Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

08-12-2014

Che il diabete di tipo 2 fosse collegato all’obesità è fatto noto. Quello che tuttavia non era ancora chiaro è cosa accade esattamente nel corpo affinché si sviluppi questa malattia, e quali siano le cause di alcune delle complicanze a essa legate. Così, a cercare di far chiarezza, ci hanno provato i ricercatori danesi del Department of Diabetes Complication Biology presso il Novo Nordisk A/S di Malov con uno studio i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Leukocyte Biology. Il prof. Alexander Rosendahl e colleghi hanno eseguito una serie di test su modello animale che hanno permesso di scoprire come le cellule del sistema immunitario, chiamate macrofagi, invadano il tessuto pancreatico durante le prime fasi della malattia diabetica. Dopo di che, queste cellule infiammatorie producono una grande quantità di citochine, che sono delle proteine pro-infiammatorie che contribuiscono direttamente all’eliminazione delle cellule beta che producono insulina nel pancreas, e la cui conseguenza è proprio il diabete. Da qui, l’idea che il diabete non sia altro che una malattia infiammatoria, o comunque derivata da un’infiammazione.
«Lo studio – spiega il dott. Rosendahl – può fornire nuovi spunti che consentano lo sviluppo di terapie antinfiammatorie ritagliate su misura, riducendo l’incombenza per i pazienti con diabete di tipo 2. Questi nuovi trattamenti possono rivelarsi utili per integrare terapie esistenti come l’insulina e GLP-1 simili». Mediante una sofisticata analisi chiamata citofluorimetrica (che consente la valutazione a livello di ogni singola cellula), i ricercatori sono riusciti a seguire il processo infiammatorio che ha portato un gruppo di topi obesi a sviluppare in modo spontaneo il diabete di tipo 2. Queste osservazioni sono state fatte in parallelo a quelle di topi sani. I topi sono stati seguiti a partire dalla giovane età, quando mostravano solo il diabete precoce, fino a un’età in cui mostravano complicazioni sistemiche in più organi. L’analisi ha permesso di scoprire la presenza di macrofagi intorno alle cellule beta nel pancreas e nella milza. In entrambe le fasi, precoce e tardiva, i topi diabetici hanno mostrato modulazioni significative rispetto ai topi sani. A conclusione dello studio, i ricercatori ritengono che il diabete di tipo 2 sia pertanto una malattia infiammatoria probabilmente causata dalla presenza massiccia di macrofagi nel pancreas.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Journal+of+Leukocyte+Biology+Alexander+Rosendahl

08-12-2014

Uno studio finanziato dal National Institute of Neurological Disorder and Stroke (NINDS), parte del NIH (National Institute of Health), ha scoperto che durante il sonno il cervello è in grado di liberarsi delle tossine.  La cosa accade perché lo spazio fra le cellule cerebrali, mentre dormiamo, aumenta, permettendo l’eliminazione di sostanze dannose. Sembrerebbe un aspetto da non sottovalutare nella cura e nella prevenzione delle malattie: il sonno avrebbe un ruolo molto importante se lo studio in questione, condotto su modelli murini, trovasse ulteriori conferme. “Il sonno cambia la struttura cellulare del cervello. Sembra essere uno stato completamente diverso”, ha detto Maiken Nedergaard, dell’Università di Rochester di New York, e primo autore dello studio. Per secoli, gli scienziati e filosofi si sono chiesti perché le persone dormono e come questo influenzi il cervello. Solo di recente gli scienziati hanno dimostrato che il sonno è importante per la memorizzazione dei ricordi. In questo studio, il dottor Nedergaard e i suoi colleghi inaspettatamente hanno scoperto che il sonno può essere anche il periodo in cui il cervello si purifica dalle molecole tossiche. I loro risultati, pubblicati su Science, mostrano che durante il sonno, un sistema chiamato glinfatico si può aprire, lasciando che il flusso attraversi il cervello. Nedergaard ha recentemente scoperto che il sistema glinfatico aiuta a controllare il flusso del liquido cerebrospinale, un liquido che circonda il cervello e il midollo spinale. “È come se il dottor Nedergaard e i suoi colleghi avessero scoperto una rete di tunnel nascosti e questi risultati entusiasmanti evidenziano la potenziale importanza della rete nelle normali funzioni del cervello”, ha detto Roderick Corriveau, direttore del programma di NINDS. Inizialmente i ricercatori hanno studiato il sistema iniettando colorante nel liquido dei topi per vederlo scorrere attraverso il loro cervello monitorando contemporaneamente l’attività elettrica del cervello. Il colorante scorreva rapidamente quando i topi erano inconsci, sia addormentati che anestetizzati. Al contrario il liquido a malapena scorreva quando gli stessi topi erano svegli. “Siamo rimasti sorpresi da quanto poco il flusso scorresse nel cervello quando i topi erano svegli”, ha detto il dottor Nedergaard . Inoltre, ha aggiunto l’esperto “la posizione delle cellule del cervello cambia notevolmente tra stati di coscienza e inconsci”.
Per verificare questa idea i ricercatori hanno utilizzato elettrodi inseriti nel cervello per misurare direttamente lo spazio tra le cellule cerebrali. Essi hanno scoperto che lo spazio all’interno del cervello è aumentato del 60 per cento quando i topi erano addormentati o anestetizzati. “Questi sono alcuni dei cambiamenti nello spazio extracellulare”, ha detto Charles Nicholson, professore presso la New York University. Alcune cellule cerebrali, chiamate glia, controllano il flusso attraverso il sistema glinfatico. La noradrenalina è un ormone eccitante che controlla anche il volume delle cellule. Gli scienziati hanno poi trattato i topi con farmaci che bloccano la noradrenalina inducendo un aumento del flusso del liquido cerebrale e lo spazio tra le cellule, sostenendo ulteriormente il legame tra il sistema glinfatico e la coscienza. Precedenti studi suggeriscono che le molecole tossiche coinvolte nei disordini neurodegenerativi si accumulano nello spazio tra le cellule cerebrali. In questo studio, i ricercatori hanno testato se il sistema glinfatico controllasse questo accumulo iniettando nei topi con la proteina beta amiloide fra le cause dell’Alzheimer. I ricercatori hanno potuto osservare che nei topi svegli la proteina non veniva smaltita, mentre nei topi che dormivano la proteina veniva smaltita durante il sonno. “Questi risultati possono avere vaste implicazioni per molteplici disturbi neurologici”, ha detto Jim Koenig, direttore del programma di NINDS. “Questo significa che le cellule che regolano il sistema glinfatico possono essere nuovi obiettivi per il trattamento di una serie di disturbi”.

 

http://www.nih.gov/news/health/oct2013/ninds-17.htm

http://www.bbc.com/news/health-24567412

06-12-2014

Un nuovo studio, condotto presso l’Università di Los Angeles, in California, ha dimostrato che l’utilizzo da parte delle donne di saponi e gel per l’igiene intima, aumenta il rischio di contrarre infezioni o malattie sessualmente trasmissibili. I membri del board capitanato dal dottor Brown hanno intervistato 141 donne di Los Angeles circa l’impiego di prodotti per l’igiene intima. Dopo aver somministrato una serie di domande a tema, gli esperti hanno sottoposto le donne ad un test da laboratorio, teso ad accertare la presenza di eventuali infezioni vaginali. Il 66% delle donne intervistate ha dichiarato di utilizzare lubrificanti durante i rapporti sessuali e prodotti per l’igiene intima. Al termine dei test scientifici, è stato dimostrato che il sapone, così come i lubrificanti, danneggiano i tessuti sensibili degli organi sessuali, aumentando il rischio di sviluppare infezione da herpes e clamidia.
I lubrificanti sono tra i prodotti più venduti ed utilizzati. Secondo un’indagine il 70% delle donne ha affermato di farne uso costante, mentre il 17% impiega la vaselina ed il 13%, oli vari. I risultati del test scientifico hanno dimostrato che le donne che utilizzano questi prodotti, hanno più probabilità di essere infettate da candidosi e da infezioni batteriche varie. In particolare, il 40% delle donne che impiegano la vaselina come lubrificante, soffre di vaginosi batterica: si tratta di una percentuale elevata se confrontata con il 18% delle donne che non fanno uso della vaselina ma sono comunque affette dalla vaginosi. Il 44% delle donne che ha ammesso l’utilizzo di oli idratanti vaginali, è risultato invece portatore della candida. Mentre solo il 5% delle donne che non utilizzano oli è risultato affetto dallo stesso fungo. I ricercatori hanno quindi asserito che il rischio di contrarre malattie a trasmissione sessuale attraverso l’utilizzo di prodotti cosmetici vaginali, è molto elevato. L’impiego di saponi aggressivi che non rispettano il pH naturale favorisce lo sviluppo di agenti patogeni. I medici, pertanto, raccomandano alle donne di aver cura della loro igiene intima senza ricorrere a particolari unguenti, soluzioni, oli o rimedi. Secondo gli esperti che hanno condotto lo studio, quindi, le pazienti non dovrebbero utilizzare prodotti di pulizia per l’igiene vaginale in quanto questi violano il naturale equilibrio batterico intimo e le espongono a malattie veneree importanti.

 

http://geniusbeauty.com/woman-health/women-using-soap-washing-intimate-areas-risk-infections/#.UVGbaRzZba0

Sabato, 06 Dicembre 2014 12:22

TSH ELEVATO: NON SEMPRE E' MALATTIA.

06-12-2014

L'uso della levotiroxina (Eutirox, Tirosint) e la convinzione di essere ammalati di tiroidite di Hashimoto sta diventando una delle condizioni più frequenti e diffuse nella popolazione adulta. Quanto questo corrisponda ad una effettiva condizione di sofferenza della tiroide è però tutto da dimostrare. Fin dal 2007 è stato segnalato un abuso nell'utilizzazione della levotiroxina, oggi prescritta per qualsiasi movimento verso l'alto del TSH senza considerare che spesso nella persona anziana il TSH si innalza senza alcun significato patologico: in modo quindi del tutto normale. Il risultato clinico è che spesso persone con TSH elevato si ritrovano trattate per un ipotetico ipotiroidismo che in realtà non esiste e vanno, evidentemente, in ipertiroidismo iatrogeno. Condizione che determina, tra gli altri effetti possibili, un elevato aumento del rischio di frattura ossea.
Un lavoro pubblicato sul British Medical Journal ha evidenziato questa correlazione, che rimane molto elevata, e che è addirittura evidenziabile nel confronto tra persone che assumevano meno di 40 mcg di tiroxina e persone che ne assumevano in dose maggiore. Il lavoro è stato svolto su oltre 200.000 persone e la frequenza di fratture nella popolazione canadese esaminata è stata superiore al 10% del campione nel corso dei 3,8 anni di follow-up. Il richiamo è evidente: nell'anziano la levotiroxina può essere inutile; non dovrebbe essere prescritta in risposta al semplice innalzamento del TSH se non confermata da dati clinici evidenti orientati all'ipotiroidismo. Il dosaggio di levotiroxina può essere mantenuto in ambiti limitati, riducendo il rischio di effetti collaterali indesiderati.
Per definire che la tiroide non stia funzionando, bisogna che davvero non funzioni. Oggi è certo che lievi oscillazioni di TSH non sono indicatori di disturbo tiroideo. Meritano attenzione e considerazione clinica, ma non eccesso di terapia che rischia di essere rischiosa. Inoltre oggi sappiamo che il disturbo tiroideo è spesso effetto di una condizione infiammatoria che l'organismo sente come pericolosa, reagendo con una risposta ormonale. Spesso infatti citochine infiammatorie come il BAFF sono l'effettiva causa delle alterazioni tiroidee e la vera terapia diventa allora il controllo infiammatorio. In questa situazione attuale, in cui spesso si va in eccesso di diagnosi, l'eccesso di trattamento può diventare più rischioso della semplice attesa degli eventi e del controllo clinico nel corso del tempo.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21527461

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3084377/

06-12-2014

Mirtilli, mele e uva: è questo, secondo un maxistudio della Harvard University e pubblicato sul British Medical Journal, il mix di frutti che più aiutano a prevenire l’insorgenza del diabete di tipo 2, il più diffuso al mondo. La ricerca è stata condotta usando dati provenienti da tre studi fra americani adulti: il Nurses’ Health Study, il Nurses’ Health Study II e l’Health Professionals Follow-up Study. In totale, sono stati coinvolti 187.382 pazienti, in maggioranza uomini. Gli esperti hanno chiesto ai partecipanti di compilare dettagliati questionari alimentari per capire la loro dieta. Successivamente i ricercatori hanno confrontato i dati raccolti e dedotto che chi mangia mirtilli, mele o uva (anche uvette) almeno tre volte a settimana ha un rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2 ridotto del 26%. Sostituendo poi i succhi di frutta con questo tipo di frutta fresca, il rischio diabete si potrebbe ridurre del 33%. Per i ricercatori, mirtilli, mele e uva hanno qualcosa in più rispetto ad altri frutti: contengono infatti più antocianine, polifenoli e antiossidanti, che sembrano essere in grado di coadiuvare il controllo glicemico. Come spiegato dal primo autore della ricerca – Isao Muraki – questi risultati “avvallano le attuali raccomandazioni sull’aumento del consumo di frutta intera, ma non di succhi di frutta, come strategia per la prevenzione del diabete”.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=British+Medical+Journal+Isao+Muraki

Sabato, 06 Dicembre 2014 12:19

LA CURCUMA E' UN POTENTE ANTIDEPRESSIVO.

06-12-2014

Abbiamo sempre considerato la curcuma un alimento dalle molteplici proprietà. Sono note ormai le sue azioni di protezione da Alzheimer e Parkinson, la sua azione antitumorale e la sua azione antidiabetica. Fin dal 2008 si è parlato della sua possibile azione antidepressiva, ma un lavoro pubblicato nel Luglio 2013 su Phytotherapy Research ne ha definito finalmente anche l'efficacia come antidepressivo. La curcuma, ad un dosaggio appena superiore a quello usato come preventivo per la degenerazione nervosa (Alzheimer), può essere usata per controllare la depressione. La curcuma, insomma, può essere paragonata a tutti gli effetti ad un antidepressivo come la fluoxetina. Con effetti collaterali praticamente inesistenti. Nel lavoro, effettuato utilizzando una scala di Hamilton per la valutazione dello stato depressivo, sono stati trattati pazienti affetti da Disturbo Depressivo Maggiore, per 6 settimane. È interessante notare che l'effetto sulla depressione è stato positivo e valido sia in quelli trattati con la sola curcuma, sia in quelli trattati con la sola fluoxetina. Il gruppo trattato con entrambe le sostanze ha invece mostrato un effetto ancora più intenso. Come se cioè le due sostanze agissero attraverso due sistemi differenti, determinando, con la loro interazione, un effetto sinergico positivo.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18766332?ordinalpos=2&itool=EntrezSystem2.PEntrez.Pubmed.Pubmed_ResultsPanel.Pubmed_DefaultReportPanel.Pubmed_RVDocSum

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23832433

Sabato, 06 Dicembre 2014 12:17

PROTETTORI GASTRICI: L’EPIDEMIA INUTILE.

06-12-2014

Inibitori di pompa protonica (lansoprazolo, omeprazolo, pantoprazolo ed altri) e protettori gastrici vari sono tra i prodotti più usati e per più lungo tempo che siano oggi presenti sul mercato. Talvolta ci poniamo poche domande se un prodotto è utile, corrisponde alle necessità effettive e costa anche molto. Ma quando, come nel caso dei protettori gastrici scopriamo che non è usato per una patologia ma solo per una generica "prevenzione" dimostrata inutile, costa tantissimo, ha seri effetti collaterali e viene comunque proposto per un uso indefinito e prolungato, qualche sospetto viene...
Quanto emerge da un recente lavoro pubblicato sul Journal of Hospital Medicine lascia sconcertati. Di solito, quando ci sono delle iperprescrizioni di farmaci, si pensa che i medici, sul territorio, siano sottoposti ad azioni di sollecitazioni o spinta alla prescrizione talvolta discutibili. Nel lavoro cui mi riferisco invece, l'analisi sulla prescrizione dei protettori gastrici è stata fatta in centri ospedalieri e universitari statunitensi all'avanguardia, e il confronto tra necessità di prescrizione reale e linee guida ufficiali sull'uso di questi farmaci è stato fatto su quasi 7 milioni di persone. Il risultato è che il 73% delle prescrizioni fatte per gli inibitori di pompa protonica non rispondono a criteri di scelta ritenuti validi, e in gran parte sono dovute ad una generica "prevenzione" che è documentata inutilmente. L'uso di queste sostanze dovrebbe essere legata alla presenza di gastrite e ulcera attiva, mentre ormai la tendenza è di prescriverli anche se una persona sta usando uno smalto per le unghie medicato ("non si sa mai che magari faccia male allo stomaco"). Poiché non parliamo di "noccioline" ma di farmaci costosi e ricchi di effetti collaterali (basti pensare al più frequente, che è quello di aumentare fortemente il rischio di allergie) una maggiore riflessione sull'uso dei farmaci inutili pagati dallo Stato meriterebbe una riflessione da parte di chi cerca di contenere la spesa, e soprattutto da parte di chi cerca di mantenere la salute.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22190465

06-12-2014

Alcuni farmaci sono davvero indispensabili, ma forse, quando l'obiettivo è quello di controllare la pressione arteriosa elevata, prima di arrivare all'uso del farmaco è meglio attivare tutte le risorse personali e migliorare la propria risposta autonoma. In moltissimi casi il giusto movimento fisico, il controllo alimentare dei cibi che generano infiammazione e facilitano il trattenimento di liquidi, alcune scelte nutrizionali sensate e l'eventuale impiego di minerali come il magnesio, sono sufficienti a riportare in equilibrio i valori di pressione arteriosa e non guasta poi un aiuto naturale al controllo della tensione emotiva. Non è un'idea sbagliata, perché un lavoro pubblicato in agosto 2013 su JAMA Internal Medicine ha purtroppo documentato in modo rigoroso che l'uso prolungato dei calcio antagonisti (tra i farmaci più utilizzati al mondo per il controllo della pressione alta) aumenta in modo significativo la possibilità di contrarre il cancro della mammella.
Il lavoro è stato effettuato da un gruppo di ricercatori statunitense e riguarda donne di età compresa tra i 55 e i 74 anni, cioè la fascia più classica di persone che utilizza questi farmaci. Si tratta del primo lavoro che definisce gli effetti a lungo termine della assunzione di questi farmaci (cosiddetti effetti "long term"), confermando alcuni sospetti che erano già stati avanzati da lavori pubblicati ancora nel 2003 sulla prestigiosa rivista Cancer. In realtà il primo spunto di riflessione nasce dal fatto che non sempre è necessario trattare nelle persone oltre i 60 anni livelli di pressione elevati, e che anzi, spesso abbiamo effetti controproducenti dal trattamento di questi pazienti. Inseguire il miraggio della pressione arteriosa a 130/75 anche a 70 anni può essere davvero controproducente. E su queste pagine già da tempo abbiamo segnalato il rischio di caduta nella persona anziana indotto specificamente da un uso troppo "allegro" di questi farmaci. Prima di essere una malattia, la pressione elevata è un segnale di squilibrio. Sopprimere il segnale con un farmaco senza riequilibrare il tutto può mantenere l'intero sistema sotto pressione (è davvero il caso di dirlo) e scatenare risposte inattese. Se il farmaco diventa uno strumento che "nasconde" un segnale di squilibrio, ecco che le citochine infiammatorie, la resistenza insulinica e l'attivazione alterata del sistema immunitario determinano effetti potenzialmente disastrosi.
La ricerca americana porta ad identificare l'aumento di rischio di cancro alla mammella per l'uso di farmaci calcio antagonisti (tra i diversi prodotti esistenti, in Italia i più venduti sono la Nifedipina con Adalat e Nifedicor, l'Amlodipina con Monopina e Norvasc e la Nicardipina con Perdipina e Cardip), mentre diuretici e ACE inibitori sarebbero immuni da questi effetti. Davvero, qualche alternativa ai cibi salati, senza eliminarli del tutto, potrebbe essere una buona idea per la salute, e si potrebbe anche rispolverare l'abbraccio come una delle possibili terapie della pressione elevata, come è stato dimostrato fin dal 2005, con un lavoro che ne segnala il valore preventivo sull'aumento dei valori pressori. Quanti più abbracci tanto più regolare è la pressione arteriosa. Una piacevole alternativa ai farmaci e ai loro possibili effetti collaterali.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23921840

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4112594/

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/14508839

04-12-2014

Una ricerca pubblicata dal Canadian Medical Association Journal afferma che prendere antidepressivi durante la gravidanza aumenterebbe il rischio di aborto spontaneo di più di due terzi, nei casi estremi, quando ci si trova di fronte all’assunzione di un mix di antidepressivi la probabilità raddoppia. Lo studio dell’Università di Montreal ha analizzato le condizioni di 5.124 donne che avevano avuto un aborto spontaneo, verificando l’associazione tra questo e l’assunzione di due inibitori della serotonina: la paroxetina e la venlafaxina. Le analisi hanno dimostrato che il rischio di aborto cresceva fino al 68 per cento se si assumeva un solo inibitore della ricaptazione della serotonina, mentre aumentava del 100 per cento con l’assunzione di più antidepressivi. Spiega la dottoressa Anick Berard dell’Università di Montreal come ”questi risultati, che suggeriscono un effetto di tutta la classe di farmaci, sono significativi dato il numero di soggetti studiati. I medici a cui viene richiesto un trattamento con antidepressivi durante una gravidanza dovrebbero discuterne i rischi”.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20513781

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2900326/

Giovedì, 04 Dicembre 2014 18:06

VITAMINE E MINERALI CHE PROTEGGONO DAL CANCRO.

04-12-2014

Le polemiche sulla possibile utilità di minerali e vitamine nella prevenzione (e nella cura) delle forme tumorali rimarrà sempre elevata, perché è frutto di una lotta tra due posizioni di pensiero in un certo modo opposte: da un lato chi ritiene che l'unica forma di possibile prevenzione sia farmacologica e dall'altro chi ritiene che lo stile alimentare e l'integrazione con vitamine e minerali sia un importante strumento di difesa per mantenere e riacquistare la salute. Circa due anni fa un gruppo di ricercatori inglesi della "East Anglia University" ha pubblicato su Gut i risultati di una ricerca che per la prima volta ha confrontato i diari alimentari dettagliati di quasi 25.000 persone seguite per 10 anni, valutando poi nelle persone che avessero sviluppato un cancro del pancreas quali fossero i livelli di assunzione di Vitamina E, di Vitamina C di Zinco e di Selenio. L'articolo è stato poi ripreso e diffuso a livello internazionale anche da Medscape. Il tipo di metodica di rilevamento è all'avanguardia tra gli strumenti finora utilizzati per studiare l'introduzione alimentare, e ha portato ad identificare dei trend positivi importantissimi. Sono stati valutati, rispetta a circa 4.000 persone sane di un gruppo di controllo, i livelli di vitamine e minerali dei soggetti seguiti. Un semplice aumento di assunzione minerale e vitaminica per quelli che avevano i valori più bassi di assunzione di Zinco, Selenio e Vitamina E, avrebbe portato a impedire 1 cancro pancreatico su 12. Una semplice integrazione quindi avrebbe potuto controllare lo sviluppo di quasi un cancro su 10. Per la Vitamina C sono stati valutati i livelli plasmatici, rilevando lo stesso livello di alta protezione nei confronti di questa forma tumorale.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22826513

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