Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

08-02-2018

Zafferano contro l’Alzheimer. Questa spezia dalle mille proprietà potrebbe bloccare una delle malattie neurodegenerative più devastanti. Lo sostiene uno studio italiano secondo cui un estratto di zafferano sarebbe in grado di favorire la degradazione della proteina tossica beta-amiloide, la principale indiziata tra le cause della malattia, e di attivare e rendere più efficiente l’enzima "degradativo" catepsina B, rendendolo più efficiente. A spiegarlo è Antonio Orlacchio, direttore del Laboratorio di Neurogenetica del Centro europeo di ricerca sul cervello (CERC) dell'IRCCS Santa Lucia di Roma e professore di Genetica medica all'Università di Perugia, autore della ricerca pubblicata sul Journal of the Neurological Sciences.
Nello studio, gli scienziati hanno trattato in provetta insieme a un componente attivo dello zafferano (una trans-crocetina) le cellule immunitarie di 22 pazienti con la forma più diffusa di Alzheimer e con un quadro di declino cognitivo ancora lieve. Dai risultati, è venuto fuori che questo componente può portare alla degradazione della proteina tossica beta-amiloide “attraverso il potenziamento dell’attività di un enzima di degradazione cellulare chiamato catepsina B”, come si spiega nell’articolo. “Questi dati suggeriscono che l'integrazione dietetica con zafferano potrebbe essere testata su pazienti con la forma non ereditaria di Alzheimer (quella più diffusa) al fine di verificare in vivo il potenziale di questa spezia nel contrastare l'accumulo di beta-amiloide, che è probabilmente il risultato di uno sbilanciamento tra i processi di produzione e degradazione del peptide”.
Lo zafferano contiene potenti antiossidanti e molecole bioattive, come crocine e crocetine, i due principali componenti attivi della spezia con un efficentissimo potenziale neuroprotettivo. Inoltre, lo zafferano ha dato una risposta adeguata nel trattamento di tessuti neurali degenerati come la retina, e ha mostrato effetti antinfiammatori in cellule cerebrali in provetta.

 

http://www.jns-journal.com/article/S0022-510X(16)30699-2/abstract

https://www.researchgate.net/publication/309755307_Trans-crocetin_improves_amyloid-b_degradation_in_monocytes_from_Alzheimer%27s_Disease_patients

07-02-2018

Il finocchio è noto da tempo per i suoi benefici per la salute. Un nuovo studio conferma che è anche efficace nella gestione dei sintomi post-menopausa come vampate di calore, insonnia, secchezza vaginale e ansia, senza gravi effetti collaterali. I risultati dello studio sono stati pubblicati on-line, in Menopause, la rivista della North American Menopause Society (NAMS).
L’uso della medicina complementare e alternativa per la gestione dei sintomi della menopausa è lievitato negli ultimi anni, soprattutto quando le donne hanno tentato di trovare alternative alla terapia ormonale (HT) anche se è il trattamento più efficace per la gestione della maggior parte dei sintomi della menopausa. Il finocchio, che contiene oli essenziali, ha proprietà fitoestrogeniche. I fitoestrogeni sono sostanze chimiche estrogeno-simile presenti nelle piante che sono stati utilizzati per trattare efficacemente una vasta gamma di sintomi della menopausa.
In questo piccolo trial di 79 donne iraniane di età compresa tra i 45 ed i 60 anni, capsule contenenti 100 mg di finocchio sono state somministrate due volte al giorno per otto settimane. I miglioramenti sono stati confrontati tra il gruppo trattato e il gruppo placebo a quattro, otto e 10 settimane, con una differenza statisticamente significativa documentata. Lo studio ha concluso che il finocchio è un sicuro ed efficace trattamento per ridurre i sintomi della menopausa, senza gravi effetti collaterali.
Questo è uno dei primi studi clinici ad esaminare i benefici del finocchio nella gestione dei sintomi della menopausa, anche se era stato precedentemente studiato e confermato come trattamento dei sintomi premenopausa. Lo studio è stato realizzato a Teheran, Iran, dove l’età media delle donne in menopausa è più giovane rispetto agli Stati Uniti: 48,2 anni contro 51 anni, rispettivamente. Alcuni degli effetti indesiderati più comuni della menopausa sono le vampate di calore, secchezza vaginale, problemi di sonno, dolore articolare e muscolare, stanchezza, irritabilità, ansia e depressione.
“Questo piccolo studio pilota ha rilevato che, in base ad una scala di valutazione, il consumo di due volte al giorno di fitoestrogeni derivati dal finocchio ha migliorato i sintomi della menopausa rispetto a un insolito effetto minimo del placebo”, afferma il Dr. JoAnn Pinkerton, Direttore esecutivo del NAMS. “Un più grande studio randomizzato è ancora necessario per determinare i benefici a lungo termine del finocchio ed il profilo dei suoi eventuali effetti collaterali”, ha concluso il ricercatore.

 

https://www.eurekalert.org/pub_releases/2017-05/tnam-scb051617.php

Mercoledì, 07 Febbraio 2018 05:56

PERCHÉ IL CUORE È A SINISTRA?

07-02-2018

Già da piccoli ci insegnano una cosa fondamentale nell’anatomia del nostro corpo: il cuore è a sinistra! E questo è un dato di fatto ma fino ad oggi non si era riusciti a capire perché quest’organo tanto importante si trovasse proprio in quella posizione. Una nuova ricerca ci svela adesso perché il cuore si trova a sinistra. La scoperta è stata fatta da un team di ricerca dell’Istituto di Neuroscienze di Alicante in Spagna che ha visto pubblicati i suoi risultati sulla rivista Nature. Gli studiosi si sono concentrati sul processo di formazione dell’essere umano a partire dalla fase embrionale: è proprio nella pancia della mamma, infatti, che il cuore si sviluppa e si posiziona correttamente.
Il corpo umano è simmetrico solo esternamente. Abbiamo infatti due braccia, due gambe, due occhi, due orecchie ecc. All'interno l'organismo non rispetta però sempre questa simmetria: abbiamo infatti due reni, due polmoni ma un solo fegato, un pancreas e un cuore. La posizione di questi organi, inoltre, non è casuale. All’inizio dello sviluppo embrionale gli organi si trovano tutti nella parte centrale del corpo, nel caso degli invertebrati questi rimangono fermi mentre negli altri esseri un sistema complesso li fa muovere e li distribuisce in diverse posizioni. Cosa è allora che fa spostare il cuore verso sinistra?
Prima si riteneva che l’asimmetria veniva a crearsi in quanto una serie di segnali presenti sul lato sinistro venivano repressi dal lato destro ma adesso la ricerca ha fatto un passo avanti. Come ha dichiarato Angela Nieto, coordinatrice della ricerca: “abbiamo scoperto che esiste un ulteriore meccanismo: ci sono geni che si esprimono di più nel lato destro e che spingono quindi il cuore verso la parte opposta”. Sostanzialmente, hanno spiegato i ricercatori, durante la formazione di questo organo nella fase embrionale, ci sono gruppi di cellule che sono incorporate da destra e altre da sinistra. Si lavora dunque da entrambi i lati ma le cellule che si trovano a destra sono più numerose ed esercitano maggiori pressioni. Sarebbe appunto per questo che il cuore alla fine si trova a sinistra.
Questo meccanismo è di fondamentale importanza ma purtroppo, in alcuni casi, si inceppa. Secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno muoiono più di 250.000 neonati nelle prime settimane a causa di anomalie congenite. Tra i disturbi più comuni vi sono proprio malformazioni cardiache legate all'errata posizione del cuore. Quest'organo infatti, alla fine del processo di formazione, deve trovarsi con il suo fondo rivolto verso il lato sinistro, una posizione fondamentale per far sì che si colleghino perfettamente arterie e vene. Da oggi sappiamo qualcosa in più sui complessi, e ancora in parte sconosciuti, meccanismi del nostro corpo!

 

http://www.nature.com/nature/journal/v549/n7670/full/nature23454.html?foxtrotcallback=true#affil-auth

http://in.umh.es/datos/noticias/7_09_2017_nature_posicion_corazon.pdf

07-02-2018

Vi è mai successo di fermare o trattenere uno starnuto evitando così di fare rumore e di attirare su di voi l'attenzione degli altri? Può capitare magari perché si è in un contesto dove questo stimolo, in realtà del tutto naturale, può sembrare inappropriato. Ebbene evitate di farlo, la cosa potrebbe infatti rivelarsi pericolosa. Probabilmente non ci avete mai pensato ma trattenere uno starnuto può avere delle conseguenze inaspettate. Come ricorda un articolo, pubblicato sulla rivista BMJ Case Reports in seguito ad un evento accaduto in Gran Bretagna, la pressione dell’aria che dovrebbe uscire ma non lo fa potrebbe creare danni a gola e timpani. È proprio quello che è accaduto ad un uomo inglese giunto al pronto soccorso con una situazione davvero insolita: gonfiore al collo, problemi di deglutizione, tono della voce cambiato e altri sintomi tutti dovuti al semplice fatto di aver trattenuto uno starnuto. L’uomo aveva avvertito anche una sorta di scoppio all’interno della gola. Cosa era avvenuto? A causa delle bolle d’aria e della pressione che si era creata nella zona poiché lo sternuto non aveva avuto la possibilità di scaricarsi all’esterno si era formata una parziale lacerazione della faringe. I medici raccontano che si sentivano proprio i suoni delle bolle d’aria che all’interno del collo dell’uomo creavano degli scoppiettii. Lo sfortunato paziente è stato prontamente intubato, alimentato con il sondino, gli sono stati somministrati antibiotici e una settimana più tardi era fuori dall’ospedale anche se per la guarigione completa c’è voluto più tempo. Questo in quanto la lacerazione era piccola e non si è reso necessario un intervento chirurgico.
Il curioso caso rappresenta indubbiamente un’eventualità rara ma comunque da considerare per evitare che anche un semplice sternuto possa complicarci la vita ed avere effetti collaterali. Gli esperti dell’ospedale Universitario di Leicester, che si sono trovati ad affrontare il caso, ricordano che tapparsi naso e bocca impedendo ad uno starnuto di fuoriuscire può non solo provocare problemi alla faringe ma anche andare a lacerare un timpano e addirittura provocare un aneurisma (scoppio di un vaso sanguigno nel cervello). Per capire come mai possono insorgere dei problemi basta pensare al fatto che la velocità di uno starnuto può arrivare ad oltre 160 km/h. Insomma lasciamo i nostri starnuti liberi di uscire spontaneamente, tra l’altro la cosa è così liberatoria...Ricordiamoci però ovviamente di mettere sempre le mani davanti al viso o di aiutarci con un fazzoletto in modo da evitare la diffusione di virus e batteri.

 

http://casereports.bmj.com/content/2018/bcr-2016-218906.full?sid=5066f607-8129-4643-b2ec-b48a7f3c628c

Martedì, 06 Febbraio 2018 07:10

IL POTERE ANTICANCRO DELLA VITAMINA C.

06-02-2018

Il cancro è attualmente uno dei principali killer in tutto il mondo e il numero dei casi di cancro è destinato ad aumentare: si stima una crescita dei casi di cancro di circa il 70% nei prossimi 20 anni. Attualmente ci sono molte terapie disponibili per il trattamento del cancro, tuttavia, molte di esse non sempre sono efficaci e molte sono tossiche e causano gravi effetti collaterali. Una nuova ricerca, pubblicata dalla rivista Oncotarget, ha esaminato l’efficacia di tre sostanze naturali e tre farmaci sperimentali, per fermare la crescita delle cellule staminali del cancro (CSC). In particolare, lo studio, condotto da ricercatori dell’Università di Salford a Manchester nel Regno Unito e coordinato dalla Dr.ssa Gloria Bonuccelli, era concentrato sull’impatto della vitamina C sulla crescita delle cellule tumorali. In totale, i ricercatori hanno misurato l’impatto di sette sostanze sulla crescita del tumore: il farmaco stiripentolo, tre farmaci sperimentali (actinonin, FK866, e 2-DG) e tre sostanze naturali, fenil estere dell’acido caffeico, silibina (il principale costituente attivo della silimarina, un estratto dei semi di cardo mariano) e l’acido ascorbico o vitamina C.
La ricerca si è concentrata sui processi bioenergetici delle cellule staminali del cancro che consentono alle cellule di vivere e moltiplicarsi. Lo studio mirava a disturbare il metabolismo delle CSC e, infine, a prevenire la loro crescita. Di tutte le sostanze testate, il team ha scoperto che actinonin e FK866 erano i più efficaci. Tuttavia, anche i prodotti naturali hanno dimostrato di prevenire la formazione delle CSC, e tra questi prodotti naturali, la vitamina C era 10 volte più efficace del farmaco sperimentale 2-DG. Inoltre, lo studio ha rivelato che l’acido ascorbico agisce inibendo la glicolisi, il processo con cui il glucosio viene ripartito all’interno dei mitocondri delle cellule e trasformato in energia per la proliferazione cellulare. 
Il Dr. Michael P. Lisanti, Prof. di medicina traslazionale presso l’Università di Salford, commenta così i risultati dello studio: “Abbiamo cercato di colpire le cellule staminali del cancro con una serie di sostanze naturali, tra cui silibina (cardo mariano) e CAPE, un derivato del miele delle api, ma di gran lunga i risultati più emozionanti li abbiamo ottenuti con la vitamina C che è a buon mercato, è naturale, non tossica e facilmente disponibile e averla come potenziale arma nella lotta contro il cancro sarebbe un passo significativo. Questa è un’ulteriore prova che la vitamina C e altri composti non tossici possono avere un ruolo nella lotta contro il cancro”, spiega l’autore principale dello studio. “I nostri risultati indicano che la vitamina C è un agente promettente per gli studi clinici, da utilizzare in combinazione con le terapie più convenzionali, per prevenire la recidiva del tumore, ulteriore progressione della malattia e metastasi”, aggiunge Bonuccelli. La vitamina C ha dimostrato di essere un potente, non tossico, agente antitumorale, tuttavia, a conoscenza degli autori, questo è il primo studio che fornisce evidenze che l’acido ascorbico può specificamente avere come bersaglio e neutralizzare le cellule staminali del cancro.

 

http://www.impactjournals.com/oncotarget/index.php?journal=oncotarget&page=article&op=view&path%5b%5d=15400

Martedì, 06 Febbraio 2018 07:08

LA VITAMINA D POTENZIA LA MEMORIA.

06-02-2018

Un tasso insufficiente di vitamina D attiva nell’organismo - 25(OH)D - è stato associato a demenza e declino cognitivo. Gli effetti dell’integrazione di vitamina D sulle funzioni cognitive non sono ancora del tutto chiari, ma è stato ipotizzato che un alto dosaggio di tale vitamina potrebbe favorire l’aumento delle funzioni cognitive, particolarmente tra gli adulti i cui livelli di vitamina D siano insufficienti. 82 adulti canadesi, a nord di British Columbia con livelli di vitamina D considerati al di sotto del valore soglia (≤100 nmol/L), randomizzati e in cieco sono stati sottoposti ad alte (4000 U.I./die) o basse (400 U.I./die) somministrazioni di vitamina D3 (colecalciferolo) per 18 settimane. Le performance cognitive sono state valutate prima e dopo la somministrazione, seguendo diversi test specifici.
Al termine dello studio, la memoria non verbale (visiva) sembra essere migliorata grazie ad un maggior dosaggio dell’integrazione di vitamina D, soprattutto in chi aveva un valore basale insufficiente. Queste ricerche sono coerenti con recenti studi, che hanno messo in luce associazioni significative tra i livelli di 25(OH)D e la memoria non verbale. Certamente queste scoperte richiedono ulteriori conferme, ma già suggeriscono che la vitamina D sia importante per un miglior funzionamento cognitivo.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28167237

06-02-2018

Che lo zucchero raffinato non sia un alimento sano, oggi è cosa abbastanza risaputa e confermata da diverse ricerche scientifiche. Nel 1968, però, i possibili danni di questa sostanza non erano ancora noti, ma spunta fuori adesso una ricerca che collegava già allora il consumo di saccarosio ad un maggior rischio di malattie cardiovascolari, studio che all'epoca sarebbe stato insabbiato dall’industria dello zucchero. A fare questa scoperta è stato un team di ricerca americano (Università della California) che ha reso noto, sulla rivista Plos Biology, quanto contenuto in alcuni documenti scientifici risalenti a circa 50 anni fa. Secondo gli esperti l’International Sugar Research Foundation (ISRF), collegata ad un'azienda che produce zucchero raffinato, avrebbe ordinato lo stop ad una ricerca (denominata Progetto 259) e alla diffusione dei risultati fino a quel momento ottenuti, nonostante fosse stata voluta e finanziata proprio dall’azienda stessa.
Come mai? La risposta la potete immaginare...La ricerca, che doveva misurare gli effetti nutrizionali degli organismi batterici nel tratto intestinale quando si consumava saccarosio rispetto all'amido, era arrivata ad affermare non solo che il consumo di zucchero aumenta il rischio cardiovascolare ma anche che comporta un maggior rischio di cancro alla vescica. Come ha dichiarato Cristin Kearns, a capo della ricerca: "Questa scoperta del Progetto 259 ha dimostrato all'ISRF che il consumo di saccarosio e amido ha causato diversi effetti metabolici e ha suggerito che il saccarosio, stimolando la beta-glucuronidasi urinaria, potrebbe avere un ruolo nella patogenesi (causa) del cancro alla vescica”.
Saputo ciò l’azienda interruppe subito il finanziamento, i ricercatori non poterono più andare avanti e di conseguenza non videro mai pubblicati i risultati ottenuti. Gli esperti dell’Università della California sostengono addirittura che, se questo documento fosse stato pubblicato nel 1968, avrebbe portato a un controllo e persino alla regolamentazione dello zucchero da parte della FDA. Gli interessi commerciali prevalsero però sulla realtà dei fatti e non è stata la prima nè l’ultima volta. Sulla questione dello zucchero in rapporto alla comparsa di malattie e sulle ricerche insabbiate vi avevo parlato già di una precedente scoperta (sempre opera dei ricercatori americani della California University). In quella occasione il team americano aveva svelato che la Sugar Research Foundation pagò l’equivalente degli attuali 50 mila dollari affinché i ricercatori promuovessero una dieta a basso contenuto di grassi e non citassero affatto lo zucchero come possibile causa di problemi di salute.

 

http://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.2003460

http://www.dailymail.co.uk/health/article-5104881/Sugar-industry-blocked-research-linking-sucrose-disease.html?ITO=1490&ns_mchannel=rss&ns_campaign=1490

05-02-2018

Il mandarino è un frutto davvero prezioso; più piccolo di un arancio, dolce e succoso, fornisce molte sostanze utili al nostro organismo. Viste le sue numerose proprietà, le poche calorie e il gusto quasi sempre gradito, il mandarino è un ottimo spuntino per metà mattina o metà pomeriggio. Spesso facciamo l’errore di consumarlo gettando via le bucce, in realtà queste contengono oli essenziali preziosi (non a caso sono spesso utilizzate nell’industria dei profumi e nei prodotti per la cura della pelle). Le bucce dei mandarini possono aiutare il nostro corpo in diverse situazioni a patto che siano non trattate. Bisogna infatti evitare di utilizzare bucce di mandarini coltivati in maniera tradizionale sulle quali si trovano tracce di pesticidi che neppure il lavaggio con acqua e bicarbonato contribuisce ad eliminare. Le scorze di questi piccoli agrumi aiutano a tenere a bada colesterolo e zuccheri nel sangue, migliorano le funzioni digestive e molto altro. Scopriamo allora quando e come possiamo utilizzarle.

BRONCHITE

Le bucce di mandarino possono aiutare in caso di bronchite. Bisogna aggiungere due cucchiai di scorze in un bicchiere d’acqua bollente, lasciar riposare per un’ora e infine filtrare e bere. L’infuso così ottenuto si può assumere 3 volte al giorno per favorire la guarigione.

TOSSE

Anche in caso di tosse in cui non sono coinvolti i bronchi si possono sfruttare gli effetti benefici delle bucce di mandarino. Dopo aver fatto seccare le bucce rompendole in piccoli pezzi, vanno aggiunte nella dose di due cucchiai in un bicchiere di acqua calda lasciando riposare in luogo fresco per una settimana. Trascorso il tempo si filtrano le bucce e si tiene da parte il liquido di cui si devono assumere 20 gocce in acqua prima di ogni pasto, 3 volte al giorno fino a completa guarigione.

NASO CHIUSO

In caso di congestione nasale versate alcune bucce fresche di mandarino in una ciotola capiente insieme ad acqua bollente e respirate il vapore che fuoriesce per almeno 10 minuti. Si tratta insomma dei classici fumenti ma in questo caso realizzati con un ingrediente più originale rispetto ai classici eucalipto, tea tree oil o timo.

PROBLEMI DIGESTIVI

Fate seccare le bucce di mandarino e poi tritatele finemente in modo da ottenere una polvere che si può aggiungere a piacimento su diversi cibi aiutando in questo modo la digestione, evitando il mal di stomaco e la flatulenza.

FUNGHI E MICOSI

Se vi è un problema di funghi comparsi sui piedi o sulle mani si può sperimentare la buccia di mandarino come rimedio per un trattamento naturale. Va semplicemente strofinata sulla zona di pelle interessata per almeno una settimana due volte al giorno.

STANCHEZZA E INSONNIA

Il mandarino ha potere rilassante, è per questo che le bucce si possono sfruttare anche in caso di esaurimento fisico o problemi di insonnia. Vanno messe all’interno di un panno di cotone tenendole vicino a sé e respirandone l’aroma al bisogno per almeno 15 minuti. In alcuni casi contribuiscono anche ad alleviare il mal di testa.

TACHICARDIA E STRESS

Sfruttando sempre le loro doti distensive, le bucce di mandarino si possono usare anche all’interno di bagni caldi per alleviare tachicardia e stress. Basta aggiungere a 3 litri d’acqua un bicchiere di bucce di mandarino fresche, metterle a bollire e lasciarle riposare per un’ora. Dopo aver filtrato si può usare l’infuso all’interno di un bagno caldo dove immergersi per almeno 20 minuti ogni giorno.

STITICHEZZA

Le bucce di mandarino disidratate sono ricche di fibre che aiutano il nostro intestino nella sua regolarità. Si possono quindi consumare in vari modi all’interno, ovviamente, di un’alimentazione sana ed equilibrata nel complesso e unite ad una buona dose di acqua giornaliera.

PREVENIRE L’INVECCHIAMENTO

Le bucce di mandarino sono antinfiammatorie e antiossidanti, consumarle può dunque aiutare a prevenire l’invecchiamento del corpo e le malattie che nascono da processi infiammatori.

CARENZA DI VITAMINE

Le scorze di questi agrumi sono ricche di vitamine benefiche per il nostro organismo, inseriamole quindi più spesso nella nostra alimentazione sotto forma di polvere da aggiungere ai nostri piatti preferiti o in tisana.

05-02-2018

Broccoli e uova, spinaci e cavoli: per mantenere giovane il cervello bisogna fare incetta di questi alimenti e di tutta la verdura a foglia verde. Merito sarebbe della luteina, una sostanza che il nostro organismo non è in grado di produrre da solo e che si trova soprattutto in quegli ortaggi. La sua caratteristica starebbe nel fatto che sarebbe fondamentale per mantenere in forma corpo e mente. In particolare, la luteina svolgerebbe un ruolo di primo piano nella lotta al declino cognitivo dovuto soprattutto all’età che avanza. A confermalo è uno studio dell’Università dell’Illinois, che attribuisce importanti proprietà a questo carotenoide del gruppo delle xantofille. Si tratta di pigmenti naturali che il nostro corpo non è in grado di produrre in autonomia e che per questo devono essere introdotti con la dieta. La luteina è, insomma, una sostanza nutritiva che si accumula nei tessuti del cervello e nell’occhio (è un componente della retina stessa, per cui è fondamentale nella protezione dell’organo visivo), ha la capacità antiossidante, protegge le cellule cerebrali dai radicali liberi e le nostre retine dai danni causati dalla luce blu quando siamo fuori alla luce del sole.
Gli studiosi hanno coinvolto negli esperimenti 60 volontari tra i 25 e i 45 anni. A ognuno di loro hanno misurato il livello della luteina nell’occhio e, mentre eseguivano un compito che richiedeva una certa attenzione, attraverso degli elettrodi posti sulla testa, hanno analizzato l’attività dei neuroni del cervello. Dai risultati è emerso che coloro che avevano più alti livelli di luteina tra i soggetti più adulti erano in grado di eseguire i test con le stesse prestazioni dei più giovani. "Quando la gente invecchia, sperimenta un declino tipico -spiega Anne Walk, prima autrice dello studio. Tuttavia, la ricerca ha dimostrato che questo processo può iniziare prima del previsto, anche intorno ai 30 anni. Vogliamo capire come la dieta influenza le capacità di cognizione per tutta la durata della vita. Se la luteina può proteggere contro il declino, dobbiamo incoraggiare la gente a consumare alimenti ricchi di luteina ad un punto della loro vita quando ha il massimo beneficio”. Insomma, ancora una volta una ricerca conferma come, attraverso la giusta alimentazione, proteggiamo il nostro corpo e la nostra salute futura. 
Ecco gli alimenti che contengono più luteina (Fonte Inran):

- Uova.
- Spinaci.
- Broccoli.
- Prezzemolo.
- Rucola.
- Piselli.
- Lattuga.
- Radicchio rosso.
- Cicoria.
- Cavoli.

 

https://news.illinois.edu/blog/view/6367/534683

Lunedì, 05 Febbraio 2018 06:34

DIABETE: VIA LIBERA ALLA FRUTTA FRESCA.

05-02-2018

Non ci sono più dubbi, la frutta non è più un tabù per chi è malato di diabete. A confermarlo è un vasto studio pubblicato su Plos Medicine da un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford. Huaidong Du, primo autore della ricerca, spiega: «È il più grande studio mai realizzato sul rapporto tra frutta e diabete e ora possiamo affermare con certezza che la frutta fresca ha un effetto molto positivo sulla malattia».
Fra il 2004 e il 2008 gli scienziati hanno analizzato i dati di circa 500.000 soggetti fra i 30 e i 79 anni provenienti da ogni parte della Cina, sottoponendoli a test clinici e somministrando loro diversi questionari sulle loro abitudini alimentari. È emerso che fra le persone sane all’inizio dello studio il consumo di frutta fresca ha avuto l’effetto di ridurre il rischio di diabete del 12 per cento. Chi era già diabetico, invece, ha visto abbassarsi del 17 per cento il rischio di morte precoce mangiando frutta fresca per più di 3 volte alla settimana. Meno frequenti anche le complicanze, in particolare le malattie cardiovascolari. Com’era lecito attendersi, l’effetto degli zuccheri presenti nella frutta fresca sono notevolmente diversi da quello associato al consumo di quelli contenuti non solo nei dolci ma anche nei succhi di frutta.
Anche uno studio della Harvard School of Public Health pubblicato sul British Medical Journal mette in guardia i pazienti diabetici dal consumo di succhi di frutta e li esorta invece a mangiare frutta fresca. Consumare un maggior numero di frutti interi, in particolare mirtilli, mele e uva, comporta una riduzione delle probabilità di insorgenza del diabete di tipo 2, mentre l'effetto è quello opposto in caso di consumo di succhi di frutta.
JoAnn Manson, docente di medicina ad Harvard e co-autrice dell'articolo, spiega: «I frutti sono ricchi di fibre, antiossidanti e sostanze fitochimiche che possono avere effetti benefici sulla salute. E aumentarne il consumo giova alla prevenzione primaria di molte malattie croniche, tra cui diabete di tipo 2, anche se gli studi epidemiologici offrono risultati discordanti in questo senso». L'analisi ha preso in esame tre grandi studi prospettici che hanno coinvolto un totale di 180mila persone, valutando l'effetto di singoli frutti come le pesche, l'uva, le prugne, le albicocche e altri tipi rispetto a quello prodotto dai succhi di frutta: «Chi aveva mangiato almeno due porzioni a settimana di alcuni frutti interi come mirtilli, uva e mele, aveva un rischio di diabete di tipo 2 ridotto del 23% rispetto a coloro che consumavano meno di una porzione al mese. Viceversa, tra chi assumeva una o più porzioni di succo di frutta al giorno le probabilità aumentavano del 21%», ha spiegato la ricercatrice statunitense, che ha così concluso: «I nostri dati confermano l'attuale indirizzo sull'aumento del consumo di frutta intera, e non di succhi di frutta, come misura per la prevenzione del diabete».

 

http://journals.plos.org/plosmedicine/article?id=10.1371/journal.pmed.1002279

http://news.harvard.edu/gazette/story/2013/08/reduce-type-2-diabetes-risk/

http://www.bmj.com/content/347/bmj.f5001

Bonus William Hill
Bonus Ladbrokes

Copyright © 2014-2024 Naturopata Angelo Ortisi - Tutti i diritti riservati.

Powered by Warp Theme Framework
Premium Templates