui e colleghi, oltre ad analizzare la presenza dell’infezione da HPV, hanno anche preso in considerazione fattori di rischio come l’auto-riferita igiene orale, la presenza di malattie della bocca, il numero di denti ancora presenti, l’età, il genere sessuale di appartenenza, lo stato civile, l’uso di droghe come la marijuana, il vizio del fumo o dell’alcol e, infine, le abitudini sessuali. Se fattori noti come le abitudini sessuali, il fumo e l’uso di droghe sono stati tutti trovati essere fattori scatenanti l’infezione da HPV, specie nei soggetti maschili, anche l’igiene orale ha avuto il suo significativo peso, divenendo un fattore di rischio indipendente. Questa nuova associazione, poi, è tale indipendentemente dal genere sessuale di appartenenza, il vizio del fumo, l’uso di marijuana e i rapporti sessuali orali. Dato che il virus dell’HPV necessita di lesioni o ferite nella bocca per poter attecchire, ecco dunque che una scarsa salute orale, che presenti queste condizioni, favorisce l’infezione. «Anche se sono necessarie ulteriori ricerche per confermare la relazione causale tra salute orale e l’infezione orale da HPV, le persone dovrebbero mantenere una buona salute orale per tutta una serie di benefici per la salute. L’igiene orale è fondamentale per la salute e le buone pratiche di igiene devono diventare un’abitudine personale», conclude Bui.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Cancer+Prevention%20Research%20%20Thanh%20Cong%20Bui

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