Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

23-10-2014

Frutta secca, o frutta a guscio, come noci, nocciole, mandorle, pistacchi, anacardi, arachidi (in special modo il burro di arachidi) pare siano un toccasana anche per quel che riguarda la prevenzione del cancro al seno. Lo suggerisce un nuovo studio della Washington University e della Harvard Medical School. Il team di ricercatori ha analizzato i dati storici relativi alla salute di oltre 9mila ragazze, seguite a partire dai 9-15 anni e fino all’età di 18-30 anni, tra il 1996 e il 2001, e tra il 2005 e il 2010. L’intento era quello di valutare l’incidenza del carcinoma mammario. L’analisi dei dati ha permesso agli scienziati di scoprire che le ragazze che mangiavano anche solo due volte a settimana frutta a guscio o burro di arachidi avevano il 39% in meno di probabilità di sviluppare una forma, anche se benigna, di tumore del seno all’età di 30 anni, rispetto alle ragazze che non mangiavano frutta secca o il burro di arachidi. Da quanto emerso dalla studio, anche l’assunzione di lenticchie e fagioli possono ridurre il rischio, tuttavia il consumo rilevato era assai basso e non indicativo per un raffronto statistico. Secondo l’autore senior dello studio, il dottor Graham Colditz – direttore associato del Cancer Prevention and Control presso il Siteman Cancer Center del Barnes-Jewish Hospital e la Washington University School of Medicine – mangiare frutta a guscio e burro di arachidi può essere un buon modo per ridurre il rischio di cancro al seno nelle donne. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Breast Cancer Research and Treatment.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24043428

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3903425/

Giovedì, 23 Ottobre 2014 11:36

SAI COSA C'E' NEL TUO OMBELICO?

23-10-2014

Sapete cosa si annida dentro il vostro ombelico? Stando agli scienziati del progetto Belly Button Biodiversity, la risposta è: centinaia e centinaia di batteri. 1.400 ceppi, per la precisione, 662 dei quali mai rinvenuti prima. Ma procediamo con ordine e cerchiamo di comprendere meglio di cosa stiamo parlando. Solitamente, siamo abituati ad associare la parola biodiversità a luoghi lontani ed esotici, a foreste tropicali o atolli paradisiaci. Eppure, uno dei contesti in cui la biodiversità sembra fiorire più agevolmente è decisamente più vicino a noi, addirittura nel nostro corpo: è il nostro ombelico, tra le cui pieghe possono trovare il luogo ideale per proliferare ceppi batterici diversi. Questa intuizione – che può apparire piuttosto curiosa, e probabilmente lo è – ha condotto un team di biologi della North Carolina State University, coordinati dal dott. Jiri Hulcr, a portare avanti un esperimento mirato su 95 volontari, tra i quali si annoverano blogger appassionati di scienza, studenti dell’ateneo, giornalisti e membri dello staff del Museo di Scienze Naturali della North Carolina. Ai volontari è stato chiesto di passare per tre volte un bastoncino cotonato nel proprio ombelico. Il tampone è stato quindi analizzato e i risultati sono stati quelli che ho riportato sopra, con un totale di 1.400 batteri rilevati, di cui 662 sconosciuti fino ad oggi. Lo studio ha anche confermato un dato piuttosto intuitivo: la quantità di batteri presente nell’ombelico di ciascun volontario variava sulla base delle sue abitudini igieniche. In particolare, nessuna colonia di batteri è stata scoperta in quanti avevano dichiarato di lavare il proprio ombelico regolarmente, mentre diverse colonie sono state scovate in coloro che avevano dichiarato di non avere questa abitudine. E voi? Siete sconvolti da questa scoperta? Allora assicuratevi di lavare regolarmente il vostro ombelico, per evitare che le sue pieghe diventino un comodo rifugio per nuove specie batteriche!

 

http://www.wired.co.uk/news/archive/2011-07/05/belly-button-bacteria

http://www.popsci.com/technology/article/2011-07/belly-button-bacteria-study-yields-hundreds-new-species

http://www.newscientist.com/blogs/shortsharpscience/2011/04/belly-button-biome-is-more-tha.html

21-10-2014

I medici devono essere estremamente vigili nel prescrivere gli antidepressivi poichè possono rappresentare un rischio di diabete di tipo 2, secondo quanto sostenuto dai ricercatori dell’Università di Southampton. Una revisione sistematica, condotta dall'Università, ha mostrato che le persone che assumono antidepressivi sono a più alto rischio di diabete di tipo 2. L’uso dei farmaci antidepressivi è aumentato notevolmente negli ultimi anni, raggiungendo 46,7 milioni di prescrizioni rilasciate nel Regno Unito, nel 2011. Un certo numero di studi sono stati effettuati per stabilire se gli antidepressivi sono collegati con il diabete, ma i risultati variano a seconda dei metodi utilizzati, tipo di farmaco e il numero di partecipanti.
I ricercatori dell’università di Southampton hanno valutato 22 studi e le tre precedenti revisioni sistematiche sugli effetti di antidepressivi sul rischio di diabete. In generale, le persone che assumono antidepressivi hanno più probabilità di avere il diabete. Tuttavia, i ricercatori hanno avvertito che i diversi tipi di antidepressivi possono portare diversi rischi e sono necessari studi randomizzati controllati prospettici a lungo termine, per esaminare gli effetti dei singoli farmaci. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Diabetes Care. Il team ha affermato che ci sono “diversi plausibili” motivi per cui gli antidepressivi sono associati ad un aumentato rischio di diabete. Ad esempio, diversi antidepressivi sono associati ad un significativo aumento di peso che aumenta il rischio di diabete di tipo 2. Tuttavia, diversi studi che hanno esplorato questa associazione, hanno osservato ancora un aumento del rischio di diabete, dopo che sono stati effettuati aggiustamenti per i cambiamenti del peso corporeo, il che implica che altri fattori potrebbero essere coinvolti.
La Dr.ssa Katharine Barnard, psicologa presso l’Università di Southampton, commenta: “Gli antidepressivi sono ampiamente utilizzati nel Regno Unito, con un significativo aumento del loro uso di recente. La nostra ricerca mostra che quando si eliminano tutti i classici fattori di rischio di diabete di tipo 2 come aumento di peso, stile di vita, ecc., c’è qualcosa negli antidepressivi che sembra essere un fattore di rischio indipendente. Con 46 milioni di prescrizioni all’anno, questo potenziale aumento del rischio è preoccupante ed è necessaria una vigilanza intensificata sulla possibilità di diabete nelle persone che assumono antidepressivi fino a quando ulteriori ricerche non saranno condotte”.
Richard Holt, professore di Diabete e Endocrinologia presso l’Università di Southampton, aggiunge: “Mentre la depressione è un importante problema clinico e gli antidepressivi sono trattamenti efficaci per questa condizione debilitante, i medici devono essere consapevoli del potenziale rischio di diabete, in particolare quando si utilizzano gli antidepressivi in dosi più elevate o per più lunga durata. Nel prescrivere antidepressivi, i medici dovrebbero essere consapevoli di questo rischio e adottare misure per monitorare il diabete e ridurre il rischio attraverso modifiche di stile di vita“.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Katharine+Barnard%2C+Richard+Holt++Diabetes+Care

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3781547/

21-10-2014

Antiossidanti contro il cancro. E' la conclusione di una recente ricerca americana secondo cui i farmaci antiossidanti attualmente utilizzati nel trattamento di malaria, raffreddore comune e malattie polmonari possono essere efficaci anche contro il cancro, poiché combattono lo stress ossidativo dei mitocondri, responsabile della crescita dei tumori. Per la prima volta i ricercatori del Jefferson's Kimmel Cancer Center hanno mostrato che la perdita della proteina caveolina-1 induce lo stress ossidativo dei mitocondri, processo che alimenta le cellule cancerose in molti tipi di tumore al seno. "Ora abbiamo la prova che lo stress ossidativo dei mitocondri ha un ruolo importante nel guidare la crescita del tumore", afferma Michael P. Lisanti che ha condotto la ricerca pubblicata su 'Cancer Biology and Therapy'. "Questo significa che bisogna mettere a punto dei farmaci che abbiano l'obiettivo di ridurre proprio questo tipo di stress ossidativo. Ci sono già sul mercato dei farmaci antiossidanti come integratori alimentari tra cui N-acetilcisteina".

 

http://www.sciencedaily.com/releases/2011/02/110215102836.htm

http://www.eurekalert.org/pub_releases/2011-02/tju-jrp021011.php

Martedì, 21 Ottobre 2014 09:48

COME COMBATTERE LE INFEZIONI CON LE VERDURE.

21-10-2014

Ormai è noto quanto sia importante mangiare almeno 5 porzioni al giorno tra frutta e verdura ma, nonostante questo, sono sempre più frequenti gli studi che scoprono nuovi benefici effetti sul nostro organismo dell'assunzione quotidiana di vegetali e frutta. Oggi è la volta delle verdure a foglie verdi che, secondo una ricerca condotta dalla Molecular Immunology division del Walter and Eliza Hall Institute di Parkville, in Australia, sarebbero in grado di aiutare il sistema immunitario a proteggerci dall'aggressione dei microrganismi, in particolare quelli nocivi che si annidano nel nostro intestino. I ricercatori australiani, che hanno visto pubblicato il loro studio sulla rivista Nature Immunology, hanno infatti scoperto come il gene denominato "T-bet" sia fondamentale nel processo che porta alla produzione di cellule immunitarie: le cellule linfoidi (ILC). Le verdure a foglie verdi come cavoli, rape, verza, ecc., sono quelle che maggiormente consentono al nostro corpo di mettere in funzione il T-bet. A questo proposito, una delle scienziate impegnate nello studio, la dottoressa Gabrielle Belz, ha dichiarato: "La nostra ricerca mostra che, senza il gene T-bet, il corpo è più suscettibile alle infezioni batteriche che entrano attraverso il sistema digestivo. Ciò suggerisce che l'incremento di ILC nell'intestino può essere di aiuto nel trattamento di queste infezioni batteriche". Ecco un motivo in più per consumare ogni giorno 2 o 3 porzioni di verdura!

 

http://www.nature.com/ni/journal/v14/n4/abs/ni.2545.html

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23455676

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4076532/

Martedì, 21 Ottobre 2014 09:46

LE STATINE AUMENTANO IL RISCHIO DI CATARATTA.

21-10-2014

Una nuova ricerca suggerisce che l’uso di statine, una classe di farmaci utilizzati per il trattamento del colesterolo alto, è legato ad un rischio più elevato di sviluppare la cataratta. La Dr.ssa Jessica Leuschen, del San Antonio Military Medical Center in Texas e colleghi, hanno riportato i loro risultati in un articolo pubblicato online in JAMA Oftalmologia. Secondo i Centri statunitensi per il Controllo delle Malattie e la Prevenzione (CDC), la cataratta è una condizione prevalentemente legata all’età in cui il cristallino dell’occhio diventa torbida ed è tra le principali cause di perdita della vista legate all’età. Studi precedenti che hanno esaminato il legame tra uso di statine e la cataratta, hanno prodotto risultati contrastanti. Ad esempio, i risultati di un’ampia ricerca, presentata al Congresso della Società Europea di Cardiologia del 2013, ha rilevato che l’uso di statine è collegato a minor rischio di cataratta, mentre un precedente studio pubblicato nel numero di Agosto 2012 della rivista Optometry and Vision Science ha suggerito l’uso di statine è legato ad un aumento del rischio di cataratta.
Per il loro studio, il dottor Leuschen e colleghi hanno confrontato il rischio di sviluppare la cataratta confrontando i pazienti che usano statine con quelli che non le usano. Da un database sanitario militare, hanno identificato più di 46.000 pazienti che hanno soddisfatto i criteri di studio, tra cui oltre 13.600 utilizzatori di statine e 32.600 non utilizzatori. Essi definiscono gli utenti come “pazienti che avevano ricevuto almeno una fornitura di 90 giorni di statine” e non utenti come ” pazienti che non avevano” mai ricevuto statine. I ricercatori hanno poi analizzato 44 variabili tra i due gruppi osservati (come ad esempio età, sesso, condizioni mediche ecc.) e sono riusciti a trovare quasi 7.000 coppie strettamente abbinate di utilizzatori di statine e non utilizzatori. Le loro analisi hanno trovato che il rischio di cataratta era maggiore tra gli utilizzatori di statine, rispetto ai non utilizzatori. Quando hanno preso in considerazione altri fattori di rischio noti, questi hanno mostrato che gli utilizzatori di statine avevano una probabilità del 27% più elevato di sviluppare la cataratta, rispetto ai non utilizzatori. Nella conclusione, i ricercatori invitano i medici a considerare con attenzione i rischi e benefici della terapia con statine, in particolare per la prevenzione primaria.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24052188

21-10-2014

Anche frutta e verdura sanno che ora è. A sondarne i segreti è stata una nuova ricerca che ha scoperto che tali alimenti, dopo il raccolto, continuano a rimanere vivi per un certo periodo di tempo grazie al loro orologio biologico interno. Secondo gli scienziati della Rice University e dei colleghi della University of California a Davis, frutta e verdura, così come gli altri esseri viventi che popolano il pianeta, hanno un loro ritmo circadiano in grado di adattarsi alle varie situazioni proprio come fa il corpo umano dopo un lungo viaggio, per recuperare il jet lag. Gestire questo orologio biologico delle piante, secondo gli scienziati, potrebbe però avere dei benefici per la salute dell’uomo, preservando a lungo le caratteristiche benefiche degli alimenti. “Frutta e verdura non muoiono nel momento in cui vengono raccolte“, ha detto la biologa Janet Braam. “Essi rispondono al loro ambiente per giorni, e abbiamo scoperto che potevamo usare la luce per convincere a fare di più lotta contro il cancro con gli antiossidanti in determinate ore del giorno“.
Lo studio è il un follow-up di una ricerca del 2012 – che ha ricevuto numerosi riconoscimenti – basata sui modi in cui le piante usano i loro orologi circadiani per difendersi dagli insetti affamati. La ricerca ha così scoperto che l’Arabidopsis thaliana o arabetta comune – un organismo modello molto usato per gli studi sulle piante – inizia ad aumentare la sua produzione di prodotti chimici poche ore prima dell’alba, per contrastare l’attacco degli insetti, proprio nel momento in cui essi iniziano a nutrirsi. E il momento migliore per consumare le verdure sarebbe proprio durante quando esse, per difendersi dai parassiti, accumulano le sostanze chimiche, preziosi metaboliti per la salute umana. Per riuscire a dimostrare che i vegetali hanno questa capacità, il team di ricerca ha simulato dei cicli giorno-notte e di luce e buio per controllare il comportamento degli “orologi interni” di alcuni tipi di frutta e verdura, tra cui cavoli, carote, zucca, spinaci, lattuga, zucchine, patate dolci e mirtilli.
“Non possiamo ancora dire se tutte le condizioni di buio o luce accorciano la durata di conservazione di frutta e verdura“, ha detto Braam, a capo della ricerca. “Quello che abbiamo dimostrato è che mantenere intatto l’orologio interno è vantaggioso nella resistenza agli insetti ma potrebbe anche produrre benefici per la salute“. “E’ stupefacente pensare che potremmo essere in grado di aumentare i benefici per la salute dei nostri prodotti semplicemente cambiando il nostro modo di conservarli, ”ha aggiunto il secondo autore dello studio, Goodspeed. Tra i prodotti più salutari un antiossidante chiamato 4-MSO, un composto anticancro presente nei broccoli e in altri ortaggi.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23791724

20-10-2014

Prevenire è meglio che curare, si sa. E se la menopausa si avvicina, meglio cominciare ad introdurre nella nostra alimentazione carote e vegetali ricchi di carotenoidi se vogliamo ridurre il rischio di sviluppare il cancro al seno. E' quanto affermano i ricercatori dell'Harvard School of Public Health di Boston in uno studio coordinato dalla dottoressa Laura Mignone e pubblicato sulla rivista International Journal of Cancer. Mettendo in relazione la dieta di 5.707 donne affette da tumore al seno con quella di 6.389 coetanee sane, è stato riscontrato che assumendo quotidianamente vitamina A, beta-carotene e luteina, sostanze già considerate preziose non solo per la tintarella, ma anche per il cancro ai polmoni, si abbassa notevolmente la probabilità di contrarre il tumore al seno. In particolare, mangiare almeno due porzioni di verdure ricche di carotenoidi ridurrebbe il rischio del 17%. Ma solo nel caso in cui il consumo avvenga nel periodo premenopausale. Il perché di questa loro azione limitata ancora non è chiaro, fatto sta che è appurata la loro capacità di interferire con i segnali di tipo estrogenico nonché il loro forte effetto antiossidante.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19330841

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3564658/

http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/ijc.24334/abstract

 

20-10-2014

Non tutto è perso. Nessuno di noi è candidato alla malattia semplicemente perché ha una maggiore predisposizione rispetto a un’altra persona. La verità è che tutto può mutare – anche la salute – basta volerlo e metterci magari un pò d’impegno. Ad asserirlo è uno studio condotto da Dean Ornish dell’Università della California di San Francisco insieme al Preventive Medicine Research Institute. A giudicare dai risultati della ricerca, cambiare il proprio stile di vita, l’alimentazione e aggiungere un pò di attività fisica alle nostre giornate, può far migliorare lo stato di salute, allungare la vita e persino agire sul nostro DNA. Tutto questo grazie alle modifiche che un corretto stile di vita può apportare alla lunghezza dei telomeri, quella sorta di “cappuccio” situato alle estremità dei cromosomi e che ha la precisa funzione di influenzare l’invecchiamento cellulare. I telomeri sono formati da una combinazione di proteine e DNA che hanno il compito di fornire stabilità ai cromosomi e, di conseguenza, alle cellule del nostro corpo. Quando cominciano ad accorciarsi o ridursi, le cellule invecchiano prima e, ovviamente, muoiono anche più velocemente. Ma, come detto all’inizio, tutto può essere modificato: anche il nostro destino, in termini di salute, ritiene il dottor Ornish.
Per arrivare a tali conclusioni il team di ricerca ha preso in esame 35 uomini a cui era stato diagnosticato un cancro alla prostata. Per tutti i partecipanti è stata analizzata l’associazione del proprio stile di vita con la lunghezza dei telomeri e della telomerasi. Durante lo studio, durato cinque anni e pubblicato su The Lancet Oncology, a dieci volontari è stato detto di modificare il proprio stile di vita. Questi, avrebbero dovuto cambiare nettamente la loro dieta, seguire un po’ di esercizio fisico (non eccessivo) ed evitare, per quanto possibile, ogni fonte di stress. Gli altri 25 partecipanti allo studio, invece, dovevano seguire la loro vita esattamente come avevano sempre fatto. Dai risultati è emerso che solo il gruppo che conduceva uno stile di vita più sano è riuscito a ottenere un incremento significativo – circa il 10% – della lunghezza dei telomeri. L’aumento della lunghezza dei telomeri, inoltre, risultava direttamente proporzionale con i cambiamenti al proprio stile di vita: più erano marcati, maggiori erano i benefici. Al termine dei cinque anni, le restanti venticinque persone che non avevano fatto alcun cambiamento, mostravano telomeri addirittura più corti (circa il 3%) dall’inizio dello studio. Questo risultato, se vogliamo, è del tutto normale, visto che con gli anni i telomeri tendono a ridursi. «L’accorciamento dei telomeri aumenta il rischio di una grande varietà di malattie croniche. Crediamo che l’aumento della lunghezza dei telomeri possa aiutare a prevenire queste condizioni e forse anche allungare la durata della vita», concludono i ricercatori. Insomma, vita migliore, vita più lunga.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24051140

20-10-2014

L’acqua, quando è sporca può essere fonte di contagi, infezioni e malattie: questo è un dato di fatto. E anche quella contenuta nell’acquasantiera, che pare non essere proprio delle più pulite, non sarebbe da meno. La cosiddetta acqua benedetta, o santa, frutto di una santificazione a opera di un prete o vescovo e utilizzata per i battesimi, le benedizioni delle case, di oggetti vari e persone, e che si presenta come un’acqua dai poteri “sovrannaturali” – capace anche di esorcizzare gli eventuali posseduti dal demonio – in verità potrebbe far più male che bene, almeno a livello medico. Questo quanto suggerito da uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto di Igiene e Immunologia Applicata presso l’Università di Medicina di Vienna, i quali hanno testato una serie di campioni d’acqua prelevata da 21 sorgenti in Austria e 18 fonti di Vienna. Le analisi hanno rilevato che in alcuni campioni d’acqua si trovavano fino a 62 milioni di batteri per millilitro d’acqua, suggerendo che questa non è sicura da bere. Ma la sorpresa è venuta quando i ricercatori hanno analizzato l’acqua utilizzata nelle cerimonie religiose, scoprendo che quella “santa”, utilizzata per esempio per inumidire le labbra dei partecipanti, era nell’86% dei casi infettata da batteri fecali come il famigerato Escherichia Coli, enterococchi e Campylobacter. Per cui se ne deduce che venendo a contatto con le mucose, oltre che con le mani che poi possono toccare bocca e altre parti del corpo vulnerabili, si rischia un’infezione anche seria. Le infezioni di questo genere possono causare diversi problemi, tra cui febbre, vomito, diarrea, crampi e dolori addominali. Altro dato riscontrato dai ricercatori è che più una chiesa o la cappella sono frequentate, più l’acqua santa era contaminata: questo perché, probabilmente, ci sono molte mani che ne vengono a contatto quando si trova nell’acquasantiera. I risultati completi dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Water and Health e suggeriscono che l’acqua benedetta, in alcuni casi, può essere non troppo “bene-detta”. Attenzione dunque a dove mettete le mani dopo averla toccata.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22960479

http://abcnews.go.com/Health/study-holy-water-harmful-health/story?id=20257722

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