Angelo Ortisi
ATTENZIONE ALLA GLICEMIA: PUO' ESSERE L'ANTICAMERA DELL'ALZHEIMER.
05-10-2014
Scienziati della Georgetown University di Washington DC (Usa) hanno scoperto che c’è un legame tra il pre-diabete (o intolleranza al glucosio), il diabete e la malattia di Alzheimer – la devastante patologia che intacca il cervello e le capacità cognitive. Secondo il nuovo studio condotto dal neurologo R. Scott Turner e colleghi, si è infatti scoperto che molte delle persone affette dall’Alzheimer presentavano anche pre-diabete e diabete. A motivo di ciò, il prof. Turner ha voluto esaminare il ruolo di un antiossidante come il resveratrolo (il composto presente nell’uva rossa) al fine di regolare i livelli di glucosio nel sangue nei pazienti con lieve e moderata presenza della malattia di Alzheimer. L’osservazione degli effetti del resveratrolo ha permesso agli scienziati di scoprire che questa sostanza agisce sulle proteine nel cervello allo stesso modo di una dieta a basso contenuto calorico e zuccheri. Come già suggerito da precedenti studi del dottor Turner – che è anche Direttore del Memory Disorders Program del Georgetown University Medical Center – la restrizione calorica nella dieta è in grado di prevenire le malattie dell’invecchiamento tra cui diabete e Alzheimer. Ora, proprio il diabete è uno dei principali sospettati per l’aumento di rischio nello sviluppo dell’Alzheimer, per cui migliorare la tolleranza al glucosio potrebbe essere una strategia preventiva della demenza. Per dunque osservare gli effetti del resveratrolo sul controllo della glicemia, Turner e colleghi hanno reclutato 128 pazienti cui è stato eseguito un test di tolleranza al glucosio a digiuno, al fine di ottenere un livello di base. Dopo di che sono stati di nuovo sottoposti al test due ore dopo aver mangiato. Come si sa, i livelli di glucosio (o zuccheri) nel sangue cambiano durante la digestione. Difatti durante questo processo naturale il livello di zucchero nel sangue aumenta, ma il pancreas produce insulina per abbassarlo. Se dopo due ore questo livello di zucchero resta elevato si deve sospettare un’intolleranza al glucosio (o pre-diabete), o anche diabete vero e proprio se il livello è molto alto. I risultati dei test hanno rivelato una situazione inaspettata: erano infatti molti i soggetti con un’intolleranza al glucosio che non sospettavano, per cui non sapevano di essere in una condizione pre-diabetica. Questo, secondo i ricercatori, potrebbe suggerire che in giro vi sono molte persone che non sanno di essere in questa situazione – per cui ci sono molti candidati al diabete e, come suggerito dallo studio, all’Alzheimer. Nello specifico, i dati raccolti mostravano che cinque dei 128 partecipanti (il 4%) avevano la glicemia a digiuno alterata, mentre altri tre partecipanti (il 2%) mostravano risultati coerenti con la presenza di diabete mellito di tipo 2. Dei 125 soggetti in totale che hanno completato il test delle due ore, trentotto (il 30%) hanno dimostrato un’intolleranza al glucosio; sedici soggetti (il 13%) sono invece risultati coerenti con la presenza di diabete. Il risultato finale mostra che la prevalenza di un’alterata tolleranza al glucosio o diabete era di ben il 43%, ossia quasi la metà dei partecipanti allo studio, suggerendo pertanto che sono molte le persone a essere a rischio pre-diabete e diabete e, di conseguenza, a potenziale rischio di malattia di Alzheimer.
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/07/130714160840.htm
http://explore.georgetown.edu/news/?ID=70965
http://www.emaxhealth.com/11400/study-shows-alzheimers-patients-often-have-undiagnosed-diabetes
GLI ALIMENTI PIU' GOLOSI POSSONO CAUSARE IL CANCRO INTESTINALE.
05-10-2014
Sono i cibi da cui dovremmo stare più alla larga, eppure sono gli stessi che più ci attirano, che tendiamo a preferire rispetto ad altri. Sono le golosità come patatine fritte, biscotti, dolci vari e torte, cioccolatini, bevande gassate e zuccherate, succhi frutta e altri ancora…tutti cibi, insomma, ricchi di grassi, zuccheri e calorie. Se dunque da un lato il solo pensare a questi cibi fa venire l’acquolina in bocca, dall’altro sapere che proprio questo sono stati collegati all’insorgenza del cancro intestinale, dovrebbe farci riflettere prima di lasciarci tentare. Ad aver trovato un legame cibo calorico e tumore al colon è uno studio scozzese pubblicato sull’European Journal of Cancer Prevention e condotto su oltre 2.000 persone con diagnosi di cancro intestinale, le cui abitudini alimentari sono state confrontate con quelle di altrettanti soggetti sani. Il team di scienziati delle Università di Edimburgo e Aberdeen, dopo aver esaminato i dati raccolti, hanno trovato un legame statistico tra il cancro intestinale dei pazienti e un elevato consumo di ciò che hanno descritto come “snack ad alto contenuto energetico”, ossia alimenti classificati come ad alto contenuto di grassi e zuccheri. Secondo il principale autore dello studio, dottor Evropi Theodoratou - School of Molecular Genetics and Population Health Science dell’Università di Edimburgo - l’assunzione di questo genere di alimenti è dannosa per la salute. Il team di ricerca ha infatti scoperto che le probabilità di contrarre il cancro del colon-retto erano del 18% maggiori se la dieta prevedeva una maggiore assunzione di spuntini ad alta energia e bevande zuccherate.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Evropi+Theodoratou+European+Journal+of+Cancer+Prevention
DOLCIFICANTI: STESSI EFFETTI DELLO ZUCCHERO SULLA SALUTE.
05-10-2014
Li si usa al posto dello zucchero, pensando così di ridurre l’introito calorico, ma i dolcificanti artificiali, anche a calorie zero, potrebbero fare gli stessi danni dello zucchero vero e proprio. A rivelarlo, una revisione di recenti studi su bevande e cibi dolcificati artificialmente o zuccherati, pubblicata sulla rivista Trends in Endocrinology & Metabolism e condotta da Susan Swithers della statunitense Purdue University. Sono in aumento i dati che dimostrano come i dolcificanti non aiutino a dimagrire né a prevenire l’aumento di peso e sarebbero inoltre responsabili di un più alto rischio di alcune malattie (sindrome metabolica, diabete, patologie cardiovascolari). Susan Swithers spiega: «Dati recenti sia su esseri umani sia su modelli animali hanno in realtà fornito scarso supporto, a esempio, all'idea comune che le bibite dolcificate artificialmente (le bevande diet e light) promuovono la perdita di peso e prevengono le conseguenze negative sulla salute tipiche delle bibite zuccherate (sindrome metabolica, diabete, obesità, malattie cardiovascolari). Anzi un certo numero di studi suggerisce il contrario e cioè che le persone che consumano regolarmente bibite dolcificate artificialmente hanno un rischio più elevato rispetto a chi non le consuma, un rischio dello stesso ordine di grandezza di quello associato al consumo di bibite normalmente zuccherate».
Il consumo di molti prodotti dolcificati artificialmente poi attenua la risposta dell'organismo a livello cerebrale e a livello metabolico perché i dolcificanti non riescono a soddisfare la voglia di dolce insita nel cervello e non stimolano l'insulina come invece fa lo zucchero. Il rischio è quindi quello di consumarne di più. «Le prove che si sono accumulate negli ultimi anni suggeriscono che i consumatori assidui di sostituti dello zucchero (saccarina, sucralosio, aspartame ecc.) potrebbero anche essere a maggior rischio di ingrassare, di ammalarsi di sindrome metabolica, di diabete e malattie cardiovascolari». In conclusione, è consigliabile utilizzare zucchero e dolcificanti con moderazione.
AGLIO FRESCO SCHIACCIATO OTTIMO PER IL CUORE.
05-10-2014
Un nuovo studio riporta la prima prova scientifica che l’aglio fresco schiacciato ha più benefici per la salute del cuore, dell’aglio essiccato. La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of Agricultural and Food Chemistry, contesta anche la convinzione diffusa che la maggior parte dei benefici dell’aglio derivano dalla sua ricca gamma di antiossidanti. Secondo lo studio, gli effetti salutari per il cuore dell’aglio, sembrano derivare principalmente dal solfuro di idrogeno, una sostanza chimica che si forma dopo che l’aglio viene tagliato o schiacciato e rilassa i vasi sanguigni quando viene ingerito. Nello studio, Dipak K. Das e colleghi, sottolineano che l’aglio crudo schiacciato genera solfuro di idrogeno attraverso una reazione chimica. Anche se più noto per il suo caratteristico odore simile a quello delle uova marce, il solfuro di idrogeno agisce anche come un messaggero chimico nel corpo, rilassando i vasi sanguigni e permettendo al sangue di passare. Elaborato e cotto l’aglio, tuttavia, perde la sua capacità di generare idrogeno solforato. Gli scienziati hanno trattato con aglio fresco tritato e aglio elaborato, due gruppi di topi da laboratorio e quindi studiato come i cuori degli animali hanno recuperato da attacchi cardiaci simulati. ”Sia l’aglio fresco schiacciato che trasformato hanno ridotto i danni da mancanza di ossigeno, ma il gruppo che ha assunto aglio fresco schiacciato, ha avuto un effetto significativamente superiore sul ripristino del flusso di sangue nell’aorta e aumento della pressione nel ventricolo sinistro del cuore”, ha concluso il Prof. Das.
LA VERITA’ SULL’ASPIRINA.
03-10-2014
Edith D. Stanley, della Sezione Malattie Infettive presso la Abraham Lincoln School of Medicine dell’Università dell’Illinois, Chicago, ha pubblicato un articolo sul Journal of the American Medical Association che dimostra alcuni interessanti dati di fatto sull’aspirina. Un gruppo di volontari infettati con virus di raffreddore e curati con aspirina, sperimentarono soltanto una moderata riduzione nella gravità dei sintomi. Per essere statisticamente rilevanti, le riduzioni avrebbero dovuto essere molto maggiori da apparire chiaramente attribuibili al trattamento piuttosto che al caso o all’errore. Nessuna di queste riduzioni fu statisticamente rilevante. Fu invece significativo il fatto che i volontari trattati con aspirina emisero dal 17 al 36% in più di virus dei gruppi trattati con placebo. Ciò significa che la quantità di virus contenuti nella secrezione nasale dei volontari trattati con aspirina fu considerevolmente più alta. Le persone che prendono aspirina per alleviare i loro disturbi da raffreddamento, aggravano dunque la minaccia di diffondere la loro malattia contagiando mariti, mogli, figli o colleghi di lavoro. E’ stato anche dimostrato che l’aspirina inibisce la capacità dei leucociti di trasferirsi nei tessuti infiammati: sopprimendo dunque la reazione naturale dell’organismo all’infezione, l’aspirina può alleviare sintomi che sono in realtà il risultato della battaglia dei leucociti contro i virus invasori. Ma la riproduzione dei virus stessi non viene limitata. Come ultima conseguenza, la persona che cura il proprio raffreddore con l’aspirina ha maggiori probabilità di “attaccare” il suo raffreddore ad altri. E per giunta, i virus non decimati dal sistema di reazione organica all’infezione possono diffondersi all’interno del corpo e prolungare o complicare la malattia.
OLIO ALL'AGLIO PER RIDURRE GLI EFFETTI NEGATIVI DI CHEMIO E RADIOTERAPIA.
03-10-2014
Pubblicato sul Journal of Food Science e a cura dell’Institute of Food Technologists (IFT), un nuovo studio su modello animale suggerisce che l’aglio può effettivamente ridurre gli effetti negativi della chemioterapia e radioterapia con radiazioni ionizzanti, utilizzate nella cura del cancro. In questo studio, i ricercatori hanno osservato l’effetto dell’olio di aglio su un gruppo di topi affetti da tumore. Tao Zeng e colleghi della School of Public Health della Shandong University in Cina, sono partiti dalla constatazione che, sebbene diversi studi abbiano dimostrato che l’aglio e i suoi sottoprodotti possono avere effetti antitumorali, non vi era ancora uno studio che avesse indagato le possibili proprietà dell’aglio nel ridurre o limitare gli effetti negativi delle terapie anticancro. Nei test condotti dai ricercatori, i topi sono stati sottoposti a diverse sedute e trattamenti con chemioterapia e radioterapia. I risultati hanno mostrato che nei topi che avevano ricevuto l’olio di aglio prima di sottoporsi ai trattamenti, il numero dei globuli bianchi nel sangue era, tra gli altri, significativamente ridotto. «Questi risultati – scrivono gli autori – supportano l’idea che l’olio di aglio, per il consumo, può offrire benefìci per i malati di cancro sottoposti a chemioterapia o radioterapia». A conclusione dello studio, Zeng e colleghi ritengono che l’olio di aglio possa essere utilizzato quale medicina complementare per i pazienti che ricevono trattamenti di chemio e radioterapia poiché ha mostrato di mitigare gli effetti avversi di questo tipo di terapia anticancro.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Tao+Zeng+Journal+of+Food+Science
DISTURBI DEL FEGATO POSSONO AUMENTARE IL RISCHIO DI MALATTIE CARDIACHE.
03-10-2014
C’è una patologia chiamata “steatosi epatica”, più popolarmente conosciuta con malattia del fegato grasso di origine non alcolica che è piuttosto comune, specie tra le persone sovrappeso o obese. Si caratterizza per un accumulo di trigliceridi nel tessuto epatico (del fegato) che può cagionare seri danni alle cellule epatiche, portandole anche alla morte. Altra evoluzione della malattia è la steatoepatite, provocata dall’infiammazione indotta, che si può trasformare in cirrosi. Se dunque la steatosi epatica non alcolica (ossia non derivata dal vizio del bere) è già di per sé un problema serio per le conseguenze sulla salute, un nuovo studio ha associato questa patologia al rischio di malattia coronarica e cardiaca.
Il dott. Rajiv Chhabra e colleghi del Saint Luke’s Health System’s Liver Disease Management Center di Kansas City hanno reclutato 400 pazienti che sono poi stati sottoposti a TAC addominale al fine di rilevare la presenza di steatosi epatica non alcolica e relativi danni. I risultati dello studio sono stati presentati al recente meeting annuale dell’American Gastroenterological Association’s dal dottor Chhabra, gastroenterologo, insieme al coautore John Helzberg, e mostrano come le persone con la malattia del fegato grasso non alcolica presentavano maggiori probabilità di avere una malattia coronarica. In più, gli effetti deleteri e l’incidenza sul rischio cardiocircolatorio erano maggiori rispetto ad altri fattori di rischio come il genere di appartenenza, il vizio del fumo, la sindrome metabolica, il colesterolo alto, il diabete o l’ipertensione.
Secondo il dott. Chhabra, questi risultati «suggeriscono che i pazienti con malattia coronarica dovrebbero essere sottoposti a screening per la malattia del fegato, e viceversa», poiché chi presenta la steatosi epatica dovrebbe essere tenuto sotto controllo per le malattie coronariche. A causa della maggiore diffusione e incremento di malattie quali il diabete di tipo 2, il sovrappeso e l’obesità, la steatosi epatica è divenuta nel tempo la più comune delle patologie del fegato. «Se le attuali tendenze proseguono – sottolinea nel comunicato Saint Luke il dottor Helzberg – è previsto un aumento del 40% nella prevalenza della patologia tra la popolazione entro il 2020». Questo dato è fonte di preoccupazione per i medici e gli operatori sanitari, in quanto rischia di divenire un’emergenza sanitaria che costa molto in termini di risorse e di vite.
L'ANESTESIA TOTALE AUMENTA IL RISCHIO DI DEMENZA NEGLI ANZIANI.
03-10-2014
L'esposizione all'anestesia generale (o totale) aumenta il rischio di demenza negli anziani del trentacinque per cento, secondo una nuova ricerca presentata all'Euroanaesthesia, il congresso annuale della Società Europea di Anestesiologia (ESA). La ricerca è stata condotta da Francois Sztark dell'Università di Bordeaux e ha dimostrato che la disfunzione cognitiva post-operatoria è associabile allo sviluppo di demenza nel tempo. Una correlazione dovuta ad un meccanismo patologico comune attraverso il peptide beta amiloide. I risultati provengono dal Three City Study che ha coinvolto oltre novemila soggetti. "I nostri risultati - ha spiegato Sztark - hanno rilevato un aumento del rischio di insorgenza di demenza diversi anni dopo l'anestesia generale nei pazienti anziani (età media settantacinque anni). Di qui emerge la necessità di riconoscere in tempo il pericolo di disfunzione cognitiva post-operatoria per una migliore gestione peri-operatoria dei pazienti over 65".
http://www.three-city-study.com/the-three-city-study.php
http://www.eurekalert.org/pub_releases/2013-05/eso-etg052913.php
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/06/130601133925.htm
IL FRUTTOSIO NELLA DIETA PROVOCA DANNI AL FEGATO IN UN MODELLO ANIMALE.
03-10-2014
Il ruolo del fruttosio nella dieta, nello sviluppo di obesità e malattie del fegato grasso, rimane controverso. Tuttavia, un nuovo studio condotto in un modello animale alla Wake Forest Baptist Medical Center ha dimostrato che il fruttosio causa rapidamente danni al fegato anche senza aumento di peso. I ricercatori hanno scoperto che nel corso di sei settimane di studio, i danni al fegato sono più che raddoppiati negli animali nutriti con una dieta ad alto contenuto di fruttosio, rispetto a quelli del gruppo di controllo. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Nutrition. In uno studio precedente, la squadra di Kavanagh ha osservato le scimmie che sono state alimentate con alimenti a basso contenuto di grassi con aggiunta di fruttosio per sette anni, rispetto ad un gruppo di controllo nutrito con una dieta a basso contenuto di fruttosio e povera di grassi, per lo stesso periodo di tempo. Secondo i risultati, il primo gruppo ha dimostrato un aumento di peso del 50 per cento in più, rispetto al gruppo di controllo, ha sviluppato il diabete tre volte in più rispetto al gruppo di controllo e ha anche sviluppato steatosi epatica non alcolica. Che cosa ha causato il danno epatico? Forse perchè gli animali sono ingrassati o perchè hanno mangiato troppo o per qualcos’altro?
Per rispondere a questa domanda, i ricercatori hanno osservato dieci scimmie di mezza età che non avevano mai assunto il fruttosio e le hanno divise in due gruppi in base alle forme del corpo comparabili e circonferenza vita. Per un periodo superiore a sei settimane, un gruppo è stato alimentato con una dieta a calorie controllate composta dal 24 per cento di fruttosio, mentre il gruppo di controllo è stato alimentato con una dieta a calorie controllate, e una quantità trascurabile di fruttosio di circa lo 0,5 per cento. In entrambi le diete è stata fornita la stessa quantità di grassi, carboidrati e proteine, ma le fonti erano diverse. La dieta del gruppo ad alto contenuto di fruttosio comprendeva farina, burro, grasso di maiale, uova e il fruttosio (l’ingrediente principale in sciroppo di mais), mentre la dieta del gruppo di controllo era costituita da carboidrati complessi e proteine della soia. Ogni settimana il team di ricerca ha pesato entrambi i gruppi e misurato la loro circonferenza della vita, e regolato la quantità di cibo al fine di prevenire l’aumento di peso. Alla fine dello studio, i ricercatori hanno misurato biomarker di danno epatico attraverso campioni di sangue ed esaminato che tipo di batteri erano presenti nell’intestino, attraverso campioni di feci e biopsie intestinali. “Quello che ci ha sorpreso di più è stata la velocità con cui il fegato è stato influenzato e quanto è stato esteso il danno, soprattutto in assenza di aumento di peso, come fattore rilevante“, ha spiegato Kavanagh. ”Sei settimane nelle scimmie, sono equivalenti a tre mesi degli esseri umani”. Nel gruppo ad alto contenuto di fruttosio, i ricercatori hanno trovato che il tipo di batteri intestinali non era cambiato, ma che stavano migrando verso il fegato più rapidamente e causando danni. Sembra che qualcosa legata agli alti livelli di fruttosio, porta l’intestino ad essere meno protettivo rispetto alla normalità, permettendo ai batteri di fuoriuscire ad un tasso del 30 per cento più alto. Uno dei limiti dello studio è che esso ha controllato solo il fruttosio e non il destrosio. Fruttosio e destrosio sono zuccheri semplici che si trovano naturalmente nelle piante. “Abbiamo studiato il fruttosio, perché è lo zucchero più comunemente aggiunto nella dieta, ma sulla base dei nostri risultati non possiamo dire definitivamente che il fruttosio ha causato il danno al fegato”, ha detto Kavanagh. ”Quello che possiamo dire è che gli alti zuccheri aggiunti, causano la migrazione dei batteri dall’intestino verso il flusso sanguigno, danneggiando il fegato”. “Il danno epatico è iniziato anche in assenza di aumento di peso. Ciò potrebbe avere implicazioni cliniche, perché la maggior parte dei medici e degli scienziati, ha pensato che fosse il grasso dentro e intorno ai tessuti del corpo, a causare problemi di salute”. Il team della Wake Forest Baptist prevede di iniziare un nuovo studio con gli stessi controlli, ma con test sia per il fruttosio che per il destrosio, nel corso di un periodo di tempo più lungo.
http://ajcn.nutrition.org/content/early/2013/06/19/ajcn.112.057331.abstract
L'USO REGOLARE DI TALCO AUMENTA IL RISCHIO DI CANCRO OVARICO.
03-10-2014
Molte persone usano cospargere il proprio corpo con il talco. Di solito lo si fa dopo un bagno, una doccia o per rinfrescare un pò la pelle del corpo. Fin qui, niente di male. Tuttavia, per le donne, l’uso regolare del talco nelle zone genitali potrebbe costituire un rischio per la salute. Secondo uno studio dei ricercatori del Brigham and Women’s Hospital di Boston (Usa) l’uso del talco potrebbe causare, un’infiammazione nell’organismo che, a sua volta, fa aumentare del 24% il rischio di sviluppare un cancro ovarico. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cancer Prevention Research, è stato condotto su un gruppo di donne che sono state interrogate circa l’utilizzo del talco, la frequenza e la zona in cui era distribuito – con particolare riferimento alla zona genitale. La dottoressa Kathryn L. Terry e colleghi del Brigham hanno poi analizzato i dati raccolti al fine di valutare l’incidenza e il rischio di cancro epiteliale ovarico nelle donne che utilizzavano il talco e in quelle che non lo utilizzavano. Nelle analisi sono stati inclusi 8.525 casi di cancro ovarico e 9.859 controlli. I risultati hanno mostrato che vi era un moderato aumento del rischio di cancro ovarico nelle varie forme per i soggetti che utilizzavano il talco nella zona genitale, mentre non è stata notata alcuna incidenza per le donne che lo utilizzavano in altre parti del corpo. In sostanza, concludono i ricercatori, l’uso regolare del talco nelle zone intime può aumentare moderatamente il rischio per la maggior parte dei sottotipi istologici di cancro epiteliale ovarico.