Angelo Ortisi
L'UVA E' UN RIMEDIO EFFICACE PER COMBATTERE L'ACNE.
05-02-2015
L’uva potrebbe essere considerata un ottimo coadiuvante nella cura contro l’acne. Il merito è di una nostra cara vecchia conoscenza: il resveratrolo, sostanza da tempo al centro di numerosissimi studi per le sue virtù antiossidanti. A sostenere l’utilità nel trattamento dell’acne sono stati alcuni ricercatori dell’Università della California a Los Angeles (UCLA), i quali sono riusciti a dimostrare come il resveratrolo – che di norma si trova nella buccia dell’uva e in misura minore nel vino rosso – sia in grado di inibire la crescita dei batteri che causano l’acne. Gli scienziati ritengono che tale sostanza se combinata con un comune farmaco contro l’acne a base di perossido di benzoile, sia in grado di ridurre con estrema efficacia la proliferazione del microorganismo propionibacterium acnes.
Come ben si sa, il resveratrolo possiede ottime proprietà benefiche per la salute cardiovascolare. Inoltre arresta la formazione di radicali liberi che causano danni a cellule e tessuti. Paradossalmente, il perossido di benzoile ha azione contraria, ovvero è un ossidante che crea radicali liberi in grado di uccidere i batteri che causano l’acne. «Inizialmente abbiamo pensato che, poiché le azioni dei due composti si oppongono, l’associazione dovrebbe far sì che si annullino l’un l’altro, ma è accaduto – spiega la dottoressa Emma Taylor, assistente professore di medicina nella divisione di dermatologia della David Geffen School of Medicine alla UCLA –. Questo studio dimostra che la combinazione di un ossidante con un antiossidante permetta un miglioramento vicendevole e contribuisca a sostenere l’attività contrastante i batteri per un periodo di tempo più lungo». Durante lo studio gli scienziati hanno potuto constatare come il perossido di benzoile sia in grado di uccidere i batteri che causano l’acne a qualsiasi concentrazione, tuttavia l’effetto è di durata brevissima e con un massimo di 24 ore. Il resveratrolo, d’altro canto, non aveva la stessa capacità di uccidere i batteri, però riusciva a inibirne la crescita per un periodo molto lungo. Ecco perché dalla combinazione di entrambi può nascere un rimedio davvero efficace. «Era come combinare il meglio dei due mondi e offrire un duplice attacco sui batteri», spiega l’autore senior dr. Jenny Kim, professore di medicina clinica nella divisione di dermatologia presso la Scuola di Geffen. Da anni si conducono studi sul resveratrolo, ma si conosce davvero poco su ciò che lo rende realmente efficace. Per indagare a fondo, i ricercatori dell’UCLA hanno sfruttato un microscopio ad alta potenza osservando che il resveratrolo ha fatto perdere sia la struttura che la definizione delle membrane esterne dei batteri. Ciò significa che la sostanza indebolisce questo genere di microorganismi.
Per testare la tossicità di entrambi i prodotti sono state adoperate delle culture di cellule di pelle umana e di sangue. Dai risultati è emerso che il perossido di benzoile è più tossico del resveratrolo. Non a caso i soggetti che utilizzano concentrazioni lievemente più alte possono andare incontro ad arrossamenti cutanei e irritazioni più o meno gravi. Dall’osservazione del team di Taylor si è potuto notare che la combinazione dei due composti abbia consentito di ottenere effetti batterici prolungati, riducendo la tossicità del prodotto finale. Tutto ciò è di estrema importanza perché potrebbe portare alla realizzazione di una crema più efficace e meno irritante. «Ci auguriamo che i nostri risultati portino a una nuova classe di terapie dell’acne che ruotano su antiossidanti come il resveratrolo», ha dichiarato Taylor. Saranno ovviamente necessari ulteriori verifiche a sostegno delle ipotesi degli scienziati e prove su modello umano che ne attestino la sicurezza. Di contro, le persone che soffrono di questo disturbo sono moltissime e vi è l’esigenza sempre più marcata di sviluppare terapie che non abbiano effetti collaterali e/o creino una possibile resistenza agli antibiotici che limitino l’efficacia del trattamento. Tra le terapie più usate che possono andare incontro a questo genere di problema c’è il perossido di benzoile, i retinoidi, gli antibiotici e l’isotretinoina.
http://www.eurekalert.org/pub_releases/2014-09/uoc--afi093014.php
http://www.medicalnewstoday.com/articles/283406.php
http://newsroom.ucla.edu/releases/antioxidant-found-in-grapes-uncorks-new-targets-for-acne-treatment
ANTIBIOTICI: PRIMA DEI DUE ANNI AUMENTANO IL RISCHIO OBESITA'.
05-02-2015
Ci sarebbe correlazione tra l’assunzione di antibiotici sotto i due anni e obesità: secondo uno studio pubblicato alla fine di settembre sulla rivista JAMA Pediatrics, i piccoli che nei primi 24 mesi di vita sono stati sottoposti a terapie antibiotiche hanno avuto a che fare con problemi di peso più evidenti, nella misura del 16%. La spiegazione? Starebbe nel fatto che questi farmaci andrebbero a influenzare l’ambiente microbo-intestinale dei bambini che in qualche modo è correlato proprio all‘aumento di peso. Ma nell’affermare e argomentare la correlazione tra antibiotici sotto i due anni e obesità, i ricercatori che hanno portato avanti questo studio fanno una distinzione importante: soltanto gli antibiotici ad ampio spettro sarebbero in grado di aumentare sensibilmente il rischio di vedere i bambini crescere in sovrappeso mentre gli antibiotici a spettro ristretto, invece, non avrebbero alcun tipo di influenza in questo discorso. I risultati della ricerca, però, sono sicuramente uno spunto importante su cui riflettere per quei genitori che sono alle prese con bambini piccoli e con medici che prescrivono loro antibiotici a ampio spettro. Il concetto viene rimarcato dal Professor Charles Bailey che lavora all’Ospedale Pediatrico di Philadelphia e che ha condotto lo studio: "Il consiglio da dare ai genitori è quello di chiedere al medico curante che sta prescrivendo al loro bambino un antibiotico se il trattamento è realmente necessario. Se lo è, i genitori possono sincerarsi del fatto che non ci sia in commercio un antibiotico a spettro ristretto che potrebbe svolgere esattamente la stessa funzione. Il rischio di obesità nei bambini a cui vengono somministrati antibiotici non è elevatissimo ma il risultato è sicuramente un motivo in più per capire che dovremmo usare gli antibiotici con più attenzione e più prudenza".
http://archpedi.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1909801
http://www.usatoday.com/story/news/nation/2014/09/29/antibiotics-child-obesity/16275489/
http://www.sciencedaily.com/releases/2014/09/140929180053.htm
FERRO PIU' BASSO A CAUSA DEGLI ENERGY DRINK.
02-02-2015
La carenza di ferro può essere causata dal consumo di troppi energy drink? Sembrerebbe proprio di sì stando ai risultati di una ricerca condotta dall’HFMA inglese, la quale punta il dito sul fatto che un eccesso di caffeina possa essere in grado di inibire l’assorbimento dei minerali, tra cui il ferro, da parte del nostro corpo. Sono in particolare le donne a soffrire di ferro basso nel sangue anche a causa delle mestruazioni mensili ma in particolare quelle che consumano un numero eccessivo di energy drink mostrano di avere livelli decisamente più bassi della media di questo minerale. La carenza di ferro non solo causa sintomi come debolezza, pallore e scarsa concentrazione ma sul lungo andare può causare anemia e malattie cardiache. Questo minerale aiuta infatti i globuli rossi a trasportare l’ossigeno nel sangue.
Commenta il dott. Graham Keen dell’HFMA, uno degli esperti che hanno lavorato sullo studio: "I micronutrienti sono essenziali per rimanere in buona salute e per il benessere generale dell’organismo ed il ferro basso è un problema su larga scala che non può essere ignorato, in particolare per le ragazze adolescenti. Tutti dovrebbero sapere che la soluzione migliore è quella di assumere questi elementi attraverso una dieta sana". Regime alimentare nel quale un abuso di energy drink non è contemplato. La quantità di caffeina contenuta in questo particolare tipo di bibite è molto alto, spesso pari a 4-6 caffè a lattina. Ed i più giovani, per mantenersi in forma e attivi, spesso ne consumano più del dovuto. I rischi che queste bevande comportano sono documentati da diverse ricerche. In particolare una del 2011 condotta negli Stati Uniti indica come un eccessivo consumo di tali bibite possa essere associato ad un maggiore rischio di attacchi epilettici, ictus ed, anche se più raramente, decesso improvviso. La grande quantità di taurina, glucosio e caffeina rappresentano sì un grande carico di energia da sfruttare ma anche un peso di caratura per il nostro organismo da metabolizzare. E, a causa della caffeina, un ostacolo per la nostra sintetizzazione del ferro.
ATTENZIONE ALLA PLACCA DENTALE: AUMENTA IL RISCHIO DI CANCRO.
02-02-2015
Una placca dentale che interessi da tempo denti e gengive può essere causa di un aumentato rischio di morte prematura per cancro. La placca che attecchisce su denti e gengive non solo è brutta dal lato estetico ma a quanto sembra è anche assai dannosa per la salute, tanto che pare aumentare le probabilità di morire prematuramente per cancro secondo un nuovo studio osservazionale pubblicato sulla versione online del BMJ, il prestigioso British Medical Journal. A condurre lo studio è stato un team di ricercatori svedesi, tra cui la dottoressa Birgitta Söder del Karolinska Institutet, insieme a Maha Yakob, Jukka H Meurman, Leif C Andersson e Per-Östen Söder, i quali hanno svelato il lato nascosto della placca dentale. Questa sorta di pellicola formata da batteri, tende a ricoprire non solo i denti stessi ma si inserisce anche tra gli spazi e attorno alle gengive. È spesso causa di carie, arrossamenti e infiammazioni gengivali. In alcuni casi si può sviluppare la piorrea che è causa della caduta precoce del denti. Ciò che tuttavia non si era mai preso in considerazione è che la placca potesse avere implicazioni che vanno ben al di là della bocca e dei denti. Gli scienziati hanno così monitorato per un periodo di 24 anni la salute di 1.400 adulti svedesi, selezionati a caso. All’inizio dello studio, nel 1985, i partecipanti avevano un’età compresa tra i 30 e i 40 anni e sono stati oggetto di analisi e interviste per valutare lo stile di vita, la salute e i fattori di rischio per il cancro come il vizio del fumo e altri ancora. Fase importante è stata la valutazione della salute della bocca con il prendere in considerazione i livelli di placca presenti, le eventuali infiammazioni o infezioni, lo stato dei denti e il numero attuale, gli eventuali disturbi gengivali. In questa prima fase si è scoperto che i partecipanti, pur non essendo interessati da malattie parodontali conclamate, presentavano livelli significativi di placca dentale. Lo studio è proseguito fino al 2009, anno in cui si sono tirare le somme. Durante questo periodo di tempo 58 persone sono decedute per cancro, di cui circa un terzo erano donne (il 35,6%). L’età media del decesso era 61 anni per le donne e 60 per gli uomini – un dato interessante per i ricercatori in quanto ci si aspettava che le donne vivessero in media circa 13 anni in più, mentre gli uomini circa 8,5 anni in più. A motivo di ciò queste morti sono state considerate premature. Il motivo principale di morte per le donne era attribuito al cancro del seno. Per quanto riguardava gli uomini, le morti erano da attribuire a diversi tipi di cancro.
Dopo aver stabilito l’età e le cause di morte è stata la volta del raffronto con la presenza di placca dentale nella bocca dei partecipanti. La misura, valutata con un indice di placca dentale (IPD), è stata trovata significativamente più alta in coloro che erano morti durante il periodo di osservazione, rispetto a coloro che erano sopravvissuti. I valori stimati erano di 0,84-0,91, e suggerivano che sia l’area dei denti che l’area gengivale erano ricoperte da placca. Per differenza, i valori di placca misurati tra i sopravvissuti erano decisamente inferiori e andavano da 0,66 a 0,67 – una misura che restava costante nel tempo. Questi valori davano l’idea che la placca ricopriva denti e gengive solo parzialmente. I dati sono infine stati confermati anche dopo aver aggiustato i valori considerando i fattori di rischio come l’età, il sesso di appartenenza, il fumo, l’abitudine alla cura dei denti e alle visite odontoiatriche e così via. A fronte di questi valori, e dopo aver valutato i possibili fattori confondenti, il rischio di morte precoce dovuta a cancro restava molto alto quando vi era una significativa presenza di placca dentale. Questa aumentava del 79% il rischio, sebbene il rischio assoluto di morte prematura fosse basso, con solo 58 dei 1.390 partecipanti che sono morti dopo 24 anni. «La nostra ipotesi di studio è stata confermata dalla constatazione che una scarsa igiene della bocca, che si riflette nella quantità di placca dentale presente, è stato associato ad aumento della mortalità per cancro. Sono necessari ulteriori studi per determinare se non vi è alcun elemento causale nella associazione osservata», concludono i ricercatori. A scanso di equivoci, e anche se non se ne fa una questione estetica, ecco un buon motivo per curare meglio l’igiene della bocca.
BERE TROPPA ACQUA PUO' ESSERE FATALE.
02-02-2015
Secondo il Dr. James Winger, medico dello sport della Loyola University Medical Center, bere troppa acqua può essere fatale per gli atleti. L’ over-idratazione da parte degli atleti è chiamata iponatriemia da esercizio fisico. Bere troppa acqua durante l’esercizio fisico può sopraffare la capacità del corpo di rimuovere l’acqua. Il contenuto di sodio del sangue viene diluito a livelli anormalmente bassi. Le cellule assorbono l’acqua in eccesso e questo può causare gonfiore pericoloso, soprattutto nel cervello. L’iponatriemia può causare crampi muscolari, nausea, vomito, convulsioni, perdita di coscienza, e in rari casi, la morte. Negli ultimi anni ci sono stati più di una dozzina di decessi sospetti da iponatriemia, tra i corridori. Secondo il Prof. Ala, è comune per gli allenatori incoraggiare gli atleti a bere copiosamente, prima di arrivare ad avere sete. Ma egli ha osservato che le linee guida degli esperti raccomandano gli atleti di bere solo quando hanno sete. Bere solo quando si ha sete può causare una lieve disidratazione. “Tuttavia, i rischi associati alla disidratazione sono minori rispetto alla iponatriemia”, ha spiegato Winger. “Nessuno è morto sui campi sportivi di disidratazione e gli effetti negativi di una lieve disidratazione sono discutibili. Ma gli atleti, in rare occasioni, sono morti a causa di eccessiva idratazione”. Ala è co-autore di uno studio del 2011 che ha trovato che quasi la metà dei corridori di Chicago intervistati, ha dichiarato di aver assunto molti liquidi durante le gare. Winger e colleghi hanno scoperto che, contrariamente alle linee guida degli esperti, il 36,5 per cento dei corridori beve per mantenere un certo peso corporeo e l’8,9 per cento beve il più possibile. “Molti atleti seguono punti di vista non scientifici per quanto riguarda i benefici di diverse pratiche di idratazione, mettendo a rischio la loro salute”, hanno concluso Winger e colleghi.
http://www.loyolamedicine.org/newswire/news/drinking-too-much-water-can-be-fatal-athletes
http://www.sciencedaily.com/releases/2014/09/140902143238.htm
I FARMACI ANTINFIAMMATORI POSSONO AUMENTARE IL RISCHIO DI TROMBOEMBOLISMO VENOSO.
02-02-2015
Gli utenti di farmaci antinfiammatori non-steroidei ( FANS) hanno un aumento del rischio di tromboemboembolismo venoso, secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista Rheumatology. I farmaci antinfiammatori non steroidi vengono utilizzati per alleviare il dolore e ridurre l’infiammazione. Milioni di persone assumono FANS per i problemi muscolo-scheletrici, distorsioni, stiramenti, mal di testa, mal di schiena, mestruazioni dolorose, così come per le condizioni croniche come l’artrite ed il lupus. Fino ad oggi, l’evidenza di un legame tra uso di FANS e il tromboembolismo venoso, è stata limitata. I FANS – compresi i farmaci come l’aspirina, ibuprofene (Advil, Motrin), naproxene (Aleve) e celecoxib (Celebrex) – sono noti per essere associati con i seguenti effetti indesiderati:
- Problemi di stomaco quali sanguinamento, ulcera e mal di stomaco.
- Alta pressione sanguigna.
- Ritenzione di liquidi (che causa gonfiore, ad esempio alle gambe, piedi, caviglie e mani).
- Problemi renali.
- Problemi di cuore.
- Eruzioni cutanee.
Alcuni studi precedenti hanno collegato un aumento del rischio di tromboemboembolismo venoso (TEV) – una condizione che include sia la trombosi venosa profonda che l’embolia polmonare - con l’uso di FANS, ma la prova scientifica di ciò era limitata.
Per il nuovo studio, i ricercatori del Bassett Medical Center, New York, hanno eseguito una revisione sistematica e una meta-analisi degli studi osservazionali disponibili per valutare il rischio di TEV in utenti e non utenti di FANS. I ricercatori hanno confrontato uno studio di coorte e cinque studi osservazionali, che includevano un totale di 21.401 eventi di tromboembolismo venoso. Essi hanno scoperto che gli utenti di FANS avevano un aumento del rischio di tromboembolismo venoso di 1,8 volte rispetto ai partecipanti allo studio che non hanno utilizzato FANS.
“Questa è la prima revisione sistematica e meta-analisi di studi osservazionali pubblicati che valuta il rischio di TEV tra gli utenti di farmaci antinfiammatori”, dice l’autore dello studio Patompong Ungprasert. “Ci sono alcune limitazioni tuttavia, in questo studio, poichè tutti i farmaci antinfiammatori sono stati valutati come un unico gruppo, ma non tutti i singoli FANS aumentano il rischio di tromboembolismo venoso”. “I nostri risultati mostrano un aumento statisticamente significativo del rischio di tromboembolismo venoso tra gli utenti di farmaci antinfiammatori.
Perché i FANS possono aumentare il rischio di tromboembolismo venoso? L’aumento del rischio è legato all'inibizione della COX-2 che porta a uno squilibrio trombossano-prostaciclina. La cicloossigenasi COX-1 presente nelle piastrine genera il trombossano A2 che stimola l’aggregazione piastrinica e la vasocostrizione. Dalla parte dell’endotelio abbiamo le COX-2 che producono prostaciclina, che inibisce l’aggregazione piastrinica e la vasocostrizione. Sembrerebbe che l’impiego selettivo di inibitori della COX-2 sia associato anche ad un maggior numero di infarti miocardici. "I medici devono essere consapevoli di questa associazione ed i FANS devono essere prescritti con cautela, specialmente nei pazienti già ad un elevato rischio di tromboembolismo venoso”.
http://www.alphagalileo.org/ViewItem.aspx?ItemId=145581&CultureCode=en
http://rheumatology.oxfordjournals.org/content/early/2014/09/22/rheumatology.keu408.abstract
http://medicalxpress.com/news/2014-09-venous-thromboembolism-nsaids-users.html
I FARMACI CHE AUMENTANO IL RISCHIO DI FRATTURE NEGLI ANZIANI.
30-01-2015
L'assunzione di farmaci ipnotici per il trattamento dell'insonnia e degli antidepressivi SSRI (inibitori della ricaptazione della serotonina) aumenta la probabilità di una frattura nei soggetti anziani. A dirlo è una ricerca presentata nel corso del congresso annuale dell'American Society for Bone and Mineral Research. L'autore dell'analisi, Daniel Sundh dell'Università di Goteborg, spiega: “mentre il FRAX (uno strumento ampiamente utilizzato per prevedere il rischio di fratture) tiene conto solo dell'uso dei glucocorticoidi orali come farmaci rischiosi, i risultati dello studio suggeriscono l'importanza di considerare anche l’utilizzo, da parte del paziente, di farmaci di queste due altre classi. I nostri risultati indicano che l'uso di questi farmaci aumenta il rischio di fratture a causa di un aumento della suscettibilità alle cadute. Tenere conto di questo rischio potrebbe migliorare la previsione di frattura nelle donne e negli uomini anziani".
Lo studio, realizzato grazie a un archivio di oltre 128 mila anziani, ha permesso di valutare l'incidenza delle lesioni dovute a cadute e delle fratture osteoporotiche e all'anca. Dai risultati è emerso che 15.299 pazienti hanno accusato lesioni dovute a cadute, 6.730 fratture osteoporotiche e 2.557 fratture all'anca. Il 17,4 per cento del campione totale assumeva gli antidepressivi e il 19 per cento i farmaci ipnotici. Le differenze statistiche fra anziani che assumevano questi farmaci e quelli che non lo facevano rispetto alle lesioni subite erano significative: 50,7% nei soggetti che assumevano SSRI contro 38,8% in quelli che non ne facevano uso e 45% tra gli utilizzatori degli ipnotici contro 40% nei non utilizzatori.
Risultati simili sono emersi anche per quanto riguarda le fratture legate all'osteoporosi: 22,4% tra gli utilizzatori SSRI contro 15,2% tra i non utilizzatori e 19,5% tra gli utilizzatori degli ipnotici contro 15,7% nei non utilizzatori; e per quelle all’anca: 2,3% tra coloro che assumevano SSRI contro 1,9% in coloro che non li utilizzavano e 2,2% per gli utilizzatori di ipnotici contro 1,9% nei non utilizzatori. "Abbiamo scoperto che sia gli SSRI sia gli ipnotici sono associati a un aumento del rischio di lesioni correlate alle cadute, di fratture all’anca e di osteoporosi e che l'aumento del rischio di fratture associato all'uso di SSRI o ipnotici è indipendente da molti dei fattori di rischio considerati nel FRAX”, ha concluso il dott. Sundh.
CURCUMA CONTRO IL RISCHIO DI ICTUS E ALZHEIMER.
30-01-2015
Si chiama Turmerone, ed è uno dei principali componenti della curcuma, la spezia orientale appartenente alla famiglia dello zenzero. E’ un composto bioattivo che è stato trovato promuovere la proliferazione e la differenziazione delle cellule staminali del cervello. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista open access Stem Cell Research & Therapy, suggeriscono che il turmerone aromatico (ar-turmerone) potrebbe essere un futuro candidato a farmaco per il trattamento di disturbi neurologici e cerebrali come, per esempio, ictus e malattia di Alzheimer. Lo studio è stato condotto dai ricercatori dell’Istituto di Neuroscienze e Medicina a Jülich, in Germania. Il team ha esaminato gli effetti di (ar) turmerone aromatico sulle cellule staminali endogene neutre (NSC), che sono le cellule staminali presenti nel cervello adulto. Le NSC si differenziano nei neuroni, e svolgono un ruolo fondamentale nell’autoriparazione e recupero delle funzioni cerebrali, anche quando intaccate dalle malattie neurodegenerative.
Già precedenti studi sull’ar-turmerone hanno dimostrato che il composto può bloccare l’attivazione delle cellule microgliali. Come è noto, quando queste cellule si attivano sono causa di neuroinfiammazione, una condizione associata a diversi disturbi neurologici. Ma quello che ancora non si sapeva era che l’ar-turmerone può avere un effetto sulla capacità di auto-riparazione del cervello. Per giungere a questa scoperta i ricercatori hanno sperimentato gli effetti di ar-turmerone sulla proliferazione e differenziamento delle NSC, sia in vitro che in vivo. Per i test in vitro sono state utilizzare delle NSC fetali di ratto, che sono state coltivate e cresciute in sei diverse concentrazioni di ar-turmerone nel corso di un periodo di 72 ore. Si è così scoperto che, a determinate concentrazioni, l’ar-turmerone ha mostrato di aumentare la proliferazione delle NSC fino all’80%, senza avere alcun impatto sulla morte cellulare. Anche il processo di differenziazione delle cellule è stato accelerato nelle cellule trattate con l’ar-turmerone – cosa che non si è mostrata nelle cellule di controllo non trattate.
Per quanto riguarda i test in vivo, i ricercatori hanno iniettato dell’ar-turmerone in ratti adulti. Dopo di che hanno utilizzando l’imaging PET e un tracciante per rilevare le cellule NSC proliferanti. L’analisi ha permesso di scoprire che la zona subventricolare (SVZ) era più larga, e l’ippocampo era ampliato nel cervello dei ratti a cui era stato iniettato l’ar-turmerone, rispetto al gruppo di controllo, che non mostrava queste modificazioni. Per chi non lo sapesse, la zona del cervello detta SVZ e l’ippocampo sono le due aree nei cervelli dei mammiferi adulti dove è conclamata la neurogenesi e la crescita dei neuroni. «Mentre diverse sostanze sono state descritte promuovere la proliferazione delle cellule staminali nel cervello – spiega la dott.ssa Adele Rueger, autore principale dello studio – pochi farmaci promuovono la differenziazione delle cellule staminali nei neuroni, che costituisce un obiettivo importante nella medicina rigenerativa. I nostri risultati con il turmerone aromatico ci permettono di fare un passo verso il raggiungimento di questo obiettivo». A differenza della curcumina, l’altro noto componente della curcuma, il turmerone è stato poco studiato. Peccato, perché, come visto in questo studio, ha dimostrato di avere importanti proprietà.
MIRTILLO NERO UTILE PER DIMINUIRE LA GLICEMIA.
30-01-2015
Il mirtillo nero utile contro il diabete mellito? Sì, secondo un gruppo di ricercatori britannici che confermano l’azione tradizionalmente attribuita a queste bacche, diffusamente consumate in tutto il pianeta. È la presenza di antocianidine e antocianosidi, polifenoli che presentano un ventaglio di azioni molto interessanti, che sembra contribuire all’efficacia del mirtillo nero nel controllo della glicemia. In questo piccolo studio 8 maschi volontari obesi con diabete mellito o scarsa tolleranza al glucosio che seguivano un programma dietetico, hanno assunto una capsula al giorno di un integratore contenente 0,47 g di Mirtoselect®, estratto secco di mirtillo titolato al 36% in antocianidine, o un placebo, sottoponendosi subito dopo a un test orale di tolleranza al glucosio per 2 settimane. Il procedimento è stato nuovamente condotto invertendo i gruppi dopo 2 settimane di intervallo.
Lo studio ha dimostrato che la somministrazione di antocianidine del mirtillo nero è in grado di ridurre la glicemia postprandiale e l’insulinemia in soggetti con diabete mellito o prediabete. Grazie alle azioni antiossidante e antinfiammatoria, il mirtillo protegge la funzione visiva e il tono venoso. Per quanto riguarda l’ambito oftalmico, il mirtillo nero aiuta a migliorare la degenerazione senile della macula e la visione notturna. Gli studi indicano che le antocianidine del mirtillo aiutano a mantenere l’integrità delle strutture oculari del collagene, riducendo la fuoriuscita di capillari nella retina. Nella clinica hanno mostrato di ridurre i marker dell’infiammazione, fornendo risultati nell’ipertensione oculare. Antocianidine e antocianosidi sono i principi attivi responsabili anche dell’attività sul microcircolo, utile nei disturbi vascolari periferici e nell’insufficienza venosa in grado di diminuire gonfiore e pesantezza degli arti inferiori e i fenomeni cutanei dovuti all’alterazione del microcircolo (capillari).
COSA C'E' NELLE BIRRE?
30-01-2015
L’analisi, pubblicata su “Food Additives and Contaminants”, ha analizzato 24 marche di birra commerciali – 12 delle quali Pilsener, cinque di frumento e sette Pilsener senza alcool – , filtrandole per rilevarne la presenza di contaminanti. In tutti i casi, scrivono i ricercatori, sono state trovate microplastiche, definite come “fibre di polimeri sintetici, frammenti o particelle granulari inferiori ai cinque millimetri di dimensioni”. Nella maggior parte dei casi si tratta di “particelle individuali e frammenti”. Anche se la quantità scoperta nella fresca bevanda non è considerata troppo pericolosa per la salute umana, secondo l’equipe di ricerca è la dimostrazione della misura in cui le microplastiche abbiano “infiltrato il mondo intero”: “la loro presenza in una bevanda comune come la birra, indica che l’ambiente umano è contaminato da polimeri sintetici di micro dimensioni in misura di ampia portata”. In alcuni dei campioni analizzati sono stati inoltre scoperti resti di insetti e di vetro, entrambi riconducibili secondo i ricercatori ad un “errato trattamento del prodotto o del sistema di stoccaggio” e di sabbia dovuta probabilmente all’utilizzo di acqua di sorgente.
http://blogs.naturalnews.com/plastic-particles-contaminants-found-german-beer/