Angelo Ortisi
AVOCADO: ATTORNO AL SUO SEME LE SOSTANZE PIÙ PREZIOSE, UTILI ANCHE CONTRO I TUMORI.
30-01-2018
I benefici dell'avocado sono già noti da tempo ma un nuovo studio ha scoperto che le bucce che rivestono il seme sarebbero ancora più preziose per la nostra salute. Contengono, infatti, una serie di sostanze chimiche utili contro alcune malattie debilitanti. A rivelarlo è stata una ricerca condotta dall'American Chemical Society, secondo cui quella che finora era considerata la parte meno pregiata, lo scarto dell'avocado, in realtà vale oro per la salute umana e presto potrebbe passare dallo status di scarto a quello di tesoro. Grazie alla ricerca, gli scienziati hanno scoperto che il rivestimento dei semi di avocado, solitamente gettato via, contiene antitumorali e sostanze utili a contrastare l'aterosclerosi.
I ricercatori hanno esaminato circa 300 semi di avocado essiccati. Dopo una lavorazione aggiuntiva, la polvere ottenuta aveva prodotto circa tre cucchiaini di olio e della cera. Dalle successive analisi di questi prodotti il gruppo di ricerca ha trovato 116 composti nell'olio e 16 nella cera, molti dei quali non presenti nei semi. Nell'olio è stato trovato il docosanolo o alcol behenilico, un importante ingrediente utilizzato nei farmaci antivirali, l'eptacosano, che potrebbe inibire la crescita delle cellule tumorali, l'acido dodecanoico utile a ridurre il rischio di aterosclerosi. Nella cera, i ricercatori hanno rilevato il benzil-butil-ftalato, un plastificante utilizzato in numerosi prodotti sintetici dalle tende da doccia a dispositivi medici e altri due composti, utilizzato nei cosmetici e come additivo alimentare. “I gusci dei semi di avocado, che la maggior parte della gente considera un rifiuto, sono in realtà un gioiello perché i composti medicinali all'interno di essi possono essere utilizzati per curare il cancro, le malattie cardiache e altre patologie”, ha detto Debasish Bandyopadhyay, a capo dello studio. “I nostri risultati suggeriscono anche che i gusci dei semi sono una potenziale fonte di prodotti chimici utilizzati nelle materie plastiche e negli altri prodotti industriali”.
https://www.sciencedaily.com/releases/2017/08/170821085659.htm
I CAPELLI GRIGI AUMENTANO IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE.
30-01-2018
Capelli e cuore: gli uomini che li hanno brizzolati potrebbero correre un rischio maggiore di soffrire di malattie cardiovascolari. Proprio così, cavalieri dalla chioma argentea: se il vostro capello ha il fascinoso sale e pepe, non è detto che il vostro cuore scoppi di salute. È il curioso risultato che arriva da uno studio dell'Università del Cairo presentato all’EuroPrevent 2017, il Congresso annuale dell'European society of cardiology, secondo cui chi ha cominciato ad avere i capelli grigi un pò in anticipo con l’età potrebbe mettere in conto un "segnale cutaneo precoce" del pericolo cardiovascolare. I ricercatori sono partiti dal presupposto che aterosclerosi e ingrigimento della capigliatura pare seguano percorsi biologici simili, che comprendono la compromissione della capacità di riparare il DNA, lo stress ossidativo, l’infiammazione, i cambiamenti ormonali e l’invecchiamento delle cellule. “I nostri risultati suggeriscono che, indipendentemente dall'età cronologica, i capelli grigi indicano l'età biologica e potrebbero essere un segnale di un aumento del rischio cardiovascolare”, spiega Irini Samuel, coordinatore della ricerca.
Gli studiosi hanno così deciso di verificare se possedere molti capelli bianchi potrebbe essere collegato a un aumento del rischio di patologie al cuore e per scoprirlo hanno sottoposto 545 uomini adulti ad angiografia coronarica con TCMS (tomografia computerizzata spirale multistrato) per sospetta malattia coronarica. Poi, li hanno suddivisi in cinque gruppi, in base al grado d'ingrigimento dei loro capelli: chi aveva solo capelli scuri rientrava nel livello 1; chi aveva la maggior parte dei capelli scuri con alcuni bianchi nel livello 2; chi aveva lo stesso numero di capelli scuri e di capelli bianchi nel livello 3; chi aveva più capelli bianchi nel livello 4; chi aveva solo capelli bianchi nel livello 5. Infine, sono stati raccolti dati relativi ai fattori di rischio cardiovascolare. Alla fine dei test, si è dimostrata un’associazione tra un grado d’ingrigimento dei capelli pari o superiore a 3 e l’aumento del rischio di malattia coronarica. Questo fenomeno si riscontrava indipendentemente dall'età anagrafica dei partecipanti e dagli altri fattori di rischio cardiovascolare. In particolare, quello che è venuto fuori è la correlazione tra l’elevata presenza di capelli bianchi e una maggiore calcificazione coronarica. I risultati potrebbero aiutare in futuro gli studiosi ad identificare i pazienti più a rischio di malattie cardiache semplicemente analizzandone il colore dei capelli. Ma, come scrivono gli autori dello studio: “Sono necessarie ulteriori indagini sui segni cutanei di rischio che ci consentano d’intervenire fin dalle prime fasi del processo di sviluppo delle malattie cardiovascolari”.
http://www.cairoscene.com/LifeStyle/Cairo-University-Researchers-Find-Grey-Hair-Linked-Heart-Disease
http://www.telegraph.co.uk/news/2017/04/08/going-grey-early-increases-heart-attack-risk/
LUNGA VITA CON L’ASHWAGANDHA.
29-01-2018
I suoi principi attivi, i withanolidi, hanno mostrato attività contro modelli di Alzheimer, Parkinson, Huntington e lesioni al midollo spinale, suggerendo la sua utilità contro le malattie neurodegenerative. Uno studio sugli estratti delle foglie di ashwagandha (conosciuta anche come Withania) ha evidenziato un effetto protettivo contro il danno cellulare e un minor tasso di invecchiamento cellulare, associato al raddoppiamento del numero e della longevità delle cellule. I meccanismi d’azione dell’ashwagandha rappresentano un campo di ricerca tutto da esplorare; un recente studio sull’estratto delle sue foglie ha mostrato che questa sostanza possiede un potenziale nootropo. Le sostanze nootrope permettono di aumentare il rilascio di neurotrasmettitori, enzimi e ormoni, migliorando l'apporto di ossigeno al cervello o stimolando la crescita nervosa. Sono quindi in grado di migliorare il nostro stato fisico e mentale aumentando la memoria, combattendo l’affaticamento e agendo sulla qualità delle nostre performance. Quest’azione sembra particolarmente positiva per stimolare la differenziazione delle cellule di neuroblastoma e glioma, rallentare la patogenesi di Alzheimer e Parkinson, proteggere dalle neurotossine ambientali e migliorare la memoria.
LA VITAMINA D NON È TUTTA UGUALE: LA D3 È PIÙ EFFICACE DELLA D2.
29-01-2018
Non tutta la vitamina D è uguale. A dirlo è uno studio che ha analizzato le diverse tipologie di questa sostanza notando che alcune sono più efficaci di altre per aumentare i livelli nel sangue di vitamina e garantirci una buona salute. La vitamina D si può trovare in natura sotto diverse forme: le principali sono la D2 di origine vegetale e la D3 di origine animale o che si forma per l’esposizione della pelle alla luce ultravioletta del sole. Generalmente si riteneva che le due forme di vitamina D presentassero uguali benefici per la salute ma secondo una ricerca, condotta dall'Università di Surrey (Inghilterra), la vitamina D3 sarebbe molto più efficace se paragonata alla D2.
I risultati dello studio suggeriscono che le persone che consumano più spesso alimenti che contengono D3 o che prendono integratori hanno maggiori probabilità di incrementare i propri livelli di vitamina D. Per arrivare a questo risultato i ricercatori hanno esaminato i livelli di vitamina D di 335 donne asiatiche e bianche europee in due periodi invernali consecutivi quando i livelli di questa vitamina nel corpo sono minori. Le donne sono state suddivise in cinque gruppi ciascuno dei quali riceveva basse dosi di vitamina D tramite alimenti fortificati oppure un placebo. Nello specifico i differenti gruppi assumevano: succo contenente vitamina D2 o D3, un biscotto fortificato con D2 o D3 oppure un placebo.
Alla fine dell’esperimento si è visto che la vitamina D3 è stata due volte più efficace nell’aumentare i livelli di questa vitamina nel corpo rispetto alla sua controparte D2. I livelli di vitamina D nelle donne che avevano ricevuto vitamina D3 tramite succo o biscotto erano aumentati rispettivamente del 75% e del 74% mentre con la D2 l’aumento era stato solo del 33% e del 34%. I ricercatori concludono che un consumo quotidiano di alimenti ricchi di vitamina D3 può aiutare le persone ad evitare problemi di salute come l'osteoporosi, il rachitismo e l'aumentato rischio di malattie cardiovascolari. Ovviamente molto importante è anche la regolare esposizione al sole.
In realtà già una ricerca precedente, condotta nel 2012, era giunta allo stesso risultato facendo una revisione sistematica degli studi relativi a trials controllati che comparavano l'efficacia della vitamina D3 e della D2. Secondo gli ultimi dati dell’agenzia Public Health England, più di una persona su cinque nel Regno Unito è carente di vitamina D, si tratta non a caso di un paese dove il sole si vede poco, ma anche in Italia non siamo esenti dal problema che riguarda già l’età pediatrica. Vi ricordo che la vitamina D è una sostanza molto importante per la nostra salute. Tra le sue funzioni più importanti vi è la regolazione del metabolismo del calcio e i benefici sul sistema cardiocircolatorio e nervoso. Fate in modo dunque di garantirvi sempre il fabbisogno di questa vitamina.
UNA NUOVA RICERCA LO CONFERMA: LA CANNELLA AIUTA A PERDERE PESO.
29-01-2018
La cannella è una spezia buona, profumata e dai mille benefici. Tra le varie potenzialità riconosciute dalla scienza vi è la capacità di contribuire alla perdita di peso. Una nuova ricerca conferma ora questa proprietà. Uno studio, condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università del Michigan e pubblicato sulla rivista Metabolism: Clinical and Experimental, suggerisce che l’Aldeide cinnamica, l’olio essenziale che dona alla cannella il suo caratteristico sapore e odore, potrebbe potenzialmente aiutare le cellule di grasso a bruciare energia. I risultati sono stati ottenuti da un esperimento di laboratorio condotto su cellule di grasso (chiamate anche adipociti). Dopo aver trattato queste cellule con l’Aldeide cinnamica, i ricercatori hanno notato alcuni cambiamenti interessanti, soprattutto che vi era una maggiore espressione di geni e produzione di proteine che aiutano il metabolismo dei lipidi e la combustione dei grassi. Nei test gli scienziati, guidati dal dottor Jun Wu, hanno prelevato cellule di grasso umano, da volontari di diverse età, etnìe e indici di massa corporea. Quando le cellule sono state trattate con cinnamaldeide, queste hanno attivato un processo noto come termogenesi, ovvero le cellule hanno iniziato a bruciare più energia.
Questa ricerca, come hanno sottolineato gli scienziati, ha ottenuto risultati coerenti rispetto a quelli di precedenti studi ma questa volta in più gli esperti hanno dimostrato che il principio attivo presente nella cannella potrebbe essere efficace anche negli esseri umani (gli esperimenti pregressi erano stati condotti soprattutto su animali). C’è da dire però che consumare cannella potrebbe non essere la stessa cosa che mettere l’Aldeide cinnamica direttamente sulle cellule perché la cannella una volta entrata in bocca deve percorrere una lunga strada prima di arrivare alle cellule adipose e potrebbe anche non arrivarci. È per questo che non si riesce a definire e non è chiara la quantità di cannella che si dovrebbe mangiare per avere l’effetto desiderato.
C’è poi un altro problema: la cannella è spesso utilizzata su alimenti che non sono esattamente noti per il loro essere dietetico come torte, biscotti e dolci in genere. Nonostante questo vi sono anche prove del fatto che la cannella nell’ambito di un’alimentazione sana ed equilibrata potrebbe potenzialmente avere alcuni benefici legati al metabolismo e al peso. Vi è ad esempio, pubblicata su Annals of Family Medicine, una revisione sistematica che ha analizzato i risultati di 10 studi clinici rilevando che il consumo di cannella era associato ad un abbassamento di glicemia a digiuno, colesterolo totale, colesterolo LDL e livelli di trigliceridi nei pazienti con diabete di tipo 2. Nonostante tutto, gli scienziati ritengono che sia necessario approfondire con ulteriori studi i benefici e i possibili effetti collaterali della cannella prima che davvero si possa iniziare ad utilizzare per favorire la perdita di peso.
http://www.metabolismjournal.com/article/S0026-0495(17)302123/fulltext
ISOFLAVONE DELLA SOIA RIDUCE L’ATROFIA MUSCOLARE.
28-01-2018
Gli scienziati del Tokyo Institute of Technology (Tokyo Tech) hanno scoperto un mezzo per ridurre l‘atrofia muscolare mediante l’aggiunta di isoflavone aglicone della soia (AglyMax) alla dieta dei topi. Questa attenuazione dell’atrofia muscolare mediante isoflavone della soia è attribuibile alla capacità dell’isoflavone di bloccare il percorso dipendente dall’apoptosi nella fibra muscolare. Il supplemento AglyMax può anche attenuare la perdita muscolare legata all’età, la sarcopenia. “I semi di soia contengono due isoflavoni primari, chiamati genisteina e daidzeina e un isoflavone minore, chiamato gliciteina. I semi integrali e gli alimenti di soia non fermentati contengono gli isoflavoni primari nella forma “glicoside”, il che significa che sono associati ad una molecola di zucchero. Al contrario, alimenti di soia fermentati (come il miso, condimento derivato dai semi della soia gialla) contengono per lo più “agliconi”, ovverossia isoflavoni senza zucchero“.
I muscoli sani sono parte integrante della buona salute generale, poiché la massa muscolare è importante per il metabolismo e la mobilità. L’atrofia muscolare può comportare una miriade di vincoli nella vita di un individuo. Anche se un adeguato esercizio fisico e una corretta alimentazione aiutano a mantenere una massa muscolare sana, la terapia ormonale e gli integratori alimentari si sono dimostrati efficaci nel trattamento della condizione. In particolare, è noto che gli isoflavoni presenti nei prodotti di soia possiedono un marcato potenziale antiossidante. Gli studi hanno anche dimostrato gli effetti benefici degli isoflavoni sulla massa muscolare nei topi e altri roditori.
Kunihiro Sakuma e colleghi hanno approfondito questa conoscenza e hanno cercato di indagare se un isoflavone aglicone (AglyMax) dietetico potesse inibire l’atrofia muscolare. Hanno usato un modello di topo per rispondere a questa domanda. Al fine di indurre una condizione di atrofia muscolare, hanno rimosso la connessione del nervo sciatico al muscolo del polpaccio dei topi. Di conseguenza, il muscolo è stato privato delle stimolazioni nervose, portando a una graduale atrofia muscolare e alla perdita catastrofica della massa muscolare. Due gruppi di topi con nervi sciatici mozzati della gamba sinistra sono stati nutriti con una dieta normale o con una dieta integrata con AglyMax. Dopo 2 settimane, i muscoli di questi topi sono stati confrontati. I topi della dieta AglyMax sono risultati avere fibre muscolari sostanzialmente più spesse nel muscolo interessato, rispetto a quelli che hanno seguito una dieta normale.
Gli scienziati hanno anche cercato di determinare il modo in cui gli isoflavoni riducevano l’atrofia muscolare ed hanno scoperto che la dieta a base di isoflavoni inibisce la morte delle cellule muscolari (apoptosi). Nonostante tali intuizioni cruciali, gli scienziati hanno valutato l’effetto della supplementazione di soia solo nei muscoli denervati; pertanto, resta da verificare se la supplementazione di soia svolge un ruolo terapeutico simile in altre condizioni, come l‘atrofia legata all’invecchiamento. C’è speranza che studi futuri chiariscano sia il ruolo degli isoflavoni nella modulazione dell’atrofia muscolare, sia la sua possibile applicazione terapeutica in soggetti con atrofia muscolare dovuti all’invecchiamento o alla malattia.
https://link.springer.com/article/10.1007%2Fs00394-017-1593-x
DUE VITAMINE CONTRO L’OSTEOARTRITE.
28-01-2018
Un recente studio osservazionale condotto dall’East Tennessee Medical Group ha monitorato i livelli di vitamina K e vitamina D nel sangue in un campione di soggetti con osteoartrite. Ci sono stati miglioramenti significativi in chi presentava livelli adeguati di entrambe le vitamine, che non per quei soggetti con livelli ottimali esclusivamente di vitamina D. Lo studio ha coinvolto circa 1.069 partecipanti, oltre il 60% donne, per un’età media di 75 anni.
L’assunzione quotidiana delle due vitamine ha rispettato le indicazioni del Block Brief 2000 Food Frequency Questionnaire: minimo 90 mcg al giorno per le donne e 120 mcg per gli uomini di vitamina K; per la vitamina D, invece, si parla di un minimo di 600 UI al giorno per le persone sotto i 70 anni, e 800 UI per gli individui sopra i 70.
I test compiuti nel periodo di osservazione hanno evidenziato miglioramenti della risposta fisica nei soggetti i cui livelli di vitamina K e D erano nella norma: andatura più rapida sui 20 metri, maggior resistenza in piedi e nella camminata sui 400 metri. Si tratta del primo studio positivo che mette in relazione l’adeguata integrazione delle vitamine D e K con le problematiche funzionali più comuni dell’osteoartrite alle ginocchia. Sono dati osservazionali molto suggestivi che stimolano la ricerca a condurre nuovi studi clinici.
http://vaadrefuah.org/combined-adequate-vitamin-k-and-d-could-improve-knee-oa/
INFARTO: I GRUPPI SANGUIGNI PIU’ A RISCHIO.
28-01-2018
Gli appartenenti ai gruppi sanguigni A, B e AB mostrano un rischio superiore del 9 per cento di incorrere in un infarto rispetto a chi è del gruppo 0. Lo dimostra uno studio presentato nel corso dell’annuale riunione della Società Europea di Cardiologia di Parigi. La ricerca, condotta da medici del Centro medico universitario di Groningen, nei Paesi Bassi, ha evidenziato che fra le persone del campione (1,3 milioni di soggetti) con un gruppo sanguigno A, B e AB, l’1,5 per cento ha accusato un evento coronarico contro l’1,4 delle persone con gruppo 0, e il 2,5 per cento un evento cardiovascolare contro il 2,3 del secondo gruppo. «Avere un gruppo sanguigno non 0 è associato a un rischio aumentato del 9% di eventi coronarici e del 9% di eventi cardiovascolari, in particolare l’infarto del miocardio», spiega Tessa Kole, coordinatrice della ricerca. È probabile che il fenomeno abbia a che fare con una concentrazione più elevata di una proteina coagulante nel sangue degli appartenenti a gruppi non 0, il cosiddetto fattore di von Willebrand, noto per essere collegato a eventi trombotici. Gli stessi soggetti mostrano anche una maggiore familiarità con l’ipercolesterolemia. «In futuro - suggerisce Kole - il gruppo sanguigno dovrebbe essere considerato nella valutazione dei rischi per la prevenzione cardiovascolare, insieme al colesterolo, all’età, al sesso e alla pressione sanguigna».
https://www.sciencedaily.com/releases/2017/04/170430095446.htm
IL BRODO DI POLLO È COME UNA MEDICINA.
27-01-2018
La saggezza popolare talvolta si accorda con i risultati della scienza. È il caso del brodo di pollo, tradizionale “terapia” casalinga delle nonne il cui effetto benefico sull’organismo viene ora certificato da una ricerca del Nebraska Medical Center di Omaha pubblicata su Chest. Durante le analisi, i ricercatori americani hanno osservato una riduzione nel movimento dei neutrofili grazie all’assunzione di brodo di pollo. I neutrofili sono quei globuli bianchi incaricati di contrastare le infezioni. La loro riduzione suggerisce l’idea che il brodo di pollo riesca a ridurre l’infiammazione e di conseguenza ridimensionare la portata del loro intervento.
Il team diretto da Stephen Rennard ha sperimentato una precisa ricetta del brodo di pollo basata su questi ingredienti: gallina stufata, una confezione di ali di pollo, 3 cipolle, 1 patata dolce grande, 3 pastinaca, 2 rape, 11 o 12 carote, 6 gambi di sedano, un mazzetto di prezzemolo, sale e pepe a piacere. Gli stessi benefici erano stati riscontrati anche da un altro studio alcuni anni fa, in particolare grazie alla capacità del brodo di pollo di ripulire le cavità nasali. Insomma, non c’è niente di male nel rispettare le vecchie tradizioni. In questo caso, farete felici la nonna e il vostro organismo.
http://www.dailymail.co.uk/health/article-5137875/Chicken-soup-helps-fight-colds.html
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11035691
https://www.sciencedaily.com/releases/2000/10/001018075252.htm
CON LE NOCI SI PERDE PESO PIÙ VELOCEMENTE: ECCO PERCHÉ.
27-01-2018
Dimagrire e perdere peso grazie alle noci. Proprio così: consumare questo tipo di frutta secca aumenterebbe la forza di volontà di chi ha intenzione di perdere peso e farebbe dimagrire rapidamente. Già l’assunzione di cibi ricchi di omega-3, come anche i semi di lino, i semi di zucca, i semi di girasole o gli anacardi, è importante per ristabilire il corretto ritmo del metabolismo perché in grado di ridurre la produzione di un ormone chiamato leptina.
Ora una ricerca dimostra che le noci sarebbero in grado di aumentare l’attività cerebrale della regione associata al controllo e alla disciplina. Effettuate al Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, le indagini hanno suggerito che le persone si sentirebbero meno affamate dopo aver consumato delle noci. E ciò sarebbe dovuto a una precisa attività cerebrale. I ricercatori hanno preso a campione e monitorato dieci persone in sovrappeso. Durante i 5 giorni di esperimento, i partecipanti hanno bevuto ogni giorno un frullato contenente 48 grammi di noci. In una seconda fase, hanno consumato uno smoothie di noci uguale - dal punto di vista nutrizionale - al frullato. Alla fine dei monitoraggi, i pazienti sono stati sottoposti a una scansione cerebrale, mentre erano presentate loro alcune immagini di cibo come hamburger e dolci. Ebbene, quella che è emersa è una maggiore attività cerebrale nella regione associata al controllo. Per cui, secondo gli studiosi, le persone che mangiano noci avrebbero un grado più alto di controllo quando si trovano di fronte a del junk food. Gli studiosi, insomma, sostengono che, dopo aver consumato noci, ci si senta meno affamati o più pieni.