Angelo Ortisi
I COMPOSTI CONTENUTI NELLE SPEZIE POTREBBERO AIUTARE A PREVENIRE IL CANCRO AL SENO.
20-09-2014
Nel pepe e nella curcuma, infatti, sono presenti sostanze capaci di limitare la riproduzione delle cellule staminali, che alimentano la crescita del tumore. È quanto hanno scoperto i ricercatori dell'University of Michigan Comprehensive Cancer Center, che hanno posizionato la piperina e la curcumina, rispettivamente derivate dalla pianta del pepe nero e da quella della curcuma, in una coltura di cellule del seno. “Abbiamo osservato una diminuzione del numero di cellule staminali nella coltura. Le cellule normali non hanno invece subito alcun effetto”, ha detto Madhuri Kakarala, primo autore dello studio pubblicato sulla rivista Breast Cancer Research and Treatment. “Si tratta della prima volta che un componente della dieta potrebbe dimostrarsi capace di prevenire potenzialmente il cancro al seno limitando il numero di cellule maligne. Si tratta di una alternativa valida agli attuali farmaci”. Per prevenire il cancro al seno, vengono infatti di solito somministrati il tamoxifene o il raloxifene; tuttavia non tutte le donne scelgono di assumere questi farmaci a causa dei costi o dell'alta tossicità. “Inoltre, questi farmaci sono progettati per intervenire sugli estrogeni, fattori implicati in molti, ma non tutti, i tipi di cancro al seno”, ha spiegato Kakarala. “Limitando invece il numero di cellule potenzialmente in grado di alimentare il cancro al seno, possiamo ridurre il rischio di insorgenza senza disturbare il normale processo di differenziazione cellulare. La piperina e la curcumina - ha continuato - sono una valida alternativa a bassissima tossicità, e il fatto che si possa cucinare con esse li rende dei trattamenti molto appetibili”.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Madhuri+Kakarala+Breast+Cancer+Research+and+Treatment
I DANNI CEREBRALI POSSONO ESSERE RIPARATI DAL CIOCCOLATO FONDENTE.
20-09-2014
Dei ricercatori hanno scoperto che l'epicatechina, una componente del cioccolato nero, può proteggere il cervello dopo un ictus, aumentando i segnali cellulari che proteggono le cellule nervose dal danno. Si tratta di una una molecola antiossidante già più volte chiamata in causa in numerosi studi sulla cioccolata, ma anche su bevande che ne sono ricche quali il tè verde, tè, vino rosso o certe verdure e frutti. Gli ictus si verificano quando l'apporto di sangue al cervello si blocca o si riduce. Questo fa si che il cervello venga privato dell'ossigeno e nutrimenti necessari, cosa che in pochi minuti genera morte alle cellule cerebrali. Il cacao ricco di antiossidanti, in alcune tribù come i Kuna, viene consumato da oltre 2600 anni. Questa popolazione consuma regolarmente bevande di cacao e annovera livelli molto bassi di disturbi cardiovascolari grazie a questo cibo benefico per la salute del cuore.
Il dr. Sylvain Doré, autore della ricerca, afferma: L'epicatechina in se potrebbe non essere l'elemento che fa da scudo alle cellule cerebrali proteggendole direttamente dal danno dei radicali liberi, piuttosto questa sostanza e i suoi metaboliti (sostanze che prendono parte alle reazioni chimiche che avvengono nell'organismo oppure che derivano da esse) possono far si che le cellule difendano se stesse. Secondo Dorè anche una piccola quantità di cacao può essere sufficiente per mietere questi benefici protettivi per la salute. Mentre tutti i flavonoidi sono antiossidanti, alcuni hanno proprietà antiossidanti più forti di altri, in funzione della loro struttura chimica. La polvere di cacao puro è altamente quotata in termini di proprietà antiossidanti e conseguentemente di benefici per la salute. Per esempio, una ricerca presentata nel 2003 dal Journal of Agricultural and Food Chemistry, evidenziò che una tazza di cioccolata calda (intesa come pura polvere di cacao) aveva quasi una quantità doppia di antiossidanti rispetto ad un bicchiere di vino rosso e più del doppio di quella del tè verde e 4-5 volte di più del tè nero. Si è notato che il cioccolato nero puro ha un impatto positivo sulla salute come ad esempio su:
- il metabolismo del glucosio;
- la pressione arteriosa;
- il sistema cardiovascolare.
Il dr. Dorè prosegue dicendo che: “l'epicatechina trovata nel cioccolato nero è estremamente sensibile ai cambiamenti di calore e di luce. Nella procedura di produzione del cioccolato, dovete accertarvi di non distruggerlo. Solo alcuni cioccolati hanno l'ingrediente attivo”. Questo significa che il cioccolato che offre i maggiori benefici di salute è quello che pochi gradiscono al palato, perché NON è dolce, ma amaro. Il cioccolato al latte, quindi, ha una tasso bassissimo di beneficio, perchè subisce un forte trattamento. Il tipico cioccolato commerciale ha la metà dei suoi flavonoidi, dopo la lavorazione. Secondo il succitato Journal of Agricultural and Food Chemistry, in termini di contenuti di antiossidanti, la polvere di cacao è seguita da:
• cioccolato amaro per dolci;
• cioccolato nero;
• cioccolato al latte.
Dunque se siete tentati dal cioccolato al latte, semplicemente perché è abitudine averlo sulla lista della spesa, non compratelo! In aggiunta al basso tasso di antiossidanti, il cioccolato al latte contiene appunto latte che annulla gli effetti antiossidanti del cioccolato e che è spesso carico di zucchero, che fa maggior danno al sistema cardiovascolare. In ultimo un altro dettaglio che sfugge spesso in merito al cioccolato mediamente in commercio: il suo contenuto di piombo. Delle ricerche hanno evidenziato che il cioccolato commerciale può esserne contaminato con una quantità piuttosto alta. Al momento non si conosce se questa contaminazione derivi dal trasporto (marittimo) o dal processo di lavorazione.
http://www.sciencedaily.com/releases/2010/05/100505163242.htm
http://www.eurekalert.org/pub_releases/2010-05/jhmi-hdc050510.php#
L’AMOXICILLINA PUO' CAUSARE PIU' DANNI CHE BENEFICI.
20-09-2014
Antibiotici comunemente prescritti non contribuiscono a curare la maggior parte delle tossi negli adulti, secondo quanto affermato da una nuova ricerca. Ai pazienti affetti da tosse o bronchite vengono spesso prescritti antibiotici e studi precedenti hanno fornito risultati contrastanti circa la loro efficacia. Per questo studio, i ricercatori hanno assegnato in modo casuale a più di 2.000 adulti che si lamentavano di una tosse, amoxicillina per una settimana o un placebo. Nel complesso, l’antibiotico non è risultato più efficace nell’alleviare i sintomi o la loro durata rispetto al placebo. I risultati si sono dimostrati validi anche tra le persone che avevano più di 60 anni. ”Il messaggio principale è che gli antibiotici non sono di solito necessari per le infezioni delle vie respiratorie, a meno che non si sospetti polmonite”, ha detto il Dott. Philipp Schuetz del Kantonsspital Aarau in Svizzera.“Solo pochi pazienti beneficiano dall’assunzione di antibiotici e questi possono essere identificati con nuovi esami del sangue per le infezioni batteriche”, ha detto Schuetz, che ha scritto un editoriale che accompagna lo studio. “I medici ed i pazienti dovrebbero astenersi dall’uso di antibiotici, ma, se si sentono sicuri, l’esame del sangue aiuta a ridurre ulteriormente i rischi”.
I partecipanti allo studio avevano tutti più di 18 anni e avevano richiesto un trattamento per una tosse acuta – nel senso che avevano avuto la tosse per meno di un mese – che è una delle malattie più comuni riscontrate dai medici di assistenza primaria. Non c’era motivo di sospettare che nessuno di loro fosse affetto da una polmonite, che viene trattata con antibiotici. I partecipanti hanno preso l’antibiotico tre volte al giorno per sette giorni. Se da un lato la loro capacità di recupero non era migliore di quella dei pazienti che assumevano le pillole fittizie, dall’altro erano più propensi a segnalare gli effetti collaterali come nausea, rash e diarrea, secondo lo studio, pubblicato online il 19 dicembre 2012 su The Lancet Infectious Diseases. Detto questo, sempre più persone nel gruppo placebo ha fatto esperienza di sintomi nuovi o in peggioramento, ma questa evenienza non si è verificata con una frequenza tale da giustificare il trattamento di tutti con gli antibiotici. Trenta persone dovrebbero essere trattate con antibiotici per evitare che una persona sviluppi sintomi nuovi o peggiorati, hanno rilevato gli autori dello studio. Lo studio è il più grande fino ad oggi ad aver dimostrato che gli antibiotici non contribuiscono a trattare infezioni respiratorie minori, dicono i ricercatori. L’uso indiscriminato di antibiotici può anche presentare rischi, secondo Schuetz: “Il rischio principale legato all’uso degli antibiotici è quello degli effetti collaterali diretti come la diarrea grave”, ha detto. “L’altro rischio si riferisce alla comparsa di batteri multiresistenti, che a livello di popolazione sono una minaccia per la società, dal momento che gli antibiotici potrebbero non funzionare correttamente”.
TEMPI DURI PER MOMENT E VOLTAREN.
19-09-2014
Tempi duri per chi soffre frequentemente di mal di testa, dolori reumatici o forti dolori mestruali e ricorre spessissimo agli antidolorifici. Dopo la messa al bando del Vioxx e di tutti i farmaci a base dello stesso tipo di molecole, i cosiddetti Cox2, gli studiosi hanno messo sotto accusa altre due famiglie di medicinali: quelli a base di ibuprofene, come il Moment e il Buscofen, e quelli che contengono il diclofenac, come il Voltaren. Le due sostanze, infatti, aumentano le percentuali di rischio per l’infarto. La notizia è stata diffusa dal quotidiano britannico The Guardian, dopo che sull’autorevole rivista British Medical Journal è stata pubblicata una ricerca dell’Università di Nottingham sui rischi legati agli antidolorifici. Le autrici dello studio epidemiologico, Julia Hippisley-Cox e Carol Coupland, hanno identificato 9.218 pazienti in Inghilterra, Galles e Scozia, che hanno già sofferto di un primo infarto e li hanno tenuti sotto osservazione. Nelle valutazioni finali, naturalmente, sono stati considerati i fattori come l’età, le malattie cardiovascolari diagnosticate, il fumo e il consumo di altri farmaci, come l’Aspirina che riduce il rischio di un attacco di cuore. Il risultato è stato che con il consumo di ibuprofene il rischio infarto cresce del 24 per cento, mentre con l’assunzione di diclofenac aumenta addirittura del 55 per cento. Per quanti hanno curato il dolore con il rofecoxib, il principio attivo del Vioxx, il rischio infarto è salito del 32 per cento, contro il 21 per cento in più di un altro Cox2, il celecobix contenuto nel Celebrex. In Gran Bretagna l’attenzione si è tutta concentrata sull’ibuprofene, da sempre considerato uno dei farmaci più sicuri del mercato e usatissimo come sostituto del Vioxx. Secondo le ricercatrici, ogni 1.005 persone ultra sessantacinquenni che assumono ibuprofene, uno subirà un infarto. E per capire l’impatto dei numeri, è bene considerare che solo oltremanica i pazienti che soffrono di artrite e sono quindi potenziali consumatori di antidolorifici, sono circa 9 milioni.
CUORE A RISCHIO CON LA PILLOLA.
19-09-2014
Secondo uno studio condotto da ricercatori statunitensi e canadesi presso la Virginia Commonwealth University, la pillola, anche se a basso dosaggio ormonale, potrebbe comportare un aumento dei rischi cardiovascolari. La controindicazione riguarderebbe in particolare le donne che soffrono di ovaio policistico e sindrome metabolica. La ricerca, pubblicata recentemente sul ''Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism'', dimostra che una prolungata assunzione di contraccettivi orali aumenta il rischio di attacchi di cuore e ictus. L'effetto, comunque, potrebbe sparire semplicemente sospendendo periodicamente l'utilizzo della pillola stessa. Come conferma lo stesso coordinatore della ricerca, John Nestler, le probabilità di un attacco di cuore rimangono comunque estremamente limitate, ma pur sempre doppie rispetto alle donne che non fanno uso di contraccettivi orali. Per arrivare a queste conclusioni, gli esperti hanno analizzato i casi medici archiviati dal 1980 al 2002, confrontandoli con le ricerche effettuate nel campo della contraccezione ormonale negli ultimi venti anni. Il rischio quindi, aumenta anche con le pillole di nuova concezione, farmaci che contengono un dosaggio ormonale decisamente inferiore al passato. E' quindi necessario, come sostiene Nestler, trovare delle soluzioni farmacologiche alternative alla pillola di terza generazione.
RUSSARE E' PIU' PERICOLOSO PER IL CUORE CHE FUMARE.
19-09-2014
Le persone che russano sono a più alto rischio di malattie cardiovascolari rispetto ai fumatori, al sovrappeso o a persone con colesterolo alto, secondo uno studio condotto da ricercatori provenienti da Henry Ford Hospital di Detroit. “Russare è più di un fastidio” ha dichiarato l’autore Robert Deeb. ”Le persone che russano hanno bisogno di farsi curare allo stesso modo che se avessero apnea del sonno, ipertensione o altri fattori di rischio per le malattie cardiovascolari”. Gli scienziati sanno da tempo che il disturbo del sonno noto come apnea ostruttiva del sonno – in cui un collasso delle vie aeree della gola causano il russare e la cessazione del respiro durante il sonno – aumenta significativamente il rischio di malattie cardiovascolari e di altri gravi problemi di salute. Ma fino ad ora, non vi è stata alcuna prova che suggerisce che anche in assenza di apnea ostruttiva del sonno, russare di per sé, potrebbe essere un fattore di rischio.
I ricercatori hanno esaminato i dati medici di 54 pazienti di età compresa tra 18 e 50 anni che non hanno avuto apnea del sonno e che avevano partecipato ad uno studio del sonno diagnostico in ospedale, da dicembre 2006 a gennaio 2012. Tutti i partecipanti hanno completato un sondaggio sulle loro propensioni a russare e sono stati sottoposti ad un test noto come ecografia carotidea duplex dell’arteria. Questa procedura misura lo spessore dei due strati interni, conosciuti come “spessore intima-media” di tale arteria critica”. Spessore di questi due strati è considerato un segno precoce della malattia carotidea e può essere utilizzato per rilevare e monitorare la progressione di aterosclerosi o indurimento delle arterie. L’aterosclerosi può privare il cervello di sangue ossigenato e portare a ictus.
I ricercatori hanno scoperto che le persone che russavano avevano uno spessore dei due strati interni della carotide, significativamente più alto delle persone che non russavano. Nessuna differenza di spessore della carotide è stata trovata tra fumatori e non fumatori o persone che soffrono di diabete, pressione alta o colesterolo alto. Il danno per l’arteria carotidea, può provenire da trauma e infiammazione causata dalla vibrazione cronica del russare, secondo i ricercatori. “Il nostro studio si aggiunge alla crescente mole di prove che suggeriscono che russare potrebbe non essere così benigno come si pensa”, ha dichiarato Deeb. Un studio pubblicato nel mese di ottobre 2012 sulla rivista Journal of Obstetrics ha dimostrato che le donne che hanno iniziato a russare durante la gravidanza, avevano significativamente più probabilità di sviluppare ipertensione. I ricercatori stanno conducendo uno studio a lungo termine per verificare se le persone che russano, soffrono di un più alto tasso di eventi cardiovascolari.
L’UVA CONTRO LO STRESS OSSIDATIVO E LA RESISTENZA ALL'INSULINA.
19-09-2014
Un nuovo studio francese, pubblicato sulla versione online di Diabetes Care, suggerisce come una supplementazione a base di polifenoli (PP) estratti dall’uva sia in grado di bloccare lo stress ossidativo fruttosio-indotto e la resistenza all’insulina nei soggetti ad alto rischio metabolico – anche se sani.
La dottoressa Marie Hokayem e colleghi dell’Università di Montpellier in Francia, hanno reclutato un gruppo di 38 adulti sani, in sovrappeso o obesi, per condurre uno studio randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, per valutare gli effetti di una dieta ad alto contenuto di fruttosio, lo stress ossidativo – causa di numerosi disturbi – e la resistenza all’insulina. Tutti i partecipanti avevano un parente di primo grado che aveva sviluppato il diabete di tipo 2. I volontari sono stati suddivisi a caso in due gruppi. A seguito dell’assunzione di fruttosio, gli appartenenti al primo gruppo sono stati “trattati” con un placebo; gli appartenenti al secondo gruppo sono invece stati trattati con i supplementi a base di polifenoli estratti dall’uva. L’osservazione e le analisi condotte dopo 9 settimane di studio hanno permesso di rilevare che nei pazienti del gruppo placebo si era sperimentata tutta una serie di effetti negativi e deleteri, tra cui una riduzione del 20% nell’indice di sensibilità epatica all’insulina, un 11% di riduzione del tasso di infusione del glucosio, un aumento dello stress ossidativo sistemico e muscolare e, infine, una deregulation dei geni mitocondriali e una diminuita respirazione mitocondriale. Al contrario, nei soggetti trattati con la supplementazione di polifenoli non si sono mostrati gli effetti deleteri del fruttosio.
«In conclusione – scrivono gli autori – nove settimane di supplementazione con Polifenoli dell’uva assicurano un costante stato metabolico in soggetti sani in sovrappeso/obesi, con parenti di primo grado soggetti a diabete di tipo 2, e nei confronti di un sovraccarico fruttosio continuato per 6 giorni. Inoltre si ha una prevenzione della resistenza all’insulina muscolare e da parte del fegato, senza effetti negativi». I ricercatori ritengono che studi futuri debbano «esaminare gli effetti della co-somministrazione di polifenoli dell’uva con gli alimenti trasformati ricchi di fruttosio, e il loro potenziale ruolo nel contrastare la sindrome metabolica».
DAL MIRTILLO UN AIUTO CONTRO IL COLESTEROLO.
19-09-2014
Il mirtillo potrebbe aiutare a ridurre il colesterolo in modo più efficace rispetto ai farmaci tradizionali e senza effetti collaterali. E’ quanto dimostrato su cellule di topo da Agnes Rimando, del dipartimento dell’Agricoltura statunitense, in collaborazione con esperti della Scuola di Farmacologia dell’Università del Mississippi. Il segreto di questo frutto di bosco sarebbe in un antiossidante, il pterostilbene, che attiva una molecola brucia grassi, ha spiegato l’esperta nel congresso della Società americana di Chimica. La Rimando l’ha trovata nei mirtilli per la prima volta in questo studio, avvalorando con prove scientifiche le conoscenze aneddotiche circa gli effetti benefici dei mirtilli.
Il pterostilbene è una molecola scoperta per la prima volta nell’uva e, in precedenti studi, indicata dallo stesso gruppo della Rimando come un possibile anticancerogeno. Dal punto di vista chimico, somiglia ad un altro prodotto nutri-farmaceutico, come sono stati battezzati i composti con azione curativa derivanti da cibi: il resveratrolo, sempre protagonista quando si parla degli effetti benefici del vino. Il pterostilbene ha un’azione simile a quella del ciprofibrato, un principio attivo di sintesi presente nei farmaci anti-colesterolo che abbassa la concentrazione di LDL, il colesterolo cattivo. Ma il ciprofibrato non è efficace su tutti i pazienti e, poichè ha un meccanismo d’azione poco mirato, produce effetti collaterali quali nausea e dolore muscolare. Dopo averne scoperto la presenza nel mirtillo, i ricercatori hanno testato il pterostilbene su cellule di fegato di topolini, insieme ad altri tre composti presenti nel frutto. Tra tutti, il pterostilbene è quello più efficace nel diminuire i tassi di LDL. Inoltre, poichè lo fa in maniera mirata, bersagliando e attivando il recettore cellulare per la proteina brucia-grassi PPAR-alpha, è meno tossico del ciprofibrato. Ma c’è bisogno di nuovi studi, avverte la Rimando, per stabilire che i suoi effetti siano rilevanti anche sull’uomo e, poi, per scoprire quanti mirtilli sarebbe necessario mangiare per assumere una quantità efficace di pterostilbene.
http://www.ars.usda.gov/is/AR/archive/nov06/health1106.htm
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15853379
BIBITE ZUCCHERATE PROMUOVONO LA CARIE.
19-09-2014
I bambini e i ragazzi che bevono bevande zuccherate come bibite, succhi di frutta e simili hanno molte più probabilità di sviluppare una carie, rispetto a coloro che ne bevono meno o non ne bevono affatto. Ecco ciò che afferma un nuovo studio condotto dal dottor Jason Armfield e colleghi dell’Australian Research Centre for Population Oral Health. I ricercatori hanno reclutato più di 16.000 bambini e ragazzi di età compresa tra i 5 e i 16 anni, i quali sono stati oggetto di valutazione della quantità e frequenza di assunzione di bibite zuccherate e la salute dei denti. I dati raccolti hanno permesso di stabilire che i soggetti compresi nella fascia di età presa in considerazione, nel 56% dei casi consumavano almeno una bevanda dolcificata al giorno. Molti dei soggetti studiati, poi, consumavano da tre a più bevande al giorno. L’impatto di queste abitudini si mostra con un 46% in più di numero di denti cariati, denti mancanti o con otturazioni.
«Vi è controllo crescente sulle bevande dolci, bevande soprattutto analcoliche, a causa di una serie di effetti negativi sulla salute di adulti e bambini – spiega Armfield nel comunicato Adelaide –. Ci sono ormai molte prove su come l’elevata acidità di molte bevande zuccherate (e bevande sportive), possa essere causa di erosione dentale, così come si sa che lo zucchero contribuisce alla formazione della carie». A motivo di ciò sia gli autori dello studio che l’Australian Dental Association e l’Australian Dental and Oral Health Therapists’ Association, ritengono sia necessaria un’etichettatura dedicata per questo tipo di bevande che avvisi del rischio di carie associato a un loro eccessivo consumo. Secondo Armfield, il problema della carie dentale «porta con sé significative implicazioni fisiche, sociali e sanitarie». Ecco pertanto la necessità di non demonizzare, ma informare correttamente la popolazione circa l’uso e l’abuso di bevande analcoliche dolcificate e l’impatto che questo può avere sulla salute, non solo dei denti ma anche dell’organismo in generale – ricordando che vi possono essere malattie correlate come il diabete o altri fattori di rischio come l’obesità.
ZUCCHERO IN ECCESSO COLLEGATO AL CANCRO.
19-09-2014
Gli zuccheri sono necessari per fornire energia e contribuire al nostro benessere. Tuttavia, elevati livelli di zuccheri, oltre a sviluppare il diabete, possono causare danni alle nostre cellule ed ora è dimostrato che possono anche aumentare la possibilità di sviluppare il cancro. E‘ noto che l’obesità è una delle principali cause di diabete, una malattia in cui il corpo non riesce a controllare i livelli di zucchero nel sangue. Alti livelli di zucchero nel sangue si contraddistinguono per l’obesità e il diabete. Quello che è meno noto è che il diabete e l’obesità sono legati anche ad un aumento del rischio di cancro. Cioè, la popolazione diabetica può addirittura raddoppiare le probabilità di soffrire di cancro del pancreas o del colon, secondo ben sostenuti studi epidemiologici. Gli scienziati, guidati dal dottor Custodia Garcia-Jimenez alla Università Rey Juan Carlos di Madrid, hanno scoperto un meccanismo chiave che collega l’obesità e il diabete con il cancro: livelli elevati di zucchero, che aumentano l’attività di un gene molto implicato nella progressione del cancro. Il Laboratorio del Dr. Garcia Jimenez stava studiando come le cellule nell’intestino rispondono agli zuccheri e come per il pancreas rilasciare insulina, l’ormone chiave che controlla i livelli di zucchero nel sangue. Gli zuccheri nelle cellule attivano l’intestino a rilasciare un ormone chiamato GIP che migliora il rilascio di insulina da parte del pancreas.
In uno studio pubblicato in Molecular Cell, la squadra del Dr. Garcia Jimenez ha dimostrato che la capacità delle cellule intestinali a secernere GIP è controllata da una proteina chiamata β-catenina, e che l’attività di β-catenina è strettamente dipendente dal livello di glucosio. Maggiore attività di β-catenina è noto per essere un fattore importante nello sviluppo di molti tumori e può rendere le cellule normali immortali, un passaggio chiave nei primi stadi della progressione del cancro. Lo studio dimostra che alti livelli di zucchero inducono accumulo nucleare di β -catenina e portano alla proliferazione cellulare. I cambiamenti indotti sulla β-catenina, le molecole coinvolte e la diversità delle cellule tumorali sensibili a questi cambiamenti, sono stati identificati. Il Dr. Custodia García ha dichiarato: “Siamo stati sorpresi dei cambiamenti nel metabolismo causati da un eccesso di zucchero nella dieta, sul rischio di cancro. Stiamo ora indagando quali altri componenti della dieta possono influenzare il rischio di cancro. Cambiare la dieta è una delle strategie più semplici di prevenzione“.
Colin Goding, Professore di Oncologia presso l’Università di Oxford, UK ha detto: "Prima non eravamo sicuri di come l’aumento di zucchero nel sangue trovato nel diabete e l’obesità possono aumentare il rischio di cancro. Questo studio identifica un meccanismo chiave molecolare attraverso il quale la glicemia alta può predisporre al cancro. Si apre la strada a nuove terapie potenziali volte a ridurre il rischio di cancro nelle popolazioni di obesi e diabetici". In tutto il mondo, 1 su 10 adulti (10%) soffriva di diabete nel 2010 e più di un terzo delle persone con diabete non sono a conoscenza di soffrire di questa malattia. Più della metà (63%) delle morti premature in tutto il mondo sono dovute a malattie non trasmissibili (NCD), di cui il cancro e il diabete sono tra le 4 cause più frequenti. Almeno 1 su 3 dei cancri principali (27-39%), può essere evitato migliorando la dieta, l’attività fisica e la composizione corporea.