Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

Lunedì, 29 Settembre 2014 19:09

I POMODORI CONTRO L'OBESITA'.

29-09-2014

I pomodori sono uno degli ortaggi più diffusi e utilizzati al mondo. I ricercatori giapponesi dell’università di Kyoto hanno scoperto che i pomodori contengono sostanze nutrienti che possono migliorare il metabolismo lipidico e combattere l’obesità. Siamo già a conoscenza che i pomodori contengono numerose sostanze benefiche per la salute. In questo studio i ricercatori hanno analizzato l’acido 9-oxo-octadecadienoico. Questo composto agevola la prevenzione delle malattie associate all’obesità, l’arteriosclerosi, cirrosi epatica e malattie vascolari. Il Dr. Teruo Kawada afferma che ottimi risultati possono essere raggiunti attraverso il consumo quotidiano di pomodoro, succo di pomodoro o passata di pomodoro. La relazione sulla ricerca è stata pubblicata sulla rivista Molecular Nutrition & Food Research.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21462326

Lunedì, 29 Settembre 2014 19:07

ZENZERO CONTRO IL TUMORE DELLA PROSTATA.

29-09-2014

Lo zenzero (radice naturale utilizzata in gastronomia per insaporire il cibo) è uno strumento naturale per combattere il cancro e in particolare per il tumore della prostata. Nel laboratorio Aneja è stato privilegiato l’utilizzo di prodotti naturali vegetali, non tossici, per combattere il cancro, al contrario delle attuali terapie tossiche e invasive che causano effetti collaterali gravi e debilitanti. Nell’articolo pubblicato nel British Journal of Nutrition è stato divulgato che il Professore Associato in Biologia, Ritu Aneja, ha scoperto nel suo laboratorio che gli estratti di zenzero hanno un impatto significativo nell’arrestare lo sviluppo e la crescita delle cellule tumorali ma in particolare provoca la distruzione delle cellule tumorali della prostata. Studi su animali hanno dimostrato che gli estratti di zenzero non evidenziano alcuna tossicità per i tessuti sani dell’organismo, come ad esempio il midollo osseo, che viene fortemente danneggiato dall’attuale cura con chemioterapia. Gli studi hanno evidenziato una regressione del tumore del 60% e nessuna tossicità.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=British+Journal+of+Nutrition+Ritu+Aneja

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3426621/

Lunedì, 29 Settembre 2014 19:05

NOCI PER COMBATTERE L'INFERTILITA'.

29-09-2014

Un gran numero di coppie hanno il problema dell’infertilità e nel 50% dei casi è dovuto ad infertilità degli uomini. Il Dr. Wendie Robbins con i suoi colleghi, dell’Università di California in Los Angeles, ha deciso di indagare per accertare se una maggiore dose di acidi grassi polinsaturi, nella dieta, può apportare il beneficio di migliorare la qualità degli spermatozoi. In effetti questi acidi grassi sono essenziali per la gestazione e per le cellule spermatiche. Le maggiori fonti alimentari di acidi grassi sono l’olio di pesce, il pesce, i semi di lino e le noci. Le noci sono ricche di acido alfa-linolenico e sono una fonte vegetale degli acidi grassi Omega-3. L’esperimento ha avuto una durata di 3 mesi con la partecipazione di 117 volontari, con problemi di infertilità, che sono stati divisi in due gruppi. Gli uomini di un gruppo hanno mangiato 75 grammi di noci al giorno e quelli dell’altro gruppo non ne hanno mangiato. Dopo i 3 mesi i ricercatori hanno scoperto che negli uomini del primo gruppo non era sopravvenuto alcun cambiamento della massa corporea, tuttavia, il consumo costante di noci aveva comportato un significativo aumento dei livelli degli acidi grassi omega-3 e omega-6, nell’organismo, migliorando di conseguenza, la morfologia e la mobilità degli spermatozoi, nonché, aumentandone il loro numero. Inoltre, questi del primo gruppo, avevano avuto meno anomalie cromosomiche nello sperma. Nel secondo gruppo che non avevano mangiato le noci non si era riscontrato alcun cambiamento. In conclusione, il consumo di 75 grammi di noci al giorno non provoca alcun aumento di peso, ma possono migliorare in modo significativo le possibilità di concepimento nella coppia.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22895856

Lunedì, 29 Settembre 2014 18:59

MELE E PERE POSSONO PREVENIRE L’ICTUS.

29-09-2014

Verdura e frutta a polpa bianca come mele e pere possono proteggere dall’ictus con una riduzione del rischio che arriva fino al 52 per cento. Diamo spazio a mele e pere, suggeriscono quindi i ricercatori olandesi della Wageningen University, i quali hanno pubblicato i risultati di un largo studio sulle pagine di Stroke, la rivista dell’American Heart Association. Linda M. Oude Griep e colleghi hanno esaminato il legame tra il consumo di frutta e verdura, in base al gruppo di colore, con l’incidenza dell’ictus in 10 anni in un studio basato sulla popolazione di 20.069 adulti, di entrambi i sessi e con un’età media di 41 anni. Tutti i partecipanti non presentavano sintomi o diagnosi di malattie cardiovascolari all’inizio dello studio. Gli stessi dovevano poi compilare un questionario basato su 178 domande riguardanti la dieta e la frequenza di consumo degli alimenti. Durante il periodo di osservazione e studio, durato dieci anni, 233 dei partecipanti è stato colpito da ictus. Al termine della ricerca, i ricercatori hanno analizzato e valutato i dati. Da questi è emerso che la frutta e verdura appartenente agli altri gruppi di colore come, per esempio, frutta e verdura arancione/gialla, verde, rosso/viola non avessero effetti sulla riduzione del rischio – cosa che, invero, si è riscontrata con l’uso di frutta e verdura “bianche”. In questo caso il rischio d’incidenza di ictus era del 52 per cento più basso per le persone che mangiavano grandi quantità di verdura e frutta di questo colore, se confrontati con coloro che invece ne mangiavano poca. Oltremodo, secondo gli scienziati, l’incremento per giorno di 25 grammi di frutta e verdura “bianche” è associato a una riduzione in più del 9 per cento del rischio di ictus – una mela, sottolineano, in media è 120 grammi. «Per prevenire l'ictus, può essere utile consumare una considerevole quantità di frutta bianca e verdura. Ad esempio, mangiare una mela al giorno è un modo semplice per aumentare l’assunzione di frutta bianca e verdura. Tuttavia, altri frutti e gruppi di colori vegetali possono proteggere contro altre malattie croniche. Pertanto, rimane importante consumare molta frutta e verdura», ha commentato M. Oude Griep.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21921279

Lunedì, 29 Settembre 2014 18:57

IL PARKINSON ARRIVA CON FRUTTA E VERDURA.

29-09-2014

La malattia di Parkinson potrebbe anche essere portata dall’agricoltura e i suoi prodotti che portiamo in tavola ogni giorno: l’esposizione a pesticidi, diserbanti e insetticidi infatti è stata associata a un maggiore rischio di sviluppare la malattia di Parkinson. Questo è quanto emerge da uno studio revisionale su oltre 100 ricerche, condotto dagli scienziati della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia in collaborazione con il Centro Parkinson – Istituti Clinici di Perfezionamento (ICP) di Milano coordinato dal dottor Gianni Pezzoli.
Il dottor Emanuele Cereda, principale autore dello studio, e colleghi hanno analizzato 104 studi che hanno esaminato il legame tra l’esposizione a pesticidi, diserbanti, insetticidi, solventi e il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson – in particolare in chi lavora in agricoltura. Nella revisione sono tuttavia stati inclusi anche quegli studi che hanno valutato la vicinanza all’esposizione, come per esempio in coloro che vivono vicino alle campagne, lavorano nelle vicinanze di campi e bevono acqua potabile di rubinetto.
La revisione, pubblicata su Neurology, la rivista medica dell’American Academy of Neurology, ha mostrato che una ripetuta esposizione a queste sostanze tossiche ha aumentato il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson dal 33 all’80 per cento. In diversi studi controllati, l’esposizione a determinati pesticidi è stata associato al doppio di rischio di sviluppare la malattia. «Non abbiamo studiato se il tipo di esposizione, come per esempio se il composto è stato inalato o assorbito attraverso la pelle e il metodo di applicazione, come la lubrificazione o la miscelazione, abbia influenzato il rischio di Parkinson – ha sottolineato il dottor Cereda – Tuttavia, il nostro studio suggerisce che il rischio aumenta in maniera dose-risposta così come il tempo di esposizione a queste sostanze chimiche».
La presunta necessità di avere un’agricoltura che favorisca la produzione piuttosto che la qualità ha fatto sì che l’uso di sostanze chimiche nei campi abbia raggiunto proporzioni incontrollate, senza tener conto che tutto ciò che immettiamo nell’ambiente poi torna a noi in diverse e nascoste forme: nei cibi che portiamo in tavola, nell’acqua che beviamo, nell’aria che respiriamo…Se chi lavora in agricoltura è senz’altro più esposto, anche chi mangia, respira, beve tutti i giorni – ossia tutti quanti – non ne è al riparo. Pensiamoci.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23713084

Lunedì, 29 Settembre 2014 18:55

DEPRESSIONE: NELLE DONNE FAVORISCE L'ICTUS.

29-09-2014

La depressione non è solamente una patologia della nostra salute psichica. Secondo i ricercatori dell’università del Queensland per le donne rappresenta un fattore di rischio in grado di raddoppiare la possibilità di essere vittima di un ictus rispetto a coloro che non ne soffrono. Lo studio relativo, pubblicato sulla rivista di settore Stroke, è il primo effettuato su larga scala per accertare la correlazione tra l’ictus e la depressione nelle donne di mezza età. Gli scienziati sono giunti alle loro conclusione dopo aver esaminato le condizioni di salute e di vita di oltre 10 mila donne di età compresa tra i 47 e i 52 anni. Dai dati è emerso che le donne depresse vedevano crescere il rischio di essere colpite da ictus di 2,4 volte rispetto alle altre coetanee “felici”. Possibilità che permanevano comunque 2 volte maggiori dopo aver eliminato tutti i fattori di rischio. Commenta la coordinatrice dello studio, la dott.ssa Caroline Jackson: "Quando si tratta di visitare le donne, i medici devono riconoscere la gravità della cattiva salute mentale e quali effetti può avere nel lungo termine. Le attuali linee guida per la prevenzione dell’ictus tendono a trascurare il ruolo potenziale della depressione".
Le donne partecipanti alla ricerca sono state seguite per circa 12 anni dai medici e sono state chiamate a rispondere a questionari specifici sulla propria salute fisica e mentale con un cadenza triennale. Secondo i dati raccolti, almeno il 24% delle donne sosteneva di essere depressa, ma la catalogazione di questa condizione è stata eseguita sulla base dell’assunzione di farmaci specifici e sulle risposte date generalmente nei questionari medici. Sono stati 177 casi di ictus verificatisi durante il periodo di follow-up. E sebbene la percentuale di persone depresse fosse preponderante al loro interno, gli scienziati non sono stati in grado di capire il perché vi sia questa correlazione. Quel che è certo è che da oggi in poi vi è una “pietra miliare” dalla quale partire per ampliare l’approccio preventivo nei confronti dell’ictus, non dimenticando di coinvolgere nello stesso anche la sfera mentale.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23686976

29-09-2014

Prima di tutto la sopravvivenza, poi la riproduzione. Così l’organismo distribuisce le energie. In un continuo alternarsi di equilibri, il corpo umano femminile cerca di destreggiarsi tra la necessità di mantenere se stesso, sopravvivere e quella di riprodursi: ecco quanto scoperto dalla dottoressa Kathryn Clancy dell’Università dell’Illinois che ha condotto uno studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista American Journal of Human Biology. La dottoressa Clancy, professore di antropologia e co-direttore del Laboratorio di Endocrinologia Evolutiva all’UI, ha trovato che le risorse impiegate alla manutenzione del corpo e quelle dedicate alla riproduzione possono essere ridotte e intaccate dai fattori di stress ambientali. Accade così che l’organismo dia la priorità al mantenimento e alla sopravvivenza, tuttavia qualsiasi energia rimanente viene dedicata alla riproduzione. Per scoprire questo, i ricercatori hanno prelevato dei campioni di urina e saliva da un gruppo di donne sane in premenopausa. I campioni sono stati prelevati quando i livelli di attività fisica delle donne erano al loro picco.
I livelli di ormoni ovarici contenuti nella saliva sono stati misurati ogni giorno, durante il ciclo mestruale. Allo stesso modo, nei campioni di urina sono stati analizzati li livelli di proteina C-reattiva (CRP): un noto marcatore (o marker) biologico per valutare i livelli di infiammazione del corpo. Le analisi hanno mostrato che vi era una relazione negativa tra la CRP e il progesterone nelle donne. Nella fattispecie, nelle donne con elevata CRP il progesterone era più basso. Un legame tra la CRP e la sua possibile presenza è stato trovato con i livelli di estradiolo e l’età della prima mestruazione. I risultati dello studio, secondo la dottoressa Clancy, possono avere due possibili spiegazioni. La prima «è che vi è un meccanismo interno, e che questa infiammazione locale fa aumentare i livelli di CRP, e questa è la correlazione con i bassi livelli di progesterone». «L’altra possibilità – prosegue Clancy – è che ci sia un fattore di stress esterno come lo stress psico-sociale o lo sforzo eccessivo nella manutenzione dell’immunità, che a sua volta arriva a sopprimere gli ormoni ovarici». Tutto questo può avere delle conseguenze nel sistema riproduttivo della donna e, magari, spiegare perché qualcuna è più fertile di un’altra o, ancora, perché qualcuna non lo è per niente.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23606228

29-09-2014

L’assunzione regolare di analgesici come gli oppiacei, è associata ad un più alto rischio di disfunzione erettile, secondo uno studio pubblicato online sulla rivista Spine. I ricercatori hanno incluso più di 11.000 uomini con il mal di schiena in uno studio ed hanno esaminato le loro cartelle cliniche per scoprire se gli uomini che assumono antidolorifici, hanno più probabilità di ricevere anche le prescrizioni per la disfunzione erettile. Più del 19 per cento degli uomini che hanno assunto oppioidi ad alto dosaggio per almeno quattro mesi, hanno anche ricevuto prescrizioni per disfunzione erettile, mentre meno del 7 per cento degli uomini che non assumevano oppioidi hanno ricevuto prescrizioni ED. Nello studio, gli uomini sopra i 60 anni avevano più probabilità di ricevere prescrizioni per ED, ma anche uomini che avevano assunto oppioidi ad alto dosaggio, avevano il 50 per cento più probabilità di ricevere prescrizioni per la disfunzione erettile, rispetto agli uomini che non hanno assunto farmaci antidolorifici. “Gli uomini che assumono farmaci oppioidi per un lungo periodo di tempo hanno il più alto rischio di disfunzione erettile”, ha dichiarato l’autore principale dello studio Richard A. Deyo, ricercatore presso il Kaiser Permanent Center for Health Research dell'Oregon Health & Science University. “Questo non vuol dire che questi farmaci causano disfunzione erettile, ma l’associazione è qualcosa di cui pazienti e medici devono essere consapevoli dal momento che devono decidere se assumere gli oppioidi per il trattamento di mal di schiena,” ha aggiunto il Dott. Deyo.
Un altro recente studio, pubblicato sulla rivista Pain, stima che 4,3 milioni di adulti negli Stati Uniti utilizzano questi farmaci oppioidi su base regolare. Gli oppiacei da prescrizione più comunemente usati sono idrocodone, ossicodone e la morfina. “Non c’è dubbio che per alcuni pazienti l’uso di oppiacei è appropriato, ma c’è anche una crescente evidenza che l’uso a lungo termine di questi farmaci può portare a dipendenza, overdose fatali, apnea nel sonno, cadute negli anziani, ridotta produzione di ormoni e ora la disfunzione erettile, “conclude il Dott. Deyo, che ha trascorso più di 30 anni a studiare i trattamenti per il mal di schiena. Nello studio, il consumo di oppiacei è stato classificato come “assente” per gli uomini che non hanno ricevuto una prescrizione di oppioidi, “acuto” per gli uomini che hanno assunto oppiacei per tre mesi o meno, “episodico” per gli uomini che hanno assunto oppioidi per più di tre mesi, ma inferiore a quattro mesi e “a lungo termine” per gli uomini che hanno assunto oppioidi (a) per almeno quattro mesi oppure (b) per più di tre mesi. Trattamento con più di 120 mg di morfina è stato classificato come uso ad alte dosi. Più del 19 per cento degli uomini che hanno assunto oppioidi ad alto dosaggio per almeno quattro mesi, hanno anche ricevuto farmaci per disfunzione erettile. Più del 12 per cento degli uomini che hanno assunto oppiacei a basso dosaggio (sotto 120 mg) per almeno quattro mesi, hanno ricevuto anche farmaci per DE. Meno del 7 per cento degli uomini che non assumevano oppioidi hanno ricevuto farmaci per disfunzione erettile. I ricercatori hanno scoperto che l’età è stato il fattore più significativo associato a ricevere prescrizioni per disfunzione erettile. Gli uomini da 60 a 69 hanno avuto 14 volte più probabilità di ricevere prescrizioni di medicinali per ED rispetto agli uomini di 18-29 anni di età. Depressione, altre condizioni di salute (oltre a mal di schiena) e l’uso di sedativi ipnotici, come le benzodiazepine possono anche aumentare la probabilità per gli uomini di sviluppare la disfunzione erettile.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23459134

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3651746/

28-09-2014

Ci sono cibi che contengono naturalmente nicotina. E’ una presenza bilanciata che non produce gli effetti negativi se assunta, magari, in altre forme. Questa sostanza, secondo uno studio dell’Università di Washington a Seattle, sarebbe capace di ridurre il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson.
Quando vi è una perdita di cellule cerebrali atte a produrre dopamina, accade che possano insorgere i disturbi del movimento tipici della malattia di Parkinson. Tra questi, vi sono i noti tremori a viso, mani, braccia e anche gambe. Altri sintomi possono essere rigidità degli arti, difficoltà di movimento e lentezza, perdita di equilibrio. Ogni anno sono migliaia i nuovi casi di Parkinson segnalati e, allo stato attuale, non esiste una cura: si possono soltanto trattare i sintomi farmacologicamente o con altre procedure. La presenza naturale di nicotina è caratteristica delle piante appartenenti alla famiglia delle solanacee – di cui fa parte anche la pianta di tabacco. Tuttavia, gli studi sugli effetti di questa sostanza assorbita per mezzo di quest’ultima pianta sono contradditori e non è chiaro se fornisca o meno un effetto protettivo. In questo nuovo studio, la dottoressa Susan Searles Nielsen e colleghi dell’Università di Washington a Seattle hanno reclutato 490 pazienti con diagnosi di malattia di Parkinson ricevuta poco prima e altri 644 soggetti che non presentavano condizioni neurologiche, che avrebbero fatto da gruppo di controllo.
Per valutare l’apporto di nicotina nella quotidianità, ai partecipanti sono stati distribuiti dei questionari atti a sondare il tipo di dieta seguito e l’uso di tabacco. Dai dati raccolti e le analisi si è scoperto che il consumo di verdure in generale non influenzava il rischio di Parkinson, mentre invece il consumo in particolare di solanacee riduceva questo rischio. Di queste, i peperoni si sono dimostrati i più efficaci nella riduzione del rischio. Il dato interessante è che l’ipotizzata protezione è risultata essere attiva principalmente negli uomini e nelle donne che non avevano mai fumato o che lo avevano fatto per un ridotto periodo di tempo. Il dato è interessante proprio perché il tabacco è la pianta che contiene più nicotina di tutte quelle oggetto dello studio. «Il nostro studio – spiega Searles Nielsen nel comunicato UW – è il primo a indagare l’apporto di nicotina nella dieta e il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson. Simile ai molti studi che indicano che l’uso del tabacco potrebbe ridurre il rischio di Parkinson, i nostri risultati suggeriscono anche un effetto protettivo della nicotina, o forse una sostanza chimica simile, ma meno tossica nei peperoni che nel tabacco». La scoperta, secondo i ricercatori è importante perché potrebbe portare a nuove vie da seguire nella ricerca di una cura per questa malattia. Ulteriori studi, per approfondire, sono dunque raccomandati.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23661325

28-09-2014

Molti studi hanno già posto l’accento sui benefici offerti dal consumo di noci, tuttavia non era ancora del tutto chiaro quale fosse il componente che, per esempio, riduceva i livelli di colesterolo LDL, o “cattivo”, nel sangue. Ora, un nuovo studio ha inteso far luce proprio sugli effetti del consumo di noci sulla salute cardiovascolare e sui componenti attivi in esse contenuti. «Sapevamo già che mangiare noci, come parte di una dieta sana per il cuore, può abbassare i livelli di colesterolo nel sangue – ha spiegato la dottoressa Penny Kris-Etherton, nutrizionista alla Penn State e principale autore dello studio – Ma, fino a ora, non sapevamo quale componente della noce forniva questo beneficio. Ora comprendiamo in quali altri modi le noci intere e i componenti dell’olio possono migliorare la salute del cuore». I ricercatori della Pennsylvania State University, per questo studio che vedrà la pubblicazione sul Journal of Nutrition, hanno reclutato 15 soggetti con elevati livelli di colesterolo nel sangue. I partecipanti sono poi stati suddivisi a caso in quattro gruppi, atti a ricevere una dieta a base di noci in altrettanti quattro diversi modi: 85 grammi di noci intere; 6 grammi di bucce; 34 grammi di gherigli spellati e sgrassati o 51 grammi di olio di noci. Al basale (ossia all’inizio dello studio), e poi dopo 30 minuti, un’ora, due ore, quattro ore e 6 ore dalla somministrazione delle noci nelle quattro modalità, i ricercatori hanno valutato le risposte biochimiche e fisiologiche dei partecipanti. I risultati finali hanno mostrato che vi erano delle diverse risposte ed effetti a seconda del tipo di assunzione. Per esempio, un consumo una tantum di olio di noci ha favorevolmente influito sulla salute vascolare. Inoltre, il consumo di noci intere ha permesso al colesterolo buono HDL di svolgere in modo più efficace il suo lavoro di trasporto e rimozione del colesterolo in eccesso dal corpo.
«Il nostro studio – sottolinea Claire Berryman, coautrice dello studio – ha dimostrato che l’olio presente nelle noci può mantenere la funzione dei vasi sanguigni dopo un pasto, che è molto importante dato che l’integrità del vaso sanguigno è spesso compromessa in persone con malattie cardiovascolari». Da quanto emerso dallo studio, i componenti attivi contenuti nelle noci sarebbero l’acido alfa-linolenico, il gamma-tocoferolo e i fitosteroli, e l’azione sinergica di questi potrebbe spiegare gli effetti positivi individuati a seguito del trattamento con l’olio di noci e le noci integrali. «L’olio di noce è stato particolarmente efficace nel preservare la funzione delle cellule endoteliali, che rivestono un ruolo importante nella salute cardiovascolare. Le implicazioni di questo risultato potrebbero portare a strategie alimentari migliorate per la lotta contro le malattie di cuore», ha concluso Berryman. Ecco un altro buon motivo per portare in tavola le noci.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23616506

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3652880/

Bonus William Hill
Bonus Ladbrokes

Copyright © 2014-2024 Naturopata Angelo Ortisi - Tutti i diritti riservati.

Powered by Warp Theme Framework
Premium Templates