Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

10-03-2018

La graviola come alleata contro il cancro? Questo frutto tropicale, detto anche Guanabana (nome scientifico: Annona muricata) è stato a lungo analizzato perché i suoi principi attivi avrebbero proprietà antitumorali.

GRAVIOLA E CANCRO AL SENO: LO STUDIO MALESE

5 ricercatori della Facoltà di Biomedicina e di Scienze Biomolecolari dell’Università della Malesia hanno pubblicato uno studio sugli effetti antiproliferativi e anticancro dell’Annona muricata. Nello specifico, hanno analizzato l’azione dell’estratto crudo sulle cellule di cancro al seno. La premessa da cui partono è interessante: “L’Annona muricata Linn, della famiglia delle Annonacee, possiede molti benefici terapeutici come riportato in diversi studi”, scrivono. Sarebbe infatti “utilizzata in molte culture per trattare diversi disturbi come mal di testa, insonnia e reumatismi”. Accennano poi al fatto che la graviola sia impiegata come trattamento per il cancro. Ma, spiegano, l’Annona muricata “ottenuta da diverse aree di coltivazione non offrono necessariamente gli stessi effetti terapeutici sul cancro al seno”. Ecco perché hanno voluto analizzare questi effetti più dettagliatamente. Per riuscirci hanno utilizzato l’estratto dalle foglie della pianta (B1 AMCE) su determinate linee cellulari (MCF-7, MDA-MB-231 e 4 T1, le loro sigle) di cancro al seno nei topi. «I campioni di estratto crudo di Annona muricata hanno mostrato diversi livelli di citotossicità [l’effetto di indurre danno a una cellula] sulle linee cellulari. Il B1 AMCE ha ridotto la taglia e il peso del tumore, mostrando proprietà anti-metastatiche, inducendo apoptosi [morte cellulare] in vitro e in vivo sulle cellule 4 T1». I ricercatori hanno concluso che l’estratto B1 AMCE “è un candidato promettente per il trattamento sul cancro”.

GRAVIOLA E CANCRO ALLA PROSTATA: LA RICERCA AMERICANA

Un secondo studio è stato pubblicato nell’aprile del 2017. Condotto dai dipartimenti di Nutrizione e Oncologia della Wayne State University School of Medicine, ha indagato l’ingrediente attivo della Graviola, le acetogenine annonacee. Gli 8 ricercatori hanno iniziato la propria sperimentazione isolando 5 diversi composti delle acetogenine, di cui 2 conosciuti e 3 di nuova scoperta, dal frutto della pianta. Gli studiosi hanno successivamente “determinato ed esposto le attività inibitorie [dei composti] contro la linea cellulare PC-3 del cancro alla prostata umano”. Secondo i ricercatori, le acetogenine hanno “dimostrato una potente azione anti-proliferazione”.

DUBBI ED EFFETTI COLLATERALI

Le ricerche che abbiamo visto finora bastano a dimostrare che l’Annona muricata sia una medicina naturale anticancro? È ancora presto per dirlo. Come spiega l’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) si tratta di studi preliminari. Le ricerche, cioè, pur mostrando una certa “capacità di uccidere cellule tumorali” delle acetogenine annonacee, non hanno ancora dimostrato le sue effettive proprietà curative. Anche perché, gli stessi principi attivi hanno dimostrato di poter “causare danni significativi al sistema nervoso, provocando una particolare forma di Parkinson”. Tra gli altri effetti collaterali registrati nell’assunzione del frutto e dei suoi estratti, alcuni ricordano l’ipotensione, la vasodilatazione e la cardiodepressione. Altri possibili conseguenze: nausea e vomito. Tra i problemi riscontrati con i principi attivi della Graviola c’è inoltre il fatto che mancano ancora importanti studi clinici significativi sull’uomo. Non solo. Bisogna inoltre ancora valutare l’interferenza delle acetogenine sulle terapie chemioterapiche. Esistono infine problemi di standardizzazione dei principi attivi: per 7 anni, infatti, alcune industrie farmaceutiche hanno provato a brevettare alcune delle acetogenine, ma senza successo. Il problema? Secondo alcuni è stata l’incapacità di riuscire a sintetizzare molecole specifiche.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27558166

https://www.researchgate.net/publication/315952368_Novel_Annonaceous_acetogenins_from_Graviola_Annona_muricata_fruits_with_strong_anti-proliferative_activity

10-03-2018

Vi ricordo sempre che fare attività fisica fa bene al corpo e alla mente. Sembra però che anche in questo caso il “troppo stroppia”. Secondo una nuova ricerca americana, infatti, allenarsi per più di 7 ore e mezza a settimana può essere rischioso per la salute. I risultati arrivano dallo studio Cardia (Coronary Artery Risk Development in Young Adult Study), condotto su un campione di 3.200persone (tra i 18 e i 30 anni all’inizio della ricerca) analizzate per oltre 25 anni in relazione alle loro pratiche sportive più o meno assidue durante la settimana. Gli studiosi hanno voluto verificare quanta attività fisica sia effettivamente benefica per la salute e qual è invece il limite dopo il quale lo sport può diventare addirittura pericoloso. Per fare questo hanno diviso i partecipanti in 3 gruppi: chi praticava meno di 150 minuti di attività fisica a settimana, chi ne praticava 150 (che è quanto consigliano le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) e infine chi praticava 450 minuti a settimana (ovvero oltre 7 ore e mezza di attività intensa). Quello che è emerso è che gli uomini che praticano sport per più di 7 ore e mezza a settimana, dopo 25 anni (raggiunti dunque i 50 anni circa) vedono aumentare dell'86% il rischio di calcificazione delle arterie coronarie. Questa condizione è associata poi a futuri problemi di salute seri tra cui la comparsa di infarto e ictus. Ad essere più a rischio sono le persone di sesso maschile ed etnia bianca mentre l’aumento di depositi di calcio nelle arterie coronarie era maggiore del 27% nel caso delle donne e nei partecipanti allo studio di altre etnie che praticavano troppo sport.
Al momento si tratta solo di dati statistici (non è stato provato infatti il rapporto causa effetto tra eccessiva quantità di sport e calcificazioni delle arterie) e sono indubbiamente necessari ulteriori studi che confermino l’eventuale effetto nocivo di eccessive dosi di sport e le conseguenze sulla salute. In realtà non è la prima volta che una ricerca prende in esame il troppo sport come abitudine insana. Già gli studiosi danesi del Frederiksberg Hospital di Copenhagen dopo una serie di esperimenti avevano constatato che a farci bene sono piccole quantità di esercizio fisico moderato. I risultati del nuovo studio, che fanno un pò traballare le nostre certezze sul fatto che lo sport faccia sempre e in tutti i casi bene, sono stati pubblicati sul Mayo Clinic Proceedings. Nell’attesa di ulteriori conferme o smentite, vi continuo a consigliare di evitare la sedentarietà facendo della moderata attività fisica ogni giorno per circa 30-40 minuti (anche una semplice camminata a passo svelto va bene!).

 

http://www.mayoclinicproceedings.org/article/S0025-6196(17)30577-3/fulltext

10-03-2018

Il sistema immunitario reagisce a una dieta ad alto contenuto di grassi e ad alto contenuto calorico in modo simile ad un’infezione batterica, secondo un recente studio condotto dall’Università di Bonn. Particolarmente inquietante: il cibo non salutare sembra rendere le difese del corpo più aggressive a lungo termine. Anche molto tempo dopo il passaggio a una dieta sana, l’infiammazione verso la stimolazione immunitaria innata è più pronunciata. Questi cambiamenti a lungo termine possono essere coinvolti nello sviluppo di arteriosclerosi e diabete e malattie legate al consumo di una dieta occidentale.
Gli scienziati hanno alimentato i topi per un mese con una “dieta occidentale” ricca di grassi, zuccheri e povera di fibre. Gli animali hanno quindi sviluppato una forte risposta infiammatoria in tutto il corpo, quasi come dopo un’infezione da batteri pericolosi. “La dieta malsana ha portato ad un inaspettato aumento del numero di alcune cellule immunitarie nel sangue dei topi, in particolare granulociti e monociti. Questa era un’indicazione del coinvolgimento dei progenitori delle cellule immunitarie nel midollo osseo“, spiega Anette Christ, borsista post-dottorato dell’Istituto di Immunità Innata dell’Università di Bonn. Per comprendere meglio questi risultati inattesi, i progenitori del midollo osseo per i principali tipi di cellule immunitarie sono stati isolati da topi nutriti con una dieta occidentale o con una dieta sana di controllo ed è stata eseguita un’analisi sistematica della loro funzione e attivazione. “Gli studi genomici hanno, infatti, dimostrato che la dieta occidentale aveva attivato un gran numero di geni nelle cellule progenitrici tra cui i geni responsabili della proliferazione e della maturazione di queste cellule”, spiega il Prof. Dr. Joachim Schultze della Life & Medical Sciences Institute (LIMES) presso l’Università di Bonn e del Centro tedesco per le malattie neurodegenerative (DZNE). 
Il fast food quindi induce il corpo a reclutare rapidamente un esercito enorme e potente di cellule immunitarie. Quando i ricercatori hanno alimentato i roditori con la loro tipica dieta a base di cereali per altre quattro settimane, l’infiammazione acuta è scomparsa. Ciò che non è scomparso è stata la riprogrammazione genetica delle cellule immunitarie e dei loro precursori: anche dopo queste quattro settimane, molti dei geni che erano stati attivati durante la fase di alimentazione con fast food erano ancora attivi. “Solo di recente è stato scoperto che il sistema immunitario innato ha una forma di memoria“, spiega il Prof. Dott. Eicke Latz, Direttore dell’Istituto per l’immunità innata dell’Università di Bonn e scienziato del DZNE. “Dopo un’infezione, le difese del corpo rimangono in una sorta di stato di allarme in modo che possano rispondere più rapidamente a un nuovo attacco”. Gli esperti chiamano questo stato di allarme “allenamento immunitario innato”. Nei topi, questo processo non è stato innescato da un batterio, ma da una dieta malsana.
Gli scienziati sono stati inoltre in grado di identificare il ”sensore fast food ” responsabile nelle cellule immunitarie. Hanno esaminato le cellule del sangue da 120 soggetti. In alcuni dei soggetti, il sistema immunitario innato ha mostrato un effetto di allenamento particolarmente forte. In questi soggetti, i ricercatori hanno trovato prove genetiche del coinvolgimento di un cosiddetto inflammasoma, un importante complesso di segnalazione intracellulare che riconosce agenti infettivi e altre sostanze nocive e successivamente rilascia messaggeri estremamente infiammatori. Come esattamente l’inflammasoma NLRP3 riconosce l’esposizione del corpo alle diete di tipo occidentale rimane da determinare.
È interessante notare che, oltre alla risposta infiammatoria acuta, l’alimentazione con una dieta a base di fast food ha anche conseguenze a lungo termine sulle risposte del sistema immunitario: infatti la sua attivazione modifica il modo in cui l’informazione genetica viene confezionata. Il materiale genetico è immagazzinato nel DNA e ogni cellula contiene diversi filamenti di DNA che insieme sono lunghi circa due metri. Tuttavia, sono tipicamente avvolti attorno a certe proteine nel nucleo e quindi molti geni nel DNA non possono essere letti poiché sono semplicemente troppo inaccessibili. Mangiare in modo non salutare fa sì che alcuni di questi pezzi di DNA normalmente nascosti si rilassino, come un cappio appeso a un gomitolo di lana. Questa area del materiale genetico può quindi essere letta molto più facilmente. Gli scienziati chiamano questi fenomeni “cambiamenti epigenetici”. “L’inflammasoma innesca tali cambiamenti epigenetici”, spiega il Dr. Latz. “Il sistema immunitario reagisce di conseguenza anche a piccoli stimoli con risposte infiammatorie più forti”. Queste risposte infiammatorie possono a loro volta accelerare lo sviluppo di malattie vascolari o diabete di tipo 2. Nell’arteriosclerosi, ad esempio, i tipici depositi vascolari, le placche, consistono in gran parte di lipidi e cellule immunitarie. La reazione infiammatoria contribuisce direttamente alla loro crescita, poiché le cellule immunitarie appena attivate migrano costantemente nelle pareti dei vasi alterati. Quando le placche diventano troppo grandi, possono scoppiare, causando coaguli di sangue che vengono trasportati dal flusso sanguigno e possono ostruire i vasi. Possibili conseguenze: ictus o infarto.
La nutrizione sbagliata può quindi avere conseguenze drammatiche. Negli ultimi secoli, l’aspettativa di vita media è costantemente aumentata nei paesi occidentali. Questa tendenza è attualmente interrotta per la prima volta: gli individui nati oggi vivranno in media una vita più breve rispetto ai loro genitori. Diete malsane e troppo poco esercizio svolgono probabilmente un ruolo decisivo in questo. “Questi risultati hanno quindi un’importanza sociale importante“, spiega Latz. “Le basi di una dieta sana devono diventare una parte dell’educazione molto più importante di quella attuale, solo così possiamo immunizzare i bambini in una fase precoce contro le tentazioni dell’industria alimentare”, dice il Prof. Schultze.

 

http://www.cell.com/cell/fulltext/S0092-8674(17)31493-9

09-03-2018

Prendersi cura della salute dei capelli non è sempre semplice. Siamo circondati da agenti inquinanti, prodotti chimici aggressivi e tanti altri fattori che contribuiscono a sfibrare le nostre chiome. Anche l’alimentazione gioca poi un ruolo essenziale per la cura e la bellezza dei capelli. Quello che possiamo fare è cercare di dare al nostro organismo tutti i nutrienti necessari per il nostro benessere, evitare prodotti chimici troppo aggressivi e ricorrere ad alcuni trucchetti di bellezza naturale. Oltre all’Henné, un potente ingrediente naturale che non solo colora le nostre chiome, ma le protegge, esiste un altro prodotto decisamente sostenibile che può garantire la salute dei nostri capelli: gli oli essenziali. L’utilizzo degli oli essenziali può contribuire a dare un aspetto più luminoso e sano alla nostra testa. Certo, ogni tipo di olio ha delle proprietà diverse ed è sempre necessario non eccedere nella quantità. Vediamo allora quali sono gli oli essenziali migliori per la salute e bellezza dei nostri capelli e quando usarli.

TEA TREE OIL

L’olio essenziale di tea tree è molto indicato nel trattamento della forfora o di qualche infezione fungina. È efficace anche per mantenere il giusto equilibrio nella produzione di sebo, infatti è un ingrediente comune di prodotti contro i capelli grassi.

OLIO DI ROSMARINO

Sembra che l’olio di rosmarino sia utile nello stimolare i follicoli dei capelli, promuovendone la crescita. È inoltre un ottimo anti-irritante e dermo-purificante, utilizzato in caso di capelli secchi. Allevia problemi di dermatiti e forfora grassa.

OLIO DI LAVANDA

L’olio di lavanda può essere utilizzato su tutti i tipi di capelli. Ne promuove la crescita, li idrata e previene le doppie punte. Grazie alla sua nota azione calmante, è utile nel trattamento dei piccoli disagi cutanei causati dagli agenti esterni.

OLIO DI GERANIO

Se i capelli sono deboli o fragili, l’olio essenziale di geranio è la scelta migliore per rinforzarli, aiutando a normalizzare la produzione di sebo.

OLIO ESSENZIALE DI CAMOMILLA

Ottimo contro il prurito del cuoio capelluto, causato da un’eccessiva secchezza della pelle. Lenisce le irritazioni ed è ottimo per prevenire le doppie punte. In genere utilizzato da chi soffre di psoriasi.

OLIO ESSENZIALE DI LIMONE

L’olio essenziale di limone è un meraviglioso rimedio naturale contro i pidocchi o la forfora. È ottimo anche in caso di capelli grassi.

OLIO ESSENZIALE DI MIRRA

È un olio molto adatto a chi ha un cuoio capelluto molto sensibile. Delicato, aiuta a rinforzare i capelli fragili e a combattere la forfora secca e squamosa.

OLIO ESSENZIALE DI CEDRO

L’olio essenziale di cedro è utilizzato per una varietà di problemi dermatologici; è particolarmente efficace nel trattamento delle infezioni del cuoio capelluto e della forfora. Ha proprietà antisettiche, antiseborroiche, astringenti.

OLIO ESSENZIALE DI SALVIA

La salvia favorisce la crescita dei capelli, stimolando delicatamente i follicoli.

OLIO ESSENZIALE DI MENTA PIPERITA

Promuove la crescita dei capelli e previene la perdita. Aiuta anche a combattere problemi di cute secca o prurito.

OLIO ESSENZIALE DI CALENDULA

Utile nel trattamento dei capelli spenti e denutriti, l’olio essenziale di calendula è noto per le sue proprietà lenitive, emollienti e protettive.

OLIO ESSENZIALE DI ARNICA

Anche quest’olio previene la caduta dei capelli e i lievi problemi di alopecia e forfora.

OLIO ESSENZIALE DI BASILICO

Stimola la circolazione e la salute in generale di cuoio capelluto e capelli.

OLIO ESSENZIALE DI BETULLA

Rivitalizza i capelli ed è particolarmente indicato nella cura di squilibri come psoriasi e dermatiti.

OLIO ESSENZIALE DI YLANG YLANG

Ha proprietà rilassanti, tonificanti e lenitive, utili nel trattamento della cute grassa e di un cuoio capelluto stressato.

Gli oli essenziali possono essere un vero e proprio toccasana per la salute dei capelli, perché nutrono la vostra chioma alla base, proteggendola dagli agenti esterni. Sempre meglio, prima di utilizzarli, diluirli in un olio vettore, come ad esempio olio di mandorle dolci, di semi di lino o jojoba, in base alle caratteristiche della vostra pelle. Potete usarli per fare delle maschere o degli impacchi con oli o aggiungerli al vostro shampoo naturale.

09-03-2018

L’abbronzatura artificiale, oltre ad avere un dubbio gusto dal punto di vista estetico, può provocare gravi danni alla salute. Lo abbiamo sempre sospettato, ma oggi ne abbiamo la certezza. Uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha analizzato gli effetti dei lettini solari sulla pelle di centinaia di migliaia di persone negli Stati Uniti, in Europa e in Australia. I risultati sono davvero sconcertanti. Secondo i ricercatori OMS, i lettini solari sarebbero responsabili di quasi mezzo milione di casi di tumore alla pelle. Ogni anno. Per la precisione, sono più di 450 mila le persone affette da questa patologia a causa dell’abbronzatura artificiale. Non solo. Sempre ogni 12 mesi, i casi di melanoma arrivano a circa 10 mila. Lo studio è stato condotto su un periodo di 30 anni, in un’area geografica molto estesa: coinvolti Stati Uniti, Europa e Australia. L’OMS, che ha condotto la ricerca, lancia l’allarme. E agli Stati coinvolti chiede: “Fate di più per limitarne l’uso“. A essere “incolpate” della crescita esponenziale di casi di tumore e melanoma sono le radiazioni ultraviolette. Già nel 2009, l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), aveva inserito l’esposizione ai raggi UV da apparecchi artificiali come cancerogena per l’uomo.
Alcuni interventi per limitare l’utilizzo dei lettini abbronzanti sono stati già messi in atto. Sono 40 le autorità nazionali e provinciali che, nel mondo, li hanno banditi o comunque ne hanno ristretto l’uso. Sono stati, per esempio, vietati a chi ha la pelle troppo sensibile (lentiggini, predisposizione alle scottature e così via). O anche in base all’età: i più giovani, che sono anche i più sensibili, non possono utilizzarli. Alcuni esempi. Il Brasile e l’Australia hanno vietato del tutto i lettini solari commerciali. Canada, Francia, Irlanda e Stati Uniti hanno invece imposto dei controlli serrati sugli spot pubblicitari che propagandano presunti effetti benefici dei lettini per la salute. E in Italia? Nel nostro Paese la normativa vigente dice che i proprietari degli impianti devono vietarne l’uso a chi ha la pelle chiara e alle donne incinte. Tutto questo non basta, secondo l’OMS. “I lettini abbronzanti sono pericolosi per la salute. I Paesi devono considerare se bandire o limitarne l’uso, e informare dei possibili rischi“, ha dichiarato Maria Neira dell’Organizzazione.
I soggetti più esposti sono le donne, soprattutto adolescenti e giovani, perché sono le principali utenti del servizio. I rischi per la salute, tra l’altro, sono maggiori durante la giovane età. Chi usa un lettino solare almeno una volta nella vita ha un rischio maggiore del 20% di contrarre il melanoma rispetto a chi non l’ha mai usato. Una percentuale che sale al 59% se chi vi ricorre ha meno di 35 anni. Non solo tumori e melanoma. I raggi ultravioletti delle lampade solari hanno altri effetti nocivi potenziali, tra cui:

• Invecchiamento precoce della pelle.
• Infiammazione degli occhi.
• Abbassamento delle difese immunitarie.

09-03-2018

Un composto naturale presente nelle fragole, e altri frutti e verdure, potrebbe aiutare a prevenire la malattia di Alzheimer e altre malattie neurodegenerative legate all’età, secondo una nuova ricerca. I ricercatori hanno scoperto che un composto presente nelle fragole chiamato fisetin, ha portato ad una riduzione del declino cognitivo e dell’infiammazione del cervello. L’autore senior dello studio Pamela Maher e colleghi, hanno recentemente riportato i loro risultati in The Journals of Gerontology Series A. Il fisetin è un flavanolo presente in una varietà di frutta e verdura, tra cui fragole, cachi, mele, uva, cipolle e cetrioli. Non solo il fisetin agisce come agente colorante della frutta e verdura, ma diversi studi hanno anche indicato che il composto ha proprietà antiossidanti, il che significa che può contribuire a limitare i danni causati dai radicali liberi. Ci sono prove che dimostrano che il fisetin riduce anche l’infiammazione. Negli ultimi 10 anni, Maher e colleghi hanno condotto una serie di studi che hanno dimostrato che le proprietà antiossidanti e antinfiammatorie di fisetin potrebbero aiutare a proteggere le cellule del cervello contro gli effetti dell’invecchiamento.
Uno di questi studi, pubblicato nel 2014, ha scoperto che il fisetin ha ridotto la perdita di memoria nei modelli di topo della malattia di Alzheimer. Tuttavia, questo studio si è concentrato sugli effetti di fisetin nei topi con Alzheimer familiare, una forma della malattia che rappresenta solo il 3 per cento di tutti i casi di Alzheimer. Per il nuovo studio, Maher e la sua squadra hanno cercato di determinare se il fisetin può fornire benefici al trattamento della malattia di Alzheimer sporadica, che è la forma più comune che si sviluppa con l’età. Per raggiungere i loro risultati, i ricercatori hanno testato il fisetin nei topi geneticamente progettati per invecchiare prematuramente, con conseguente modello di topo di malattia di Alzheimer sporadica. Quando i topi prematuri sono invecchiati di circa 3 mesi, sono stati suddivisi in due gruppi. Un gruppo ha ricevuto una dose di fisetin ogni giorno per 7 mesi, fino all’età di 10 mesi. L’altro gruppo non ha ricevuto il composto.
I ricercatori spiegano che a 10 mesi di età, gli stati fisici e cognitivi dei topi erano equivalenti a quelli di topi di 2 anni. Tutti i roditori sono stati sottoposti a test cognitivi e comportamentali durante tutto lo studio, ed i ricercatori hanno anche valutato i topi per i livelli di marcatori legati allo stress e all’infiammazione. I ricercatori hanno scoperto che i topi di 10 mesi che non hanno ricevuto il fisetin hanno mostrato un aumento di marcatori associati allo stress e all’infiammazione e hanno inoltre eseguito significativamente peggiori test cognitivi rispetto ai topi trattati con il fisetin. “A dieci mesi, le differenze tra questi due gruppi erano impressionanti”, osserva Maher. Nel cervello dei topi non trattati, i ricercatori hanno scoperto che due tipi di neuroni che sono solitamente antinfiammatori - astrociti e microgliociti - stavano effettivamente promuovendo l’infiammazione. Tuttavia, questo non era il caso per i topi di 10 mesi trattati con il fisetin. Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che il comportamento e la funzione cognitiva dei topi trattati erano paragonabili a quelli dei topi non trattati di 3 mesi.
I ricercatori ritengono che i loro risultati indicano che il fisetin può portare ad una nuova strategia preventiva per l’Alzheimer, così come altre malattie neurodegenerative legate all’età. “Sulla base del nostro lavoro in corso, pensiamo che il fisetin possa essere utile come prevenzione per molte malattie neurodegenerative associate all’età e non solo per l’Alzheimer”, spiega Maher. Tuttavia, sono necessari studi clinici umani per confermare i risultati di questo studio.

 

http://www.medicalnewstoday.com/articles/318363.php

08-03-2018

Uccide microbi pericolosi per la salute orale, ma finisce per eliminare anche batteri utili che proteggono dall’obesità e dal diabete. Si tratta del collutorio, oggetto di una sperimentazione della Harvard School of Public Health pubblicata su Nitric Oxide. I ricercatori hanno analizzato un campione di 1.206 persone fra i 40 e i 65 anni, il 17% delle quali aveva sviluppato il diabete o si trovava in una condizione di pre-diabete. Fra chi utilizzava il collutorio una volta al giorno, la percentuale arrivava al 20%, mentre era del 30% fra chi lo usava al mattino e alla sera. Alcuni batteri della bocca risultano importanti perché contribuiscono a produrre ossido nitrico, sostanza che regola i livelli di insulina. Il collutorio agirebbe in maniera negativa perché eliminerebbe tutti i batteri senza distinzioni, sottraendo all’organismo anche quelli utili. 
Il liquido per la pulizia orale sarebbe peraltro associato anche a un maggior rischio di cancro. Lo dice una ricerca condotta dall’University of Glasgow Dental School e pubblicata su Oral Oncology. Lo studio si è basato sui dati di ricerche passate sulle abitudini relative all'igiene orale delle persone che vi avevano partecipato, per un totale di 2.000 individui. I rischi più alti sono a carico di quei soggetti che lavano poco i denti o che hanno spesso le gengive sanguinanti. È probabile che l'uso frequente del collutorio rappresenti una sorta di alternativa rapida a quello corretto dello spazzolino. La poca igiene orale che ne consegue è uno dei motivi possibili per cui si alza l'incidenza del tumore alla bocca e alla gola. L'autore della ricerca, David Conway, spiega: “non consiglierei l'uso abitudinario del collutorio, punto. Ci sono occasioni o patologie per cui un dentista può prescriverlo, per esempio nel caso di una bassa salivazione dovuta all'assunzione di alcuni farmaci. Ma per me, tutto ciò che serve è spazzolarsi frequentemente i denti con un dentifricio e controllarsi regolarmente dal dentista". Il ricercatore sottolinea anche che l'uso frequente del collutorio potrebbe essere legato all'esigenza di mascherare l'odore forte di fumo e alcol. In tal senso, l'aumentata incidenza di questo tipo di neoplasia sarebbe connessa con l'adozione di abitudini di vita poco sane. Damien Walmsley, consulente della British Dental Association, commenta: “la ricerca evidenzia che le persone a rischio nello sviluppo di questi tipi di cancro possono usare i collutori contenenti alcol in modo inappropriato".

 

https://www.telegraph.co.uk/science/2017/11/22/mouthwash-may-kill-beneficial-bacteria-mouth-trigger-diabetes/

http://www.dailymail.co.uk/health/article-2596497/Mouthwash-use-linked-oral-cancer-People-use-products-three-times-day-increase-risk.html

 

08-03-2018

Che le mosche non siano proprio insetti pulitissimi lo sappiamo un pò tutti e ce lo insegnano fin da piccoli. Ora però una nuova ricerca lancia l’allarme sui reali rischi di entrare in contatto con le mosche che, a detta degli studiosi, veicolerebbero batteri pericolosi per la nostra salute. Le mosche si posano in ogni dove: spazzatura, feci di animali, liquami ecc., entrano nelle fognature e poi magari arrivano nelle nostre case o atterranno sul nostro cibo mentre siamo all’aria aperta. Ebbene questo potrebbe essere pericoloso in quanto le mosche entrano quotidianamente in contatto con germi e batteri di cui potenzialmente possono farsi veicolo. Secondo la nuova ricerca, condotta presso il Penn State's Eberly College of Science e pubblicata su Scientific Reports, le mosche possono contribuire a diffondere ogni tipo di agente patogeno. Il ruolo degli insetti nella diffusione di agenti patogeni e malattie infettive è abbastanza noto (non a caso vengono definiti "germi con le gambe") eppure a malapena 50 anni fa le prove effettive di questi rischi erano inconcludenti. Oggi invece, esaminando i microbi che si trovano sulle diverse parti del corpo delle mosche attraverso tecniche di sequenziamento del DNA, lo studio è stato in grado di fornire alcune informazioni utili sulla loro reale pericolosità. Il team di esperti ha studiato vari tipi di mosche domestiche e moscerini diffusi in 3 diversi continenti e quello che ne è risultato è stato a dir poco scioccante.
Alcune mosche portavano sul loro corpo centinaia di batteri di specie diverse (fino a circa 600), molte delle quali dannose per gli esseri umani. La mosca domestica, che è onnipresente in tutto il mondo, "ospita" 351 tipi di batteri. La trasmissione sulle superfici di atterraggio di questi insetti ha luogo principalmente attraverso le gambe. Come ha dichiarato Stephan Schuster, ex professore di biochimica e biologia molecolare alla Penn State: "Le gambe e le ali mostrano la più alta diversità microbica nel corpo della mosca, suggerendo che i batteri usano le mosche come ‘navette aeree’. Può essere che i batteri sopravvivano al loro viaggio, crescendo e diffondendosi su una nuova superficie”. I ricercatori hanno trovato, un pò a sorpresa, più patogeni sulle mosche presenti in ambienti urbani che in quelle delle stalle in campagna. In 15 casi (soprattutto nelle mosche che circolano in Brasile) si è scovata anche la presenza di Helicobacter pylori, patogeno che causa ulcere intestinali. "Riteniamo che questo studio possa mostrare un meccanismo per la trasmissione dei patogeni che è stato trascurato dai funzionari della sanità pubblica, le mosche possono contribuire alla rapida trasmissione di agenti patogeni in situazioni di epidemia” ha commentato Donald Bryant, biochimico del Penn State. Gli esperti lanciano dunque l’allarme sconsigliando di mangiare cibi su cui prima si sono posate delle mosche. Attenzione dunque, soprattutto quando si fanno picnic, a tenere sempre ben coperti i cibi. Per il resto, almeno in casa, possiamo tenere lontane le mosche servendoci di rimedi naturali come oli essenziali e piante dall'odore sgradito a questi insetti.

 

https://www.nature.com/articles/s41598-017-16353-x

http://www.bbc.com/news/science-environment-42113217

08-03-2018

Un nuovo studio condotto dagli scienziati della Ohio University suggerisce che la vitamina D3 -che viene prodotta dall’organismo in modo naturale quando la pelle è esposta al sole - può ripristinare in modo significativo il danno al sistema cardiovascolare causato da diverse malattie, tra cui l’ipertensione, il diabete e l’aterosclerosi. Lo studio è stato pubblicato sull’International Journal of Nanomedicine. “Generalmente, la vitamina D3 è associata alle ossa, ma negli ultimi anni, in ambito clinico, gli specialisti riconoscono che molti pazienti che hanno un attacco di cuore, hanno anche una carenza di vitamina D3, ma ciò non significa che il deficit abbia causato l’infarto, ma ha aumentato il rischio“, ha detto Malinski, autore dello studio. “Utilizziamo nanosensori per capire perché la vitamina D3 può essere utile, specialmente per la funzione e il ripristino del sistema cardiovascolare”. Il team di Malinski ha sviluppato metodi e sistemi di misurazione unici utilizzando nanosensori, che sono circa 1.000 volte più piccoli del diametro di un capello umano, per monitorare gli impatti della vitamina D3 su singole cellule endoteliali, un componente regolatore vitale del sistema cardiovascolare. Una scoperta importante di questi studi è che la vitamina D3 è un potente stimolatore dell’ossido nitrico (NO) che è una delle principali molecole di segnalazione nella regolazione del flusso sanguigno e nella prevenzione della formazione di coaguli nel sistema cardiovascolare. Inoltre, la vitamina D3 ha ridotto significativamente il livello di stress ossidativo nel sistema cardiovascolare. Soprattutto, questi studi dimostrano che il trattamento con vitamina D3 può ripristinare in modo significativo il danno al sistema cardiovascolare causato da diverse malattie, tra cui ipertensione, aterosclerosi e diabete, riducendo anche il rischio di infarto. Questi studi, eseguiti su cellule di caucasici, americani e afroamericani, hanno prodotto risultati simili in entrambi i gruppi etnici.
“Non ci sono molti sistemi noti che possono essere utilizzati per ripristinare le cellule endoteliali cardiovascolari che sono già danneggiate e la vitamina D3 può farlo“, ha detto Malinski. “Questa è una soluzione molto economica per riparare il sistema cardiovascolare”, ha aggiunto il ricercatore. Questi studi, effettuati presso l’Università dell’Ohio, sono i primi ad identificare il meccanismo molecolare del ripristino attivato dalla vitamina D3, della funzione dell’endotelio danneggiato nel sistema cardiovascolare. Mentre questi studi sono stati eseguiti utilizzando un modello cellulare di ipertensione, l’implicazione della vitamina D3 sull’endotelio disfunzionale è molto più ampia. La disfunzione dell’endotelio è un comune denominatore di diverse malattie cardiovascolari, in particolare quelle associate ad eventi ischemici. Pertanto, gli autori suggeriscono che la vitamina D3 può essere di importanza clinica nel ”restauro” dell’endotelio cardiaco disfunzionale dopo l’infarto, dell’endotelio capillare dopo l’ischemia cerebrale (ictus), nell’ipovolemia, nella vasculopatia, nel diabete e nell’aterosclerosi. Questo suggerimento è fortemente supportato da numerosi studi clinici che indicano che la vitamina D3 a dosi superiori a quelle attualmente utilizzate per il trattamento delle malattie ossee, può essere di grande beneficio per il trattamento del sistema cardiovascolare disfunzionale.

 

https://medicalxpress.com/news/2018-01-vitamin-d3-cardiovascular.html

07-03-2018

L’acido gamma-linolenico, anche noto come GLA, è un acido grasso omega-6 presente negli oli vegetali. La sua proprietà principale è antinfiammatoria, e il suo utilizzo trova impiego nell’ambito delle malattie dermatologiche (dermatite atopica, psoriasi, acne, orticaria), nella prevenzione dell’aterosclerosi e in numerosi stati in cui sia presente una componente infiammatoria. Quando la pelle comincia a seccarsi e a mostrarsi lucida, può essere il segnale che la barriera cutanea sta subendo duri colpi e si sta alterando; questo può facilitare la penetrazione di batteri nella pelle dando inizio a stati infiammatori. È uno dei sintomi della dermatite atopica.
Un’importante équipe giapponese ha condotto uno studio per verificare se e quanto la somministrazione di GLA possa migliorare i parametri cutanei in disturbi come la pelle secca e, appunto, la dermatite atopica. Sono stati somministrati alcuni alimenti, contenenti 200 mg di GLA, a un campione di 130 pazienti adulti con questi disturbi per 12 settimane. I risultati dello studio hanno evidenziato che l’integrazione di GLA ha contribuito a migliorare la funzionalità della barriera cutanea e ha agito con efficacia sull’infiammazione in corso, confermando che la somministrazione di questo prezioso acido può concorrere a ristabilire un buono stato della cute.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22123240

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