Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

Mercoledì, 31 Dicembre 2014 07:02

I 10 ALIMENTI CHE CREANO MAGGIORE DIPENDENZA.

31-12-2014

Ashley Gearhardt, professore assistente nel dipartimento di psicologia presso l’Università del Michigan, in una ricerca ha paragonato l’abuso di cibo all’abuso di droghe e ha stilato una top 10 dei cibi che creano maggiore dipendenza.

10. PANE BIANCO: Il pane bianco è uno degli alimenti peggiori che possiamo avere in casa, perché è fatto con farina raffinata, alla quale è stata tolta la crusca e tutti gli ingredienti presenti normalmente nel pane.

9. CIAMBELLE: La scienza ha dimostrato che tra sale, grassi e zucchero, l’ultimo è sicuramente l’ingrediente che crea più dipendenza. Studi recenti hanno provato che ogni volta che i topi mangiano grandi quantità di zucchero, rilasciano dopamina e questo non è un buon risultato secondo il Dott. Nicole Avena, neuroscienziato ed esperto di dipendenza da cibo.

8. PASTA: Gli eccessi non sono mai positivi e questo vale anche per la pasta. Si consiglia di acquistare pasta di alta qualità, cuocerla al dente (questo abbassa il suo carico glicemico), e condirla con olio d’oliva, per incrementare notevolmente il suo profilo nutrizionale.

7. TORTE: Non c’è niente di più irresistibile di una soffice torta ma, esagerando, si potrebbero non accumulare molte candeline, come si vorrebbe, perché lo zucchero – nelle sue innumerevoli forme – è collegato a obesità e diabete.

6. PATATE CONFEZIONATE: Le patatine contengono elevate quantità di grassi e sale, lo stesso vale per quelle cotte al forno. In più, alcune marche tradizionali aggiungono agli ingredienti anche lo zucchero. Una soluzione sarebbe preparare le patatine chips in casa con un pizzico di sale marino.

5. BISCOTTI: C’è una ragione per cui non si smetterebbe mai di mangiare biscotti ed è la dopamina. Solo vedendo cibo allettante il nostro cervello produce quest’ormone della felicità. Ci vorrebbe una volontà di ferro per resistere.

4. CIOCCOLATO: Uno studio pubblicato nel 1997 da una Rivista di Psicofisiologia ha scoperto che persone che si sono autodefinite molto golose avrebbero avuto reazioni fisiche, comportamentali ed emotive molto vicine a quelle dei tossicodipendenti. Certo, il cioccolato fondente con un’alta concentrazione di cacao conferisce alcuni benefici per la salute, ma il cioccolato più commerciale – ricco di sostanze in polvere del latte, olio, grassi e zucchero – non avrebbe lo stesso effetto.

3. PATATINE FRITTE: Facendo riferimento ai suoi bagni in olio bollente, le patatine fritte sono un incubo per la dieta e un sogno per l’industria alimentare. Sono il trionfo della combinazione zucchero-grassi-sale. Oltre a creare molta dipendenza, le patatine fritte commerciali contengono alti livelli di acrilamide, sostanza tossica e cancerogena.

2. CARAMELLE: Mark Gold, professore di Psichiatria presso l’Università della Florida, fa ricerca sulla dipendenza da cibo da 30 anni e dice che è molto importante fare attenzione a ciò che diamo da mangiare ai nostri figli per evitare che un giorno diventino dei “tossicodipendenti alimentari”.

1. Diamo il benvenuto al cibo n°1 di questa classifica: il gelato. Studi sugli animali hanno dimostrato che mangiare grandi quantità di gelato fa diminuire il consumo di cibi altrettanto rinfrescanti, ma più sani, come l’anguria.

 

http://www.fitbie.com/slideshow/print/120605

http://www.active.com/nutrition/articles/10-foods-you-re-addicted-to-the-most

31-12-2014

Ti sei dimenticato di mangiare? Non hai tempo per un pasto comodamente seduto? Stai facendo una dieta ferrea? Niente paura, digiunare migliora la salute, combatte l’invecchiamento e, con un occhio al futuro, allunga la vita. Non sono parole di saggi nonnetti, né studi di nutrizionisti al bando dall'albo dei medici, ma il frutto di una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica americana Cell Stem Cell. "Periodi prolungati di digiuno, correttamente gestiti dagli specialisti, innescano cambiamenti nel sistema immunitario e una sua rigenerazione stimolando il rinnovamento delle cellule staminali", spiega al Corriere della Sera Valter Longo, professore di biogerontologia e direttore dell'Istituto sulla longevità all'University of Southern California a Los Angeles, alla guida del gruppo di scienziati autore della scoperta. "Per sei mesi - precisa Longo - abbiamo sottoposto i volontari a periodi di digiuno di quattro giorni rendendoci conto che il sistema immunitario si libera delle cellule inutili, non necessarie, mentre è spinto a rimettere in azione in modo naturale, come accadeva nei momenti della nascita e della crescita, le cellule staminali capaci di assicurare la rigenerazione". Ecco che il digiuno aiuta i pazienti sottoposti a cicli di chemioterapia, in quanto svolge un'azione protettiva dagli effetti collaterali e dai danni provocati al sistema immunitario. "Potenzialmente - aggiunge Longo - riteniamo che questa pratica sul cibo favorisca l'eliminazione di cellule anomale, precursori di cellule cancerogene".

 

http://www.medicalnewstoday.com/articles/277860.php

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24905167

http://www.telegraph.co.uk/news/uknews/10878625/Fasting-for-three-days-can-regenerate-entire-immune-system-study-finds.html

Mercoledì, 31 Dicembre 2014 06:59

LA LUCE IN CAMERA DA LETTO FA INGRASSARE.

31-12-2014

Non solo uno stile di vita e una dieta scorretti possono farci ingrassare, ma ora pare ci si mettano anche le luci. Se dunque non sapete spiegarvi il perché avete messo su qualche chilo, o vi ritrovate con una prominente pancetta o un girovita non proprio da vespa – nonostante vi siate messi a dieta o stiate seguendo uno stile di vita consono – ecco forse spiegato il motivo. Secondo un largo studio pubblicato sull’American Journal of Epidemiology, infatti, dormire in una stanza con troppa luce farebbe ingrassare. Ad aver scoperto che le luci influiscono negativamente sul peso corporeo sono stati i ricercatori dell’Istituto di Ricerca sul Cancro di Londra che hanno condotto uno studio su ben 113mila donne, scoprendo che troppa luce in camera da letto, o nella stanza in cui si dorme, può far ingrassare. Per questo motivo, i ricercatori consigliano di tenere le luci spente e filtrare con delle tende pesanti quelle che possono arrivare dall’esterno. Alle partecipanti allo studio è stato chiesto di valutare la quantità di luce presente di notte nelle loro camere da letto. La quantità o l’intensità di luce poteva essere diversa caso per caso. Per esempio, poteva essere sufficiente per leggere, ma non per vedere il resto della stanza o, viceversa, abbastanza per vedere l’interno della stanza e così via. Gli scienziati hanno anche valutato l’eventuale uso di una mascherina notturna.
Le risposte fornite sono poi state confrontate con diverse misure relative agli indici di obesità. Tra questi, anche l’indice di massa corporea (BMI), il rapporto vita-fianchi e il girovita. I risultati hanno mostrato che questi valori erano tutti più elevati nelle donne che dormivano in stanze più illuminate. «In questo grande gruppo di persone si mostra un’associazione tra l’esposizione segnalata alla luce durante la notte e il sovrappeso e l’obesità – ha spiegato alla BBC il prof. Anthony Swerdlow, dell’Institute of Cancer Research – Ma non ci sono prove sufficienti per sapere se rendere più buia la stanza farebbe una differenza per il proprio peso. Ci potrebbero essere altre spiegazioni per l’associazione, ma i risultati sono abbastanza intriganti per giustificare ulteriori indagini scientifiche».
Tra le varie ipotesi la più accreditata è quella che accusa la luce artificiale di alterare le funzioni dell’orologio biologico e i ritmi circadiani. Queste condizioni hanno anche un effetto negativo sulla produzione di melatonina durante il sonno. Secondo gli esperti, le persone spesso non sono consapevoli della luce presente nella propria camera da letto, magari semplicemente perché non ci hanno mai fatto caso. A parte le lampadine accese o i lampioni esterni, ci sono fonti di luce poco sospette come per esempio le spie dello stand-by di alcuni apparecchi elettronici, o ancora il display di sveglie elettroniche. Meglio dunque prestare attenzione alla quantità di luce che ci ritroviamo nella stanza da letto.

 

http://www.breakthrough.org.uk/news/all-news/exposure-light-while-sleeping-linked-obesity

http://www.telegraph.co.uk/health/healthnews/10863360/Sleeping-with-light-on-increases-risk-of-obesity.html

http://www.dailymail.co.uk/health/article-2643773/Are-curtains-making-FAT-Sleeping-light-room-increases-risk-obesity.html

31-12-2014

In un’intervista esclusiva rilasciata al giornale francese Nouvel Observateur, e ripresa da Articolotre, John Virapen, ex dirigente della filiale svedese della Eli Lilly, importantissima multinazionale del farmaco che commercializza anche il Prozac, fa delle dichiarazioni shock sui meccanismi che regolano Big Pharma. A 64 anni, l’uomo ha deciso di pubblicare le sue memorie, in un libro dal titolo I rammarichi di Big Pharma. In questo volume, Virapen ha trovato il modo perfetto per denunciare apertamente gli effetti nocivi e collaterali del Prozac, farmaco antidepressivo usato per curare la depressione, disturbi ossessivo-compulsivi e via dicendo. “So di aver contribuito indirettamente, in tutti questi anni, alla morte di persone, le cui ombre, oggi, mi ossessionano”, ha confessato il manager al settimanale francese Le Nouvel Observateur.
Il settimanale ha contattato direttamente John Virapen, chiedendogli in cosa consistesse direttamente la minaccia del Prozac e l’uomo ha risposto: “Nei primi anni di lancio, il farmaco ha portato a una spirale preoccupante di suicidi: su 10 persone alle quali erano stati somministrati i principi attivi del Prozac, 5 hanno riportato allucinazioni e disturbi della personalità. Tra questi soggetti, 4 si sono tolti la vita”. Nonostante i dati preoccupanti raccolti, i dirigenti della Eli, non hanno mai pensato, nemmeno per un attimo di non introdurre l’antidepressivo in tutto il mondo. Introdurre e commercializzare il farmaco sul mercato non è stato per nulla difficile, grazie alla corruzione, denunciata da Virapen, dei supervisori preposti al controllo e alla sperimentazione del Prozac (sono bastati 20.000 dollari per ricevere senza problemi l’autorizzazione necessaria alla vendita), e soprattutto grazie alla collaborazione ben retribuita, con doni e un salario fisso mensile, di professori compiacenti che recensivano positivamente e promuovevano l’utilizzo dell’antidepressivo nelle maggiori riviste internazionali di medicina.

 

http://tempsreel.nouvelobs.com/sante/20140418.OBS4469/industrie-du-medicament-j-ai-vendu-mon-ame-au-diable.html

29-12-2014

Quanti sono a conoscenza che la maggior parte dei farmaci di uso comune hanno "effetti collaterali" non solo sul corpo ma anche sulla psiche? Siamo così deresponsabilizzati e svuotati interiormente che oltre a delegare quotidianamente ai medici la nostra salute (con i risultati che ben sappiamo), non chiediamo neppure informazioni e delucidazioni sui pericoli e gli effetti controindicati dei medicinali che ci vengono prescritti. Ovviamente non è pensabile che un Medico, dall’alto della sua conoscenza, possa prescriverci un prodotto pericoloso per la salute. Purtroppo NON esistono in commercio farmaci privi di effetti collaterali anche seri e le statistiche sulla mortalità parlano chiaro: le cause iatrogene (dovute a errori medici) sono una delle prime tre cause di morte nel mondo, assieme al cancro e alle malattie cardiovascolari! La ricerca statistica (basata su lavori scientifici) pubblicata nel 2003, dal titolo inequivocabile: "Death Medicine", denuncia negli Stati Uniti le seguenti cifre:

- "Reazioni avverse da farmaci in ospedale" provocano ogni anno 106.000 morti;
- "Reazioni da farmaci non in ospedale" --> 199.000 morti;
- "Gli errori medici" --> 98.000 morti.

Le reazioni avverse di farmaci prescritti da dottori, provocano (negli Stati Uniti) oltre 300.000 morti ogni anno! Quando andiamo a “farci guarire” dal dottore, invece di ringraziarlo con reverenza per il tempo dedicatoci, uscendo soddisfatti dallo studio stringendo nelle mani ricette miracolose, impariamo a fare domande e a pretendere soprattutto delle risposte, perché questo ci potrebbe salvare la vita. Per capire qual è la situazione oggi, ecco qualche esempio estrapolato dal libro del dottor Andrew Weil: “Dal cioccolato alla morfina: tutto quello che c’è da sapere sulle sostanze che alterano la mente”, ed. Arcana.  Stampate e portate al vostro medico di base...

ANTISTAMINICI

Alcune reazioni allergiche vengono mediate da una sostanza endogena denominata istamina che influisce in modo rilevante su nervi, vasi sanguigni e altri tessuti. Nel tentativo di eliminare i sintomi allergici, i farmacologi hanno creato numerosi farmaci sintetici per bloccare l'azione dell'istamina. Sono molti gli antistaminici attualmente disponibili; in dosaggi elevati vengono prescritti dal medico, ma in dosi ridotte sono venduti come farmaci da banco: alcuni dei più diffusi sono la difenidramina (Benadryl), la clorfeniramina (Teldrin, Chlor Trimeton), la bromfeniramina (Dimetane), la desclorfeniramina (Polaramine), la tripelennamina (PBZ, Piribenzamina), la tripolidina (Actidil), la prometazina (Fenergan), la pirilamina e la doxilamina.
Gli antistaminici sono dei farmaci forti che influiscono su vari apparati dell'organismo, ma spesso non sono così efficaci nell'azione che dovrebbero svolgere: contrastare l'istamina ed eliminare le allergie. Il sistema nervoso centrale è particolarmente sensibile agli antistaminici. Questi farmaci provocano spesso delle profonde alterazioni dello stato d'animo, e non in meglio: rendono depressi, acidi, apatici e incapaci di ragionare in modo chiaro. Alcuni di essi sono chimicamente affini ai tranquillanti forti (come la Torazina) e producono effetti analoghi sull'umore. La sedazione a cui danno luogo gli antistaminici potrebbe interferire nella guida di autoveicoli o in altre attività che richiedono concentrazione, capacità di ragionamento e buoni riflessi. Tali effetti si intensificano con l'uso contemporaneo di alcol e altri sedativi. Di recente sono stati prodotti degli antistaminici che non entrano nel cervello: il più noto è la terfenadina (Seldane). Non causa sedazione e depressione, ma spesso dà mal di testa e altri effetti collaterali sgradevoli e inoltre è molto più costoso dei vecchi antistaminici.
Nonostante la tendenza a mettere il consumatore di cattivo umore, gli antistaminici sono tra i farmaci più consumati in assoluto: né i medici né i pazienti li vedono come sostanze psicotrope. Inoltre, gli antistaminici sono ingredienti comuni di molti preparati da banco, come i farmaci per il raffreddore e sonniferi; a volte vengono addirittura spediti per corrispondenza come campioni gratuiti. Chiunque soffra di depressione cronica e letargia dovrebbe accertarsi che non sta consumando queste sostanze chimiche sotto qualche forma. Chi soffre di allergia dovrebbe poi sapere che i sintomi allergici spesso rispondono a terapie non farmacologiche, come cambiamenti di dieta e stato d'animo: in questo modo si può interamente evitare l'assunzione di antistaminici. Alcuni farmaci di questa categoria sono usati specificamente per prevenire il mal d'auto. Il dimenidrinato (Dramamine) è il più noto di questi. Come i suoi farmaci affini, dà spesso sonnolenza e uno stato d'animo sgradevole. Per quanto sia strano, esiste un antistaminico che viene utilizzato da alcune persone, soprattutto tossicodipendenti, per sballarsi: è la tripelennamina, venduta con i nomi commerciali di PBZ e Piribenzamina. Un’assunzione di antistaminici in dosi elevate o per lunghi periodi appare dissennata. Questi farmaci, invero, producono tossicità nel corpo e nessuno dovrebbe perdere più tempo del necessario con lo stato d'animo che producono.

CORTICOSTEROIDI (CORTISONE E AFFINI)

Oltre a produrre l'adrenalina, le ghiandole surrenali secernono altri ormoni che controllano il metabolismo e la chimica corporea: questo gruppo di ormoni proviene dallo strato esterno della ghiandola, o corteccia, e quello principale viene pertanto denominato cortisone. Il cortisone e le sue sostanze affini hanno tutti una struttura molecolare caratteristica denominata nucleo steroide. La farmacologia ha ormai imparato a produrre numerosi medicinali semisintetici con questa stessa struttura, a partire dai materiali grezzi che si trovano in certe piante. Come gruppo, questi farmaci si chiamano corticosteroidi, o semplicemente steroidi: sia quelli endogeni, sia quelli prodotti dall'uomo. Uno degli effetti più manifesti dei corticosteroidi è quello di ridurre l'infiammazione e alcune reazioni allergiche, come le eruzioni cutanee. In alcuni nuovi steroidi creati in laboratorio dalla farmacologia tale azione è stata portata al livello massimo.
I medici prescrivono spesso gli steroidi anche per uso sistemico, cioè per essere assunti internamente. Esistono delle indicazioni chiare per questo utilizzo, ma dato che gli steroidi sembrano avere quasi dei poteri magici, i medici tendono a prescriverli in modo eccessivo, a volte somministrandoli per casi blandi come irritazioni da edera del diavolo o da pannolini, mal di schiena e altre patologie non abbastanza gravi da legittimarne l'uso. Il problema è che l'utile proprietà antinfiammatoria degli steroidi costituisce solo una delle varie azioni di questi potenti ormoni: anzi, anche a dosi moderate gli steroidi sistemici possono sconvolgere in modo drastico l'equilibrio chimico dell'organismo e dare luogo a grave tossicità, fino al decesso. Possono inoltre arrestare la produzione da parte del corpo dei suoi stessi steroidi e le conseguenze possono essere: aumento di suscettibilità, ma anche stress e infezione.
Gli effetti collaterali negativi degli steroidi sono ben noti ai medici, ma poca attenzione viene prestata alla loro psicoattività. Questi farmaci possono dar luogo a euforia estrema, simile alla fase maniaca della psicosi maniaco-depressiva: in questi casi, la capacità di giudizio può essere fortemente limitata e il comportamento può farsi irregolare e illogico. Con l'uso continuato, questa euforia iniziale può trasformarsi in intensa depressione. Gli steroidi possono rendere psicotici alcuni individui o far venire loro manie suicide. Non tutti coloro i quali assumono steroidi sistemicamente hanno queste gravi reazioni, ma probabilmente molti subiscono dei sottili cambiamenti d'umore: nervosismo, insonnia, depressione e altre alterazioni mentali a lungo andare diventano comuni. Chi ha già avuto problemi psichiatrici dovrebbe essere cauto nel prendere gli steroidi. Tutti, nondimeno, dovrebbero poi sapere che questi composti sono tra i farmaci più forti che si conoscano e andrebbero quindi circoscritti alla cura di malattie davvero gravi.

FARMACI GASTROINTESTINALI

Uno dei farmaci più diffusi per la terapia dei crampi intestinali e della diarrea è il Lomotil, una combinazione di un oppiaceo denominato difenoxilato e di atropina, uno degli elementi costituenti delle solanacee: entrambe riducono il movimento degli intestini paralizzando i nervi che li controllano. Il difenoxilato è una sostanza chimica strettamente imparentata con la meperidina (Demerol), uno dei narcotici medici più forti. Analogamente al suo parente, il difenoxilato può determinare la depressione del sistema nervoso, che può essere intensificata dall'uso simultaneo di altri sedativi; può anche dare euforia e dipendenza. Molti pazienti che assumono il Lomotil per problemi intestinali avvertono degli effetti narcotici sull'umore, ma non hanno minimamente idea del fatto che stanno prendendo un oppiaceo.
L’atropina in sé ha psicoattività limitata a basse dosi: quasi tutti la trovano sgradevole a dosi elevate. Alcuni farmaci di combinazione mescolano l'atropina con altri derivati delle solanacee, compresa la scopolamina: il principale principio psicotropo della famiglia delle solanacee. Il Donnatal è un esempio di tale miscela che include altresì del fenobarbital come sedativo. I medici somministrano spesso questi farmaci ai pazienti, soprattutto a chi soffre di ulcera, crampi gastrointestinali e disturbi urinari. E’ raro che medici o pazienti considerino il potenziale di queste terapie nell'alterare stato d'animo e pensiero, ma i farmaci derivati dalle solanacee possono influenzare profondamente il cervello. L’effetto psicotropo che viene notato più facilmente è con ogni probabilità il torpore, anche se nel tempo o ad alte dosi possono causare cambiamenti ben più bizzarri.

BRONCODILATATORI

I broncodilatatori sono farmaci che aprono le vie aeree nell'apparato respiratorio. Sono molto prescritti, sotto forma di compresse e spray da inalazione a pazienti con asma per alleviare il respiro affannoso e la difficoltà di respirare, caratteristiche della malattia. Gran parte di questi farmaci agiscono stimolando il sistema nervoso simpatico, che regola le pareti muscolari dei tubi bronchiali: di conseguenza, oltre all'effetto voluto, di norma provocano eccitazione, ansia, irrequietezza e insonnia. Il paziente non gradisce questi effetti collaterali, ma se vuole respirare non ha alternativa a tali farmaci.
Un altro problema dei broncodilatatori stimolanti è la loro forte predisposizione a causare la dipendenza: quando l'effetto di una dose svanisce, la costrizione bronchiale aumenta in reazione al farmaco, rendendo necessarie altre dosi. Gli asmatici inalano spesso i broncodilatatori durante tutto il giorno, oltre a prenderli regolarmente per via orale: tale frequenza d'uso accresce i rischi di assuefazione e cambiamento d'umore.
Uno dei farmaci più ampiamente prescritto in questa categoria, la teofillina, viene tenuto sotto attento esame come possibile causa di comportamenti violenti e singolari. La teofillina è il principio attivo del the ed è un parente stretto della caffeina. Per molti anni molti asmatici hanno ingerito grosse dosi giornaliere di questo stimolante, che un tempo veniva considerato un farmaco sicuro ed efficace. Ora, invece, è sempre più comprovato che tale sostanza può produrre cambiamenti comportamentali seri, di conseguenza i suoi giorni d'uso nella terapia medica stanno per finire.

ANALGESICI “BLANDI”

I farmacologi non sono riusciti a produrre degli analgesici (antidolorifici) di forza media per colmare il divario tra aspirina e morfina. Ci hanno fornito molti derivati degli oppiacei che, a loro giudizio, sono più efficaci dell'aspirina, ma più sicuri e meno capaci di dare dipendenza rispetto alla morfina. Se tali farmaci sono efficaci nel controllare il dolore, tuttavia, esercitano sempre una forte attrattiva sugli oppiomani ed è quindi verosimile che portino alla dipendenza. Uno di questi farmaci è il propossifene (Darvon), un analgesico da prescrizione ampiamente utilizzato negli ultimi anni. A volte, per aumentarne l'efficacia, viene combinato con aspirina e caffeina. Malgrado le dichiarazioni dei suoi entusiasti produttori, gran parte dei medici e dei pazienti hanno riscontrato che il Darvon non è poi molto più valido dell'aspirina: anzi, alcuni ritengono persino che quando tale sostanza viene mescolata con l'aspirina, sia quest'ultima a svolgere la maggior parte del lavoro. Inoltre il potenziale di abuso del Darvon è analogo a quello degli analgesici narcotici forti. C'è voluto del tempo perché i medici riconoscessero l'esistenza dell'abuso di Darvon, ma adesso la conoscono bene e sono molto più cauti nel somministrarlo.
Oltre ai farmaci di queste categorie, molti altri medicinali da prescrizione hanno effetti psicotropi, malgrado medici, farmacologi e produttori non li riconoscano. A volte questi affetti si manifestano in molti pazienti che assumono il farmaco, a volte invece solo in pochi. Se si comincia una terapia di farmaci prescritti dal medico e si prova sonnolenza, depressione, stati di ebbrezza, sogni insoliti e altri cambiamenti umorali che non si riescono a spiegare altrimenti, il responsabile di questi disturbi potrebbe essere proprio il farmaco. Per provarlo occorrerebbe sospenderne l'assunzione e, dopo un certo intervallo, ricominciare per vedere se esiste una relazione tra questo e i sintomi.

PREPARATI DA BANCO

SCIROPPI PER LA TOSSE

Gli sciroppi per la tosse da banco sono di varia composizione. Alcuni non contengono alcuna sostanza manifestamente psicotropa. Altri hanno invece noti sedativi come alcol e cloroformio, stimolanti come la pseudoefedrina, antistaminici o derivati degli oppiacei considerati come non narcotici. A volte chi cerca disperatamente un pò di droga e non riesce ad avere nulla di meglio, arriva a consumare grosse dosi di questi preparati tentando di sballarsi. Il principale sedativo da banco della tosse è una sostanza denominata destrometorfano, un parente della codeina che calma il nucleo della tosse, ma che in teoria non produce euforia, dipendenza o altri effetti caratteristici dei narcotici. Alcuni, tuttavia, la assumono proprio per inebriarsi. Si trova nello sciroppo Robitussin e nelle compresse per il raffreddore Coricidin, ma può essere venduto anche in forma pura come destrometorfano (DXM). I consumatori ne assumono grandi quantità per ottenere uno stato da zombie chiamato dexing o robotripping. Il potenziale di assuefazione e i danni medici prodotti da un uso eccessivo di destrometorfano sono ancora ignoti.

FARMACI PER IL RAFFREDDORE

Una larga percentuale nella vendita dei farmaci da banco è rappresentata da capsule e compresse per alleviare i sintomi del raffreddore. Come per gli sciroppi per la tosse, i farmaci per il raffreddore sono un miscuglio di formule di varia efficacia. Gli ingredienti comuni sono: antistaminici, aspirina e altri analgesici, medicinali derivati dalle solanacee per asciugare la secrezione eccessiva nel naso e in gola, caffeina e pseudoefedrina o sinefrina per compensare gli effetti sedativi degli altri ingredienti. Di norma queste miscele sono confezionate in compresse multicolori e capsule sgargianti perché appaiano esotiche ed efficaci. E’ poi opinabile se influiscano sul corso del raffreddore o ne riducano considerevolmente i sintomi. Quel che è certo è che i farmaci da banco per il raffreddore possono influire sull'umore, di solito in modo spiacevole. Metodi alternativi per la cura del raffreddore, e quindi per evitare tali problemi, sono un bagno caldo, bere liquidi, mangiare di meno, riposare di più e diminuire stress e stimolazione.

DECONGESTIONANTI NASALI

Uno degli effetti fisici degli stimolanti è quello di contrarre i vasi sanguigni nel naso e nei seni. Tale costrizione restringe questi tessuti, consentendo all'aria di passare liberamente. L’effetto è temporaneo e, quando l'effetto stimolante svanisce, di solito viene seguito da una reazione opposta detta “rimbalzo", nella quale i passaggi nasali diventano più bloccati di prima. Si tratta di un modello analogo a quello che si verifica con i farmaci broncodilatatori descritti in precedenza. I primi inalanti nasali contenevano delle strisce di carta impregnate di anfetamina. Chi li assumeva provava una stimolazione generica: qualcuno provava ebbrezza, altri ne diventavano dipendenti. Alcuni, poi, aprivano addirittura il contenitore per estrarne l'anfetamina e assumerla in altri modi. Alla fine i produttori smisero di utilizzare l'anfetamina per gli inalanti nasali e la sostituirono con altre sostanze, in teoria meno stimolanti e con meno capacità di dare assuefazione.
Oggi gli inalanti e gli spray da banco per sbloccare il naso chiuso non sono considerati psicotropi: alcuni inalanti non contengono droghe ma solo sostanze aromatiche come il mentolo. Possono essere piacevoli da usare, ma non sono affatto efficaci come le sostanze chimiche che costringono i vasi sanguigni. Indubbiamente gli spray e gli inalanti che invece contengono droghe funzionano nel breve termine, ma, malgrado i produttori sostengano il contrario, sono tuttora stimolanti e danno spesso dipendenza. Non tutti provano una sensazione di stimolazione generica da questi prodotti, ma solo coloro che arrivano a farne uso abitualmente. Probabilmente un rischio maggiore di dipendenza sorge dalla natura temporanea del sollievo che danno: se si continua a usarli per far fronte al "rimbalzo” che segue alla dose iniziale, in breve non si riuscirà più a respirare senza. I preparati ad azione più lunga possono essere più sicuri, da questo punto di vista. Sono disponibili anche alcune forme di decongestionanti orali, per esempio la pseudoefedrina (Sudafed), un parente stretto dell'efedrina stimolante naturale: questa viene immessa in bocca e non nel naso, quindi è meno probabile che causi il "rimbalzo” e la conseguente dipendenza, ma per alcuni consumatori, e ad alte dosi, risulta decisamente stimolante. Anche la sinefrina, un prodotto ricavato dall'arancia amara, è stimolante.

INIBITORI DELL’APPETITO

Fino a poco tempo fa contenevano efedrina, a volte associata a caffeina, e vengono confezionati o denominati in modo da sembrare anfetamina.

UPPERS DA BANCO

La caffeina pura viene venduta in molte farmacie (per molto più di ciò che vale) con forme fuorvianti che sembrano alludere a potenti anfetamine: per esempio, un prodotto denominato Caffedrine, venduto in capsule grigio-bianche a rilascio graduale e che ha lo stesso aspetto del Dexamyl farmaceutico. Sicuramente chi lo compra lo rivenderà poi sul mercato illegale come Dexamyl ad acquirenti ignari. Prodotti meno recenti e ingannevoli sono il Vivarin, e il NoDoz, sotto forma di semplici compresse bianche. Se questi prodotti risultano più efficaci del caffè o del the è solo perché la gente ha fiducia nelle pillole.

DOWNERS DA BANCO

Nelle farmacie è disponibile anche tutta una gamma di prodotti che favoriscono il sonno di notte (Nytol, Sominex, Unisom). Vengono diffusamente prescritti come sostituti da banco dei più forti tranquillanti minori e dei sonniferi. Tutti contengono antistaminici: di norma difenidramina (Benedryl), pirilamina o doxilarnina. Come già rilevato, queste sostanze non sono innocue e tendono a influire sulle funzioni mentali in modo sgradevole: danno sonnolenza, ma possono produrre anche depressione e possono dare assuefazione.
Per fortuna in molti sono favorevoli a rimedi meno tossici per l'insonnia: per esempio fare più esercizio fisico durante il giorno, diminuire l'uso degli stimolanti, soprattutto di sera (ricordate di leggere le informazioni di ogni analgesico, pasticca per il raffreddore e altri medicinali per vedere se contengono caffeina o stimolanti vari), tecniche di rilassamento, bagni caldi e semplici integratori alimentari come compresse di calcio e magnesio: molti trovano rilassanti, se prese prima di andare a letto.

ANALGESICI

Gli antidolorifici non narcotici non influiscono direttamente sul cervello, tuttavia possono cambiare considerevolmente lo stato d'animo riducendo il fastidio e quindi tendenza a dare assuefazione. Gli analgesici da banco ordinari, come l'aspirina e l'acetaminofene (Tilenol), sono medicinali efficaci per un uso occasionale, ma quando il dolore persiste occorrerebbe cercare di identificare e curare le cause, piuttosto che fare affidamento su questi farmaci. Alcuni composti analgesici contengono unicamente caffeina per l’effetto stimolante e di tonico dell’umore.

 

http://articles.mercola.com/sites/articles/archive/2003/11/26/death-by-medicine-part-one.aspx

http://articles.mercola.com/sites/articles/archive/2011/02/04/death-by-medicine-an-update.aspx

http://www.lef.org/Magazine/2004/3/awsi_death/Page-01

http://www.lef.org/Magazine/2004/3/awsi_death/Page-02

http://www.lef.org/Magazine/2004/3/awsi_death/Page-03

http://www.lef.org/Magazine/2004/3/awsi_death/Page-03

http://www.lef.org/Magazine/2004/3/awsi_death/Page-05

http://www.lef.org/Magazine/2004/3/awsi_death/Page-06

Lunedì, 29 Dicembre 2014 19:19

TROPPO ESERCIZIO FISICO FA MALE AL CUORE.

29-12-2014

Il troppo stroppia, si usa dire. E in questo caso pare sia proprio vero. Secondo due nuovi studi pubblicati sulla rivista Heart, del British Medical Journal, gli eccessi di esercizio fisico sono dannosi per la salute cardiovascolare. Chi infatti si dedica ad attività fisica intensa corre il rischio di avere un attacco cardiaco o ictus – sia che abbia già sviluppato una patologia cardiaca, sia nel caso di un giovane sano che, in questo caso, rischia di sviluppare un’alterazione del ritmo cardiaco più avanti nella vita. L’equilibrio è sempre la scelta giusta. Se da un lato la sedentarietà uccide, anche la troppa attività non fa per niente bene. E a rimarcarlo sono stati i ricercatori del German Cancer Research Center e quelli del Karolinska Institutet, che hanno rispettivamente condotto due studi sugli effetti dell’attività fisica ad alta intensità.
Nel primo studio, i ricercatori tedeschi hanno coinvolto oltre 1.000 soggetti che soffrivano di malattia cardiaca coronarica, che sono poi stati seguiti e monitorati per dieci anni. Durante questo periodo sono stati presi dati relativi alla frequenza, intensità dell’attività fisica, nonché la sopravvivenza. I risultati hanno mostrato che le persone affette da patologie cardiache possono ottenere effetti negativi da una intensa attività fisica e rischiare di morire prematuramente per infarto o ictus. Nel secondo studio, i ricercatori svedesi hanno reclutato un campione formato da più di 44 mila persone di età compresa tra i 45 e i 79 anni. Tutti i partecipanti sono stati seguiti e monitorati allo stesso modo di quelli del primo studio, tuttavia per una media di 12 anni. I risultati hanno mostrato che anche le persone sane e più giovani, che praticano esercizi di resistenza per più di cinque ore alla settimana, possono aumentare in modo significativo il rischio di sviluppare un ritmo cardiaco irregolare più avanti nella vita o da adulti. Tutti e due gli studi indicano che vi è una sorta di curva a forma di J o U a seconda di quanto esercizio fisico si fa. Si passa dunque dagli effetti deleteri del troppo poco esercizio a quelli altrettanto deleteri per il troppo esercizio. I ricercatori, a conclusione degli studi, tendono a precisare che questi risultati non devono creare allarmismi e che fare esercizio è sempre meglio che non farlo e che questo, se fatto con giudizio, non può che fare bene. Insomma, gli eccessi non sono mai benefici ma il giusto sì.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24829374

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24829373

Lunedì, 29 Dicembre 2014 19:17

GLI UOMINI BASSI VIVONO PIU' A LUNGO.

29-12-2014

La rivincita dei bassi. Sebbene la tendenza nella popolazione è quella di un aumento costante della statura, uno studio suggerisce che essere bassi è bello – almeno per quel che riguarda l’aspettativa di vita. Secondo i ricercatori dell’Università di Hawaii (UH), infatti, i bassi di statura pare vivano più a lungo dei coetanei più alti. Il vantaggio in termini di longevità delle persone basse è emerso da una ricerca che si è basata sui dati del “Kuakini Honolulu Heart Program” (HHP) e del “Kuakini Honolulu-Asia Aging Study” (HAAS). Qui, il dott. Bradley Willcox, professore presso l’Università di Hawaii (UH) John A. Burns School of Medicine, Dipartimento di Medicina Geriatrica, e colleghi, hanno trovato che vi era una connessione diretta tra la statura e la maggiore durata della vita. «Abbiamo suddiviso le persone in due gruppi: quelli che erano alti 158 centimetri o più bassi e 164 e più alti – spiega Willcox – Le persone che erano alte 158 centimetri o più bassi hanno vissuto più a lungo. Il range è stato osservato in tutte le circostanze a partire da 1,52 metri fino a oltre 1,82 metri di statura. Più si tendeva a essere alti, più breve era la durata della vita».
Ciò che rende le persone basse più longeve pare sia una sorta di protezione offerta da un particolare gene, detto “della longevità”, ossia il FOXO3. Questo gene è quello che fa sì che le dimensione del corpo rimangano più contenute durante lo sviluppo. Altri fattori legati a una probabile maggiore longevità trovati dai ricercatori sono stati più bassi livelli di insulina nel sangue e una minore incidenza del cancro, sempre nelle persone più basse. «Questo studio mostra per la prima volta che la dimensione del corpo è legata a questo gene», conclude il prof. Willcox. Insomma, essere bassi può avere i suoi vantaggi.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Bradley+Willcox++PLoS+ONE

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4013008/

Lunedì, 29 Dicembre 2014 19:16

DALL'UVA UNA SOLUZIONE PER IL DIABETE.

29-12-2014

Il diabete potrebbe essere trattato in modo efficace e naturale con un estratto dalla buccia dell’uva che, secondo quanto scoperto in un nuovo studio, è attivo nel controllo della glicemia: in particolare nell’inibire l’iperglicemia. Il diabete è una piaga mondiale, con un costante incremento dei casi – specie nel mondo occidentale. Soltanto in Italia si contano oltre 3 milioni di persone con questo genere di problema, e il numero è destinato ad aumentare considerevolmente. Da qui, la necessità di trovare una soluzione, che sia prevenzione e cura. Su questo fronte, la notizia positiva arriva da una serie di studi preliminari condotti dai ricercatori della Wayne State University (WSU), che hanno dimostrato come l’estratto di buccia d’uva (GSE) esercita un’attività inibitoria sull’iperglicemia, candidandosi a essere un rimedio da utilizzare con efficacia nella gestione del diabete. La ricerca è stata finanziata dal Centro Nazionale per la Medicina Complementare e Alternativa del National Institutes of Health e, nel suo successivo sviluppo, fornirà approfondimenti circa l’azione inibitoria del GSE sull’iperglicemia postprandiale. Allo stesso tempo fornirà anche i dati preclinici a sostegno dell’efficacia e della sicurezza biologica del GSE, e dei suoi componenti, nella potenziale prevenzione e trattamento del diabete di tipo 2.
«La speranza è che la nostra ricerca possa finalmente condurre con successo allo sviluppo di un mirato e sicuro intervento nutrizionale per sostenere la prevenzione e il trattamento del diabete – dichiara il dott. Kequan Zhou, professore di Alimenti e Scienza della Nutrizione nel Collegio di Arti Liberali e delle Scienze alla WSU, e ricercatore principale – . Il nostro studio fornisce importanti dati preclinici per quanto riguarda i meccanismi antidiabetici, l’efficacia biologica e la sicurezza del GSE, che dovrebbe facilitare l’eventuale traduzione in futuri studi clinici per valutare GSE e i suoi componenti come interventi per il diabete sicuri, a basso costo, e basati sull’evidenza nutrizionale». «Il diabete di tipo 2 è una delle principali malattie croniche delle società moderne – sottolinea la dott.ssa Gloria Heppner, vice presidente associato per la ricerca presso la Wayne State University –. Esso minaccia la salute di una varietà di popolazioni, con ogni giorno un numero crescente di giovani con diagnosi della la malattia. Lo studio del Dott. Zhou offre una grande speranza per un potenziale trattamento naturale e senza effetti collaterali dannosi per le molte persone afflitte dal diabete di tipo 2».

 

http://www.sciencedaily.com/releases/2014/05/140509110201.htm

http://research.wayne.edu/communications/news-release.php?id=429

29-12-2014

Nel corso di 16 mesi, i ricercatori hanno raccolto e testato 154 taglieri da cucina utilizzati in ospedale e 144 taglieri utilizzati in abitazioni private in Francia, Germania e Svizzera. I ricercatori hanno scoperto un ceppo farmaco-resistente di batteri Escherichia coli su cinque dei taglieri da case private e su 10 dei taglieri dell’ospedale. Metà dei guanti ospedalieri utilizzati, sono anche risultati positivi. ”I batteri possono diffondersi facilmente da una di queste fonti, nell’ambiente o nel cibo dei pazienti“, hanno spiegato i ricercatori.
Commentando lo studio, Lance B. Price della George Washington University (che non è stato coinvolto nello studio) ha detto: “Questi E. coli sono resistenti ad alcuni degli ultimi farmaci utilizzati per il loro trattamento. L’emergere di batteri resistenti ai farmaci è una crescente preoccupazione per la salute pubblica. Gli scienziati attribuiscono crescenti tassi di resistenza ai farmaci sia all’eccessivo uso di antibiotici da parte di medici e pazienti (anche per i trattamenti di condizioni virali, come raffreddori, che non rispondono ad antibiotici ) che alla loro diffusione attraverso strumenti ad uso comune, come il tagliere da cucina. James R. Johnson dell’Health Care System Minneapolis VA (che non era coinvolto nello studio), ha trovato i risultati dello studio, molto preoccupanti. I taglieri vengono regolarmente utilizzati per elaborare la carne, la principale fonte di E. coli. ”Se altri alimenti vanno su questi taglieri, prima che vengono puliti o anche dopo che sono stati puliti, se la pulizia non è al 100 per cento efficace, si ottiene una contaminazione che determina un rischio ancora più elevato di trasmissione tra gli esseri umani”, ha detto Johnson. Anche se i batteri resistenti ai farmaci sono tra gli agenti infettivi di maggior preoccupazione, i taglieri possono essere un vettore tradizionale di batteri. I ricercatori hanno sottolineato che tutti i cuochi e gli addetti ai servizi alimentari devono lavarsi le mani accuratamente dopo la manipolazione non solo della carne, ma anche dopo aver usato i taglieri. Inoltre, i taglieri utilizzati per la carne cruda o pollame, non dovrebbero mai essere utilizzati per altri alimenti. Acqua calda e detersivo dovrebbero essere sufficienti, ma una soluzione di candeggina o altri disinfettanti, potrebbe essere auspicabile per la pulizia dei taglieri”.

 

http://in.reuters.com/article/2014/04/16/us-kitchens-drug-resistant-idINBREA3F1J920140416

http://www.naturalnews.com/045079_cutting_boards_drug-resistant_bacteria_antibiotics.html

29-12-2014

I radicali liberi, noti anche come ossidanti, sono atomi instabili e altamente reattivi che hanno almeno un elettrone spaiato. Essi si formano naturalmente o possono essere introdotti nel corpo da fonti esterne, come il fumo o l’inquinamento. Quando i radicali liberi interagiscono con le cellule, proteine e DNA nel corpo, possono causare danni modificando la loro struttura chimica. Precedenti ricerche sostengono che l’esposizione costante delle cellule ai dannosi radicali liberi, nel tempo provoca l’invecchiamento. Ma questo ultimo studio, pubblicato sulla rivista Cell, suggerisce il contrario. Il team di ricerca, guidato da Siegfried Hekimi del Dipartimento di Biologia della McGill, ha utilizzato un organismo modello – il nematode Caenorhabditis elegans – per lo studio.
I ricercatori hanno scoperto che i radicali liberi possono stimolare l’apoptosi, nota anche come “morte cellulare programmata”, il processo attraverso il quale le cellule danneggiate si suicidano. L’apoptosi evita anche che le cellule danneggiate possano diventare cancerose, per esempio, o distrugge i virus che si sono introdotti nella cellula. Il team ha scoperto che quando i radicali liberi stimolano l’apoptosi in un certo modo, le difese delle cellule sono rinforzate, cioè la loro durata di vita aumenta. Spiegando ulteriormente i risultati dell studio, Hekimi dice: “Si crede che i radicali liberi sono dannosi e causano l’invecchiamento, ma la cosiddetta ‘teoria dei radicali liberi causa dell’invecchiamento’, non è corretta.
Abbiamo trasformato questa teoria dimostrando che durante l’invecchiamento aumenta la produzione di radicali liberi che, in realtà, combattono – non causano – invecchiamento. Infatti, nel nostro organismo modello, abbiamo elevato la generazione di radicali liberi che ha indotto una durata sostanzialmente più lunga della vita“. Hekimi aggiunge che il meccanismo molecolare attraverso il quale i radicali liberi aumentano la durata della vita delle cellule, fornisce prove solide che essi hanno effetti positivi come molecole di segnalazione. I ricercatori affermano che, contrariamente alla credenza popolare, i radicali liberi non sono responsabili del processo di invecchiamento, ma possono effettivamente combatterlo. Inoltre, i risultati indicano che l’apoptosi può essere utilizzata per attivare processi che decelerano l’ invecchiamento.
“Dal momento che il meccanismo di apoptosi è stato ampiamente studiato nelle persone, a causa della sua importanza nell’immunità e nel cancro, esistono già molti strumenti farmacologici per manipolare il segnale apoptotico”, aggiunge Hekimi. «Ma questo non significa che sarà facile”. Secondo il ricercatore un tale processo potrebbe essere importante nelle malattie neurodegenerative. Egli spiega che la segnalazione apoptotica può essere concentrata sull’aumento della resistenza delle cellule danneggiate anziché sulla loro distruzione, dal momento che è più difficile sostituire i neuroni morti, rispetto ad altri tipi di cellule a causa della complessità nelle loro connessioni.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24813612

http://www.medicaldaily.com/free-radical-theory-aging-incorrect-scientists-say-there-link-between-cell-suicide-and-longevity

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