Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

Mercoledì, 07 Marzo 2018 05:50

TROPPI GIOCATTOLI NON FANNO BENE AI BAMBINI.

07-03-2018

Invase dai giocattoli, spesso nelle camere dei bambini si fatica anche a camminare. Ma oltre a viziare i propri figli, i genitori che acquistano troppi giocattoli finiscono per pregiudicare anche la loro capacità di concentrazione. Uno studio dell’Università di Toledo pubblicato su Infant Behaviour and Development segnala infatti il rischio che un numero eccessivo di giocattoli possa ridurre il livello di attenzione del bambino e limitarne la creatività.
Allo studio hanno preso parte 36 bambini, invitati a giocare in una stanza per mezz’ora. Un gruppo di bambini aveva a disposizione solo 4 giocattoli, mentre l’altro 16. I medici hanno osservato che i bambini del primo gruppo avevano la tendenza a mostrare maggiore creatività rispetto agli altri. Trascorrevano infatti il doppio del tempo su un giocattolo, cercando di inventare un utilizzo diverso dello stesso e stimolando così il proprio lato creativo. "Questo studio era finalizzato a determinare se il numero di giocattoli nell'ambiente influenzasse la qualità del gioco dei bambini - indica Carly Dauch, a capo della ricerca - e abbiamo proprio dimostrato che con 16 giocattoli peggiora sia la durata che l'intensità dello svago. Tutti quegli oggetti è come se interferissero fra di loro, rappresentando una distrazione dall'approfondimento. Mentre durante l'infanzia i piccoli sviluppano la capacità di concentrazione ed è importante metterli nelle condizioni di non essere disturbati".

 

https://www.telegraph.co.uk/science/2017/12/05/many-toys-bad-children-study-suggests/

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0163638317301613

 

 

07-03-2018

Un nuovo studio pubblicato sull’American Journal of Hypertension, pubblicato dalla Oxford University Press, suggerisce che un maggiore consumo di yogurt è associato a un minor rischio di malattie cardiovascolari tra uomini e donne ipertesi. L’ipertensione è un importante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. Gli studi clinici hanno precedentemente dimostrato effetti benefici del consumo di latticini sulla salute cardiovascolare. Lo yogurt può essere indipendentemente correlato al rischio di malattie cardiovascolari. L’ipertensione colpisce circa un miliardo di persone in tutto il mondo, ma può anche essere una delle principali cause di problemi di salute cardiovascolare. Un maggiore consumo di latticini è stato associato ad effetti benefici sulle comorbidità correlate alla patologia cardiovascolare come l’ipertensione, il diabete di tipo 2 e l’insulino-resistenza.
Allo studio sono stati arruolati 55.000 donne (di età compresa tra 30 e 55 anni) con pressione sanguigna elevata e 18.000 uomini (età 40-75) che hanno partecipato allo Health Professionals Follow-Up Study. I partecipanti sono stati invitati a compilare un questionario di 61 voci nel 1980 per riferire il consumo alimentare abituale dell’anno precedente. I partecipanti hanno successivamente riferito di eventi intermedi diagnosticati dal medico inclusi infarto miocardico, ictus e rivascolarizzazione. È stato richiesto il permesso di accedere alle cartelle cliniche per confermare tutte le nuove diagnosi segnalate. Assunzioni più elevate di yogurt sono state associate a una riduzione del 30% del rischio di infarto miocardico tra le donne e una riduzione del 19% tra gli uomini.
Ci sono stati 3.300/2.148 casi di malattia cardiovascolare totale (infarto del miocardio, ictus e rivascolarizzazione) tra le donne e gli uomini, rispettivamente. Un maggior apporto di yogurt nelle donne era associato a un rischio inferiore del 16% di sottoporsi a rivascolarizzazione. In entrambi i gruppi, i partecipanti che hanno consumato più di due porzioni alla settimana di yogurt hanno avuto un rischio inferiore di circa il 20 percento di malattia coronarica maggiore o di ictus, durante il periodo di follow-up. Quando la rivascolarizzazione è stata aggiunta alla variabile di esito totale della malattia cardiovascolare, le stime del rischio sono state ridotte sia per gli uomini che per le donne, ma sono rimaste significative.
L’assunzione maggiore di yogurt, in combinazione con una dieta complessivamente salutare per il cuore, è stata associata a una maggiore riduzione del rischio di malattie cardiovascolari tra uomini e donne ipertesi. “Abbiamo ipotizzato che l’assunzione di yogurt a lungo termine potrebbe ridurre il rischio di problemi cardiovascolari dal momento che alcuni piccoli studi precedenti avevano mostrato effetti benefici dei prodotti lattiero-caseari fermentati”, ha detto uno degli autori dell’articolo, Justin Buendia. “In questo studio abbiamo avuto una grande coorte di uomini e donne ipertesi, che sono stati seguiti fino a 30 anni. I nostri risultati forniscono nuove importanti prove che lo yogurt può portare benefici alla salute del cuore da solo o come parte integrante di una dieta ricca di fibre frutta, verdura e cereali integrali“.

 

https://academic.oup.com/ajh/advance-article-abstract/doi/10.1093/ajh/hpx220/4818397?redirectedFrom=fulltext

06-03-3018

Forno a microonde dannoso anche per l’ambiente. È l’ultimo allarme lanciato da un team di ricerca dell’Università di Manchester, che ha preso in esame gli elettrodomestici nel loro intero ciclo di vita. La ricerca, pubblicata sulla rivista Science of the Total Environment, parla chiaro ed etichetta il forno a microonde dannoso per l’ambiente. L’elettrodomestico, il cui uso divide ampiamente l’opinione pubblica sui suoi possibili rischi per la salute, produrrebbe circa 7,7 milioni di anidride carbonica l’anno. L’equivalente delle emissioni prodotte da quasi 7 milioni di auto. Qual è la causa di questo forte inquinamento?
Innanzitutto il consumo di elettricità, stimato in 9,4 terawattora ogni anno, che corrispondono alla generazione annua di tre grandi centrali elettriche a gas. Il calcolo, secondo i ricercatori, è presto fatto. Ogni forno a microonde consuma 573 kilowattora di elettricità in tutto il suo ciclo di vita, stimato mediamente intorno agli 8 anni. Il dato fa riflettere, visto che è l’equivalente del consumo di una lampadina a Led da 7 Watt, lasciata ininterrottamente accesa per quasi 9 anni. Il forno, invece, rimane spento per più del 90% del suo ciclo di vita. Ma non è tutto. Parte dei danni ambientali sarebbe prodotta anche dallo smaltimento del prodotto a fine vita. Nel 2005, i forni a microonde smaltiti nella sola UE hanno generato 184mila tonnellate di rifiuti elettrici ed elettronici. Nel 2025 il dato potrebbe raggiungere le 195mila tonnellate.
Per arrivare alle loro conclusioni, i ricercatori hanno preso in considerazione diversi aspetti delle caratteristiche e dell’uso del forno a microonde: il ciclo di vita, la produzione, l’uso e la gestione. A contribuire ai danni ambientali, secondo gli studiosi, sarebbe però anche l’abitudine dei consumatori di sostituire un elettrodomestico anche se ancora funzionante, perché non più di moda. Basti pensare che in UE le vendite potrebbero raggiungere i 135 milioni di unità nel 2020 e il ciclo di vita dei forni a microonde è passato dai 10-15 anni stimati alla fine degli anni Novanta, ai 6-8 anni attuali. Secondo Alejandro Gallego-Schmid, della School of Chemical Engineering & Analytical Science, è necessaria una “nuova regolamentazione per ridurre l’impatto ambientale dei microonde”. Solo con “norme specifiche” e una maggiore “consapevolezza dei consumatori nell’uso” possiamo riuscire a ridurre l’impatto ambientale.
La passione dei consumatori per i forni a microonde non è, d’altronde, giustificata dalla loro funzionalità. Almeno non per quel che riguarda il mantenimento dei normali nutrienti presenti all’interno dei cibi. Uno studio risalente a novembre 2003, pubblicato sul Journal of the Science of Food and Agriculture, avrebbe infatti evidenziato come i broccoli cotti nel forno a microonde con un pò d’acqua perderebbero una percentuale consistente di antiossidanti.

 

https://www.eurekalert.org/pub_releases/2018-01/uom-mcb011518.php

http://www.nytimes.com/2006/10/17/health/17real.html

06-03-2018

Un recente studio ha valutato l’efficacia della somministrazione di estratto standardizzato dei semi di Trigonella foenum‐graecum per attenuare i sintomi della menopausa in donne sane. Sono state selezionate 115 donne tra i 40 e i 65 anni, assegnate chi all’assunzione di 600 mg di estratto di semi di fieno greco, chi di un placebo, una volta al giorno per 12 settimane. Per valutare i risultati, l’équipe ha utilizzato il questionario Menopause‐Specific Quality of Life (MENQOL), valutando la frequenza delle vampate di calore, i sudori notturni e i livelli di estradiolo nel siero. 
Il gruppo che ha ricevuto fieno greco ha mostrato una significativa riduzione dei sintomi della menopausa, rispetto al gruppo placebo; si sono osservati miglioramenti in ambito vasomotorio, psicosociale, fisico e sessuale. Alla fine del trattamento, le partecipanti al gruppo fieno greco hanno riportato una significativa diminuzione delle vampate durante il giorno e dei sudori notturni. I livelli di estradiolo, invece, risultavano simili tra i due gruppi dopo il periodo di somministrazione. Nel presente studio, il fieno greco ha dimostrato un’attività di regolazione ormonale, fornendo in questo modo attendibilità sul suo utilizzo per fornire sollievo ai sintomi della menopausa in donne sane.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28707431

06-03-2018

Vi ho parlato più volte dell’importanza e dei benefici di mangiare lentamente masticando per bene ogni singolo boccone. Ora una nuova ricerca evidenzia un vantaggio molto importante di chi dedica al pasto il giusto tempo: mangiare lentamente aiuta la perdita di peso e allontana il rischio obesità. Un recente studio giapponese, pubblicato sul BMJ Open, rivela che le persone che mangiano lentamente tendono a pesare meno. Rallentare dunque intenzionalmente e consapevolmente la velocità con cui consumiamo i nostri cibi può essere realmente d’aiuto nel mantenere il peso forma e a tenere lontana l’obesità. 
Per arrivare ad affermare ciò i ricercatori hanno esaminato i dati relativi a circa 60mila persone con diabete tipo 2 monitorate per un periodo di sei anni. Alle visite di controllo nel corso degli anni sono state chieste le loro abitudini di vita, tra cui appunto la velocità con cui tendevano a consumare i pasti ma anche l'uso di alcol e il loro rapporto con il sonno. Inoltre è stato chiesto loro se cenavano almeno due ore prima di andare a letto e se avevano l’abitudine di fare colazione e uno spuntino dopo cena. Confrontando e analizzando i dati, si è visto che la probabilità di soffrire di obesità era legata a diverse variabili relative alle abitudini alimentari. In particolare la velocità con cui si mangiava aveva un effetto piuttosto importante: le persone che consumavano i pasti a una velocità normale avevano il 29% in meno di probabilità di essere obese rispetto a quelle che mangiavano rapidamente; le persone che avevano l'abitudine di mangiare lentamente avevano addirittura il 42% di probabilità in meno di essere obese. Cosa ancora più interessante, i ricercatori hanno notato che le persone che avevano rallentato il loro ritmo a tavola durante il periodo di studio tendevano a perdere peso nel tempo, come testimoniavano l’indice di massa corporea e la circonferenza della vita.
La ricerca non è stata però un esperimento controllato, si è trattato infatti di uno studio osservazionale che aveva lo scopo di individuare le normali abitudini alimentari delle persone e le possibili conseguenze. C’è chi sostiene quindi che andrebbe preso un pò con le pinze in quanto le persone non sempre sanno riferire o ricordano le proprie abitudini in modo accurato. Altri punti deboli sono sicuramente il fatto che si è basato solo su partecipanti con diabete di tipo 2, che aveva un ristretto campione di anziani e che non teneva conto dei livelli di esercizio fisico o della quantità di cibo consumato giornalmente. C’è da dire però che i risultati sono in linea con quelli di studi precedenti che hanno già dimostrato come le persone che mangiano più velocemente tendono anche a pesare di più e a prendere più chili con il passare di tempo.
Ricordiamoci dunque che è importante non solo quello che mangiamo ma anche i modi in cui consumiamo il cibo. Gli ormoni della sazietà hanno bisogno di tempo per far arrivare al nostro cervello quella sensazione di pienezza che ci suggerisce di smettere di mangiare al momento giusto. Importanti anche gli orari dei pasti, chi mangia a tarda notte o va a letto appena mangiato ha un rischio maggiore di soffrire di sindrome metabolica o sovrappeso.

 

http://bmjopen.bmj.com/content/bmjopen/8/1/e019589.full.pdf

http://www.sciencemediacentre.org/expert-reaction-to-study-looking-at-eating-speed-and-obesity-2/

https://medicalxpress.com/news/2018-02-linked-weight-loss.html

 

Lunedì, 05 Marzo 2018 06:36

ZUCCHERO DI CANNA PER UNA PELLE LUMINOSA.

05-03-2018

Lo zucchero di canna è un rimedio facilmente disponibile ed economico che può essere utilizzato per favorire la bellezza della nostra pelle. Di seguito come utilizzare lo zucchero di canna come rimedio naturale per la bellezza:

1. SCRUB

Lo zucchero di canna è usato comunemente come scrub esfoliante per la pelle. È una fonte di acido glicolico ed è il più piccolo alfa-idrossiacido (AHA). Grazie alle piccole dimensioni, queste molecole possono penetrare in profondità nella pelle: allenta i legami delle cellule della pelle e favorisce la crescita di nuove cellule. Lo zucchero di canna per il trattamento del viso è meglio dei trattamenti glicolici artificiali. Esfolia le cellule morte dalla pelle esterna.

2. IDRATANTE

Lo zucchero di canna è un umettante naturale. Attira l’umidità dall’ambiente e la trasferisce sulla pelle. Serve come idratazione naturale che mantiene la pelle morbida e allo stesso tempo idratata. Lo zucchero di canna è più delicato del sale e più morbido dello zucchero semolato.

3. BAGLIORE RADIANTE

Poiché lo zucchero di canna esfolia le cellule morte dalla pelle esterna e idrata la pelle, dona alla pelle una lucentezza splendente. Funziona per prevenire e placare i problemi della pelle abbronzata. Può essere applicato su gambe, schiena e spalle.

4. RIMUOVE LE CICATRICI

L’applicazione dello zucchero di canna aiuta a schiarire la pelle e a ridurre i segni delle cicatrici grazie all’acido glicolico in esso presente. Controlla anche la formazione di melanina.

5. PREVIENE L’ACNE

Lo zucchero di canna esfolia naturalmente e rimuove le cellule morte. Idrata la pelle e favorisce una sana pulizia e circolazione della pelle. Coloro che sono inclini ad acne possono optare per i trattamenti per il viso con zucchero di canna per prevenire l’acne e i brufoli e per avere una pelle luminosa. La maschera facciale con lo zucchero di canna ha anche proprietà antibatteriche.

RICETTE PER SCRUB E CREMA IDRATANTE ALLO ZUCCHERO DI CANNA

MIELE

Mescolare il miele e lo zucchero di canna in proporzioni uguali. Aggiungi oli essenziali come lavanda, gelsomino e geranio. Applicare la miscela sul viso, sulla zona del collo e massaggiare con movimenti circolari fino a quando lo zucchero non si scioglie. Questo rimuoverà la pelle morta dall’area applicata. Risciacquare con acqua tiepida e asciugare.

OLIO DI COCCO

Mescolare olio di cocco e zucchero di canna per ottenere la consistenza desiderata. Aggiungere oli essenziali come lavanda, gelsomino e geranio. Applicare in movimento circolare fino a quando lo zucchero si scioglie. Questo rimuove la pelle morta e la lascia morbida. Risciacquare con acqua tiepida. Altre alternative all’olio di cocco sono l’olio d’oliva o l’olio di mandorle.

LATTE

Lo zucchero di canna può essere aggiunto al latte per preparare una maschera facciale. La proporzione dipenderà dalla consistenza desiderata.

ALOE VERA

Aloe Vera e zucchero di canna possono essere aggiunti a parità di rapporto. Questa miscela aiuta a schiarire il colore della pelle.

 

http://www.medindia.net/beauty/top-5-benefits-of-using-brown-sugar-for-glowing-skin.asp

05-03-2018

Danni strutturali a carico del cervello e sistema nervoso a pezzi: l’insonnia gioca davvero brutti scherzi e bastano solo 5 giorni di mancato sonno perché il cervello vada letteralmente in tilt. A dimostrare gli effetti devastanti dell’insonnia è ancora un altro studio, questa volta condotto da Chiara Cirelli dell’University of Wisconsin-Madison e Michele Bellesi dell’Università Politecnica delle Marche. Dalle loro ricerche emerge che la guaina protettiva che isola i nervi, la cosiddetta mielina, va ad assottigliarsi se soltanto il nostro organismo è “costretto” a 5 giorni di carenza di sonno.
Una privazione del sonno, quindi, non solo fa emergere una serie di problematiche, compreso l’aumento di probabilità di sviluppare malattie cardiache, diabete e cancro, ma può portare anche a grossi danni alla nostra struttura cerebrale. Negli studi, i ricercatori hanno analizzato gli effetti di una riduzione dello spessore della mielina netta e hanno ipotizzato la riduzione del sonno in un uomo di circa due ore per notte per 4 giorni e mezzo. Con questa notevole riduzione del sonno, gli studiosi hanno osservato una trasformazione nello spessore della mielina, struttura fondamentale per la salute del cervello, che si è dimostrata molto più sottile. E lo stesso danno si potrebbe avere anche se la deprivazione del sonno fosse meno intensa ma più duratura nel tempo. “Non sappiamo - spiega Cirelli - se il deficit di mielina permanga a lungo termine, ma lo studio, il primo di questo tipo, suggerisce che ci possono essere danni strutturali dovuti alla perdita di sonno anche in una struttura come la mielina, considerata di per sé molto stabile”.

 

https://eurekalert.org/pub_releases/2018-02/uow-tsp021218.php

https://news.wisc.edu/uw-sleep-research-high-resolution-images-show-how-the-brain-resets-during-sleep/

Lunedì, 05 Marzo 2018 06:32

SCIATICA E TUNNEL CARPALE? PROVA LA PEA!

05-03-2018

La Palmitoiletanolamide (PEA) è una sostanza presente naturalmente in diversi alimenti (uova, arachidi, latticini ecc.) e prodotta dal nostro organismo. La PEA, grazie alle ricerche di Rita Levi Montalcini, è nota alla comunità scientifica dal 1993 per la sua azione antinfiammatoria; ad oggi sono numerosi i contributi della letteratura scientifica volti ad approfondire le possibili combinazioni terapeutiche per migliorare le condizioni in numerosi stati infiammatori o neuropatie periferiche come sindrome del tunnel carpale e sciatica.
Un’autorevole review ha analizzato i risultati di 8 studi clinici che hanno somministrato PEA a pazienti con sindromi da compressione nervosa come tunnel carpale e dolore al nervo sciatico, per un totale di 1.366 persone. Ne emerge un quadro incoraggiante per chi soffre di questi disturbi ed è costretto ad assumere farmaci: la PEA ha confermato la sua azione analgesica e antinfiammatoria ed è risultata efficace nelle sindromi da compressione.
Nello studio principale sono stati reclutati 636 pazienti con sciatica tra i 19 e i 72 anni di età e suddivisi in tre gruppi di somministrazione: basso dosaggio di PEA (300 mg), alto dosaggio di PEA (600 mg) o un placebo. Nel gruppo ad alto dosaggio si è registrata una riduzione del dolore pari al 50% dopo le prime 3 settimane di assunzione. Quanto alla sua sicurezza, trattandosi di un modulatore endogeno presente in natura e nel nostro organismo, non sono stati riportati casi di effetti collaterali o di interazioni farmacologiche. Alla luce degli studi disponibili, la PEA può essere considerata una nuova e sicura opzione per trattare le problematiche legate alla compressione dei nervi.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4631430/

04-03-2018

Avreste mai pensato che vivere vicino all’acqua potesse essere in qualche modo benefico? Ebbene uno studio australiano ha rivelato che questo tipo di vicinanza ha effetti positivi sulla salute mentale. Guardare l’acqua di un fiume che scorre, la serenità o al contrario l'agitazione del mare, o ancora contemplare le placide rive di un lago, sono tutte cose che farebbero particolarmente bene per fronteggiare eventuali disagi psicologici. È quanto sostiene una ricerca che conferma quanto già sa chi vive vicino al mare: vedere ogni giorno l'acqua rilassa e, una volta abituati, è davvero difficile separarsene.
Un team di ricercatori della Nuova Zelanda e della Michigan State University (MSU) hanno scoperto che vivere in vista dell'acqua, denominata "spazio blu", ha un beneficio reale e quantificabile per la salute mentale. Lo studio, realizzato a Wellington, città che ospita mezzo milione di residenti ed è bagnata dal Mare di Tasmania a nord e dall'Oceano Pacifico a sud, ha raccolto dati sulla visibilità degli spazi blu e verdi usando elementi topografici e confrontandoli poi con le informazioni del New Zealand Health Survey relative alla scala di stress psicologico di Kessler (parametro che aiuta a prevedere il rischio ansia e disturbi dell’umore). I risultati sono stati chiari. Come ha dichiarato Amber Pearson, co-autrice dello studio: "L'aumento delle visioni dello spazio blu è associato in modo significativo a livelli più bassi di disagio psicologico". E questo sarebbe vero anche indipendentemente da fattori come livello di salute, ricchezza, età, sesso e pericolosità del quartiere di residenza.
Quello che ha sorpreso di più i ricercatori è che gli spazi blu hanno avuto un effetto positivo maggiore rispetto agli spazi verdi. Come mai? Pearson ha ipotizzato che: "Potrebbe essere perché lo spazio blu era tutto naturale, mentre lo spazio verde includeva aree create dall'uomo, come campi sportivi e campi da gioco, così come aree naturali come le foreste native. Forse se guardassimo solo alle foreste native potremmo trovare qualcosa di diverso". Non è comunque la prima volta che una ricerca mette in luce come vivere vicino all’acqua possa migliorare la salute. Qualche anno fa un precedente studio condotto dall’Università britannica di Exeter aveva valutato gli effetti benefici del mare sulle persone, riscontrando un migliore stato di salute in chi viveva vicino alle coste piuttosto che nell’entroterra. 
Stare vicini all’acqua ci rende anche più felici. Guardare il mare, ma anche un lago, un fiume o una cascata è per noi un potente antistress. Su questo argomento esiste un libro interessante, “Blue Mind. Mente e Acqua” che spiega il perché del fenomeno. In realtà l’acqua è per noi benefica così come probabilmente lo è anche la natura in generale. Vivere vicino ad un bosco o a una foresta, ad esempio, aiuta a combattere lo stress e a regolare le emozioni. Anche in questo caso a dirlo è stata la scienza.

 

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1353829216300119

04-03-2018

Neanche il tè si può più sorseggiare in tranquillità. Secondo una nuova ricerca le bustine di tè che utilizziamo per preparare la nota bevanda in ufficio possono contenere fino a 17 volte più germi di un water! Bere una tazza di tè ci rilassa e riscalda ma da oggi, in seguito ai risultati di una nuova ricerca, la guarderemo con un pò di sospetto. I risultati ottenuti da un’indagine condotta da Initial Washroom Hygiene sui batteri presenti su alcuni utensili da cucina ed elettrodomestici sono infatti abbastanza inquietanti. Secondo i dati ottenuti dagli scienziati, il contenuto batterico medio di una bustina di tè presente in un ufficio è di 3.755, mentre quello di una tavoletta per il water arriva a 220. Se pensiamo dunque che i servizi igienici sul posto di lavoro siano la cosa più sporca a cui prestare particolare attenzione sembra che dovremmo ricrederci. Ad essere molto più cariche di batteri e microrganismi sono invece proprio le insospettabili bustine di tè. Anche accessori e attrezzi da cucina hanno una presenza batterica molto alta tra questi lo studio riporta:

• Scatola porta bustine - 3785;
• Manico per bollitore - 2483;
• Tazza usata - 1746;
• Maniglia della porta del frigorifero - 1592;
• Contenitore per zucchero - 1406;
• Rubinetto da cucina - 1331;
• Superficie di lavaggio/stenditoio - 1234;
• Rubinetto dell'acqua calda - 1160;
• Piano cucina - 948;
• Maniglia del cassetto per le posate - 754.

Come mai tutti questi germi sulle bustine del tè e sugli altri oggetti? La risposta è semplice: secondo un sondaggio condotto su 1.000 impiegati si è visto che l'80% delle persone che lavorano in un ufficio non si lavano le mani prima di preparare le bevande per se stessi o i propri colleghi. Insomma molte persone danno per scontata l’importanza dell'igiene delle mani dopo aver usato il bagno ma non reputano altrettanto utile lavarle prima e dopo la preparazione di cibi o bevande sottovalutando così il rischio di contaminazioni batteriche.
Il dottor Peter Barratt di Initial Washroom Hygiene ricorda l’importanza che l’igiene dovrebbe avere anche negli uffici e negli spazi comuni dove si cucina o si preparano tè e altre bevande. Come ha dichiarato: "Se ti fermi a pensare al numero di mani diverse che toccano cose come il manico del bollitore, il coperchio della bustina di tè, le tazze e così via, il potenziale di contaminazione incrociata è davvero alto". Cosa si suggerisce dunque di fare? Un buon consiglio è quello di utilizzare salviette antibatteriche sulle superfici della cucina e pulire periodicamente e con attenzione tazze, bicchieri e piatti. Scontato ovviamente il fatto di lavarsi sempre le mani!

 

https://www.independent.co.uk/life-style/food-and-drink/office-teabags-toilet-seat-germs-more-bacteria-hygiene-health-safety-a8103356.html

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