Angelo Ortisi
STATE ATTENTI AL DADO DA CUCINA: È PERICOLOSO PER LA SALUTE!
15-05-2020
Questo è l’inganno che vi sottopongo all’attenzione oggi: il dado. Il dado alimentare è un prodotto (più prodotto di lui si muore) alimentare ampiamente usato nella cucina odierna. È stato introdotto dall’industria alimentare nel 1880 e in Italia esiste in commercio dagli anni 20 del secolo scorso circa. Oggi è considerato un elemento “indispensabile” in cucina vista la sua praticità e il risparmio di tempo nel suo impiego (è sempre pronto e occupa poco spazio). Ma i dadi in commercio oggi nascondono insidie per la salute e la gente non lo sa! Al contrario, l’opinione comune è che il dado sia un alimento sanissimo e molto utile in cucina, gli si attribuisce quasi un potere “magico” direi. E in effetti qualcosa di magico ce l’ha davvero, perchè nonostante non sia salutare per la nutrizione umana si inserisce in ogni frigorifero del mondo e va a finire dentro al 99% delle zuppe, minestre e pietanze che prepariamo! Ok, veniamo al dunque: i principali ingredienti del dado da cucina che troviamo in commercio sono il sale, in quantità variabile ma si arriva anche a circa il 60% del totale e il glutammato monosodico, un additivo chimico prodotto in laboratorio tra il 10 e il 15% come concentrazione. Per il resto gli ingredienti dipendono dal tipo di dado: verdure se si tratta di quello vegetale, verdure ed estratti di carne (estratti, non carne, badate bene) per quello cosiddetto classico, e poi funghi, pesce, soia ecc, ecc. Immancabili sono i grassi animali o vegetali, aromi e conservanti. Alcune marche, oltre al pericoloso glutammato, aggiungono anche altri additivi ed esaltatori di sapidità nocivi o quantomeno ancora discussi per la salute, come ad esempio il guanilato disodico. Il guanilato si ottiene in laboratorio attraverso lieviti oppure è estratto dalle sardine. Dato che fino ad ora non ci sono ricerche che abbiano stabilito la dose massima giornaliera, gli esperti consigliano di non far assaggiare cibo con guanilato ai bambini di meno di 12 mesi. I motivi per abbandonare per sempre questo prodotto alimentare sono diversi, vi dico quelli che secondo me sono i più importanti:
1. Contiene appunto un additivo scientificamente provato essere nocivo per la salute dell’uomo, il glutammato monosodico. Ossia un esaltatore di sapidità che in effetti può causare anche il cancro! L’utilizzo del glutammato è proibito negli alimenti per l’infanzia quindi assolutamente da evitare per i bambini. In Europa il glutammato è contraddistinto in etichetta dalle sigle E che vanno da E620 a E625. Questo additivo alimentare fu scoperto e commercializzato nel 1909 dal giapponese Kikunae Ikeda, persona dal cui spirito imprenditoriale è nata la multinazionale AJI-NO-MOTO che è cresciuta nel tempo differenziando l’offerta che oggi non riguarda più solo l’industria alimentare. Ajinomoto Company è la società madre di un gruppo di industrie chimiche, che producono anche nucleotidi e aminoacidi in 21 paesi. Numerose le collaborazioni e i rapporti commerciali stipulati tra la AJI-NO-MOTO e altre aziende come la Knorr e la Kellogg’s.
2. È un prodotto inutile! Perché aggiungere sapore a dei prodotti alimentari già gustosi che la natura ci regala? Perché dobbiamo coprire i sapori veri?
3. È artificiale: perché devo aggiungere un prodotto industriale al mio amato risotto?
4. Contiene molti grassi. Quando non c’è scritto che tipo di grasso o olio è, vuol dire che si parla di olio di palma, che fa malissimo. È il secondo ingrediente del dado (il primo è il sale). 100 g di prodotto contiene 21,1 g di grassi. 21 grammi di grassi in più solo per dare sapore al tuo piatto, capito bene?
5. Ha ingredienti di scarsa qualità, come ad esempio la soia che non essendo bio, facilmente sarà quella OGM; ha poi estratti (chimicamente) da scarti alimentari animali e vegetali.
6. Rende sapori uguali per cibi diversi: la nostra alimentazione ha già subìto tante contaminazioni. Perché dobbiamo anche rendere tutti i cibi uguali aggiungendo questo cubetto omologante?
7. È poco educativo: usare il dado in cucina è un pò come copiare il compito in classe! Se lo fai non impari a cucinare.
8. Inquina l’ambiente, non è ecologico: è pieno di packaging usa e getta e la sua produzione genera un impatto ambientale.
9. È una spesa extra per la famiglia: il costo non è particolarmente significativo, ma è comunque un acquisto in più che facciamo, che paghiamo, che pesa nel sacchetto della spesa.
Ci sono due soluzioni alternative al dado commerciale, più sane, naturali ed economiche. In particolare si possono preparare:
- il dado vegetale fatto in casa e conservato in freezer;
- il dado vegetale fai da te da conservare in frigo.
GLIFOSATO E MORBO DI PARKINSON: L’ESPOSIZIONE AL PESTICIDA PUO’ AUMENTARE IL RISCHIO DI AMMALARSI.
15-05-2020
Un nuovo studio pubblicato su Science Direct spiega che, potrebbe esserci una correlazione tra l’esposizione al pesticida e l’insorgere di questo disturbo neurodegenerativo cronico e progressivo. La ricerca è stata condotta dagli scienziati dell’Università giapponese di Chiba e affermano che l’esposizione dell’erbicida glifosato può influenzare lo sviluppo del Parkinson nell’uomo. La malattia di Parkinson (o morbo di Parkinson) è un disturbo motorio degenerativo e progressivo classificato come malattia cerebrale, causato dalla morte dei neuroni dopaminergici con conseguente deprivazione della dopamina, il neurotrasmettitore che consente il controllo dei movimenti. L’età media di esordio della patologia è 68 anni per gli uomini e 70 anni per le donne, mentre la malattia di Parkinson a esordio precoce si manifesta già a partire dall’età di vent’anni.
Tornando al glifosato, senza scendere in dettagli tecnici, arriviamo al nocciolo della questione spiegato nell’abstract: “È probabile che l’esposizione al glifosato possa essere un fattore di rischio ambientale per il morbo di Parkinson, poiché il glifosato è stato ampiamente utilizzato nel mondo”. I ricercatori sarebbero arrivati a questa conclusione analizzando il fatto che l’esposizione del glifosato può influenzare la riduzione del trasportatore della dopamina (DAT) e tirosina idrossilasi (TH) nella sostanziale nigra (SNr) del cervello dopo somministrazione ripetuta di 1-metil-4- fenil-1,2,3,6-tetraidropiridina (MPTP). Nonostante queste possibili evidenze, all’inizio di febbraio, il glifosato era stato assolto dall’agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (EPA) che l’aveva definito “un’erbicida sicuro e non cancerogeno”. Tuttavia, i gruppi che si oppongono all’utilizzo del prodotto sostengono che l’EPA sia arrivata a questa conclusione perché ha stretti legami con Bayer e in precedenza con la Monsanto, la società che Bayer ha rilevato nel 2018. Ricordiamo poi che la valutazione dell’agenzia contraddice le analisi effettuate dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2015 dove veniva stabilito che il glifosato era un probabile agente cancerogeno.
Qualche mese fa, il tossicologo Christopher Portier, ex direttore dell’American National Toxicology Program (NTP) e professore associato presso l’Università di Maastricht, aveva condotto una revisione su tredici studi sugli effetti del controverso erbicida confermandone la sua potenziale cancerogenicità. Da anni il glifosato della Monsanto-Bayer è al centro del dibattito, non a caso l’azienda ha varie cause di risarcimento danni in tribunale, tra le tante quella del giardiniere Lee Johnson colpito da un linfoma non Hodgkin e di Edwin Hardeman di 70 anni, l’uomo che per anni aveva usato i prodotti Roundup per trattare la quercia velenosa e la crescita eccessiva di erbacce sulla sua proprietà. Servono, dunque, altri approfondimenti e adesso l’Arpae, l’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia annuncia che farà parte della squadra di esperti che svolgerà ulteriori studi tossicologici sul potenziale cancerogeno del glifosato. Ricerche che leggeremo alla fine del 2022 e saranno utilizzate come prove di rivalutazione all’interno dei paesi europei. Ricordiamo che il glifosato viene usato su oltre 100 colture, tra cui soia, mais, barbabietola, cotone e altre coltivazioni. Da anni il gruppo di lavoro ambientale senza scopo di lucro (EWG) e i principali attori del biologico chiedono all’Epa di fissare un livello inferiore sull’utilizzo del glifosato e di vietare l’irrorazione della sostanza chimica poco prima del raccolto. Ciò non avviene, visto che il pesticida è ormai dappertutto: dalla birra alla pasta, dai pannolini agli assorbenti.
BENEFICI DEI SEMI DI SENAPE.
12-05-2020
La pianta della senape appartiene alla famiglia delle Crucifere ed è originaria dell’Asia. In Europa è conosciuta sin dal tempo degli antichi romani che la utilizzavano soprattutto per la conservazione di frutta e verdura. Esistono quattro varietà principali di senape che prendono il nome dalla colorazione dei semi che producono: la senape gialla, la senape nera, la senape selvaggia e la senape bruna. Solitamente per preparare la salsa di senape si usano abitualmente le farine ottenute dalla macinazione dei semi di senape nera e gialla ai quali vengono poi aggiunti altri ingredienti come l’aceto e spezie varie. I semi di senape sono poco calorici e sono fonte di vitamine (tra cui B1, B2, B3, la vitamina C) e minerali (tra cui magnesio, potassio, calcio e fosforo). Grazie alle molteplici proprietà di questi semi, diventa dunque indispensabile introdurli nella nostra dieta alimentare. Ma vediamo insieme quali sono i benefici dei semi:
- Può aiutare a controllare i sintomi dell'asma: i semi di senape sono ricchi di selenio e magnesio. Entrambi i componenti conferiscono un'unica attività antinfiammatoria. Consumati regolarmente aiutano a tenere sotto controllo i sintomi dell'asma, del raffreddore e della congestione toracica.
- Può aiutare a perdere peso: i semi di senape sono ricchi di vitamine del complesso B, come folati, niacina, tiamina, riboflavina ecc. Tutte queste sostanze sono efficaci per accelerare il metabolismo e quindi il calo del peso corporeo.
- Può rallentare l'invecchiamento: la senape è una grande fonte di caroteni, zeaxantina e luteina (chiamati flavonoidi e antiossidanti caretonoidi) di vitamina A, C e K. Tutti questi componenti messi insieme rendono ricca di antiossidanti la spezia che rallentano il processo di invecchiamento.
- Protegge dal cancro gastrointestinale: Ricco di fitonutrienti, i semi di senape sono un ottimo modo per prevenire e rallentare la progressione dei tumori del tratto gastrointestinale. Studi hanno dimostrato che i semi di senape hanno proprietà che possono limitare la crescita delle cellule tumorali già presenti e prevenire la formazione di nuovi tumori.
- Allevia il dolore reumatoide, artritico e muscolare: il selenio e magnesio contenuti nei semi di senape hanno proprietà antinfiammatorie e producono calore. Quando applicata al corpo, la pasta riscalda la zona e aiuta a sciogliere i muscoli, portando sollievo dal dolore.
- Abbassa il colesterolo: la senape contiene alti livelli di niacina o vitamina B3. La niacina ha proprietà di abbassare il colesterolo e protegge le arterie dall'aterosclerosi (accumulo di placca).
- Aiuta anche a regolare il flusso sanguigno e protegge l'organismo dall'ipertensione.
- Stimola la crescita dei capelli: per secoli l'olio di senape è stato conosciuto per stimolare la crescita dei capelli. È noto per essere ricco di vitamine e di minerali, ma quello che fa la differenza è l'elevata quantità di betacarotene che contiene. Durante la produzione di olio, il betacarotene viene convertito in vitamina A, che è eccellente per la crescita dei capelli. Oltre a questo, contiene anche ferro, acidi grassi, calcio e magnesio, i quali promuovere la crescita dei capelli.
- Aiuta a ridurre la stitichezza: i semi contengono una sostanza unica, chiamata mucillagine che è una sostanza viscida che è la chiave per alleviare la costipazione. A parte questo, è anche ricca di fibre. Inoltre, i semi di senape sono noti per aumentare la produzione di saliva, portando a una migliore digestione. Prendere un cucchiaino di semi di senape 2-3 volte al giorno per alleviare la costipazione.
- Combatte le infezioni della pelle: ricchi di zolfo, i semi di senape sono un ottimo modo per ridurre le infezioni della pelle. Lo zolfo conferisce ai semi proprietà antibatteriche e antifungine che aiutano a combattere le malattie della pelle più comuni.
- Migliora il sistema immunitario: la senape ha un gran numero di minerali elementari come ferro, manganese, rame ecc., e contribuisce a migliorare la resistenza del corpo alle malattie.
IL PICNOGENOLO È CONSIDERATO TRA I PIU’ POTENTI ANTIOSSIDANTI.
12-05-2020
Il picnogenolo è un estratto di corteccia di pino marittimo che contiene più del 90% di proantocianidine, dei composti con una grande biodisponibilità che attraversano facilmente la barriera ematoencefalica e hanno una forte affinità per il collagene. Una serie di studi ha permesso di mostrare che il picnogenolo è uno degli antiossidanti più potenti. All’Università di Berkeley (California), il professor Lester Packer ha mostrato che la relativa attività antiossidante è venti volte superiore a quella della vitamina C e cinquanta volte superiore a quella della vitamina E. Il picnogenolo è così potente che ricicla la vitamina C ossidata e protegge la vitamina E dall’ossidazione. Stimola la produzione di enzimi antiossidanti all’interno stesso delle cellule, rinforzando così la loro prima linea di difesa contro i radicali liberi. In uno studio comparativo, il picnogenolo ha dimostrato di essere un antiossidante molto più attivo rispetto al coenzima Q10, all’acido lipoico e all’estratto di semi d’uva. Uno studio in vivo ha mostrato un aumento del 40% del potere antiossidante nel sangue dopo tre settimane di integrazione con 150 mg al giorno di picnogenolo. Il picnogenolo protegge l’organismo in una grande varietà di patologie:
- asma: miglioramento delle capacità respiratorie dei soggetti trattati e riduzione significativa delle concentrazioni di leucotrieni responsabili delle condizioni infiammatorie;
- lupus eritematoso disseminato: riduzione significativa del tasso di autoanticorpi e riduzione dell’aggressività delle cellule immunitarie;
- riduzione del 20% del colesterolo LDL e aumento del 15% dell’HDL dopo 3 mesi di integrazione con 120 mg al giorno;
- retinopatia diabetica: cinque studi che comprendono più di 1.000 pazienti hanno mostrato che il picnogenolo permette di riparare i capillari permeabili. Lo sviluppo della perdita visiva viene interrotto e, in alcuni casi, l’acuità visiva viene leggermente migliorata. Poiché la maggior parte dei diabetici hanno un rischio elevato di sviluppare una retinopatia, l’integrazione preventiva dovrebbe cominciare a partire dalla diagnosi;
- iperpigmentazione: in base a uno studio clinico su 30 donne affette da un eccesso di pigmentazione, la pigmentazione cutanea è stata significativamente schiarita grazie al trattamento con picnogenolo (75 mg al giorno);
- ipertensione: la pressione arteriosa sistolica è stata significativamente diminuita grazie al trattamento con picnogenolo;
- sindrome premestruale: 30 o 60 mg di picnogenolo al giorno per un mese hanno ridotto significativamente i dolori spasmodici delle donne affette da mestruazioni molto dolorose;
- disturbi della circolazione: il picnogenolo aumenta la produzione di ossido nitrico e inibisce la costrizione delle arterie indotta dagli ormoni dello stress. Permette di migliorare la circolazione nei soggetti anziani. Inibisce il radicale superossido nel flusso sanguigno, aiutando così a mantenere il sistema circolatorio in buona condizione e proteggendo le pareti dei vasi. I miglioramenti più importanti riguardano la microcircolazione periferica (le mani, i piedi, le gambe e gli occhi);
- rischio di infarto del miocardio e di crisi cardiaca: il picnogenolo normalizza l’attività delle piastrine sanguigne responsabili dello sviluppo di grumi dopo una lesione vascolare ma, contrariamente all’aspirina, non interferisce con il processo di coagulazione sanguigna in caso di ferita;
- resistenza sportiva: l’attività fisica intensiva aumenta dal 10 al 20% la produzione di radicali liberi nell’organismo: il picnogenolo si oppone a questi effetti deleteri e migliora la circolazione sanguigna, favorendo un apporto ottimale di nutrimenti e ossigeno e aiutando l’organismo a funzionare in continuo con delle prestazioni ottimali: in caso di un esercizio controllato su una pedana da corsa, il picnogenolo ha aumentato la resistenza degli atleti del 21%;
- cosmetica interna e invecchiamento cutaneo: il picnogenolo ha un’affinità specifica per il collagene e l’elastina, inibendo il relativo danneggiamento da parte degli enzimi litici e da parte di radicali liberi e permettendo di mantenere una pelle liscia e morbida. L’assunzione di picnogenolo protegge dai colpi di sole: è stata necessaria un’irradiazione UV due volte più forte per sviluppare un eritema (rossore) in 21 giorni volontari sani a cui è stata somministrata un’integrazione con picnogenolo;
- insufficienza venosa: le donne anziane sono particolarmente esposte a questo problema che, non trattato, può implicare ulcere e necrosi. 15 studi clinici su più di 500 pazienti hanno mostrato che il picnogenolo riduce l’edema, il dolore e gli altri sintomi associati ai disturbi venosi. Gli studi sono stati condotti con delle posologie di 30-360 mg al giorno: le dosi più alte sono state in alcuni casi efficaci a partire da 5 giorni di trattamento e le dosi più basse sono state utilizzate per diversi mesi. Si consiglia quindi di assumere una dose più alta all’inizio del trattamento poi di ridurre la posologia dopo che i sintomi risultano alleviati.
INSONNIA: A VOLTE È COLPA DELLE POCHE VITAMINE.
12-05-2020
Dormire poco o dormire male si ripercuote sulla qualità della vita, e non solo di notte. Nella maggior parte dei casi l’insonnia porta infatti con sé, oltre ovviamente a stanchezza, difficoltà di memoria e concentrazione il giorno successivo. Se le notti non sono ristoratrici le cause possono essere molte. Sicuramente lo stress e le situazioni di ansia possono giocare un ruolo di primo piano e, per abitudine, siamo portati ad attribuire a questi fattori la nostra l’insonnia. Ma ci sono studi che dimostrano come il dormire male può anche essere dovuto a una carenza di vitamine del gruppo B. Il fisiologico ritmo del sonno e della veglia è regolato da alcuni neurotrasmettitori che vengono sintetizzati da una piccola ghiandola all’interno del cervello, che funziona con meccanismi legati alla luce e al buio. Le due molecole coinvolte maggiormente sono serotonina e melatonina. La prima viene prodotta di giorno a partire dall’aminoacido triptofano e rende attenti e vigili, stimolando memoria e concentrazione e il livello energetico dell’organismo. La melatonina origina dalla serotonina a calare della luce, e induce un sonno ristoratore che permette al corpo di rigenerarsi. È grazie all’azione delle vitamine del gruppo B, però, che l’aminoacido triptofano può trasformarsi efficacemente in serotonina, facilitando il regolare ritmo sonno/veglia. Inoltre, ciascuna delle vitamine del gruppo possiede una diversa azione, e la loro carenza può indurre disturbi nel riposo legati a situazioni differenti. La carenza di vitamina B3 (niacina), per esempio, è responsabile dei disturbi del sonno associati a uno stato di leggera depressione, mentre quando l’insonnia si lega a uno stato d’ansia si può ipotizzare una mancanza di vitamina B12. Gli effetti benefici della vitamina B12 sul sonno, tra l’altro, sono stati confermati anche da uno studio condotto in Giappone e pubblicato sulla rivista scientifica Sleep. La somministrazione di vitamina B12 a persone che soffrivano da anni di disturbi del sonno, ha riportato alla norma i meccanismi dell'addormentamento e del risveglio. Per risolvere piccoli problemi di insonnia non dovuti a situazioni patologiche accertate si può, quindi, fare ricorso a una supplementazione di vitamine.
3 RIMEDI AYURVEDICI PER ALLEVIARE LA SINDROME DA STANCHEZZA CRONICA.
12-05-2020
Molte persone sono attualmente diagnosticate con sindrome da stanchezza cronica (CFS) e secondo i Centers for Disease Control, è probabile che molte altre stanno combattendo sintomi simili, ma non soddisfano tutti gli standard per una diagnosi formale. I sintomi, spesso debilitanti, includono stanchezza, confusione, perdita di memoria, dolori articolari, ansia e depressione. La condizione rimane un mistero, anche se - come molti problemi di salute - molti esperti ritengono che le tossine ambientali, carenze nutrizionali e stress emotivo, possono giocare un ruolo nello sviluppo della malattia. Attualmente non esiste una cura per la sindrome da stanchezza cronica. Il trattamento standard prevede la prescrizione di FANS e antidepressivi per aiutare a gestire i sintomi. Secondo la medicina Ayurveda, la sindrome da stanchezza cronica - o bala kshaya - è causata da un accumulo di tossine, con conseguente disconnessione tra mente, corpo e spirito. Il trattamento è olistico e comprende la meditazione, dieta, massaggi, tecniche di respirazione e le terapie a base di erbe. L’obiettivo principale della medicina Ayurveda è quello di ridurre al minimo il carico tossico. Rimosse le tossine, è necessaria una dieta disintossicante, seguita da “pancha karma” - un più ampio processo di disintossicazione che utilizza il massaggio e terapie a base di erbe. La terza fase è normalmente costituita da una terapia a base di erbe rigenerative per contribuire a ripristinare l’energia e la vitalità.
L'ashwagandha, scientificamente conosciuta come Withania somnifera e chiamata anche “ginseng indiano”, è un rasayana - un’erba che aiuta a prolungare la vita, combattere le malattie e proteggere il corpo e la mente dallo stress. Secondo Alakananda Devi, direttore della Alandi Ayurvedic Clinic in Boulder, Colorado, l'ashwagandha ripristina l’energia e migliora le funzioni neurologiche e muscolari nei pazienti affetti da CFS. Aiuta anche a regolare i cicli del sonno, rafforzare il sistema immunitario e ridurre l’ansia e la depressione. In uno studio su animali, pubblicato nel 2000 in Fitomedicine, estratti di Ashwagandha si sono dimostrati efficaci come Ativan, una benzodiazepina utilizzata nella medicina tradizionale per ridurre l’ansia. L’estratto della pianta ha dimostrato di ridurre i livelli cerebrali di tribulin, un marker chimico dell’ansia. I ricercatori hanno concluso che ashwaghanda è utile sia come stabilizzatore dell’umore che come terapia anti-ansia. In un altro studio su animali, pubblicato nel 2002 nel Journal of Medicinal Food, l'ashwagandha, in combinazione con altre erbe, ha dimostrato di ripristinare i livelli cerebrali di antiossidanti naturali e ridotto lo stress ossidativo che contribuisce alla stanchezza cronica.
Un’altra pianta che ha ricevuto l’attenzione scientifica è la Rhodiola rosea che cresce nelle regioni artiche ed è utilizzata anche in Ayurveda per ripristinare la funzione neurologica, aumentare l’energia, ridurre la fatica, alleviare la depressione e ripristinare il sonno. Secondo NYU Langone Medical Center, la Rhodiola può aiutare le persone che sono sotto stress. Il centro medico cita uno studio in doppio-cieco, controllato con placebo, in cui 56 medici in servizio durante la notte che hanno assunto la rhodiola, sono stati in grado di mantenere livelli elevati di funzione mentale, rispetto al gruppo placebo. Il Dott. Chris Kilham, collaboratore del centro, sottolinea che ampi studi clinici hanno confermato che la rodiola aumenta la forza e la resistenza, promuovendo la memoria e l’attenzione. Come l'ashwagandha, la rodiola combatte la sindrome da stanchezza cronica, senza effetti collaterali.
Ancora un’altra erba ayurvedica riduce la sensazione di confusione, migliora la memoria e solleva l’umore. È Brahmi, scientificamente nota come Bacopa monnieri: essa è apprezzata in Ayurveda come tonico mentale per trattare la malattia di Alzheimer, deficit cognitivi legati all’età e la sindrome da stanchezza cronica. I ricercatori hanno scoperto che i suoi costituenti chiamati bacosidi hanno un effetto rilassante sulle vene, permettendo maggiore flusso di sangue e sostenendo la concentrazione e l’attenzione. In uno studio in doppio cieco, controllato con placebo pubblicato nel 2008 nel Journal of Alternative and Complementary Medicine, 300 mg al giorno di estratto di Bacopa sono stati somministrati per sei settimane a volontari anziani. Strumenti diagnostici, tra cui la Wechsler Adult Intelligence Scale e il Rey Auditory Verbal Learning Test, utilizzati dai ricercatori, hanno dimostrato che il gruppo trattato con la bacopa aveva migliorato le abilità della memoria e diminuito i livelli di depressione e ansia. Il team ha osservato che la bacopa aveva il potenziale di migliorare in modo sicuro le prestazioni cognitive. Anche se ashwagandha, rodiola e brahmi sono generalmente sicure, possono interagire con altri rimedi a base di erbe, prescrizione di farmaci e integratori. Naturalmente, è meglio consultare un professionista di fiducia prima di utilizzare queste erbe per trattare la sindrome da stanchezza cronica e seguire attentamente le istruzioni di dosaggio.
4 ALTERNATIVE NATURALI ALL’USO DI IBUPROFENE NEL TRATTAMENTO DEL DOLORE CRONICO.
12-05-2020
Più volte ho parlato di dolore cronico e di come sostituire ai farmaci tradizionali, delle valide alternative naturali. Abbiamo visto il potere dello zenzero, dell’artiglio del diavolo. Ma perché scegliere dei prodotti naturali? Intanto, perché farmaci come i più comuni medicinali a base di ibuprofene hanno inevitabili effetti collaterali; in secondo luogo, perché molti degli antidolorifici che ci sono in commercio derivano in parte da piante, erbe e altre sostanze con proprietà analgesiche naturali. La terza risposta è che nella maggior parte dei casi, i farmaci, oltre a essere corredati di effetti collaterali, non risolvono il problema, perché coprono solo il dolore. Vediamo allora 4 alternative naturali utili ad alleviare il dolore e a guarire il nostro organismo.
1. BOSWELLIA
La boswellia è una pianta ricca di principi attivi che aiutano a migliorare il flusso di sangue alle articolazioni e a placare le infiammazioni. Infiammazioni che, come sappiamo, sono spesso alla base del dolore cronico, come può essere quello causato dall’artrite. È indicata anche nel trattamento dell’artrite reumatoide. Allenta la rigidità delle articolazioni colpite da malattie infiammatorie e contribuisce a ripristinare l’integrità dei vasi indeboliti da spasmi.
2. CORTECCIA DI SALICE BIANCO
La corteccia di salice bianco è un rimedio naturale molto conosciuto, usato anche per la produzione di farmaci presenti in commercio. Al suo interno è presente una sostanza, conosciuta con il nome di salicina, a cui sono stati attribuite proprietà utili contro la febbre, le infiammazioni, i disturbi gastrici e varie forme di dolori. Abbiamo già visto, ad esempio, come questo rimedio naturale sia utilizzato per combattere il mal di testa, ma è indicato anche per contrastare mal di schiena, artrosi, e condizioni infiammatorie come borsite e tendinite. È utilizzato anche in caso di dismenorrea. La salicina possiede però anche un’azione antiaggregante piastrinica, per cui è meglio prestare attenzione se si fa uso di anticoagulanti, ma anche durante la gravidanza e l’allattamento.
3. UNCARIA TOMENTOSA
Originaria del Sud America, questa pianta possiede delle potenti proprietà antinfiammatorie. Il termine “tomentosa” significa “peloso” e si riferisce ai peli lunghi presenti sul margine inferiore della foglia. È utilizzata nella medicina erboristica per la salute delle articolazioni e per le proprietà antinfiammatorie, immunostimolanti e immunomodulanti, oltre che come antidolorifico e cicatrizzante. Adatta come coadiuvante nella cura di diverse malattie con origine immunologica, e stati di infiammazione cronica di diverso genere, dolori muscolari e articolari e disturbi dell’apparato digerente. Una dose eccessiva può dare luogo, tuttavia, a disturbi a livello gastrointestinale, che però spariscono cessando l’assunzione.
4. CURCUMA
Che dire più di quanto non sia stato già detto della curcuma e in particolare del suo principio attivo, la curcumina? La curcumina, è risaputo, è un potente antidolorifico. Oltre ad aiutare ad alleviare i dolori, intervenendo sui segnali che viaggiano nel nostro corpo e raggiungono il cervello, fornisce un valido aiuto nel trattamento del dolore cronico e delle infiammazioni croniche.
CROMOTERAPIA: L’EFFETTO DEI COLORI SUL CERVELLO UMANO.
12-05-2020
Curarsi con i colori è possibile. L’effetto delle diverse tonalità sul nostro umore è ormai dimostrato, ma i colori possono influenzare anche i parametri vitali: a dimostrarlo è uno studio del primario di Neurologia dell’Istituto San Raffaele Pisana di Roma, Piero Barbanti. Lo studio ha analizzato non solo l’influenza dei colori sull’umore e sullo stato psicofisico dei pazienti, ma anche quella della presenza o dell’assenza di luce. Il nostro cervello subisce l’impatto delle diverse tonalità, innescando differenti reazioni chimiche che possono, ad esempio, aumentare o diminuire la produzione ormonale stimolando stati d’animo come tristezza o allegria. Il neurologo Piero Barbanti ha spiegato: “I toni caldi, come le tonalità del rosso, hanno la proprietà di migliorare l’umore, la pressione, la frequenza cardiaca e l’attività muscolare. Quelli freddi come il blu invece sono utili in caso di ansia, tensione muscolare e ipertensione arteriosa”. Secondo i risultati, sono il verde e il blu i colori più scelti dalle persone: simbolicamente associabili con scenari rilassanti, sono consigliati spesso anche dagli arredatori per le tonalità delle stanze da letto.
Secondo Barbanti: “È noto che il blu abbia un peso nel ridurre la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e la frequenza del respiro, attivando il sistema nervoso parasimpatico. Inoltre, entrambi i colori stimolano la creatività e le capacità artistiche”. Naturalmente il rosso è considerato un colore “passionale”, non sempre legato a emozioni positive: può rappresentare l’amore e l’energia, ma anche la morte con un richiamo simbolico al sangue. La sua peculiarità principale è quella di stimolare l’aggressività, grazie all’aumento del testosterone nell’uomo: è dunque particolarmente indicato per attività fisiche come gare e competizioni, e per lo sport in genere. Se qualcuno crede che siano semplicemente legami simbolici, l’esperto del San Raffaele ribatte così: “Non si tratta di scaramanzia: esiste infatti una fiorente letteratura che ha evidenziato come, negli ultimi cinquanta anni, la Premier League inglese sia stata vinta prevalentemente da chi indossava divise rosse. La stessa cosa è capitata anche agli atleti di taekwondo e ai pugili delle Olimpiadi di Atene 2004”.
Il nero è considerato un colore che può aumentare gli stati depressivi: è associato da sempre alla tristezza e all’angoscia. Secondo i risultati dello studio, chi subisce questi stati è più incline a scegliere colori “negativi”, come le tonalità del nero e del grigio, mentre tra i colori “neutri” tende a ridurre il rosso: infine, tende ad abolire completamente quelli “positivi” come il verde e, in particolare, il giallo: L’influenza esercitata dal sistema emotivo sull’ipotalamo mette il paziente in uno stato di rifiuto degli stimoli visivi importanti, preferendo toni poco luminosi, in perfetta sintonia con il più generale rifiuto della vita, tipico del depresso. Infine, il professor Barbanti si è concentrato anche sulla presenza o sull’assenza di luce, che comprende tutte le tonalità principali: secondo lo studio può avere importanti proprietà terapeutiche. Barbanti ha concluso: “La luce blu, ad esempio, viene utilizzata per la cura dell’ittero del neonato. Inoltre nei soggetti con depressione stagionale, rappresenta la prima scelta terapeutica”.
I TRATTAMENTI RADIOTERAPICI CREANO CELLULE TUMORALI 30 VOLTE PIU' POTENTI RISPETTO ALLE NORMALI CELLULE TUMORALI.
07-05-2020
In una ricerca rivoluzionaria pubblicata su Stem Cells, una rivista del settore riservata agli specialisti, i ricercatori del Jonsson Comprehensive Cancer Center Department of Oncology della UCLA, hanno scoperto che, benchè uccidano mediamente una metà delle cellule tumorali ad ogni trattamento, le cure con le radiazioni per il tumore al seno trasformano le cellule tumorali superstiti in cellule tumorali staminali che sono molto più resistenti al trattamento delle normali cellule tumorali. Questa nuova ricerca assesta un altro colpo al fallimentare protocollo di cura ufficiale appoggiato dai media ufficiali allineati; protocollo che cerca di tagliar via, avvelenare o bruciare i tumori, cioè i sintomi del cancro, invece di curare le cause dei tumori, cioè il cancro. Il dottor Frank Pajonk, il qualificato autore, che è associate professor of radiation oncology presso il Jonsson Center, riferiva in uno studio precedente che «utilizzando le stesse procedure che nella medicina rigenerativa sono adottate per trasformare cellule normali in cellule staminali pluripotenziali (iPS, della terminologia anglosassone), tramite un’attivazione indotta per radiazione», sono state prodotte delle cellule staminali tumorali (iBCSC, della terminologia anglosassone), del tumore al seno. Pajonk, che è uno scienziato che opera anche all’Eli and Edythe Broad Center of Regenerative Medicine sempre dell’Università della California di Los Angeles (UCLA), ha aggiunto: «È degno di nota il fatto che le cellule di questi tumori utilizzino, per opporsi al trattamento con le radiazioni, gli stessi percorsi usati per la riprogrammazione cellulare».
In questo nuovo lavoro, Pajonk ed il suo team hanno irradiato normali cellule tumorali non-staminali e le hanno inserite nelle cavie. Attraverso un sistema di imaging unico al mondo hanno potuto assistere (direttamente) alla trasformazione delle cellule normali in iBCSC per reazione al trattamento con le radiazioni. Pajonk riferisce che la nuova produzione di cellule così ottenuta è incredibilmente simile a cellule staminali del tumore al seno, non irradiate. La squadra di ricercatori ha anche potuto calcolare che queste cellule tumorali staminali indotte hanno una capacità di produrre tumori che è di 30 volte superiore a quella delle normali cellule tumorali (del tumore al seno) non irradiate. Alla faccia dei miliardi di dollari spesi per la cura del cancro, questa quarantennale guerra al cancro ad essere onesti, è stata persa. 100 anni fa, in qualunque parte del mondo, la previsione era che forse avrebbe sviluppato il cancro da 1 persona su 50 ad 1 su 100. Ora la stima è che nell’arco della propria vita verrà diagnosticato un cancro ad 1 uomo su 2 e a 1 donna su 3. Nonostante sempre più persone al mondo ogni anno si ammalino di cancro e ne muoiano, la medicina ufficiale continua a basarsi su trattamenti fallimentari che, il più delle volte, non solo non curano ma aiutano il cancro a diffondersi ed a ripresentarsi ancora più aggressivo di prima.
Va sottolineato che due su tre dei più diffusi trattamenti ufficiali contro il cancro, e cioè le radiazioni e la chemio, sono essi stessi altamente cancerogeni. Si potrebbe ritenere che questa nuova ricerca fornisca una solida ragione per ripensare al l’uso delle radiazioni. Invece, gli autori prendono in considerazione i risultati quale stimolo per continuare ad aumentare l’uso delle radiazioni trovando modi che controllino la differenziazione cellulare. Quello che gli scienziati sembrano rifiutarsi di vedere è che sono già state trovate delle alternative naturali che impediscono lo sviluppo di cellule cancerogene staminali. Solo come esempio, Natural News ha riferito nel maggio del 2010 come una ricerca dell’Università del Michigan avesse trovato un composto nei cavoli e nei germogli di cavolo che ha la capacità di avere come bersaglio le cellule cancerogene staminali. (Breast cancer breakthrough: broccoli component zaps cells that fuel tumor growth). I ricercatori si rifiutano di prender atto che le cellule del cancro combattono contro i trattamenti innaturali. Si rifiutano anche di tener conto del crescente numero di prove che indicano come il miglior modo per battere il cancro – così come per evitarlo – consista nel costruire e potenziare la nostra prima linea di difesa: il sistema immunitario. E la via più sicura ed efficace per potenziare il nostro sistema immunitario e combattere in generale il cancro è quella di operare secondo natura. È anche la via di gran lunga meno costosa, ed è probabilmente qui che si cela l’arcano. Non si può brevettare la natura e trarne guadagno così come invece puoi fare dai trattamenti e dai farmaci ufficiali.
4 MOTIVI PER AMARE I SEMI DI LINO.
07-05-2020
I semi di lino sono un alimento davvero ricco di proprietà importanti per il nostro organismo, che manifestano la loro azione benefica su diverse problematiche. Tra le innumerevoli qualità che caratterizzano questi semi, ce ne sono quattro che possono essere a tutti gli effetti definite come le principali ragioni per cui amare i semi di lino.
1. Elevato contenuto di fibre solubili ed insolubili.
I semi di lino, infatti, sono uno degli alimenti in assoluto più ricchi di fibre: basti pensare che quattro cucchiai della farina da essi creata contengono ben 8 grammi di fibre! Le fibre, come tutti sanno, sono estremamente importanti per l'equilibrio della flora intestinale in quanto regolarizzano l'intestino e provvedono ad eliminare le eventuali tossine. Oltre a queste importanti funzioni, le fibre presenti nei semi di lino aiutano il processo digestivo, bloccando l'acidità in eccesso, effettuano un'azione regolatrice del livello di zuccheri nel sangue e contribuiscono ad abbassare il colesterolo.
2. Elevatissima presenza di lignani.
I lignani sono delle sostanze di origine naturale note per la loro eccellente efficacia antibatterica e antifungina, oltre che per la loro capacità di potenziamento delle difese immunitarie. Se assunti con l'alimentazione, queste sostanze, grazie alle loro proprietà antitumorali, riescono, inoltre, a ridurre il rischio di cancro. Nello specifico, come è stato dimostrato da recenti studi scientifici, i lignani riescono a rallentare la crescita delle cellule tumorali del cancro alla prostata e consentono di abbassare il rischio di cancro al seno. Ulteriori proprietà dei lignani sono la capacità di alleviare i sintomi caratteristici del periodo della pre-menopausa, l'aumento della fertilità e la prevenzione del diabete di tipo 2. I semi di lino sono uno dei pochi alimenti che possono vantare un'elevatissima concentrazione di lignani e che, quindi, costituiscono un importante aiuto nella prevenzione di diverse malattie.
3. Elevato contenuto di Omega-3.
I semi di lino sono caratterizzati da un considerevole contenuto di Omega-3, vale a dire di acidi grassi essenziali dalle importanti proprietà antinfiammatorie. Molte delle più comuni malattie, quali, ad esempio, disfunzioni cardiache, artriti, diabete e asma, sono dovute, nella maggior parte dei casi, ad una forte infiammazione causata da uno scarso apporto di Omega-3 nell'organismo. Gli acidi grassi essenziali, nello specifico, sono in grado di apportare innumerevoli benefici al nostro corpo: una loro regolare assunzione, infatti, migliora i livelli di colesterolo buono nel sangue e migliora la salute di cuore e arterie, rende più elastiche le articolazioni e mantiene le ossa forti, potenzia le funzionalità del cervello (specialmente nei bambini, per cui la loro assunzione è particolarmente consigliata in gravidanza e durante l'infanzia), potenzia il sistema immunitario e rende la pelle più liscia.
4. Ridotto contenuto di carboidrati, basso indice glicemico e assenza di glutine.
I semi di lino, pur avendo un profilo vitaminico e minerale molto simile a quello del grano, sono molto diversi da quest'ultimo, in quanto sono caratterizzati da un ridotto contenuto di carboidrati, unito ad un basso indice glicemico. Queste qualità, unite alla ricchezza di fibre che caratterizza i semi di lino, rendono questo alimento particolarmente indicato per coloro che seguono diete ipocaloriche volte alla perdita di peso. Inoltre, grazie all'assenza di glutine, questi semi possono essere assunti anche dai soggetti affetti da celiachia.
In conclusione, i semi di lino sono estremamente preziosi per la salute del nostro organismo e, per questo motivo, dovremmo cercare di introdurli regolarmente nella nostra alimentazione. Il loro uso, però, è sconsigliato a coloro che soffrono di problemi intestinali, i quali, a causa dell'elevato apporto di fibre che contraddistingue i semi di lino e del conseguente possibile effetto lassativo, potrebbero incorrere in effetti collaterali più o meno seri a seconda delle situazioni.