Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

Sabato, 12 Gennaio 2019 07:08

LA VITAMINA C NON PROVOCA I CALCOLI.

13-01-2019

I detrattori della medicina naturale alternativa affermano che dosi elevate di vitamina C provocano i calcoli renali perchè questa vitamina si trasforma in acido ossalico. Le informazioni tecniche che seguono confutano scientificamente queste affermazioni. La vitamina C sprigiona elettroni ed è questo il motivo per cui elimina i radicali liberi. I radicali liberi sono elettroni persi che danneggiano le cellule. La vitamina C rende l'urina più acida e in questo modo rende solubile l'acido ossalico.
La vitamina C è un diuretico debole che elimina i calcoli. I calcoli di ossalato di calcio si depositano intorno a noduli di cellule morte e di batteri. Poichè la vitamina C è un disinfettante delle vie urinarie, pulisce l'urina eliminando le cellule morte e i batteri prevenendo la formazione di calcoli. Nell'organismo la vitamina C è metabolizzata come ascorbato di calcio, quindi il calcio non è più disponibile per formare l'ossalato. Nessuno studio scientifico ha mai dimostrato che la vitamina C provoca i calcoli renali.

Sabato, 12 Gennaio 2019 07:04

PIU’ BELLE CON IL COENZIMA Q10.

13-01-2019

Presente in ogni cellula dell’organismo, questo cofattore riveste un ruolo primario nel metabolismo energetico. Infatti, favorisce la respirazione cellulare, consentendo alla cellula di utilizzare in modo adeguato i nutrienti assunti per ottenere energia. È largamente utilizzato per la produzione di integratori, in particolare per l’azione protettiva cardiovascolare, ma costituisce anche un ingrediente chiave per la manifattura di cosmetici, cui è attribuita la capacità di ridurre i segni dell’invecchiamento cutaneo. In un recente studio pubblicato su Biofactor, alcuni ricercatori hanno voluto verificare l’effetto dell’assunzione quotidiana di 50 e 150 mg di coenzima Q10 per 12 settimane, sui parametri cutanei di 33 partecipanti. I risultati ottenuti suggeriscono che il consumo di CoQ10 sia in grado di limitare i danni dovuti al cambiamento stagionale (inverno, estate) e migliorare la viscoelasticità, riducendo alcuni segni visibili di invecchiamento. Lo studio ha evidenziato una significativa diminuzione di rughe e microrughe e il miglioramento della texture cutanea. I maggiori risultati si sono ottenuti con le rughe intorno agli occhi, la bocca e il naso, utilizzando il dosaggio più alto. Studi precedenti avevano dimostrano effetti a livello cutaneo in termini di cicatrizzazione, trofismo e accelerazione della riepitelizzazione e la capacità di preservare il collagene. Oltre che per la protezione cardiovascolare, particolarmente utile nell’insufficienza cardiaca, il CoQ10 è utilizzato in alcune malattie neurologiche (Parkinson, Huntington, Alzheimer, atassia di Friedreich e sclerosi amiotrofica laterale), nell’emicrania, nella cefalea e nell’infertilità maschile idiopatica. La sua integrazione è anche consigliata ai soggetti che assumono statine, in quanto questi farmaci tendono a ostacolare la produzione di CoQ10, provocando dolori muscolari (mialgie).

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27548886

12-01-2019

E' possibile che l'invecchiamento prematuro della pelle non abbia nulla a che fare, qualche volta, con cause ambientali quali un clima aspro e troppo lunghe esposizioni al sole, ma dipenda piuttosto da un invecchiamento accelerato dell'intero organismo? Nessuno può saperlo con certezza, ma c'è stato un medico che ha suggerito che l'avvizzimento precoce della pelle può essere messo in rapporto con reazioni chimiche interne dovute a schemi dietetici errati. E benchè questa sua affermazione sia basata più su una rassegna informale che su un rigoroso studio sperimentale, concorda molto bene con la recente ricerca scientifica la quale mette in luce che:

1. la vitamina E è intimamente connessa con l'aspetto giovanile;
2. è necessaria una quantità molto maggiore di questa vitamina di quanto si fosse sospettato in precedenza, per frenare un deterioramento che sarebbe altrimenti inevitabile.

In un suo scritto su Medical Counterpoint il dottor Edward Pinckney descrive un prolungato esperimento scientifico nel quale sono stati esaminati più di mille pazienti, parte di un chirurgo plastico, per scoprire eventuali segni di invecchiamento prematuro. Venne esaminata anche la dieta. L'esaminatore, il dottor Cadvan Griffiths, professore di chirurgia all'University of California di Irvine, classificò ciascun paziente in base all'entità delle rughe, delle zampe di gallina, dei segni di espressione e di altri sintomi di degenerazione cutanea, come mutamenti nella colorazione e nell'elasticità. Dei 1.093 pazienti studiati il 76% erano donne. L'età dei pazienti andava dai 17 agli 81 anni; tutti vennero classificati per vedere se apparivano più vecchi della loro età. Quando si ottenne una tabella dei risultati, il dottor Griffiths notò un'impressionante correlazione. Tra coloro che affermavano di aver incluso regolarmente e frequentemente nella dieta grassi e oli polinsaturi, il 78% esibiva marcati segni clinici di invecchiamento precoce. Alcuni di essi apparivano addirittura di 20 anni più vecchi dell'età anagrafica, scrive il dottor Pinckney in The Cholesterol Controversy. Come si può spiegare questo legame? "Gli acidi grassi polinsaturi in sè sono composti molto instabili, spiega il dottor Pinckney, un lipide polinsaturo (grasso) quando sia esposto alla minima traccia di un agente catalitico, automaticamente inizia il processo di auto-ossidazione. Ne consegue che la molecola dell'acido grasso polinsaturo si demolisce fornendo radicali liberi...". I radicali liberi sono particelle altamente reattive che, se lasciate incontrollate, infieriranno distruttivamente all'interno dell'organismo. "Quando avviene la distruzione di una cellula organica per opera di un radicale libero", egli dice, "il risultato finale è un granulo di pigmento di lipofuscina. Ed è noto che con l'avanzare dell'età il numero dei pigmenti di lipofuscina aumenta, rappresentando ciascuno la morte di una cellula organica. O, in altri termini, il corpo invecchia in ragione di una cellula per ogni cellula che viene distrutta da un radicale libero proveniente da un grasso polinsaturo". 
In certe condizioni, possiamo aspettarci che quanti più grassi polinsaturi consumiamo, tanti più granuli di pigmento di lipofuscina si formino nel nostro corpo, e presumibilmente, che appaiono tanti più segni d'invecchiamento. Naturalmente, una volta avvenuto un danno di questa specie, è molto improbabile potervi rimediare. Ridurre la consumazione degli insaturi non è tuttavia la soluzione giusta: non soltanto ciò in pratica sarebbe difficile, ma anche sconsigliabile. L'organismo ha la necessità di acidi grassi insaturi per la salute della pelle e per un buon metabolismo. Alcuni cibi come i semi di lino, di girasole, e il germe di grano contengono generose quantità di oli insaturi. E molti medici generici e ricercatori sono convinti che consumare più oli insaturi e meno grassi saturi può ridurre il rischio di gravi disturbi cardiaci. Qui arriviamo al nesso fra rughe, invecchiamento e vitamina E: fortunatamente, abbiamo le prove che gli insaturi non entreranno in reazioni distruttive dei radicali liberi se sono presenti adeguati quantitativi di vitamina E. La vitamina E è l'antiossidante della natura: ciò significa che essa agisce bloccando l'ossidazione che può trasformare i lipidi in pericolosi perossidi. In un certo senso, la vitamina E immobilizza i nocivi radicali liberi e li mette fuori combattimento. Inoltre, può minimizzare il danno fatto dalle reazioni a catena dei radicali liberi perchè agisce come elemento di rottura della catena, ha detto Irwin Fridovich, biochimico presso il Duke University Medical Center. Come ha affermato il dottor Harman al simposio di Los Angeles, le reazioni dei radicali liberi non possono essere fatte cessare interamente, ma la vitamina E e altri antiossidanti possono ridurre significativamente la misura in cui si verificano. La maggior parte degli alimenti che contengono oli polinsaturi contengono anche una certa dose di vitamina E. Ma questa sostanza nutritiva viene largamente esaurita nel proteggere il cibo contro la perossidazione. Alla fine, quando tutta la vitamina E è stata "sacrificata", avviene la degradazione chimica: gli oli vegetali, per esempio, irrancidiscono. Così, l'invecchiamento precoce osservato dal dottor Griffiths si potrebbe definire meglio come il risultato della carenza vitaminica E, piuttosto della tossicità dei grassi polinsaturi. Più polinsaturi consumiamo, più abbisogniamo di vitamina E supplementare e non soltanto per proteggere la nostra pelle da un invecchiamento prematuro. Gli antiossidanti come la vitamina E possono impedire ai radicali liberi di fare ogni sorta di danno. Prove sempre più numerose riguardano reazioni di radicali liberi nella patogenesi del cancro, senilità, aterosclerosi e ipertensione: tutti disordini associati con l'invecchiamento, dice il dottor Harman. Anche disordini polmonari relativi al fumo possono essere dovuti, almeno in parte, a reazioni di radicali liberi. Può quindi la vitamina E rallentare il ritmo dell'orologio biologico per gli esseri umani? Alcuni medici sostengono che la vitamina E non può impedire l'invecchiamento, ma può comunque prevenire una morte precoce, una senilità prematura o un attacco cardiaco dovuti a fattori ambientali. Il dottor Harman è più esplicitamente ottmista: "questo approccio offre la prospettiva di un aumento della probabile durata media della vita fino ad oltre gli 85 anni, e un significativo aumento del numero delle persone che vivranno oltre i 100 anni, insieme alla relativa maggiore durata del periodo di vita sana e attiva". Quanta vitamina E si dovrà decidere di prendere? Dipenderà in gran misura dall'età che abbiamo. Il dottor Chen del Department of Nutrition and Food Science della Kentucky University ha scoperto che, almeno in animali da laboratorio, il fabbisogno di vitamina E cresce notevolmente con l'età. Il dottor Harman suggerisce di aumentare l'assunzione di vitamina E a circa 450 fino a 750 U.I. la settimana, o circa 100 U.I. al giorno.

12-01-2019

Nell’ultimo secolo la nostra dieta si è trasformata in maniera considerevole e uno dei maggiori cambiamenti riguarda l’enorme incremento dell’apporto di grassi nella dieta. Sintetizzando, possiamo affermare che dal punto di vista qualitativo vi è stato un aumento rilevante dell’introduzione di grassi saturi e polinsaturi della serie omega-6, associato però alla riduzione dell’apporto di alimenti ricchi di acidi grassi della serie omega-3 come l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA). Il cambiamento della dieta, accompagnato da altre modifiche ambientali, è considerato una delle maggiori cause del rapido aumento di malattie croniche indotte dall’alimentazione (cardiovascolari, autoimmuni, infiammatorie). In particolare, i maggiori esperti di nutrizione individuano quale fattore determinante lo squilibrio del rapporto omega-3/omega-6, che l’odierna alimentazione ha portato a 1:10, contro un rapporto più salutare che dovrebbe essere intorno a 1:5.

ACUITA’ VISIVA E SVILUPPO NEUROLOGICO NEONATALE

Gli acidi grassi della serie omega-3 svolgono ruoli fisiologici strutturali e funzionali essenziali nell’organismo umano, contribuendo allo sviluppo del sistema nervoso e alla funzionalità di quello cardiovascolare. L’integrità, il normale sviluppo e la perfetta funzionalità cerebrale, sia durante la fase fetale che in quella neonatale, dipendono dalla concentrazione di omega-3 nel doppio strato fosfolipidico membranoso. La somministrazione di omega-3, in particolare di DHA, ha mostrato la capacità di ridurre il rischio di prematurità, oltre a una migliore maturazione delle strutture nervose e stato immunitario in neonati le cui madri avevano assunto DHA. EPA e DHA sono mattoni importanti nella costituzione cellulare, essendo incorporati nelle strutture fosfolipidiche delle membrane cellulari alle quali assicurano corretta fluidità, permeabilità e modulazione. Gli omega-3 svolgono un ruolo ben documentato nello sviluppo cerebrale e in molte funzioni biologiche del feto e del bambino. È importante ricordare che i tessuti nervosi sono la seconda sede di maggior concentrazione di questi importanti acidi grassi. L’ipotesi che gli acidi grassi omega-3 possano avere un ruolo nella perfomance del tessuto nervoso è supportata da numerosi dati sperimentali, anatomo-patologici e clinici. In particolare il DHA è coinvolto nelle funzioni neurali e visive. Cervello e retina, infatti, dipendono da continui rifornimenti di DHA per un funzionamento ottimale. Studi effettuati per comparare gli esiti dello sviluppo e della vista in bambini nutriti con latte addizionato con acidi grassi polinsaturi confermano l’importanza di questi acidi grassi per lo sviluppo cerebrale.

DISTURBI COMPORTAMENTALI E PSICOLOGICI INFANTILI

In numerosi studi è stata osservata una scarsa concentrazione di omega-3 in associazione ad alcuni sintomi psichiatrici e ciò ha suggerito che il deficit di questi acidi grassi possa aumentare il rischio di patologie psichiche e disturbi comportamentali. Numerosi psichiatri statunitensi, a titolo preventivo, oltre che per un corretto equilibrio dietetico, consigliano il consumo di pesce o di olio di pesce, quale fonte di acidi grassi omega-3, a partire dall’infanzia. In virtù del ruolo fondamentale per il cervello, sono numerose le conferme sul loro utilizzo in ambito psichiatrico. Dati ci provengono a partire dalla protezione contro lo stress mentale; sembra infatti che gli omega-3 siano in grado di prevenire l’attivazione surrenale provocata dallo stress mentale. Bassi livelli di acidi grassi negli eritrociti sono stati osservati in bambini autistici e con deficit dell’attenzione (in questa sindrome è stata osservata una ridotta concentrazione di omega-3, in particolare di DHA e AA (acido arachidonico), anche nelle membrane cellulari. Risultati clinici interessanti si sono osservati nella sindrome di Asperger, nei disturbi della coordinazione motoria (CDC), nella depressione, nell’iperattività, nella dislessia e disprassia. In uno studio giapponese la somministrazione di olio di pesce ha mostrato la riduzione degli impulsi aggressivi in bambini in età scolare (9-12 anni).

CONDIZIONI ALLERGICHE

Secondo alcuni studi epidemiologici, la supplementazione dietetica con acidi grassi omega-3 in gravidanza e nei primissimi mesi di vita sembra essere associata a un effetto preventivo nei riguardi delle patologie allergiche. Numerose evidenze scientifiche indicano che le modificazioni dietetiche possono influenzare la gravità dell’asma, riducendo la prevalenza e l’incidenza di questa patologia. Un fattore che contribuisce all’incidenza dell’asma nella società occidentale è sicuramente il consumo di alimenti proinfiammatori e il conseguente rapporto squilibrato omega-3/omega-6. In uno studio su bambini con asma bronchiale, si è osservato che la somministrazione di capsule di omega-3 ha ridotto i sintomi dell’asma. Ricercatori australiani su uno studio di coorte su 2.602 bambini, hanno evidenziato l’effetto modulatorio del rapporto omega-3/omega-6 nella dieta sulla presenza dell’asma nei bambini. I risultati hanno mostrato che una dieta che promuova l’assunzione di omega-3 rispetto agli omega-6, ha un effetto protettivo contro i sintomi di asma.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12509593

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15260465

Giovedì, 10 Gennaio 2019 17:05

LE PROPRIETA’ CALMANTI DELL’ESCOLTZIA.

14-12-2016

Uno studio recente ha dimostrato come in seguito a somministrazione parenterale della tintura compare, nella cavia, riduzione dell’attività motoria spontanea e prolungamento della durata del sonno. Clinicamente la pianta, somministrata per un lungo periodo, diminuisce il tempo di addormentamento e migliora la qualità del sonno. La pianta manifesta attività ansiolitica, la quale certamente svolge un ruolo importante nell’efficacia terapeutica per quanto riguarda il trattamento delle turbe minori del sonno. Nell’uso clinico dimostra di possedere un’azione prolungata, che non causa però depressione del SNC ed è in grado di mantenere l’acuità mentale. La pianta è ben tollerata in età pediatrica: viene pertanto impiegata nelle turbe neurovegetative dell’infanzia e nell’enuresi notturna. Viene segnalato anche l’uso come calmante nella pertosse. Le proprietà analgesiche e calmanti fanno utilizzare i preparati a base di escoltzia nel trattamento delle sindromi dolorose a carico dell’apparato digerente e delle vie biliari e nell’emicrania. Anche grazie a queste proprietà la pianta risulta utile nelle turbe del sonno accompagnate da crampi e manifestazioni dolorose.

Giovedì, 10 Gennaio 2019 16:59

LA VITAMINA D AIUTA A DIMAGRIRE.

10-01-2019

A quanto pare, integrare la nostra dieta con la vitamina D potrebbe aiutarci a perdere peso, mentre una sua carenza ci farebbe ingrassare. Lo studio alla base di questa scoperta è italiano e coinvolge infatti il team di ricercatori della dottoressa Luisella Vigna dell’Università di Milano. Dividendo le persone obese in 3 gruppi di osservazione, si è infatti scoperto che quelle che prendevano integratori di vitamina D perdevano più peso se messe a dieta di chi non le prendeva.
Una buona notizia, quindi. Basterebbe prendere la vitamina D per perdere peso più facilmente. In realtà non è propriamente così. Altri studi hanno infatti evidenziato che l’utilizzo di integratori di vitamina D non fanno perdere peso, mentre una deficienza di vitamina D è un fenomeno legato a una maggiore obesità. Secondo altri ricercatori e nutrizionisti, tra cui Matt Stone, il motivo per cui queste ricerche che collegano l’obesità alla vitamina D arrivano a risultati contrastanti è che l’integratore della vitamina può non funzionare, mentre assumere la vitamina D attraverso l’alimentazione o l’esposizione solare sì.

 

http://www.newsmax.com/Health/Health-News/vitamin-d-weight-obesity-study/2015/05/08/id/643583/

Mercoledì, 09 Gennaio 2019 12:16

VITAMINA B5 PER COMBATTERE I DOLORI ARTRITICI.

15-09-2016

Circa cinquant'anni fa alcuni ricercatori notarono che i ratti giovani affetti da gravi carenze di acido pantotenico presentavano anomalie nello sviluppo delle ossa e delle cartilagini a cui si poteva ovviare con la somministrazione della sostanza carente. Da questa osservazione si ipotizzò che l'acido pantotenico potesse svolgere un ruolo importante nella terapia delle osteopatie e dei dolori articolari. Alcuni anni dopo un altro gruppo di ricercatori osservò che la concentrazione di acido pantotenico nel sangue dei soggetti affetti da artrite reumatoide è molto inferiore a quella degli individui normali. Sulla base di tale osservazione questa stessa èquipe decise di condurre un esperimento: a 20 pazienti affetti da artrite reumatoide somministrò per via endovenosa 50 mg di calcio pantotenato al giorno. All'aumentare della concentrazione di questa sostanza nel loro sangue corrispose nella maggior parte dei pazienti la scomparsa o l'affievolirsi di molti sintomi. Quando però la somministrazione di calcio pantotenato fu sospesa i sintomi si ripresentarono nella loro originaria intensità. E' interessante notare che i risultati migliori si ottennero nei pazienti vegetariani ai quali fu somministrata una miscela di acido pantotenico e pappa reale.
A parte lo studio del 1963, nel corso del quale si constatò che la somministrazione per via orale di pantotenato alleviava i sintomi dell'osteoartrite in un ristretto numero di pazienti, non fu condotto su questo argomento alcun altro esperimento fino al 1980, quando il General Practitioner Research Group rilevò che "la somministrazione per via orale di calcio pantotenato riduceva notevolmente la durata della rigidità articolare, la perdita di funzionalità e l'intensità del dolore" nei soggetti affetti da artrite reumatoide. Il gruppo di controllo che aveva preso soltanto dei placebo non presentò nessuno di questi miglioramenti. Al gruppo preso in esame per studiare gli effetti del calcio pantotenato erano state somministrate una compressa (da 500 mg) al giorno per i primi due giorni, una compressa due volte al giorno per tre giorni, una compressa tre volte al giorno per quattro giorni e una compressa quattro volte al giorno nei giorni successivi. Questa sostanza si rivelò utile ed efficace nel combattere l'artrite reumatoide.

Mercoledì, 09 Gennaio 2019 12:10

IL GLUTATIONE PUO’ CURARE IL TUMORE.

10-01-2019

Il glutatione è il più potente ed importante fra gli antiossidanti prodotti dall’organismo. L’organismo umano si difende dalla formazione dei radicali liberi attraverso di esso. Neutralizza i radicali liberi e riesce a contrastare diverse malattie, compreso il tumore. Il glutatione è un tripeptide, ossia un composto di tre aminoacidi, ed è tra i più potenti scudi per la difesa della nostra salute. E’ in grado di proteggere da radicali liberi, radiazioni, chemioterapia, raggi X, e disintossica fegato e sangue da metalli tossici, quali cadmio, piombo, mercurio, benzene, clorati, nitrati, nitriti ecc. Un abbassamento dei livelli di glutatione comporta numerose malattie, inclusi i tumori. E’ importantissimo consumare giornalmente abbondanti porzioni di frutta e verdura di stagione cruda. Fortunatamente molti alimenti sono ricchi di glutatione, tra i più ricchi troviamo: arance, avocado, carote, cocomero (anguria), fragole, patate, pesche, mirtilli, spinaci (crudi), barbabietole ecc.

IMPORTANTE: La cottura degli alimenti distrugge il glutatione presente. Esistono in commercio degli integratori e precursori del glutatione, che stimolano il nostro corpo a produrne di più.

Secondo alcune esperienze l’assunzione di glutatione per i cancerosi, deve essere bi-giornaliera (600 mg x 2 volte al di). Nelle persone anziane o che soffrono di qualche malattia, i livelli di glutatione nel sangue diminuiscono drasticamente. Il glutatione oltre ad essere un valido aiuto nella prevenzione e cura dei tumori, è molto utile per i problemi del fegato (cirrosi, steatosi ecc.), per le intossicazioni da farmaci, droghe ed alcol, nel diabete, nei “malati” di HIV e di altre malattie dovute a un sistema immunitario debole.

ALCUNE DELLE CONSEGUENZE DELLA SUA CARENZA:

- Tumori. 
- Malattie cardiache.
- Infezioni.
- Artriti. 
- Disturbi epatici e renali.
- Demenza senile.
- Morbo di Alzheimer.
- Allergie. 
- Dermatiti.
- Psoriasi.

CASI IN CUI IL GLUTATIONE PUO’ AIUTARE MOLTISSIMO:

- Anemia.
- Morbo di Parkinson/Alzheimer.
- Aterosclerosi.
- Diabete.
- Cancro.
- HIV, fibrosi cistica e fibrosi polmonare.

Alcuni cibi denominati “Super Food”, come l’alga Klamath, la Clorella e la Spirulina, oltre ad essere benefiche per moltissime cose, contengono buone fonti di glutatione.

08-09-2016

L’inositolo, un membro del complesso B, è una di quelle vitamine di cui se ne parla pochissimo, forse per il fatto che siano in pochi a riconoscere le straordinarie virtù terapeutiche di questa sostanza per l’organismo umano. Già negli anni ‘40 due ricercatori, Gross e Kesten, riferirono sulla strabiliante efficacia dell’inositolo nella guarigione di ammalati di psoriasi i cui indici di colesterolo erano al di sopra del normale. Essi annunciarono sul New York State Journal of Medicine che non meno di 55 su 64 pazienti avevano ottenuto una significativa riduzione del tasso di colesterolo del sangue dopo aver preso un preparato a base di inositolo. Qualche anno più tardi, altri due scienziati, Felch e Dotti, riferirono lo stesso tipo di risultati quando questo fattore vitaminico B venne somministrato a un altro gruppo di pazienti: 30 diabetici che soffrivano del ben noto rialzo del tasso di colesterolo. Questi ricercatori affermarono su Proceedings of the Society for Experimental Biological Medicine che i loro test dimostravano che l’inositolo era di reale valore nell’abbassamento del colesterolo nel siero di sangue, almeno nei diabetici. Nel medesimo anno, Leinwand e Moore riferirono sull’American Heart Journal di aver avuto anch’essi dei risultati incoraggianti usando l’inositolo per regolare lipidi anormali, o grassi come il colesterolo. Essi avevano somministrato 3 grammi al giorno a pazienti che presentavano sintomi di aterosclerosi e dichiararono che, dopo un rialzo iniziale, si era verificata una caduta sostanziale nel colesterolo del sangue dopo la continuazione del trattamento. L’aumento iniziale era stato causato probabilmente dal fluire di depositi di colesterolo dalle arterie nella corrente sanguigna; e la caduta successiva era una conseguenza dell’escrezione o della scomposizione del colesterolo liberato. La capacità l’inositolo di demolire anormali depositi di grassi è stata anch’essa dimostrata dal suo uso in connessione col trattamento di infiltrazioni di grassi o cirrosi del fegato. Uno studio pubblicato su Proceedings of the Society for Experimental Biological Medicine ha dimostrato che la somministrazione di inositolo riduceva i grassi nel fegato a livelli prossimi alla normalità entro le 24 ore in pazienti nel cui fegato aveva avuto luogo una pesante infiltrazione di grassi come conseguenza di un accumulo nel tratto gastrointestinale. Evidentemente, la regolazione del colesterolo non è l’unica funzione dell’inositolo. Nessun osa come o perché ciò avvenga, ma questo fattore B, come è stato dimostrato, ha un moderato effetto inibitorio sul cancro. Una ricerca riportata su Science riferisce che iniezioni endovenose di inositolo hanno rallentato la crescita di tumori trapiantati. Altre ricerche riportate sul Journal of Urology riferiscono che quando l’inositolo venne somministrato a sei pazienti ammalati di cancro della vescica, i loro tumori si ridussero di volume, e scomparvero le tracce di sangue nelle urine. Uno studio apparso su Federation Proceedings riferisce che l’inositolo è stato usato con successo anche ella cura di lesioni nervose in certe forme di distrofia muscolare, ma soltanto quando usato in congiunzione con la vitamina E. Da sola, nessuna delle due vitamine ha alcun effetto. Similmente, l’inositolo, come hanno riferito alcuni ricercatori, ha maggior potere di demolire i grassi quando sia somministrato insieme a un altro fattore B, la colina, alla quale è imparentato.
E’ stato dimostrato che anche un altro fattore correlato, la biotina, ha una complessa relazione con l’inositolo, sia per il suo effetto sul grasso patologico nel fegato, sia per il benessere della flora batterica. Se tutto questo può suonare alquanto complicato, è perché veramente è fantasticamente complicato. E la scienza non è riuscita altro che a scalfire la superficie della questione. Le complessità metaboliche dell’inositolo sono tali che gli sperimentatori si sono frequentemente scontrati sulle loro scoperte. Alcuni risultati raggiunti da uno scienziato spesso non sono stati raggiunti da un altro. Ciò dimostrerebbe che nella questione sono implicati molti più fattori di quanto gli scienziati ne possano controllare nei loro laboratori. Indicativo della posizione nella quale ci troviamo attualmente, è il fatto che sebbene l’esistenza dell’inositolo sia stata scoperta in Europa nel 1950, la sua vera natura di vitamina non è stata riconosciuta fino al 1956. E vi sono ancora molte questioni aperte. La proprietà dell’inositolo di mobilizzare e ridurre il colesterolo ha qualche rapporto con la quasi identica azione della vitamina C? Le due vitamine sono forse sinergiche, come l’inositolo e la vitamina E per la cura delle lesioni nervose? E in che modo si ottenne di ridurre le dimensioni dei tumori e far cessare la comparsa di sangue nelle urine dei sei ammalati di cancro? Non esiste ancora nessuna risposta a tali questioni, ma due cose sono abbastanza sicure: l’inositolo ha importanti funzioni protettive per la salute umana, e molte persone non ne ricevono a sufficienza. Se così fosse, perché godrebbero di una salute migliore dopo averne ricevuto dosi supplementari? Non è il caso di prendere inositolo come vitamina isolata. Si conosce ancora troppo poco di come agisca (specialmente per ciò che riguarda i suoi effetti su altre vitamine ed enzimi) per usarne quantità sostanziose con effettiva sicurezza. E’ buona regola prendere sufficienti quantitativi di inositolo, sia in supplementi razionalmente composti sia in alimenti interi, dove si trova in forma ben equilibrata con il resto del complesso B. La questione della presenza dell’inositolo nei cibi è piuttosto interessante. Le fonti migliori sono il cervello di manzo, il cuore di manzo e il germe di grano, ma pochi mangiano abbastanza di questi cibi. Tuttavia l’uomo primitivo, quando uccideva un animale, ne mangiava il cuore, il fegato, il cervello e altri organi, e lasciava ad altri animali i tessuti muscolari, ovvero le bistecche. E quando mangiava dei semi, ne mangiava anche il germe, perché i suoi semi non erano stati raffinati. Oggi, tutto è cambiato. Non solo l’uomo mangia pane bianco privato del germe e della crusca, ma cerca quasi esclusivamente la bistecca, che è la fonte animale più povera di tutte in fatto di inositolo, e dà al proprio cane i visceri ricchissimi di sostanze alimentari. Non si può mettere in dubbio, insomma, che la maggior parte di noi riceva dosi significativamente minori di vitamina B di quanto non ne ricevessero i nostri progenitori durante i millenni in cui si è evoluta la nostra fisiologia e il nostro metabolismo. E’ possibile, naturalmente, che noi potremmo compensarci di questo se i nostri batteri intestinali ne ricavassero di più, ma non abbiamo motivo per crederlo. Se non altro, dobbiamo tener presente che gli antibiotici uccidono a miliardi i benefici batteri intestinali, e una miriade di altre sostanze chimiche, da quelle plastiche agli ormoni sintetici, si insinuano nel nostro sistema metabolico, diminuendo l’assorbimento di questa preziosa vitamina.

Martedì, 08 Gennaio 2019 18:55

PROPRIETA’ CURATIVE DELLA MELISSA.

09-01-2019

La melissa è una pianta erbacea perenne, molto profumata, che appartiene alla famiglia delle Labiate. Originaria della Turchia, si è diffusa in tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo e nell’Europa centrale e orientale. Il suo odore è simile a quello del limone e per tale motivo viene chiamata anche “limoncella”. Negli estratti della pianta sono presenti: acido rosmarinico, triterpeni, acido caffeico e vari flavonoidi (luteolina, quercetina, apigenina, camferolo). In fitoterapia si utilizzano soprattutto le foglie, ma anche i fiori e gli steli. Recenti studi indicano che l’acido rosmarinico, oltre alle proprietà sedative, spasmolitiche e antibatteriche, mostra attività antiossidante, antiallergica e antinfiammatoria. La melissa è indicata come blando sedativo, nei disturbi del sonno e nell’attenuazione della sintomatologia nervosa, incluso la riduzione di eccitabilità, ansietà e stress. Utilizzata spesso in combinazione con la valeriana, con la quale mostra effetti positivi sulla qualità del sonno.

AZIONE SEDATIVA

L’attività rilassante della melissa è dose-dipendente ed è in grado di provocare una sedazione moderata, svolgendo attività ansiolitica, blandamente ipnoinducente e antidolorifica. In un alcuni studi clinici l’associazione con la valeriana ha mostrato effetti ansiolitici. Per le note azioni ansiolitiche e di modulazione dell’umore evidenziate in studi farmacologici e clinici, viene somministrata come estratto titolato almeno al 2% in acido rosmarinico, alla dose di 8 mg/kg/die suddivisa in 2 somministrazioni lontano dai pasti.

MIGLIORAMENTO DELLE FUNZIONI COGNITIVE E COMPORTAMENTALI

In uno studio in doppio cieco 20 giovani sani hanno ricevuto a un dosaggio progressivo 300, 600 o 900 mg/die di estratto secco di melissa o un placebo per 7 giorni. E’ stato osservato un netto aumento dell’attenzione e riduzione dell’irrequietezza, senza cali di memoria e concentrazione nei soggetti che avevano assunto melissa. In un altro studio, su 18 volontari sottoposti a simulazione di stress, sono stati somministrati 300 o 600 mg/die di estratto secco di melissa titolato al 2% in acido rosmarinico o un placebo per 7 giorni, con un intervallo di 7 giorni, seguiti da altri 7 giorni di trattamento. Dopo le tre settimane di osservazione, i risultati hanno mostrato che il dosaggio di 600 mg aveva migliorato gli effetti negativi dello stress simulato, con un significativo incremento dello stato di calma e vigilanza. Inoltre, è stato osservato l’aumento della velocità di elaborazione matematica, senza riduzione della precisione, già al dosaggio di 300 mg. E’ stato ipotizzato, in virtù delle proprietà colinergiche dimostrate in vitro, che l’estratto di melissa possa migliorare i deficit cognitivi associati al morbo d’Alzheimer. In studi clinici la somministrazione di estratto secco di melissa ha mostrato un effetto positivo sugli stati di agitazione di questi pazienti.

COLITE, DISPEPSIA

La Melissa officinalis mostra un’azione spasmolitica sulla muscolatura liscia del tubo digerente e può essere impiegata come sedativo negli stati d’ansia con somatizzazioni viscerali, irrequietezza e disturbi dispeptici gastroenterici. In studi clinici la somministrazione di estratto secco di melissa ha riportato un’efficacia nel trattamento di coliche infantili.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16444660

Bonus William Hill
Bonus Ladbrokes

Copyright © 2014-2024 Naturopata Angelo Ortisi - Tutti i diritti riservati.

Powered by Warp Theme Framework
Premium Templates