Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

Mercoledì, 10 Gennaio 2018 06:02

LA MARIJUANA RINGIOVANISCE IL CERVELLO.

10-01-2018

Una ricerca dell’Università di Bonn e della Hebrew University di Gerusalemme è arrivata alla conclusione che la marijuana ha effetti benefici sul cervello. Il sorprendente risultato, descritto sulle pagine di Nature Medicine, è stato verificato finora solo su modello murino. I topi hanno un ciclo vitale piuttosto limitato, e vengono solitamente colpiti da declino cognitivo attorno ai 12 mesi. Per questo, i medici hanno somministrato loro il THC -principio attivo della cannabis - all’età di 2, 12 e 18 mesi. Hanno quindi testato le capacità mnemoniche e di apprendimento dei topi, confrontando gli esiti con quelli ottenuti da altri roditori che avevano assunto placebo. I topi a cui era stato somministrato il THC mostravano, a 12 e 18 mesi, risultati paragonabili a quelli di ratti dell’età di 2 mesi. Nel gruppo di controllo, invece, il declino cognitivo è apparso come ci si aspettava attorno ai 12 mesi di età.
Andreas Zimmer, coordinatore dello studio, commenta: «Il trattamento ha invertito completamente il normale declino cognitivo negli animali anziani». I ricercatori hanno scoperto che il THC agisce sia a livello molecolare che direttamente sulle connessioni fra i neuroni. «Il THC - sottolinea Zimmer - sembra quasi portare indietro l’orologio molecolare del cervello». È ovvio che sull’uomo le cose potrebbero andare diversamente, ma i ricercatori vogliono approfondire l’argomento passando alla sperimentazione umana. A scanso di equivoci, si parla di dosi di THC bassissime, molto inferiori a quelle solitamente presenti nelle “canne” e pertanto inferiori a quelle necessarie per produrre effetti stupefacenti.

 

https://www.uni-bonn.de/news/128-2017/

https://www.nature.com/nm/journal/vaop/ncurrent/full/nm.4311.html

Mercoledì, 10 Gennaio 2018 05:56

IL TÈ VERDE CONTRO I DENTI SENSIBILI.

10-01-2018

Cosa c’entra il tè verde con il problema dei denti sensibili? Ebbene alcuni ricercatori hanno sviluppato un materiale protettivo per la superficie dentale utilizzando un polifenolo presente nelle foglie di tè verde. Per le persone con forte sensibilità ai denti, bere qualcosa di troppo caldo o troppo freddo provoca dolori acuti e spesso mal tollerati. Il motivo per cui si verifica questa sensibilità è che lo smalto protettivo sulla superficie del dente viene eroso, esponendo così lo strato di tessuto osseo successivo, detto dentina. 
I trattamenti disponibili per chi soffre di sensibilità ai denti in alcuni casi risultano inefficaci. Un team di ricerca dell'università di Wuhan in Cina ha per questo voluto sperimentare le potenzialità dell’epigallocatechin-3-gallato (ECGC), il principio attivo più noto presente nel tè verde, nel proteggere i denti sensibili e valutare se riesca a farlo meglio di quanto è riuscito finora ad altri principi attivi.
I trattamenti attualmente disponibili si basano sull'occlusione o la chiusura delle microscopiche aperture che si sono create sui denti usando un materiale chiamato nanohydroxyapatite. Tuttavia, questo materiale non è abbastanza resistente né in grado di bloccare i batteri, in particolare lo streptococcus mutans che crea un biofilm sulla superficie dei denti e riesce quindi a penetrare con facilità generando carie (ecco perché chi ha i denti sensibili è anche maggiormente soggetto a carie).
La ricerca, pubblicata su ACS Applied Materials & Interfaces, si è proposta di realizzare un biomateriale versatile utilizzando il nanohydroxyapatite tradizionale a cui si è aggiunto però un ingrediente chiave: appunto l’epigallocatechin-3-gallato (ECGC), il polifenolo più attivo del tè verde. Gli scienziati hanno incapsulato questo mix in nanoparticelle di silice minerale (MSN) che hanno dimostrato di avere una resistenza unica all'acido che comporta le carie oltre a dimostrare una "forza meccanica superiore". Utilizzando una particolare tecnica, i ricercatori hanno testato la capacità del nuovo biomateriale di bloccare la formazione del biofilm che lo streptococcus mutans forma normalmente sulla superficie della dentina. I test hanno rivelato che il nuovo biomateriale ha bloccato con successo i microtubuli della dentina e ridotto la permeabilità. Inoltre, il materiale ha rilasciato EGCG continuamente per più di 96 ore rivelandosi anche resistente all'erosione e all'abrasione, nonché alla protezione contro il biofilm dello streptococco. Tra le varie proprietà del tè verde, oggi abbiamo dunque scoperto che i suoi principi attivi possono essere anche alleati preziosi per i nostri denti.

 

http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/acsami.7b06597

09-01-2018

Ogni giorno, vengono pubblicate ricerche nuove che ci consentono di comprendere e scoprire ulteriori proprietà legate agli alimenti che la natura ci regala. Non ultimi, due studi legati al consumo di uva: uno inerente agli effetti che i principi attivi in essa contenuti possono avere sui problemi di artrosi al ginocchio, l’altro inerente agli effetti che possono invece avere sul diabete. La prima ricerca è stata condotta dagli scienziati della Texas Woman’s University (TWU) e presentata all’Experimental Biology di San Diego, un incontro multidisciplinare e scientifico incentrato sulle scienze della ricerca e della vita. Lo studio è durato circa 16 settimane e ha coinvolto 72 volontari di entrambi i sessi, affetti da artrosi al ginocchio. I volontari sono stati suddivisi a caso in due gruppi: al primo è stato somministrato del placebo, al secondo, invece, dell’uva liofilizzata in polvere.
I risultati sono stati incoraggianti: hanno dimostrato che donne e uomini che adottano una dieta arricchita di uva possono registrare una significativa diminuzione del dolore e dei sintomi legati a questo genere di patologia. Tra i soggetti, sono state registrate anche alcune differenze di risposta, legate all’età e al sesso. Le persone al di sotto di 64 anni, che hanno assunto l’integratore di uva, hanno mostrato un miglioramento nello svolgimento di compiti difficoltosi; quelli della stessa età a cui è stato invece somministrato il placebo hanno avuto un peggioramento nello svolgimento delle stesse attività. Gli over 65, in entrambi i casi, hanno avuto un calo moderato delle attività principali. Negli uomini che hanno seguito la dieta a base di uva è stato osservato inoltre un miglioramento del metabolismo della cartilagine, determinato da un elevato fattore di crescita (IGF-1) rispetto ai soggetti trattati con placebo. Cosa non osservata invece nelle donne. Il marcatore dell’infiammazione (IL1-β), invece, è aumentato in entrambi i gruppi di studio.
Il dottor Shanil Juma, che ha coordinato la ricerca, ha affermato come “questi risultati forniscono dati promettenti, che collegano il consumo di uva a due risultati molto importanti per chi convive con l’osteoartrite del ginocchio: si è ridotto il dolore e ci sono stati miglioramenti nella flessibilità delle articolazioni. Altre ricerche saranno necessarie per comprendere meglio i risultati dei biomarcatori sierici, nonché le differenze di età e di genere osservati”.
Passiamo adesso invece agli studi preliminari condotti dai ricercatori della Wayne State University (WSU), che hanno dimostrato come l’estratto di buccia d’uva (GSE) possa essere utile nella prevenzione e cura del diabete. Secondo i ricercatori, l’estratto di buccia d’uva (GSE) potrebbe esercitare un’attività inibitoria sull’iperglicemia, candidandosi come rimedio naturale da utilizzare con efficacia nella gestione del diabete. La ricerca, nel suo successivo sviluppo, dovrà fornire approfondimenti circa l’azione inibitoria del GSE sull’iperglicemia postprandiale, oltre a garantire anche i dati preclinici a sostegno dell’efficacia e della sicurezza biologica del GSE, nella potenziale prevenzione e trattamento del diabete di tipo 2. La speranza legata a questa ricerca, spiega Kequan Zhou, professore di Alimenti e Scienza della Nutrizione nel Collegio di Arti Liberali e delle Scienze alla WSU, e ricercatore principale, è che offra “un potenziale trattamento naturale e senza effetti collaterali dannosi per le molte persone afflitte dal diabete di tipo 2”.

 

https://www.eurekalert.org/pub_releases/2014-05/ral-gcm050814.php

http://www.c-c-l.com/news,grape-skin-extract-may-help-treat-diabetes_543.htm

http://researchnews.wayne.edu/newsletter/648/category/452/article/10442

09-01-2018

Chi l’avrebbe mai detto che la cannella, una delle spezie più utilizzate in cucina, soprattutto per aromatizzare dolci, bevande e biscotti, fosse così importante per la salute umana. Un’ulteriore conferma viene da un recente studio condotto da un gruppo di scienziati di neurologia del Rush University Medical Center. Abbiamo già visto come la cannella possa essere utile per combattere il diabete. Ora, sappiamo che potrebbe costituire un enorme passo in avanti nella cura dei soggetti affetti dal morbo di Parkinson.
Il morbo di Parkinson è una malattia che progredisce lentamente e che colpisce una piccola area di cellule all’interno del cervello conosciuta come Substantia Nigra. La degenerazione progressiva di queste cellule causa la riduzione di un neurotrasmettitore vitale, la dopamina. Questo porta alla comparsa dei più comuni sintomi che caratterizzano la malattia, come: tremore su una parte del corpo a riposo, lentezza generalizzata nei movimenti, rigidità degli arti, problemi di equilibrio. La causa della malattia è sconosciuta, ma sappiamo che in Europa colpisce oltre un milione di persone, di cui duecentomila soltanto in Italia.
Grazie a una serie di esperimenti, gli scienziati hanno scoperto che l’uso della cannella è in grado di annullare le modifiche biomeccaniche, cellulari e anatomiche che si verificano nei pazienti affetti dalla malattia. La corteccia di cannella polverizzata, se ingerita, viene metabolizzata in una sostanza denominata benzoato di sodio, in grado di penetrare a livello cerebrale e di bloccare la perdita delle proteine Parkin e DJ-1 tipiche di questo genere di patologia. Non solo, questa stessa sostanza sarebbe in grado anche di proteggere i neuroni, normalizzare i livelli dei neurotrasmettitori e migliorare le funzioni motorie.
Naturalmente, per adesso si tratta solo di risultati ottenuti in laboratorio. Se ulteriori ricerche dovessero però confermare questi dati, la cannella, come affermato dal dottor Floyd A. Davis, professore di neurologia presso il Rush University Medical Center di Chicago, potrebbe diventare uno dei metodi più sicuri per fermare la progressione della malattia nei pazienti affetti dal morbo di Parkinson.
Questa spezia è stata ampiamente utilizzata in tutto il mondo per secoli, come conservante alimentare, grazie al suo effetto microbicida, come stimolante in caso di anemia o dissenteria, come astringente e fungicida. Ora, questa scoperta potrebbe rendere questa spezia tra le più preziose e importanti per la salute umana, utile a curare una malattia che incide enormemente sulla qualità della vita delle persone che ne sono affette.

 

https://link.springer.com/article/10.1007/s11481-014-9552-2

08-01-2018

Ora che avete brindato per l’inizio del nuovo anno sarà meglio che riponiate vini e liquori nel mobile bar. Bere in maniera regolare, infatti, non è una buona idea, almeno stando alle conclusioni di uno studio del Cambridge Biomedical Campus di Cambridge e del Wellcome Trust Sanger Institute di Hinxton. Secondo gli scienziati britannici guidati da Ketan J. Patel, l’assunzione di bevande alcoliche avrebbe l’effetto di alterare irrimediabilmente il DNA delle cellule staminali che producono il sangue, rendendole maligne. 
“Alcuni tumori si sviluppano a causa del danneggiamento del DNA delle cellule staminali. Mentre alcuni danni si verificano per caso, i nostri risultati suggeriscono che bere alcolici può aumentare il rischio di sperimentare questi danni”, spiega Patel, che ha pubblicato gli esiti del proprio studio su Nature.
Nel corso della sperimentazione, i ricercatori hanno somministrato etanolo a un gruppo di topi, dopodiché hanno utilizzato l’analisi cromosomica e il sequenziamento del DNA per esaminare il danno genetico provocato dall’acetaldeide, sostanza chimica nociva prodotta dal corpo in risposta all’assunzione di alcol. Le analisi hanno mostrato la capacità dell’acetaldeide di causare modificazioni cromosomiche e di alterare in maniera definitiva le sequenze del DNA delle cellule staminali del sangue. 
Ma la ricerca ha evidenziato anche gli strumenti di difesa messi in atto dall’organismo per proteggersi dagli effetti dell’alcol. Innanzitutto, c’è il lavoro degli enzimi ALDH (aldeide deidrogenasi), che trasformano l’acetaldeide in acetato, sostanza utilizzabile dalle cellule come energia. Il secondo livello di difesa è rappresentato da una varietà di sistemi di riparazione del DNA che permettono di correggere la maggior parte dei danni genetici. A volte, però, questi meccanismi falliscono, anche perché alcuni soggetti sono portatori di mutazioni che impediscono alle cellule di eseguire le riparazioni necessarie.
“Il nostro studio evidenzia che l’impossibilità di metabolizzare in modo efficace l'alcol può aumentare il rischio di subire danni al DNA e quindi di sviluppare determinati tumori, conclude il professor Patel . Ma è importante ricordare che l'alcol e i sistemi di riparazione del DNA non sono perfetti e che l'alcol può provocare il cancro in diversi modi, anche nelle persone che possiedono meccanismi di difesa intatti”.

 

https://www.sciencedaily.com/releases/2018/01/180103132629.htm

http://www.cancerresearchuk.org/about-us/cancer-news/press-release/2018-01-03-new-research-shows-how-alcohol-damages-dna-and-increases-cancer-risk

https://www.nature.com/articles/nature25154

08-01-2018

Un nuovo studio mette in evidenza i vantaggi del consumo di cereali integrali rispetto ai cereali raffinati e suggerisce che il consumo di cereali integrali migliora la risposta immunitaria. L’autore senior dello studio, Simin Nikbin Meydani del Jean Mayer USDA Human Nutrition Research Center on Aging alla Tufts University e colleghi, hanno pubblicato i loro risultati nel Journal of Clinical Nutrition.
Ci sono tre componenti che costituiscono il grano - crusca, germe ed endosperma. Il grano intero contiene tutti tre i componenti, mentre nel grano elaborato, crusca e germe vengono rimossi. Grano integrale, avena, segale, orzo, riso e quinoa sono tutti esempi di prodotti integrali, mentre i prodotti raffinati comprendono farina di frumento, riso bianco, pane bianco ecc. I cereali integrali sono considerati una parte fondamentale di una dieta salutare. Secondo l’American Heart Association, essi possono contribuire a migliorare i livelli di colesterolo oltre a ridurre il rischio di obesità, malattie cardiache, ictus e diabete di tipo 2.
Studi precedenti hanno suggerito che per produrre tali benefici, i cereali integrali riducono l’infiammazione. Meydani e colleghi hanno indagato ulteriormente questa associazione in uno studio che ha confrontato gli effetti dei cereali integrali e cereali raffinati sulle risposte immunitarie e infiammazione. Lo studio di 8 settimane ha coinvolto 81 adulti sani, i quali hanno consumato una dieta ricca di cereali raffinati per le prime 2 settimane. Per le restanti 6 settimane, 40 dei partecipanti allo studio hanno seguito una dieta ricca di cereali raffinati, mentre i restanti 41 partecipanti sono stati sottoposti a una dieta ricca di cereali integrali. Tutti i pasti erano preparati da personale qualificato, in linea con le Dietary Guidelines for Americans ed erano stati progettati per il mantenimento costante del peso corporeo. Il team spiega che questo percorso era molto importante nella sperimentazione perché gli studi precedenti avevano dimostrato che aumentando l’assunzione di cereali integrali i soggetti perdevano peso, il che ha reso difficile determinare se la riduzione dell’infiammazione era dovuta al consumo di cereali integrali o alla perdita di peso. Inoltre, ad ogni partecipante è stato chiesto di evitare di utilizzare qualsiasi farmaco antinfiammatorio nelle 72 ore prima del prelievo dei campioni di sangue.
Per valutare come ogni dieta ha influenzato la flora intestinale, i ricercatori hanno analizzato campioni di feci dei partecipanti, mentre i campioni di sangue sono stati utilizzati per valutare le risposte immunitarie. Rispetto ai partecipanti che hanno consumato la dieta ricca di cereali raffinati, coloro che hanno consumato una dieta ricca di cereali integrali hanno mostrato un aumento di un tipo di batteri chiamati Lachnospira che è noto per la produzione di acidi grassi a catena corta. Il team spiega che gli acidi grassi a catena corta sono importanti per un sistema immunitario sano. Inoltre, i soggetti che hanno consumato la dieta ricca di cereali integrali hanno mostrato una riduzione degli enterobatteri - i batteri che causano l’infiammazione. Sulla valutazione dei campioni di sangue di entrambi i gruppi, il team ha scoperto che i soggetti che hanno consumato la dieta ricca di cereali integrali hanno mostrato un aumento delle cellule T, un tipi di globuli bianchi che allontana le infezioni.
I ricercatori spiegano che le differenze nella flora intestinale e nelle risposte immunitarie nei due gruppi sono risultate modeste, ma le loro scoperte gettano luce su come i cereali integrali influenzano l’infiammazione. “La forza di questo studio è che abbiamo trovato effetti modesti del grano intero sulla flora intestinale e sulla funzione immunitaria nel contesto di una dieta controllata in cui tutto il cibo fornito ai partecipanti ha permesso loro di mantenere il peso corporeo costante, eliminando così l’effetto confondente della perdita di peso associata all’aumento del consumo di fibre sui marker infiammatori e immunitari “, dice Meydani. “Inoltre, il nostro studio ci ha permesso di determinare con maggiore precisione, l’effetto dei cereali integrali sulla flora intestinale e risposte infiammatorie”.

 

http://www.medicalnewstoday.com/articles/315727.php

Lunedì, 08 Gennaio 2018 05:47

LA RHODIOLA E’ UN FANTASTICO ADATTOGENO.

08-01-2018

Questa nota proprietà antistress e la sua buona tollerabilità hanno offerto lo spunto per un recente studio tedesco, il primo che approccia l’uso della Rhodiola rosea nella cura della sindrome da burnout (esaurimento da stress). Si tratta di un disturbo legato principalmente all’ambito lavorativo, tra i sintomi si possono elencare: esaurimento fisico, ansia e irritabilità, panico, senso di colpa e bassa autostima, sfinimento, emicrania, sudorazione, disturbi gastrointestinali, insonnia e deterioramento della vita sessuale.
Lo scopo dello studio era verificare l’incremento della resistenza allo stress per prevenire i disturbi associati all’esaurimento nervoso. Sono stati somministrati 400 mg di estratto di Rhodiola rosea al giorno a 118 pazienti per 12 settimane; dopo una sola settimana di somministrazione diversi parametri erano già migliorati (in particolare “sfinimento” e “fatica”), continuando a migliorare fino alla fine dello studio. Dopo le 12 settimane di trattamento, quasi tutti i parametri erano significativamente migliorati, con una incidenza totale degli effetti collaterali irrisoria. Questo studio offre una incoraggiante base per approfondire ulteriormente l’utilizzo della Rhodiola rosea nella cura di pazienti con sindrome da burnout.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28367055

08-01-2018

Le donne che aspirano a diventare mamme dovrebbero prestare molta attenzione alla frutta e alla verdura che mettono in tavola. Un nuovo studio di Harvard, dopo aver indagato sugli effetti dei pestici sugli spermatozoi, ha infatti trovato un legame tra consumo di alimenti ricchi di residui di erbicidi e ridotta fertilità femminile. Quando una donna cerca di rimanere incinta le si consiglia sempre di adottare una dieta sana, ricca di frutta e verdura visto che questi prodotti naturali contengono fibre e vitamine importanti come l’acido folico, fondamentale per il benessere del feto. Questo rimane indubbiamente un buon consiglio ma, secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista JAMA Internal Medicine, le donne che mangiano ogni giorno 2 o più porzioni di frutta e verdura ad alto contenuto di pesticidi hanno una probabilità minore del 18% di rimanere incinte e una probabilità più bassa del 26% di portare a termine la gravidanza.
Lo studio è stato condotto su 325 donne tra i 18 e i 45 anni che sono state sottoposte ai trattamenti anti-sterilità con tecnologia riproduttiva assistita presso il Massachusetts General Hospital. I ricercatori hanno fornito alle partecipanti alcuni questionari per avere maggior informazioni sulle donne: altezza, peso, salute generale, assunzione di integratori e altro. Hanno poi analizzato l'esposizione ai pesticidi di ciascuna partecipante determinando se la frutta e la verdura che consumava era trattata con livelli elevati o bassi di pesticidi. Gli scienziati hanno valutato i livelli di pesticidi sulla base dei report dell’US Department of Agriculture’s Pesticide Data Program che controlla la presenza di queste sostanze chimiche negli alimenti venduti in tutti gli Stati Uniti. I frutti più contaminati da pesticidi sono risultati le fragole seguite da pesche, spinaci e peperoni mentre avocado, cipolle, prugne secche, mais e succo d'arancia hanno residui decisamente più bassi. I risultati sono stati abbastanza shockanti: rispetto alle donne che mangiavano meno di una porzione giornaliera di frutta e verdura ad alto contenuto di pesticidi, coloro che ne mangiavano più di 2 avevano il 26% di probabilità in più di avere un aborto spontaneo.
In merito il dottor Yu-Han Chiu, primo autore dello studio e ricercatore del dipartimento di nutrizione presso la Harvard T.H. Chan School of Public Health, ha dichiarato: "La maggior parte degli americani sono esposti a pesticidi ogni giorno, consumando frutta e verdura coltivati tradizionalmente. Per qualche tempo ci sono state preoccupazioni in merito al fatto che l'esposizione a basse dosi di pesticidi attraverso la dieta (come quella che abbiamo osservato in questo studio) possa avere effetti negativi per la salute, in particolare nelle popolazioni sensibili come le donne in gravidanza e il loro bambini. Il nostro studio dimostra che questa preoccupazione non era ingiustificata".
Nonostante i ricercatori segnalino che sia estremamente importante verificare, attraverso nuovi studi, che i risultati ottenuti siano corretti, consigliano anche alle future mamme di consumare frutta e verdura a basso livello di pesticidi meglio se da agricoltura biologica. E’ buona cosa poi lavare sempre frutta e verdura con una soluzione di acqua e bicarbonato di sodio.

 

https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/fullarticle/2659557

http://edition.cnn.com/2017/10/30/health/pesticides-in-food-fertility-study/index.html?mc_cid=987a7751cb&mc_eid=959a7ca8f4

Sabato, 06 Gennaio 2018 21:09

SE PERDI I DENTI VIVI DI MENO.

07-01-2018

Igiene orale e aspettativa di vita: più denti perdiamo meno viviamo. È l’allarme che arriva dalla Oral Health Foundation (OHF), l’ente inglese di beneficenza per la salute orale nel mondo, che ha condotto uno studio che collega la nostra longevità proprio con la salute dei denti. Secondo la ricerca, svolta da alcuni ricercatori della Columbia University, chi arriva a 74 anni senza aver perso denti è probabile che possa arrivare anche all’età di 100 anni. Chi invece a 65 anni ha già perso 5 o più denti, ha un rischio maggiore di essere colpito da patologie come problemi cardiovascolari, diabete e anche osteoporosi. Perdere denti, insomma, va collegato ad altre condizioni cliniche e bisogna preoccuparsene seriamente. Secondo l'OHF, in buona sostanza, la dentatura va considerata importante non solo per l’atto dalla masticazione, ma anche come un indicatore sul proprio stato fisico.
“Ci sono molte ragioni per cui qualcuno può perdere i denti - dicono dalla Oral Health Foundation -, ad esempio può dipendere da traumi, fumo o semplicemente da una scarsa igiene orale protratta nel tempo, ma la perdita di denti può essere anche correlata alle malattie gengivali, che sono strettamente legate ad altre condizioni cliniche come malattie cardiache e diabete”.
Cosa fare allora? Secondo la OHF bisognerebbe sempre lavarsi i denti almeno due volte al giorno e andare a visita dal proprio dentista a cadenza regolare. Inoltre, per avere denti sani:

1. Curate l’alimentazione, a partire dall’infanzia e dall’adolescenza per prevenire, oltre la carie dentale, anche la carenza di importanti nutrienti come il ferro.

2. Non eccedete con gli zuccheri.

3. Masticate cibi ricchi di fibre, per detergere i denti e stimolare la produzione di saliva, che contiene sostanze salutari per il benessere dei tessuti dentari e aumenta il pH della placca.

4. Mangiate frutta e verdura: ricche di vitamine, che contribuiscono anche alla salute orale.

5. Evitate carie, che produce una distruzione dei tessuti duri dei denti (smalto e dentina), e placca batterica, la principale responsabile delle più frequenti malattie dei denti e dei tessuti di supporto.

6. No al fumo: l’uso del tabacco, a causa dello sviluppo localizzato di alte temperature e dell'azione diretta della nicotina, determina un ispessimento dello strato più superficiale della mucosa, alterazioni cellulari e della vascolarizzazione e causa di tumori della cavità.

7. No all’alcol: l’alcol viene degradato dagli enzimi naturalmente presenti nella bocca e si trasforma in una sostanza chiamata acetaldeide che danneggia i tessuti parodontali. In più, le bevande alcoliche, anche per il loro elevato contenuto di zuccheri, provocano un'acidosi orale e predispongono allo sviluppo di erosioni e carie dentali.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27501497

https://www.researchgate.net/publication/306005247_Tooth_loss_as_a_predictor_of_shortened_longevity_exploring_the_hypothesis

07-01-2018

Lo studio doppio cieco placebo controllato è durato 6 mesi durante i quali gli individui sono stati suddivisi in tre gruppi di somministrazione: alta dose di cromo 1000 mcg/die, dose moderata 600 mcg/die e gruppo placebo. I partecipanti sono stati sottoposti al test orale di tolleranza al glucosio (OGTT), comunemente detto “curva da carico” all’inizio dello studio, dopo 3 mesi e al termine dei 6 mesi. I risultati sono stati comparati a modelli di esiti fissi utilizzati per stimare i cambiamenti principali nella curva del glucosio e dell’insulina e nell’indice di sensibilità insulinica.
L’analisi dei risultati ha dimostrato che il gruppo di soggetti che avevano assunto una dose moderata di cromo picolinato riduceva l’esito del test di tolleranza, mentre il gruppo placebo aveva un aumento. I risultati relativi all’insulina mostravano un aumento della risposta insulinica, ma un diminuito indice di sensibilità. Nonostante i risultati siano da approfondire il cromo picolinato, soprattutto nel dosaggio medio, sembrerebbe un’ottima strategia per aumentare il controllo glicemico.

 

 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27835050

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