Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

03-05-2015

Bere vino rosso durante la gravidanza può nuocere al bambino. A sostenerlo i ricercatori della Division of Diabetes, Obesity and Metabolism e della Division of Reproductive and Development Science presso la Oregon Health and Science University, negli USA. Secondo quanto riferito dai ricercatori statunitensi sarebbe il resveratrolo contenuto nel vino rosso a rappresentare una fonte di rischio per il pancreas del nascituro in merito a un possibile sviluppo anormale. Ritenuto di solito un prezioso alleato della salute, questo elemento vedrebbe mutare i suoi effetti in caso di consumo durante la gravidanza. Durante lo studio è stato somministrato del resveratrolo in forma di supplemento a dei macachi obesi, alimentati con una dieta occidentale, nel periodo di gravidanza. A un secondo gruppo non sono stati forniti integratori mentre un terzo gruppo è stato alimentato in maniera sana e utilizzato come gruppo di controllo. In seguito ai controlli effettuati sullo stato di salute degli animali per monitorarne lo stato di salute, anche grazie all’utilizzo di ultrasuoni, i ricercatori hanno individuato anormalità nello sviluppo del pancreas.
Stando a quanto riferito sul Federation of American Societies for Experimental Biology Journal dai ricercatori, lo studio condotto avrebbe rilevanza diretta per la salute umana. Soprattutto alla luce del fatto che il resveratrolo risulta “largamente utilizzato per i suoi riconosciuti benefici per la salute e ampiamente disponibile”. Dalla ricerca arriverebbe soprattutto un avvertimento in merito all’alimentazione delle donne in gravidanza, come spiega l’autore principale, Dr. Kevin Gove: “Il messaggio importante diffuso con questo studio è che le donne dovrebbero essere molto caute in merito a quello che consumano durante la gravidanza e che non dovrebbero assumere integratori, come il resveratrolo, senza consultare i propri medici. Quello che può essere buono per la madre potrebbe non esserlo per il bambino”.

 

http://www.dailymail.co.uk/news/article-2768829/Red-wine-harms-unborn-baby-Healthy-ingredient-drink-lead-abnormalities-unborn-child-s-pancreas.html

03-05-2015

Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno esaminato gli anticorpi del sistema immunitario di 124 bambini di età compresa tra gli 8 e i 18 anni che erano stati esposti al virus del raffreddore e di altre infezioni dell’apparato respiratorio, l´Adenovirus 36 (in gergo medico indicato di solito con la sigla AD36). Ebbene, gli anticorpi sono stati trovati in 15 su 67 bambini obesi, rispetto ai soli 4 su 57 bambini che rientravano invece nel peso normale per la loro età. In pratica, i bambini che sono stati esposti al virus pesavano in media circa 23 kg in più.
Tuttavia, non è ancora perfettamente chiaro se e in quale modo il virus possa davvero essere associato all´epidemia di obesità in atto a livello mondiale. Ma per i ricercatori appare evidente che il virus, se non è la causa principale, di sicuro è uno dei fattori che vi concorrono, contribuendo insomma all´aumento del peso dei bambini. Se non altro, questa scoperta dovrebbe indurre a considerare l’obesità non tanto e non solo un problema dipendente da storia familiare o abitudini personali. Gli obesi, insomma, dovrebbero essere trattati senza cercare colpe come l´eccesso di cibo. “Molte persone credono che l’obesità sia una colpa propria o colpa di uno dei genitori o familiari”, spiega il dottor Schwimmer. “Questo studio aiuta a ricordare che il peso corporeo è più complicato di quanto di pensi. Ed è tempo che ci si allontani dal biasimare in favore dello sviluppo di un livello di comprensione che potrà meglio sostenere gli sforzi a livello sia di prevenzione che trattamento”.

 

http://ucsdnews.ucsd.edu/archive/newsrel/health/09-20ViralInfection.asp

http://www.livescience.com/8668-childhood-obesity-blamed-virus.html

03-05-2015

Una pasticca di ibuprofene allunga la vita? Lo dicono i ricercatori americani della Texas A&M University, che hanno condotto uno studio per dimostrare che il farmaco può aumentare l’aspettativa di vita di diverse forme di organismi. I test di laboratorio, condotti su vermi e mosche, hanno dimostrato che l’ibuprofene è in grado di allungare la vita di almeno 12 anni, parlando in termini “umani”. Quindi, in altre parole, per questi psicopatici il nostro metabolismo è paragonabile a questi minuscoli animali!

 

http://www.plosgenetics.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pgen.1004860

03-05-2015

Secondo uno studio condotto presso la Northwestern Medicine e pubblicato online sulla rivista Human Brain Mapping i fumatori sono 3 volte più a rischio dei non fumatori di sviluppare mal di schiena cronico: chi smette però, vede ridursi la probabilità di sviluppare tale problematica. Secondo gli autori della ricerca il fumo altera alcuni circuiti neuronali e in particolare quelli che elaborano la sensazione dolorosa legata con il mal di schiena. Nello studio sono stati coinvolti 160 pazienti con mal di schiena che per 5 volte in un anno si sono sottoposti a risonanza magnetica del cervello, hanno compilato un questionario sul tipo di dolore che avvertivano e hanno riferito circa il loro eventuale vizio del fumo. Nello studio sono stati coinvolti anche 35 controlli sani e 32 persone con mal di schiena cronico. Dall’analisi di tutti i dati a disposizione si è visto che nei fumatori è fortemente attivata un’area del cervello connessa con la dipendenza che rende più predisposti a sentire dolore e ad avvertirlo in maniera cronica; smettere di fumare significa spezzare il legame fra le due aree e quindi riduce il rischio di avvertire dolore in maniera cronica.

 

http://www.northwestern.edu/newscenter/stories/2014/11/smoking-is-a-pain-in-the-back.html

03-05-2015

Lungamente si è creduto che il composto organico allicina, che dà all’aglio il relativo aroma e sapore caratteristico, fosse l’antiossidante più potente del mondo. Ma finora non erano chiare le sue proprietà, o la sua azione confrontata agli antiossidanti più comuni quali vitamina E e coenzima Q10. Un gruppo di ricerca ha studiato l’efficacia dell’allicina. Grazie a esperimenti con allicina sintetica, hanno trovato che l’acido sulfenico prodotto quando il residuo si decompone velocemente reagisce con i radicali liberi più pericolosi. I ricercatori hanno detto che la reazione fra l’acido sulfenico e i radicali è molto veloce, limitata soltanto dal tempo necessario affinchè le due molecole vengano a contatto. Nessun altro residuo è stato osservato reagire così rapidamente come antiossidante.

 

http://www.sciencedaily.com/releases/2009/01/090130154901.htm

03-05-2015

È impensabile, oggi, immaginare una quotidianità vissuta senza un cellulare: ci sentiremmo tagliati fuori dal mondo, isolati. Ma quanto la nostra dipendenza a questi dispositivi tecnologici può essere nociva per la salute? Abbiamo già visto in un precedente articolo come le radiazioni emesse dai dispositivi mobili siano un concreto rischio per la nostra salute. In quella occasione, ho esaminato uno studio, effettuato nel marzo 2012, presso la Beijing University of Technology, che ha indagato gli effetti cellulari di trasformazione neoplastica causata dai campi elettromagnetici.
Oggi vedremo una serie di altre teorie atte ad avvalorare la tesi dell’esistenza di un collegamento tra telefoni cellulari e cancro. Nei diversi studi effettuati per valutare l’incidenza di tumori a seguito dell’esposizione alle radiazioni provenienti dai telefoni cellulari, sono stati trattati principalmente due tipologie di cancro: il glioma e i neuromi acustici. I primi partono generalmente dal cervello e sono tipicamente maligni. Molto aggressivi, hanno un tasso di sopravvivenza che dipende dalla tempestività della diagnosi. I secondi non sono maligni, ma comunque rischiosi, visto che sono una forma di tumore intracranico che porta conseguenze come la perdita dell’udito. Ma vediamo le prove che collegano i cellulari al cancro.

1. Veniamo al primo studio. Il gigante delle telecomunicazioni T-Mobile in Germania ha commissionato uno studio indipendente per esaminare tutte le ricerche pertinenti sui rischi per la salute dei dispositivi wireless. Secondo questa ricerca, molti studi avrebbero trovato una corrispondenza tra campi elettromagnetici ad alta frequenza e sviluppo e proliferazione del cancro.

2. L’Interphone Study ha rilevato che l’uso regolare di un telefono cellulare da parte degli adulti può aumentare significativamente il rischio di gliomi del 40%, con 1.640 ore o più di utilizzo (si tratta di una mezz’ora al giorno per dieci anni). Lo stesso studio ha rilevato che è molto più probabile che i tumori si verifichino sul lato della testa su cui si appoggia il cellulare con maggiore frequenza.

3. Una rassegna di 23 studi epidemiologici condotta da 7 scienziati sul collegamento tra telefoni cellulari e il cancro ha confermato la presenza di un’associazione dannosa.

4. Un recente studio condotto dal Gruppo di Ricerca Hardell rileva “un modello coerente di aumento del rischio di glioma e neuroma acustico associato con l’uso di telefoni cellulari”. Questi risultati sono coerenti con i loro studi precedenti.

5. Un recente studio francese ha trovato prove di un aumento del rischio di glioma e tumori al lobo temporale, conseguenti a un uso professionale e urbano telefono cellulare.

6. Un recente studio condotto su 790 mila donne di mezza età nel Regno Unito ha evidenziato che le donne che hanno utilizzato i cellulari per dieci o più anni avevano due volte e mezzo in più di probabilità di sviluppare un neuroma acustico. Il rischio aumenta con l’aumento del numero di anni di utilizzo dei telefoni cellulari.

7. Un documento di ricerca che recensisce 11 studi precedenti, ha trovato un legame tra il prolungato uso del telefono cellulare e lo sviluppo di una ipsilaterale (stesso lato della testa) tumore al cervello.

8. Un recente lavoro di Hardell ha esaminato l’uso prolungato di telefoni cellulari e cordless. La conclusione è stata la conferma di un’associazione tra l’uso dei dispositivi e tumori cerebrali maligni. Questi risultati forniscono il supporto per l’ipotesi che i campi elettromagnetici RF-svolgono un ruolo sia nella iniziazione che nella promozione della carcinogenesi.

9. I cellulari, però, non causerebbero solo gliomi e tumori al cervello. La ghiandola pituitaria è un organo delle dimensioni di un pisello situata al centro della base del cervello che produce gli ormoni che svolgono un ruolo importante in regolano le funzioni vitali del corpo e il benessere generale. Questo studio avrebbe riscontrato che il rischio di cancro della ghiandola pituitaria è due volte più elevato tra le donne che hanno utilizzato un telefono cellulare per meno di cinque anni rispetto a chi non lo usa.

10. Utilizzando un telefono cellulare contro l’orecchio, si espone la tiroide a radiazioni. Un recente studio israeliano ha osservato che l’aumento dell’incidenza del cancro della tiroide in Israele, da più di un decennio, corrisponde all’aumento dell’uso di cellulari. Ci sarebbero prove di mutazioni nelle cellule della tiroide in risposta alle radiazioni elettromagnetiche.

11. Un altro studio israeliano condotto su 460 casi di tumori della ghiandola parotide, fino ad oggi benigni, ha suggerito un’associazione tra l’uso del telefono cellulare e i tumori della ghiandola parotide, la ghiandola salivare vicino alla guancia, dove molti utenti tengono il loro telefono cellulare.

12. Uno studio brasiliano ha stabilito un legame diretto tra i vari decessi per cancro, come i tumori della prostata, della mammella, del polmone, reni e fegato e l’esposizione alle radiazioni emesse dai ripetitori di cellulari. Oltre l’81% delle persone che muoiono a Belo Horizonte a causa di specifici tipi di cancro vive a meno di 500 metri dalle 300 antenne di telefonia cellulare in città.

Esistono numerosi altri studi che evidenziano non soltanto il collegamento tra uso dei dispositivi cellulari e aumento di incidenza dei tumori, ma anche un abbassamento delle prestazioni cognitive e la morte cellulare. Certo, il cancro non si forma improvvisamente durante la notte: in quasi tutti i casi, infatti, impiega molti anni per entrare in metastasi. L’esposizione al tipo di radiazioni emesse dai telefoni cellulari è potenzialmente legata anche a molte altre malattie, tra cui, ad esempio:

• danni allo sperma e infertilità maschile
• aborti spontanei
• perdite vaginali
• malattia del sistema vascolare
• problemi di sonno
• depressione
• irritabilità
• perdita di memoria
• difficoltà a concentrarsi
• mal di testa
• vertigini e stanchezza
• aritmia
• livelli di calcio alterati nelle cellule
• riduzione notturna della melatonina
• soppressione del sistema immunitario
• artrite
• reumatismi
• sintomi cutanei
• malattie linfatiche
• problemi di udito

Nel 2011, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ammesso che le radiazioni del telefono cellulare sono “potenzialmente cancerogene”. Eppure esistono delle precauzioni che possono aiutarci a ridurre l’esposizione alle radiazioni. Eccole:

• indossare cuffie o auricolari per mantenere il dispositivo il più lontano possibile dalla testa;

• spegnere il dispositivo quando non è in uso.
Inoltre, è possibile utilizzare una di queste sostanze per mitigare gli effetti delle radiazioni:

- Un composto trovato all’interno della propoli delle api, proteggerebbe gli organi interni. Inoltre, avrebbe proprietà radioprotettive.

- Come la propoli, la melatonina ha dimostrato di avere potenti proprietà radioprotettive contro radiazioni gamma.

- EGCG (polifenolo presente nel tè verde) ha dimostrato di proteggere il fegato contro i danni indotti dalle radiazione della telefonia mobile.

- Ginkgo Biloba. Sembra che questa pianta sia in grado di fornire una vasta gamma di benefici per la salute del cervello, in particolare protegge dallo stress ossidativo indotto.

 

http://www.hese-project.org/hese-uk/en/papers/ecolog2000.pdf

http://www.bioinitiative.org/freeaccess/press_release/docs/Interphone.pdf

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19826127

http://www.pathophysiologyjournal.com/article/S0928-4680%2812%2900110-1/abstract

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18425337

http://oem.bmj.com/content/early/2014/05/09/oemed-2013-101754

http://www.saferemr.com/2013/05/cell-phone-use-acoustic-neuroma-and.html

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19328536

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24064953

http://mieuxprevenir.blogspot.fr/2013/05/uk-study-of-790000-women-cell-phone-use.html

http://www.saferemr.com/2014/07/is-mobile-phone-use-contributing-to.html

http://aje.oxfordjournals.org/content/167/4/457.abstract

http://whyfry.org/brazilian-study-cancer-associated-with-radiation-from-cellular-antennas/

http://www.iarc.fr/en/media-centre/pr/2011/pdfs/pr208_E.pdf

http://www.greenmedinfo.com/blog/ways-reduce-cancer-causing-effects-cell-phones

http://www.greenmedinfo.com/article/melatonin-has-ameliorative-effect-against-gamma-irradiation-induced-oxidative-stress-and

http://www.greenmedinfo.com/article/mobile-phone-radiation-induced-free-radical-damage-liver-inhibited-antioxidants-n-acetyl

03-05-2015

Portare i tacchi alti aumenta le possibilità di insorgenza dell'artrite. Lo dice una ricerca della Stanford University pubblicata sul Journal of Orthopaedic Research. Secondo i ricercatori, camminare con i tacchi alti circa 7 centimetri può alterare l'andatura in una maniera simile a quella riscontrata nelle persone affette da artrite. Una scoperta che potrebbe spiegare il motivo per cui l'artrite è più frequente nelle donne che negli uomini. La forma più comune di artrite è l'artrosi, provocata dall'usura della cartilagine. Dallo studio di un campione di 14 donne, i ricercatori hanno scoperto che i tacchi modificavano sostanzialmente l'andatura delle volontarie che, se in sovrappeso, soffrivano maggiormente del fenomeno. “Molti dei cambiamenti osservati con l'aumentare dell'altezza del tallone e il peso sono stati simili a quelli osservati con l'invecchiamento e la progressione dell'osteoartrite. Questo suggerisce che l'utilizzo dei tacchi alti, specialmente con un peso alto, possono contribuire ad aumentare il rischio artrosi nelle donne", hanno spiegato i ricercatori.
Anche un'altra ricerca conferma la pericolosità dei tacchi a spillo. Uno studio condotto in collaborazione fra Manchester Metropolitan University e Università di Vienna punta il dito contro uno degli accessori preferiti dalle donne di tutto il mondo, sostenendo che indossare tacchi alti per periodi di tempo prolungati possa causare un accorciamento delle fibre muscolari e un ispessimento del tendine d'Achille. La ricerca, firmata dal prof. Marco Narici e dal dottorando Robert Csapo, è stata pubblicata sul Journal of Experimental Biology e ha analizzato 80 donne fra i 20 e i 50 anni che indossavano abitualmente tacchi alti almeno cinque centimetri. Le volontarie sono state sottoposte a una serie di accertamenti, fra cui risonanze magnetiche ed esami agli ultrasuoni, gli stessi test utilizzati per verificare le condizioni di un secondo gruppo di donne che aveva dichiarato di non indossare i tacchi a spillo, ma scarpe basse. Mettendo a confronto i dati emersi, i ricercatori hanno potuto stabilire nelle donne che indossavano abitualmente i tacchi una riduzione del 13 per cento delle fibre muscolari del polpaccio e un ispessimento del tendine di Achille.
Nelle parole del prof. Narici, si intuisce il meccanismo fisico che porta le donne a lamentarsi spesso per i dolori ai piedi e alle gambe: “il tendine cerca di compensare l’accorciamento delle fibre muscolari del polpaccio, consentendo alle amanti dei tacchi di camminare in maniera ottimale, ma provocando loro, però, del disagio. Disagio che si acutizza quando indossano le scarpe basse perché, così ispessito, non riesce ad allungarsi a sufficienza”. Inoltre, questo di tipo di calzatura aumenta in modo esponenziale, i rischi di soffrire del doloroso neuroma di Civinini-Morton, che prende il nome dai medici che lo scoprirono nell'Ottocento: Filippo Civinini, Thomas e Dudley Morton. Questa sindrome comporta l'aumento di volume di un nervo sensitivo interdigitale, normalmente quello passante per il terzo spazio intermetatarsale, causato da uno stimolo irritativo cronico di natura meccanica. Questo stimolo meccanico, derivante dall'uso di tacchi alti, provoca la crescita di tessuto cicatriziale fibroso intorno al nervo stesso, prima della sua biforcazione alla radice delle dita. La sindrome di Civinini-Morton provoca dolore intenso sotto la pianta del piede, che poi si irradia fra le dita e si acuisce col movimento del piede: questa patologia è classificabile tra le neuropatie degenerative su base meccanica ed è indotta dall'uso eccessivo di scarpe non adatte al normale funzionamento dei nostri piedi, come accade con i tacchi a spillo. Il consiglio dei medici è quindi di non utilizzare in maniera esclusiva le scarpe con i tacchi alti, ma al contrario di usare prevalentemente quelle più basse e comode, lasciando le prime per serate le particolari, scongiurando così dolori e danni fisici gravi.

 

http://jeb.biologists.org/content/213/15/i.1.full

03-05-2015

Da tempo immemore gli studiosi di tutto il mondo si alternano in teorie più o meno divergenti sulla maggiore salubrità del correre rispetto al camminare e viceversa. Basti pensare che alcune delle testate più famose al mondo hanno affrontato la questione in modo completamente opposto. L'Health Magazine sosteneva come "per perdere peso meglio correre che camminare" mentre il Guardian sottolineava come "camminare sia più sano che correre". Un ricercatore del Lawrence Berkeley National Laboratory, Paul Williams, ha condotto uno studio che ha coinvolto circa 47mila persone, durato ben 6 anni, per cercare di capire quale tra le due alternative fosse migliore per l'organismo umano. I risultati si sono rivelati in apparenza contrastanti anche se sono venute alla luce alcune peculiarità interessanti sia per quanto concerne il correre che per quanto riguarda il camminare. I principi dedotti da Williams sono stati sostanzialmente due:

- Coloro che corrono rimangono magri o perlomeno dimagriscono con meno difficoltà rispetto a coloro che camminano. Il concetto è valido in particolare per le persone sovrappeso anche a parità di impiego di energia durante lo sforzo prodotto.

- Camminare rappresenta la scelta più idonea per evitare problematiche di tipo cardiovascolare. Procedere a passo regolare permette di controllare efficacemente la pressione, il diabete e il colesterolo.

Williams ha denotato come coloro che camminano spesso possono acquisire e mantenere più chili di coloro che corrono, anche se, in merito allo stato generale di salute possono essere complessivamente messi meglio. Chi cammina pertanto deve porre maggiore attenzione all'alimentazione abituale mantenendo un regime alimentare equilibrato nel tempo esente da eccessi pericolosi e difficili da riassorbire.
Considerando il dispendio in termini calorici, il ricercatore sottolineò come per ottenere il medesimo risultato occorresse camminare circa il 50% in più (per le donne 40 minuti di corsa corrispondono a circa 1 ora e 20 minuti di camminata). L'abbattimento dei rischi legati alla pressione alta, al diabete e al colesterolo è risultato essere più alto in termini percentuali nei soggetti che avevano camminato rispetto a quelli impegnati in una corsa. In termini di perdita di peso (soprattutto nelle persone sovrappeso), la corsa si è rivelata più efficace addirittura del 90%.
Certamente che si tratti di camminare o di correre, si è al cospetto di due metodologie nettamente indicate al fine di migliorare il tenore generale del proprio stato psico-fisico. Le due attività sono pertanto vivamente consigliate per ogni soggetto indifferentemente dal genere e dall'età.

 

http://atvb.ahajournals.org/content/early/2013/04/04/ATVBAHA.112.300878.abstract

http://www.dailymail.co.uk/health/article-2303512/Walking-IS-good-health-running--youll-need-longer-benefits.html

03-05-2015

Un poco di rossetto, un filo di ombretto o di cipria. Una leggera spruzzatina di profumo e un poco di lacca, per tenere in ordine i capelli. Gesti apparentemente innocui, che molte donne ripetono ogni giorno, ma che potrebbero avere qualche controindicazione. Soprattutto se i prodotti utilizzati non sono sicuri. Secondo uno studio pubblicato sul giornale Plos One, alcune sostanze presenti nei cosmetici anticipano la menopausa fra i due e i quattro anni. L'orologio biologico delle donne subisce infatti un'accelerazione a causa dell'inquinamento chimico presenti in alcune confezioni di make-up. Prodotti 'a rischio' potrebbero essere anche alcuni detersivi o saponi. I ricercatori della Washington University a St.Louis, coordinati da Amber Cooper, hanno seguito 31.500 donne, coinvolte in un vasto studio di sorveglianza epidemiologica. Ogni due anni, dal 1999 al 2008, le volontarie hanno risposto a un questionario su Salute e nutrizione in cui era c'era la domanda: "E' in menopausa?". Sono stati inoltre analizzati sangue e urine per verificare la presenza di inquinanti come, ad esempio, pesticidi e ftalati presenti in profumi, materie plastiche, cosmetici, smalti per unghie, lacche per capelli. Esaminando i dati, si è osservato che le donne in cui il tasso di queste sostanze risultava più elevato erano andate in menopausa prima delle altre (da 1,9 anni a 3,8 anni), e avevano una probabilità sei volte più elevata di anticipare la fine dell'ovulazione. Nello studio sono stati presi in esame in tutto i livelli di 111 sostanze chimiche. "I nostri risultati non provano che l'esposizione a questi prodotti provoca la menopausa precoce. Ma provano che le due cose sono comunque collegate in qualche modo", spiega Cooper, che consiglia di ridurre il contatto con le sostanze chimiche scegliendo prodotti senza profumi di sintesi (che contengono ftalati) oppure bio, per ridurre i pesticidi.
"L'esposizione a molte di queste sostanze è al di fuori dal nostro controllo - aggiunge Cooper - . Le troviamo dappertutto: nell'acqua, nel terreno e nell'aria. Ma possiamo provare a gestire le sostanze chimiche che usiamo ogni giorni e aumentare la nostra consapevolezza. Dobbiamo limitare l'uso di alcuni prodotti". Secondo gli esperti è bene controllare gli ingredienti del make-up o dei prodotti per l'igiene personale o della casa, anche se non è ancora stato dimostrato "un rapporto di causa-effetto". Inoltre i ricercatori hanno invitato le donne a preferire prodotti con contenitori di vetro anziché di plastica. "Quello che abbiamo scoperto è comunque un campanello di allarme e dovremo fare ulteriori ricerche per approfondire la questione", conclude Cooper. La Washington University aveva già anticipato i primi risultati di questo studio due anni fa. Il declino della funzione ovarica e la menopausa precoce non ha solo implicazioni sulla fertilità di una donna, ma anche sul rischio di soffrire di malattie cardiache, osteoporosi o di avere altri problemi di salute. Le stesse sostanze chimiche sono note per aumentare il rischio di alcuni tumori, della sindrome metabolica e, nelle donne più giovani, della pubertà precoce.

 

http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0116057

http://www.sciencedaily.com/releases/2015/01/150128141417.htm

http://news.wustl.edu/news/Pages/menopause-chemicals.aspx

03-05-2015

Solo tre tazze di tè verde al giorno possono ridurre il rischio di cancro al seno nelle donne giovani. La nuova ricerca indica che le probabilità di sviluppare il tumore si riduce circa al 37 per cento in donne sotto i 50 anni che bevono tè almeno tre volte al giorno. Le donne più anziane che hanno consumato importi simili non hanno avuto lo stesso beneficio; i ricercatori hanno teorizzato che le proprietà anticancro del tè verde possono avere un effetto più potente sui tipi di tumori che tendono a svilupparsi nelle donne più giovani. Sebbene gli effetti benefici del tè verde per la salute sono ben noti, sono stati lungamente collegati solo alle malattie cardiache. Uno studio del 2008 ha mostrato che quattro tazze al giorno potrebbero ridurre il rischio di attacco cardiaco. Tuttavia, altri studi recenti hanno suggerito che il tè verde può anche proteggere dal cancro cutaneo, ovarico e perfino dall’osteoporosi.

 

http://www.dailymail.co.uk/health/article-1125905/Three-cups-tea-day-slashes-breast-cancer-risk-50s.html

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