Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

20-01-2018

I suffumigi, o anche fumenti, sono tra i rimedi della nonna più antichi e utilizzati. Sono utili a trattare diversi tipi di disturbi, legati soprattutto alle stagioni più fredde. Sono ottimi, infatti, contro il raffreddore, il naso chiuso o il mal di gola. Il vapore acqueo aiuta a liberare il naso intasato e a fluidificare i muchi, alleviando la tosse e permettendo di respirare meglio. L’azione del vapore viene amplificata unendo ingredienti specifici, come il bicarbonato o alcuni oli essenziali o piante specifiche per trattare le problematiche alle vie respiratorie.
Praticarli è molto semplice: basta trovare un recipiente adeguato, sufficientemente grande da produrre la quantità di calore necessario, portare l’acqua alla giusta temperatura e trovare un panno per coprire e isolare il capo dall’esterno, in modo da favorire l’inalazione dei vapori. I suffumigi vanno praticati per circa due minuti respirando con il naso e con la bocca, dopo di che la testa va tirata fuori per qualche secondo, per riprendere nuovamente l’operazione. Ripetete per almeno 3 volte, o fino a quando è presente il vapore.

SUFFUMIGI E BICARBONATO

Il bicarbonato è uno degli ingredienti più utilizzati quando si parla di suffumigi. Un cucchiaio di bicarbonato nella pentola d’acqua bollente aiuta in caso di raffreddore e naso chiuso. l bicarbonato è disinfettante ed è importante sia per dare effervescenza all’acqua che per aiutare a sprigionare tutti i benefici degli eventuali oli essenziali che si andranno ad aggiungere al rimedio.

ERBE E OLI ESSENZIALI

Gli oli essenziali possono amplificare l’azione del vapore acqueo, aiutando il processo di guarigione. Ci sono diverse piante che, grazie alle loro proprietà, si rivelano particolarmente efficaci in questo. Tra le più conosciute troviamo quelle con proprietà balsamiche, come l’eucalipto e il timo. Il timo in particolare è una pianta che ci aiuta a eliminare e fluidificare il catarro. Vanno bene anche basilico, rosmarino, lavanda, maggiorana, ma anche le piante con proprietà lenitive, soprattutto in presenza di irritazioni e tosse. L’eucalipto, non lo dimentichiamo, è uno dei migliori oli essenziali usati per la salute dell’apparato respiratorio. È antisettico, antibatterico e antivirale e possiede proprietà balsamiche ed espettoranti.

Infine, i suffumigi possono rivelarsi un ottimo alleato anche contro la sinusite. 
Ricordatevi, prima di utilizzare qualsiasi rimedio naturale, soprattutto in caso di bambini, di confrontarvi sempre con uno specialista. Gli oli essenziali possono presentare controindicazioni legate a ipersensibilità verso alcuni loro componenti o per problematiche legate a eventuali patologie o terapie farmacologiche.

30-09-2016

L’angelica cinese (dong quai), è considerata da millenni in Cina tra le principali erbe per i disturbi femminili, dove è tradizionalmente utilizzata come tonico corroborante e impiegata in disturbi ginecologici quali dismenorrea, irregolarità del ciclo e menopausa. L’azione benefica esercitata da questa pianta su alcuni disturbi dell’apparato riproduttivo femminile sembra dovuta essenzialmente ai composti volatili della radice, tra i quali il principale è il ligustilide. Nella radice sono presenti anche gli acidi ferulico, nicotinico e succinico, le vitamine B12, A ed E, l’acido ascorbico, alcuni fitosteroli e i principali macrominerali. In alcuni recenti studi è stata osservata un’attività cardioprotettiva, riferita tuttavia alla somministrazione di tale fitonutriente per via endovenosa e quindi non trasferibile all’uso orale. I dati riguardano l’inibizione dell’aggregazione piastrinica e i disturbi del ritmo cardiaco.
L’angelica in numerosi studi ha mostrato di ridurre la pressione sanguigna, migliorare la circolazione sanguigna, promuovere l’ematopiesi, svolgere azione analgesica e regolatrice delle contrazioni della muscolatura liscia uterina. Estratti a base di angelica cinese hanno mostrato attività antitumorale, neuroprotettiva e antitubercolotica in vitro. In modelli animali sono stati osservati effetti protettivi contro la tossicità da ciclofosfamide, la cardiotossicità da doxorubicina e la polmonite da radiazioni. Gli estratti a base di angelica hanno mostrato una debole azione estrogeno-agonista in vitro e la capacità di stimolare la proliferazione di recettori dell’estrogeno sia positivi che negativi in linee cellulari di cancro al seno MCF-7. Queste azioni trovano vasto impiego in campo ginecologico. Spesso l’angelica viene usata in combinazione con altre piante (astragalo, erba medica) per condizioni quali amenorrea, endometriosi e fibromi uterini.

SINDROME PREMESTRUALE

La radice di angelica cinese è in grado di ridurre i sintomi legati alla sindrome premestruale, in particolare l’infiammazione e gli spasmi a livello dell’utero. Anche se il meccanismo non è ancora stato individuato con precisione, sembra che l’azione antinfiammatoria agisca provocando il rilassamento dei muscoli della parete uterina, normalizzando le contrazioni e gli spasmi muscolari (azione miorilassante).

DISMENORREA E IRREGOLARITA’ MESTRUALI

In uno studio clinico su donne sofferenti di dismenorrea, la somministrazione di ligustilide (150 mg 3 volte/die) per 3-7 giorni durante il ciclo mestruale, ha prodotto un miglioramento dei sintomi nel 77% delle donne trattate. Tale attività sembra dovuta all’azione antispasmodica dell’Angelica sinensis. L’azione tonica dell’estratto è efficace anche per il trattamento delle irregolarità mestruali, stimolando il ritorno del ciclo mestruale, in particolare nei periodi che seguono l’assunzione della pillola contraccettiva. Due componenti dell’angelica influenzano la muscolatura liscia uterina in maniera opposta. L’attività antispasmodica è attribuita ai componenti presenti nell’olio volatile, come il ligulistide, mentre la funzione stimolante dell’utero è attribuita alla frazione idrosolubile, dei costituenti non volatili della pianta.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16691630

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19571521

19-01-2018

Cumino nero contro l’ipotiroidismo. È la nuova scoperta che arriva da uno studio clinico randomizzato che rivela che l'antico cibo di guarigione conosciuto come “Nigella sativa” (alias “seme nero”, comunemente il cumino nero), un tempo noto come il “rimedio per tutto, tranne la morte”, può fornire un trattamento ideale per la condizione autoimmune della tiroide nota come malattia di Hashimoto, che è la causa più comune di ipotiroidismo.
Il Cumino nero è noto anche come seme nero, fiore di finocchio, fiore di noce moscata, coriandolo romano, seme nero di cipolla o sesamo nero: tutti nomi che spesso possono ingannare e portare a confondere la Nigella con altre spezie, ma che invece si riferiscono allo stesso seme il cui nome botanico è proprio Nigella sativa. Si tratta di un seme dalle millenarie proprietà stimolanti e di ricostituenti naturali e rimedio naturale molto utilizzato nella medicina popolare orientale ma anche in quella Ayurvedica, di tradizione indiana. In India e in Cina, per esempio, l’olio di Cumino nero viene usato come un antibiotico naturale.
Lo studio, pubblicato sulla rivista BMC Complementary and Alternative Medicine, ha valutato gli effetti della Nigella sativa sulla funzione tiroidea e le caratteristiche antropometriche in pazienti con tiroidite di Hashimoto. Prendendo in esame 40 pazienti con tiroidite di Hashimoto, di età compresa tra i 22 ei 50 anni, gli studiosi hanno diviso i partecipanti in due gruppi: un gruppo ha ricevuto due grammi di polvere di Nigella sativa incapsulata e l’altro 2 grammi di placebo al giorno per 8 settimane. Dai risultati è emerso che il trattamento con Nigella sativa ha ridotto significativamente il peso corporeo e l’indice di massa corporea (BMI), così come le concentrazioni sieriche di ormone stimolante la tiroide (TSH) e gli anticorpi anti-tireoperossidasi (anti-TPO o TPOAb), mentre le concentrazioni sieriche di T3 sono aumentate nel gruppo trattato con Nigella sativa. In più, si è registrata una riduzione significativa delle concentrazioni sieriche di VEGF nel gruppo di intervento. Nessuno di questi cambiamenti è stato osservato nel gruppo trattato con placebo. Il cumino nero, quindi, migliorerebbe lo stato tiroideo e le variabili antropometriche nei pazienti con tiroidite di Hashimoto. Un rimedio naturale sul quale i ricercatori vogliono ancora indagare.

 

https://bmccomplementalternmed.biomedcentral.com/articles/10.1186/s12906-016-1432-2

19-01-2018

I calcoli biliari sono dei depositi duri, cristallini, che si formano nella cistifellea, organo appena al di sotto del fegato, e che ostruiscono il passaggio della bile. La loro composizione è varia, così come la loro dimensione. La cistifellea è coinvolta nel processo digestivo dell’organismo, in quanto conserva la bile prodotta dal fegato e necessaria per la digestione dei grassi. Un accumulo eccessivo di sostanze, quali ad esempio colesterolo e calcio, può portare alla formazione di calcoli che vanno a bloccare il dotto biliare. Se la bile non scorre bene nei condotti, può causare infiammazioni anche gravi alla cistifellea, ai dotti epatici e, in casi estremi, persino al fegato. Nel dotto epatico, confluiscono anche altri dotti come quello pancreatico che può a sua volta essere soggetto a pericolose infiammazioni. Una qualsiasi complicazione può essere molto rischiosa. Per questo la presenza di calcoli alla cistifellea è una condizione che non deve essere mai sottovalutata. Calcoli di piccole dimensioni possono essere trattati anche con rimedi naturali. Tuttavia, è sempre meglio consultarsi con uno specialista, per la delicatezza dell’argomento e i rischi ad esso collegati.

I SINTOMI PIU’ COMUNI

Quando i calcoli si bloccano in un dotto biliare, i sintomi più comuni sono: dolore nella parte superiore destra dell’addome, nausea, vomito e gonfiore. Questa problematica è molto comune e può essere risolta chirurgicamente o attraverso terapie particolari volte a sciogliere i calcoli. In genere, la medicina tradizionale consiglia l’intervento chirurgico. Un trattamento più recente è la litotrissia, con la quale i calcoli vengono “bombardati” da onde acustiche che li frantumano, favorendo l’espulsione.

RIMEDI NATURALI

Esistono tuttavia delle erbe officinali e dei vecchi rimedi che possono essere utili nel trattamento e prevenzione dei calcoli biliari. Ecco quali.

TARASSACO

Il tarassaco è una pianta molto diffusa, spesso utilizzata nei problemi di fegato e cistifellea. Migliora la funzionalità del fegato in generale e incrementa la produzione di bile, limitando quindi un accumulo eccessivo di colesterolo e calcio, tra le principali cause della formazione di calcoli.

CARDO MARIANO

Anche il cardo mariano è una pianta utile alla prevenzione dei calcoli alla cistifellea. Non solo rinforza il fegato, ma riduce la quantità di colesterolo presente nella bile.

OLIO ESSENZIALE DI MENTA PIPERITA

Quest’olio è considerato utile nello scioglimento dei calcoli biliari. In genere viene assunto lontano dai pasti, in una dose che non supera mai gli 0,4 ml. Gli oli naturali presenti nelle foglie di menta piperita possono accelerare il flusso biliare. La menta piperita può essere inoltre consumata sotto forma di tè, facendo bollire una manciata di foglie nell’acqua per 5-10 minuti.

SUCCO DI MELA

L’acido malico presente nel succo di mela è considerato un buon rimedio, utile per ammorbidire i calcoli e abbassare i livelli di colesterolo nel sangue, riducendo appunto il rischio della formazione di cristalli. Spesso si consiglia di sciogliere un cucchiaino di aceto di mele in un bicchiere di succo di mela fresco e berlo una volta al giorno, sia come forma di prevenzione che come cura. Un metodo più discusso invece che prevede sempre l’utilizzo del succo di mele è il lavaggio epatico. È un metodo che in genere suscita non poche polemiche.

SUCCO DI PERA (NATURALE)

Le pere contengono pectina, una sostanza molto utile che si lega al colesterolo, rimuovendolo dall’organismo. C’è chi suggerisce anche di bere mezza tazza di succo di pera, mescolata ad acqua calda, per favorire l’ammorbidimento dei calcoli biliari.

SUCCO DI LIMONE

L’alto contenuto di vitamina C nel succo di limone aiuta a sciogliere i depositi cristallini che si formano all’interno della cistifellea. Non solo, sembra addirittura che una delle cause della formazione di calcoli biliari sia proprio collegabile a una carenza di vitamina C.

SUCCO DI BARBABIETOLA

Bere succo di barbabietola rafforza la funzione della cistifellea e aiuta anche a migliorare la produzione di bile.

Naturalmente, anche la dieta gioca un ruolo molto importante nell’insorgenza dei calcoli biliari. Cercate quindi di evitare cibi fritti e caffè. Prediligete fibre vegetali, mele, e altri alimenti, come ad esempio i carciofi, utili a pulire il sangue e a sostenere il fegato. Ricordate anche di bere molta acqua che aiuta a eliminare le tossine e a mantenere un flusso di bile ottimale.

19-01-2018

Alimentazione e rischio cardiovascolare: udite udite, i grassi non fanno poi così male. Sarebbero i carboidrati, piuttosto, a procurare un maggior rischio di mortalità cardiovascolare. A dirlo è l’analisi presentata dai ricercatori canadesi dello studio PURE, e pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet, che ha sconvolto la tesi sinora sostenuta di una necessaria sostituzione dei grassi totali e degli acidi grassi saturi con carboidrati per prevenire eventi cardiovascolari. La ricerca, presentata a Barcellona nel corso del congresso di cardiologia, in pratica mette in discussione ciò che finora avevano raccomandato tutte le linee guida di prevenzione della salute cardiaca. Ma come si è arrivati a questa nuova ipotesi secondo cui è una dieta ricca di glucidi a dover essere associata a un maggior rischio di mortalità? Ebbene, secondo Mahshid Dehghan, ricercatrice della Population Health Research Institute della McMaster University, dallo studio PURE (Prospective Urban Rural Epidemiology) si evince che la riduzione dei grassi “non migliorerebbe la salute delle persone”. Di contro, i vantaggi deriverebbero dalla riduzione dei glucidi, ossia i carboidrati sotto il 60% dell’energia totale, “e aumentando l'assunzione di grassi totali fino al 35%”.
PURE (Prospective Urban Rural Epidemiology) è uno studio osservazionale condotto dall’Università di Hamilton, in Ontario, che vuole esaminare l’impatto dell'urbanizzazione sulla “prevenzione primordiale” (come attività fisica o cambiamenti nell'alimentazione), sui fattori di rischio (obesità o ipertensione) e l’insorgenza di malattie cardiovascolari. Lo studio è stato condotto per 12 anni su più di 154 mila persone tra i 35 e i 70 anni, arruolati tra il 2003 e il 2013 in 18 paesi ad alto, medio e basso reddito dei cinque continenti. I ricercatori hanno analizzato il consumo di carboidrati e dei diversi grassi del campione con questionari validati a livello nazionale e relativi allo stile di vita e alla nutrizione, suddividendo poi i partecipanti in classi a seconda della dieta seguita. Hanno poi confrontato i dati con quelli relativi agli eventi e alla mortalità cardiovascolare: in totale 5.796 decessi e 4.784 eventi. Nella fascia alta del consumo di grassi, i partecipanti hanno mostrato una riduzione del 23% del rischio di mortalità totale, una riduzione del 18% del rischio di ictus e del 30% del rischio di mortalità per cause non cardiovascolari. Ogni tipo di grasso era associato alla riduzione del rischio di mortalità: meno 14% per i grassi saturi, meno 19% per i grassi monoinsaturi, meno 29% per quelli polinsaturi. Una maggiore assunzione di grassi saturi è stata anzi associata a una riduzione del 21%. In pratica, lo studio ha associato minori rischi all’assunzione di grassi, mentre sarebbe l’elevata assunzione di carboidrati a determinare un maggior rischio di mortalità cardiovascolare. Coloro che evitano di mangiare grassi, dicono gli scienziati, generalmente li sostituiscono con carboidrati come pane, pasta e riso, lasciando fuori dalla loro dieta nutrienti importanti e, secondo lo studio, un’alimentazione ricca di carboidrati è tra le più nocive, tanto che aumenta del 28% il rischio di morte prematura.
Conclusione? La ricerca consiglia di assumere il 35% di calorie proprio dal grasso. Per gli uomini significa 30 grammi al giorno, per le donne 20. Chi invece mangia più del 60% delle proprie calorie dai carboidrati ha un alto rischio di morte prematura.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19540385

18-01-2018

È ormai assodato che l’esposizione all'inquinamento atmosferico causi una serie di problemi di salute, soprattutto a livello respiratorio. Un nuovo studio ha però ora collegato lo smog ad un maggior rischio di soffrire di osteoporosi e fratture ossee. La ricerca, condotta presso la Columbia University's Mailman School of Public Health, ha rivelato che l'esposizione al particolato ha anche un effetto negativo sulle ossa che contribuisce ad indebolire. I risultati ottenuti dai ricercatori, pubblicati sul The Lancet, sono i primi a documentare come siano maggiori le fratture ossee in quelle comunità esposte ad elevati livelli di polveri sottili (PM2.5). Purtroppo si è visto anche che il rischio di ammalarsi di fratture ossee è più alto nelle comunità a basso reddito.
Per arrivare ad affermare questo i ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 9 milioni di persone (da 65 anni in su) che vivono in alcune zone degli Stati Uniti, monitorate per un periodo di otto anni (da gennaio 2003 a dicembre 2010). Le analisi hanno determinato che coloro che vivevano in luoghi con concentrazioni più elevate di particolato nell'aria avevano il 4,1% in più di probabilità di essere ricoverati in ospedale per fratture ossee correlate all'osteoporosi. Tra i quartieri a basso reddito, il rischio aumentato è stato ancora più alto (7,6%). Un ulteriore follow-up di otto anni relativo a 692 adulti di mezza età e a basso reddito ha scoperto che i partecipanti che vivono in aree con livelli più alti di PM2.5 e particelle di carbonio (la fuliggine proveniente da motori a gas e diesel, centrali a carbone e altri fonti di combustibili fossili) avevano livelli inferiori di ormone paratiroideo (sostanza particolarmente importante per la salute delle ossa), nonché una maggiore diminuzione della densità minerale ossea rispetto a coloro che erano esposti a bassi livelli dei due inquinanti.
I ricercatori hanno osservato che le polveri sottili possono causare danni ossidativi sistemici e infiammazioni che potrebbero accelerare la perdita ossea e aumentare il rischio di fratture ossee negli individui anziani. Così ha commentato Andrea Baccarelli, presidente di Scienze della Salute Ambientale alla Mailman School e autore principale dello studio: "Decenni di approfondita ricerca hanno documentato i rischi per la salute dell'inquinamento atmosferico, sulle malattie cardiovascolari e respiratorie, il cancro e le funzioni cognitive compromesse e ora l'osteoporosi”. Come suggeriscono gli esperti, il modo migliore per prevenire le malattie legate all’inquinamento atmosferico è attraverso politiche in grado di migliorare la qualità dell'aria. Naturalmente i risultati di questi studi vanno ampliati per valutare meglio l’impatto dei fattori ambientali sulla salute delle ossa e la comparsa di osteoporosi.

 

http://thelancet.com/journals/lanplh/article/PIIS2542-5196(17)30143-2/fulltext#.WgWVqgG-zJg.twitter

http://www.nydailynews.com/life-style/health/air-pollution-worsen-osteoporosis-study-article-1.3624393

18-01-2018

Le parti intime di una donna sono un ecosistema molto delicato e vanno trattate con una cura maggiore rispetto al resto del corpo. La vagina ha un pH acido che aiuta a mantenere sani i batteri buoni (ad esempio i lattobacilli) ed evitare la proliferazione di quelli nocivi. Bisogna adottare quindi gesti e prodotti mirati (solitamente quelli per pH 4.5). Se adottate delle abitudini non corrette infatti potete stravolgere l’equilibrio del pH e le parti intime possono essere soggette a infezioni, micosi, irritazioni. Ecco alcune buone abitudini da adottare così da eliminare i principali errori di igiene intima femminile che compromettono la salute della vagina.

IGIENE INTIMA: TROPPA DETERSIONE NON FA BENE

L’errore più comune che si commette circa l’igiene intima femminile è quello di lavarsi troppo. Avete capito bene. Spesso si pensa che lavarsi ogni volta che si va in bagno, metta al riparo la vagina dai batteri. Invece, soprattutto se vengono usati saponi troppo aggressivi o non specifici per il pH vaginale, si possono provocare o aggravare problemi come cattivo odore, secchezza o infezioni ricorrenti, come la candidosi. Non tutte sanno che la vagina si auto pulisce grazie alla lubrificazione. Per non alterare l’ecosistema interno, meglio lavarsi solo una volta al giorno, con acqua tiepida e prodotti delicati e biologici.

SECREZIONI ED IGIENE INTIMA FEMMINILE

Le secrezioni sono collegate proprio alla lubrificazione interna della vagina e all’autopulizia. È normale averne, perché le ghiandole della cervice uterina producono un lubrificante, per mantenere umido l’ecosistema, che poi scende all’esterno per mantenere l’ambiente pulito e sano. Quindi, non fate l’errore di lavarvi di più o di allarmarvi alla loro comparsa. Tuttavia, bisogna precisare che le secrezioni devono avere un colore limpido o biancastro, non avere un cattivo odore o provocare prurito o dolore. Se il colore è diverso potrebbe indicare un’infezione in corso. In questo caso è bene ricorrere al ginecologo.

RAPPORTI SESSUALI

Una precauzione da adottare per una corretta igiene intima femminile è quella di svuotare la vescica dopo ogni rapporto sessuale. Questa pratica infatti permette di eliminare grazie all’urina i batteri che potrebbero essersi introdotti nell’uretra (causando così cistite). Sciacquatevi con acqua calda e fate sempre attenzione a tamponare partendo da davanti per poi andare verso dietro (e non viceversa) così da evitare il trasferimento dei batteri dell’ano in vagina.

IGIENE INTIMA FEMMINILE E CICLO MESTRUALE

Un’attenzione particolare bisogna adottarla soprattutto durante i giorni delle mestruazioni. Preferite gli assorbenti lavabili, in cotone, che permettono la traspirazione ed impediscono la diffusione dei batteri. Oppure la coppetta mestruale che, essendo in silicone medicale, è igienica e pratica. Farete bene a voi stesse e all’ambiente.

ALCUNI GESTI BUONI PER LA VAGINA

- Preferite biancheria in fibra naturale come il cotone 100%. Evitate i materiali sintetici, che impediscono la traspirazione e favoriscono i batteri.

- Lavate la biancheria a 60° minimo e cambiatela ogni giorno.

- Durante le mestruazioni, cambiate protezione almeno 3 volte al giorno. Non tenete un assorbente interno per più di 4 ore di fila.

- Evitate abbigliamento troppo stretto sulla zona pelvica.

- Lavatevi le mani prima del contatto con le parti intime.

- Dopo la piscina o il bagno, non tenete addosso il costume bagnato per troppo tempo perché l’umidità favorisce l’insorgenza di micosi.

- Consultate regolarmente un ginecologo, almeno una volta l’anno, per prevenire e individuare eventuali infezioni.

Giovedì, 18 Gennaio 2018 06:57

ALIMENTI SENZA GLUTINE PIENI DI METALLI.

18-01-2018

Saranno anche privi di glutine, ma gli alimenti tanto in voga ora fra i consumatori decisi a sperimentare la dieta gluten-free sono ricchi di metalli. Lo segnala uno studio apparso su Epidemiology e coordinato dalla dott.ssa Catherine M. Bulka dell'Università dell'Illinois di Chicago. Lo studio ha evidenziato la presenza di concentrazioni troppo alte di cadmio, mercurio e arsenico nel flusso sanguigno di soggetti affetti da celiachia, quindi costretti a seguire una dieta priva di glutine. Gli scienziati hanno esaminato il regime alimentare di oltre 7.000 persone fra i 6 e gli 80 anni, confrontandolo con quello di 73 soggetti affetti da celiachia che seguivano una dieta gluten-free. In questo gruppo di persone, il livello dei metalli pesanti era molto elevato e potenzialmente in grado di favorire l'insorgenza di malattie cardiovascolari croniche o il cancro. Arsenico e cadmio rientrano fra i cancerogeni del gruppo 1, mentre il mercurio appartiene al gruppo 2b, quello dei possibili cancerogeni. La probabile causa dell'innalzamento dei livelli di questi metalli nel sangue dei soggetti celiaci o che comunque seguono una dieta priva di glutine risiede nel maggior consumo di riso, fonte riconosciuta di arsenico e metilmercurio. Il riso assorbe più di altri cereali l'arsenico utilizzato nella composizione degli erbicidi e dei pesticidi.
Se i pazienti celiaci al momento non hanno altra possibilità se non seguire un regime alimentare privo di glutine, quindi, è bene che le persone sane non ricorrano allo stesso tipo di alimentazione solo per accondiscendere a una tendenza del momento o al solo scopo di dimagrire.

 

https://www.sciencedaily.com/releases/2017/02/170213131150.htm

https://news.uic.edu/gluten-free-diet-may-increase-risk-of-arsenic-mercury-exposure

http://www.medicalnewstoday.com/articles/315846.php

Mercoledì, 17 Gennaio 2018 06:35

TREGUA ALL’ASMA CON GLI OMEGA-3.

17-01-2018

I ricercatori dell’Università di Rochester hanno dimostrato la loro utilità per contrastare l’asma e il respiro affannoso in molti pazienti con questo problema. In precedenza, alla fine del 2016 era stato pubblicato sul New England Journal of Medicine uno studio che sottolineava l’importanza dell’integrazione di omega-3 durante la gravidanza per ridurre il rischio di asma e respiro difficoltoso nei nascituri. Così i ricercatori, guidati dal Dott. Phipps, hanno collezionato campioni di sangue di 17 pazienti del Medicin’s Mary Parkes Asthma Center dai quali hanno isolato le cellule B del sistema immunitario per osservare direttamente gli effetti degli omega-3. Il risultato ha mostrato una riduzione della produzione di IgE, gli anticorpi che causano le reazioni allergiche e l’asma. Inoltre notarono che l’effetto degli omega-3 era meno efficace nei campioni dei pazienti che assumevano corticosteroidi orali per contrastare la patologia. Sembra infatti che i corticosteroidi, se utilizzati costantemente, riducano le abilità naturali del nostro organismo di contrastare l’infiammazione legata all’asma. Nonostante siano necessari studi su campioni più numerosi, i risultati incentivano la ricerca al fine di aiutare i soggetti che soffrono di asma.

 

https://www.news-medical.net/news/20170209/URMC-researchers-discover-how-omega-3-fatty-acids-in-fish-oil-could-be-used-for-asthma-patients.aspx

https://www.sciencedaily.com/releases/2017/02/170209092824.htm

https://www.urmc.rochester.edu/news/story/4727/evidence-points-to-fish-oil-to-fight-asthma.aspx

17-01-2018

Recenti studi suggeriscono che il ferro può avere un effetto protettivo contro le malattie cardiache. Questi risultati promettenti potrebbero aprire la strada a nuovi trattamenti. La malattia cardiovascolare (CVD) è la principale causa di morte negli Stati Uniti ed è responsabile di circa 610.000 decessi ogni anno. Un team di ricercatori dell’Imperial College di Londra e dell’University College London, entrambi nel Regno Unito, ha esaminato il legame tra i livelli di ferro nel corpo e il rischio di sviluppare il tipo più comune di malattia cardiovascolare: la malattia coronarica (CAD). Attualmente più di 370.000 adulti americani muoiono a causa della malattia coronarica, ogni anno. 
Precedenti ricerche hanno ipotizzato che i livelli di ferro nel corpo possono essere legati a malattie cardiache. Ma gli studi che hanno indagato questo collegamento hanno dato risultati incoerenti: alcuni studi suggeriscono che i livelli elevati di ferro possono proteggere contro le malattie cardiache e altri indicano l’esatto opposto. La nuova ricerca ha utilizzato la randomizzazione Mendeliana per approfondire questo collegamento. Più in particolare, gli scienziati - guidati dal Dr. Dipender Gill, un esperto clinico del Wellcome Trust all’Imperial College London - hanno cercato di stabilire la causalità, verificando se il ferro ha un effetto diretto sul rischio di CAD. Per questo, gli scienziati hanno indagato le variazioni genetiche individuali. “Poiché i nostri geni ci vengono assegnati in modo casuale prima che nasciamo, il loro impatto sui nostri livelli di ferro è meno influenzato dagli stili di vita o dai fattori ambientali che possono confondere gli studi osservazionali”.
Il Dr. Gill ed il suo team hanno esaminato i dati genetici di più di 48.000 persone. In particolare, si sono concentrati sui polimorfismi a singoli nucleotidi (SNP), che sono il tipo più comune di variazione genetica umana, nel tentativo di identificare quelli che causano un basso o alto livello di ferro. I polimorfismi a singoli nucleotidi possono servire come marcatori biologici e consentire agli scienziati di trovare i luoghi genetici di alcune malattie. Il Dr. Gill ed i suoi colleghi hanno analizzato tre punti specifici del genoma in cui un polimorfismo può aumentare o diminuire il livello di ferro nel corpo di una persona. Gli scienziati hanno poi utilizzato i dati combinati di due meta-analisi per lo screening di questi SNP, per un totale combinato di più di 124.000 persone con CAD. I risultati hanno confermato l’ipotesi che livelli più alti di ferro riducono la probabilità di sviluppare la malattia coronarica. “Questi risultati,” concludono gli autori, “potrebbero evidenziare un obiettivo terapeutico”.
Come spiegano gli autori, i risultati dovranno essere validati in un trial controllato randomizzato - in cui alcuni pazienti vengono somministrati con supplementi di ferro e alcuni con un placebo - per verificare se l’assunzione supplementare di ferro protegge contro la malattia coronarica. “Abbiamo dimostrato che avere un basso livello di ferro aumenta il rischio di malattia coronarica, ma ciò non significa che correggere i livelli di ferro risolve il rischio aumentato. Ciò che abbiamo evidenziato è un potenziale obiettivo terapeutico che non conoscevamo prima e che è facilmente modificabile“, dice il Dr. Gill. “Proprio come quando i livelli di colesterolo sono alti e noi li trattiamo con le statine, se i livelli di ferro sono bassi, possiamo trattare i pazienti con supplementi di ferro per ridurre al minimo il rischio di malattie cardiovascolari”.

 

http://www.medicalnewstoday.com/articles/318383.php

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