Angelo Ortisi
L'USO DI ANTIACIDI CAUSA CARENZA DI VITAMINA B12.
30-11-2014
La vitamina B12 è importante, poiché un suo deficit può di fatto aumentare il rischio di declino cognitivo, demenza, danni al sistema nervoso, anemia e altre complicazioni mediche – alcune delle quali possono essere irreversibili, avvertono gli scienziati. E questo rischio pare lo corrano coloro che assumono per molto tempo farmaci contro l’acidità di stomaco, il bruciore o l’ulcera. Questo tipo di medicamenti, secondo i ricercatori del Kaiser Permanente, possono infatti portare a una carenza di vitamina B12 pericolosa per la salute. Per arrivare alle loro conclusioni, i ricercatori hanno esaminato le cartelle cliniche elettroniche di quasi 26mila pazienti adulti con diagnosi di deficit di vitamina B12. Le cartelle analizzate comprendevano, oltre alla diagnosi, le prescrizioni di farmaci ed esami clinici. I dati raccolti sono poi stati confrontati con quelli di 184.199 pazienti che non presentavano una carenza di vitamina B12 nel corso dello stesso periodo di tempo e che fungevano da gruppo di controllo.
I risultati dello studio, pubblicati sul Journal of the American Medical Association, mostrano che tra i 25.956 pazienti con carenza di vitamina B12, il 12% aveva utilizzato i farmaci antiacido inibitori della pompa protonica (PPI) per almeno due anni, contro il 7,2% dei pazienti appartenenti al gruppo di controllo. A differenza, l’assunzione di farmaci antagonisti dei recettori H2 (H2RA), in qualsiasi dose giornaliera, è stata trovata avere un impatto meno pronunciato, ma significativo, nella misura del 4,2% dei pazienti con carenza di vitamina B12, contro il 3,2% dei pazienti di controllo. «I pazienti che hanno assunto farmaci PPI per più di due anni ha avuto un aumento del 65% del rischio di carenza di vitamina B12 – spiega il dott. Douglas A. Corley, gastroenterologo e ricercatore con il Kaiser Permanente Division of Research –. Dosi più elevate sono state anche associate a un aumentato rischio, rispetto a dosi più basse. Le cartelle cliniche elettroniche del Kaiser Permanente ci hanno permesso di osservare ciò che accade nel mondo reale con l’uso comune di questi farmaci».
COME UNA DIETA VEGANA HA FATTO AMMALARE LE MIE FIGLIE.
30-11-2014
Questo articolo conferma ciò che ho sempre sostenuto. Diffidate dagli pseudoprofessionisti che circolano su internet e che propongono diete vegane valide per tutti, come se l'essere umano per non ammalarsi, vivere in salute e campare cent'anni avesse bisogno di un'alimentazione prettamente crudista e vegetale. Balle. Sono solo balle da ignoranti! La chiave della vostra salute, vi piaccia o meno, la potete trovare soltanto nel vostro gruppo sanguigno, e nel mio nuovo libro troverete tutte le nuove informazioni riguardanti l'alimentazione e le strategie idonee per mantenervi in salute. Tengo a precisare che l'alimentazione del gruppo sanguigno non è più quella che per anni è stata portata avanti da molti professionisti, dottor Mozzi in primis, ma è cambiata alla luce delle nuove scoperte in ambito scientifico e nutrizionale. Godetevi questo articolo, e se qualche vegano psicopatico si avvicina a voi per proporvi questo stile di vita, fategli leggere l'articolo. Se nonostante tutto continua ad essere insistente, a questo punto non potete fare altro che consigliargli un TSO (trattamento sanitario obbligatorio). Holly Paige non riusciva a capire come mai le sue figlie, Bertie, all’epoca quattro anni, e Lizzie, tre anni, fossero così scheletriche nonostante mangiassero tanto. Un giorno Lizzie le sorrise e Holly scoprì con orrore che la parte superiore dei suoi dentini era marrone e piena di buchi. “Non riuscivo a comprendere cosa stesse succedendo”, ci dice Holly. “Mangiavamo tutti cibi sani, un sacco di verdura, noci e semi”.
Il problema era proprio ciò che mangiavano le Paige. Seguivano una rigida dieta vegana, mangiando solo cibi crudi. Dal giorno in cui sono nate Bertie e Lizzie non hanno mai mangiato carne, pesce o latticini. Spiega la madre: “È stato un mio amico a parlarmi della dieta crudista e mi è sembrata una cosa salutare. Sono stata rassicurata dalle persone che seguivano questa dieta che avremmo assunto tutte le proteine necessarie dalle noci e dai semi, inoltre prendevamo giornalmente degli integratori alimentari. Pensavo che stessimo seguendo la miglior dieta nutrizionale possibile. Poi però, ho iniziato ad accorgermi che qualcosa non andava: le bambine indossavano due taglie in meno rispetto alla loro età. Ho due bambini più grandi che non hanno mai avuto problemi né di crescita né ai denti. I muscoli di Bertie e Lizzie sembravano deboli ed entrambe avevano problemi di vista quando faceva buio”. Leggendo un libro Holly scopre la causa di quei sintomi: una grave carenza di proteine e vitamina D. “Ho fatto entrare in casa mia la malnutrizione chiamandola salute”, afferma adesso con orrore. Ha così introdotto i latticini nella loro dieta sostenendo che il miglioramento di salute delle bambine è stato subito evidente. Adesso stanno bene, sono più robuste e i loro denti marci da latte sono stati sostituiti da denti sani e bianchi.
Purtroppo questo non è l’unico caso. Nello stesso articolo del DailyMail ne vengono riportati altri analoghi. Sono tante infatti le madri che hanno eliminato la carne rossa dalla dieta dei loro figli credendo che possa essere correlata al cancro. Sempre nell’articolo leggiamo quanto ciò sia pericoloso poiché i bambini hanno bisogno di ferro per la crescita e lo sviluppo del cervello. Inoltre una dieta troppo ricca di fibre, data dall’assunzione di verdure, crea scompensi nello stomaco, in quanto assorbono acqua. Viene citato come esempio quello di un bambino portato in ospedale perché aveva costantemente la diarrea.
http://www.dailymail.co.uk/health/article-1028854/How-strict-vegan-diet-children-ill.html
POTENTI BENEFICI PER LA SALUTE NEL NERO DI SEPPIA.
28-11-2014
I ricercatori del Dipartimento di studi clinici a Shenyang, in Cina, hanno scoperto che il nero di seppia favorisce l’attività delle cellule natural killer in topi di laboratorio, arginando quindi significativamente la crescita del tumore. Uno studio in Asia e pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Nutrition ha scoperto che l’inchiostro di seppia offre qualità radio-protettive notevoli, in test su animali. Inoltre, i ricercatori del Biochimica Center e della Facoltà di Scienze e Tecnologie Alimentari a Zhanjiang, Cina, hanno stabilito che l’inchiostro di seppia protegge la produzione di globuli bianchi nei topi esposti al farmaco chemioterapico ampiamente utilizzato, ciclofosfamide. Il nero di seppia dimostra anche una notevole attività antibatterica contro diversi agenti patogeni resistenti agli antibiotici, come Escherichia coli, Staphylococcus epidermidis e Pseudomonas aeruginosa. Inoltre, uno studio su animali condotto all’Università del Cairo, in Egitto, ha scoperto che l’inchiostro di seppia fornisce benefici antiossidanti e antinfiammatorie. Questo liquido si trova in una piccola sacca presente nelle seppie che lo utilizzano per mimetizzarsi con l’ambiente quando si sentono minacciate da predatori ed è stato usato dall’uomo fin dall’antichità, sia per scopi medicinali che come colore per i pittori. L’inventore della medicina omeopatica, Samuel Hahnemann, fu il primo a scoprire i benefici per la salute del nero di seppia: calma i sintomi della tensione premestruale, quelli della menopausa e cura lo squilibrio ormonale. È efficace per combattere stanchezza, disturbi digestivi, stipsi, esaurimento, nausea, mal di testa e dolori muscolari. Il nero si può facilmente estrarre dalla piccola sacca della seppia oppure acquistare già confezionato.
http://www.naturalnews.com/043074_squid_ink_health_food_disease_prevention.html#
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17392111
RISCHIO DI INFARTO E ICTUS RADDOPPIA PER I PAZIENTI CON LA GOTTA.
28-11-2014
Una nuova ricerca pubblicata dalla rivista Rheumatology, ha scoperto che avere la gotta raddoppia il rischio di infarto e ictus. La ricerca ha monitorato la salute di più di 205.000 pazienti affetti da gotta, per stabilire legami tra gotta e attacco di cuore e ictus. Condotta da scienziati dell’Università di Oxford, la ricerca ha utilizzato i dati provenienti da NHS in Inghilterra e dall’Ufficio per le statistiche nazionali. Questi nuovi risultati evidenziano la necessità di affrontare la comorbidità e comprendono misure preventive nell’ambito del trattamento della gotta, per ridurre attacchi di cuore e ictus nei pazienti. Il professor Rob Moots, direttore di Reumatologia, ha detto: “Questo importante studio ci dice che la gotta è una condizione che non è solo causa di forte dolore, è piuttosto una malattia che deve essere presa sul serio e trattata efficacemente per prevenire attacchi di cuore e ictus inutili”. Il Dr. Chris Deighton, presidente della British Society for Rheumatology, aggiunge: “Questa ricerca ci ricorda che la gotta deve essere considerata in un contesto molto più ampio di una semplice infiammazione dell’artrite. La stragrande maggioranza di cure per la gotta si svolge nelle cure primarie. I medici devono sapere che la gotta non è solo una forma altamente curabile di artrite, ma questi pazienti hanno bisogno di vigilanza per il rischio di attacchi di cuore e ictus. La cura olistica di alta qualità delle persone con la gotta può non solo migliorare la loro qualità di vita, ma aumentare la durata della vita”. Olena Seminog, ricercatrice, commenta: “Analizzando un enorme set di dati che coprono un lungo periodo di tempo in tutta l’Inghilterra, il nostro gruppo ha scoperto che i pazienti affetti da gotta hanno il doppio del rischio di infarto miocardico e di ictus. Questa prova potrebbe portare a strategie per migliorare la salute cardiovascolare nelle persone con la gotta, ma suggerisce che più ricerca è necessaria per rivelare gli effetti dell’acido urico sulla nostra salute”.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Rheumatology++Olena+Seminog
LA LUCE BLU SVEGLIA PIU' DELLA CAFFEINA.
28-11-2014
Ricercatori del laboratorio “Sommeil, attention et neuropsychiatrie” (CNRS/Université Bordeaux Segalen) con dei colleghi svedesi hanno dimostrato che l'esposizione costante ad una luce blu ha, su chi guida di notte, lo stesso effetto di un paio di caffè, permettendo di restare svegli ed attenti. Basati su test condotti in situazione reale di guida notturna i risultati sono stati pubblicati sulla rivista PLoS One e sembra possano aprire la strada a dispositivi automatici da montare sui veicoli, ovviamente dopo aver approfondito lo studio su campioni di dimensioni maggiori. Quando si guida di notte la mancanza di sonno porta, con il passare del tempo, ad una riduzione dei riflessi, della capacità di reazione, a sonnolenza e riduzione della percezione visiva, con la conseguenza che la sonnolenza causa un terzo degli incidenti che si verificano in autostrada. Normalmente le persone contrastano il problema bevendo caffè. E' noto che la luce blu aumenta la vigilanza perchè stimola i gangli della retina, che sono cellule nervose specializzate sensibili alla luce e collegate anche con le aree del cervello che controllano la vigilanza. Stimolare queste cellule con una luce blu fa fermare la produzione di melatonina, l'ormone che, tra l'altro, riduce anche lo stato di allerta durante la notte, effetto già noto dal 2005, grazie ad una ricerca americana. Ma questi studi precedenti avevano dimostrato solo l'effetto durante semplici compiti cognitivi come premere un pulsante in risposta ad uno stimolo luminoso, ma guidare è un compito molto più complesso. Per approfondire l'efficacia delle luce blu durante la guida notturna i ricercatori hanno installato delle luci a led di colore blu nell'abitacolo di un veicolo sperimentale ed hanno chiesto a 48 volontari maschi, di età compresa tra i 20 ed i 50 anni, di guidare per 400 km in autostrada. Ciascun guidatore ha guidato per 3 notti, ad una settimana l'una dall'altra, tra la 01:00 e le 05:15 del mattino, con una pause di 15 minuti a metà del viaggio.
Durante ciascuna delle tra notti i volontari sono stati sottoposti alla luce blu, oppure hanno bevuto due caffè, uno prima di partire ed uno durante la sosta intermedia, e questi contenevano 200 mg. di caffeina, una volta, ed erano decaffeinati l'altra. E' da notare che la luce blu non ha influito sul sonno successivo all'esperimento, dei guidatori. I ricercatori hanno poi analizzato il numero di volte che i guidatori hanno attraversato la linea che divide le corsie in autostrada o quella che delimita la corsia di emergenza interpretando questo come un indicatore di allerta. I risultati sono stati questi: con la luce blu si hanno avuti 15 attraversamenti accidentali delle linee, con il caffè con caffeina 13 e con il caffè decaffeinato 26. Si è perciò confermata l'efficacia della luce blu, pari quasi a quella del caffè, a patto che la luce non rappresentasse un fastidio abbagliando le persone, cosa che è avvenuta per 8 dei 48 volontari, che hanno perciò abbandonato l'esperimento. I ricercatori stanno ora verificando questi risultati su numeri più grandi.
http://www.plosone.org/article/info:doi/10.1371/journal.pone.0046750
IL SUSHI PUO' FAR MALE A CUORE E CERVELLO.
28-11-2014
Anche qui da noi, in Italia, il sushi ha riscosso un buon successo, tanto che sono ormai molti i ristoranti tipici che lo servono. Tuttavia, anche questo tipo di specialità può avere i suoi rischi: il pesce con cui si preparano alcuni di questi piatti – come per esempio il tonno – è stato trovato essere contaminato da alti livelli di metilmercurio, un metallo tossico che tra l’altro può essere causa di alterazioni dello sviluppo cerebrale, di deficit e declino cognitivo e infine di malattie cardiovascolari. Altra cattiva notizia per gli amanti del pesce è che se lo si assumeva per via del buon contenuto in acidi grassi essenziali omega-3, il metilmercurio interferisce anche con questi acidi essenziali, noti per essere utili contro il colesterolo, le malattie (appunto) cardiache, l’ipertensione, ictus, alcuni tumori e anche il parto pretermine.
Lo studio che mette sull’avviso dal consumo di sushi è stato condotto dai ricercatori della Rutgers University e del Robert Wood Johnson Medical School. Pubblicato sul Journal of Risk Research, ha coinvolto oltre 1.200 persone che sono state oggetto di intervista sul loro consumo di pesce in genere e sushi contenente pesce. I dati raccolti, sia in base alle analisi sulla presenza di metilmercurio nel pesce che sul consumo da parte dei partecipanti, ha permesso di stabilire che il 10% di questi aveva abbondantemente superato i limiti di assunzione di metilmercurio stabiliti dal CDC e dall’OMS. In ogni caso, secondo la dott.ssa Joanna Burgerab e colleghi, il problema maggiore pare sussista nell’assunzione di sushi come il sashimi che contiene tonno: prima di tutto per via del contenuto di metilmercurio che in questo tipo di pesce pare sia il più alto in assoluto, poi anche perché la crescente domanda sta mettendo in serio pericolo la specie. La buona notizia, forse, è che il sushi preparato con anguilla, granchio, salmone e alghe è stato trovato avere i livelli più bassi di metilmercurio.
http://www.todaytopics.com/eating-sushi-can-increase-risk-of-cardiovascular-disease/18335/
http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/13669877.2013.822925#.VHSTVPo561t
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/11/131125091316.htm
http://www.alphagalileo.org/ViewItem.aspx?ItemId=136730&CultureCode=en
LE BASSE TEMPERATURE FAVORISCONO LO SVILUPPO DEI TUMORI.
25-11-2014
Ci siamo, il freddo invernale è arrivato. Ma cosa accade quando il freddo arriva all’improvviso? Accade che l’organismo fatica ad adattarsi in tempi così veloci, e questo è spesso un problema per molte persone. La prima naturale reazione del corpo al freddo è un restringimento dei vasi sanguigni, soprattutto di quelli delle zone periferiche: sono infatti un classico le mani e i piedi ghiacciati. Questo processo si attua al fine di mantenere il calore nelle zone e negli organi più importanti come cuore, fegato ecc. Uno degli eventi che si verifica quando le temperature sono molto basse è una modifica al metabolismo. Accade che quando il corpo è esposto alle basse temperature per diverso tempo tutto il sistema del corpo rallenta, entra in una sorta di condizione di protezione: uno stress termico che lascia attivi soltanto i sistemi più vitali come, per esempio, il cervello. In queste condizioni ne soffrono tuttavia anche le cellule del corpo. Chi invece beneficia delle basse temperature pare siano le cellule cancerose, o tumorali, che in uno studio su modello animale condotto dai ricercatori del Roswell Park Cancer Institute (Usa) e pubblicato su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences), hanno mostrato di crescere e diffondersi maggiormente.
La dott.ssa Elizabeth Repasky e colleghi del RPCI hanno scoperto che i topi che vivono in un ambiente per essi relativamente freddo (circa 22°C) hanno visto i tumori svilupparsi in modo più rapido e aggressivo rispetto ai topi che vivono a una temperatura per essi termicamente confortevole (intorno a 30°C). L’esposizione poi a un ambiente maggiormente freddo ha potenziato la crescita di diversi tipi di cancro, compresi quelli del seno, della pelle, del colon e del pancreas. Durante lo studio i ricercatori hanno osservato che sia nei topi tenuti nell’ambiente a temperatura confortevole, che in quelli tenuti nell’ambiente freddo, il numero di cellule T del sistema immunitario era identico. Ciò che tuttavia cambiava era l’azione anticancro delle cellule T: nei topi a temperatura confortevole queste erano più veloci e attive nell’attaccare il tumore, e secernevano maggiori sostanze anticancro, a differenza di quanto invece accadeva nei topi tenuti al freddo. Questo dimostra che il freddo è in grado di modificare la risposta del corpo in presenza di cellule tumorali. Secondo i ricercatori questa scoperta è molto importante sia per la ricerca sul cancro che utilizza modelli animali, dato che la risposta può dunque cambiare a seconda della temperatura dell’ambiente e poi per il trattamento delle persone affette da cancro, perché è stato accertato come chi ha la malattia tenda a soffrire di più il freddo e a prediligere temperature maggiori. Questa può essere una reazione naturale del corpo che cerca una temperatura migliore per poter attaccare meglio le cellule tumorali.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=PNAS++Elizabeth+Repasky
I FARMACI EFFERVESCENTI POSSONO AUMENTARE IL RISCHIO DI EVENTI CARDIOVASCOLARI.
25-11-2014
I ricercatori sostengono che i pazienti “dovrebbero essere messi in guardia circa i potenziali pericoli di un’elevata assunzione di sodio da farmaci effervescenti prescritti”. Essi ritengono inoltre che il contenuto di sodio dei medicinali può essere chiaramente etichettato, allo stesso modo in cui sono etichettati gli alimenti. Numerosi studi hanno dimostrato che l’eccesso di sale è dannoso per la salute del cuore. Molti farmaci comunemente prescritti utilizzano il sodio per migliorare il loro assorbimento nel corpo, ma l’effetto che esso provoca è fino ad ora sconosciuto. Il team, guidato dal dottor Jacob George, Consulente Onorario di Farmacologia Clinica presso l’Università di Dundee, ha confrontato il rischio di eventi cardiovascolari (infarto non fatale, ictus non fatale o morte vascolare) in pazienti che assumono sodio contenuto nei farmaci effervescenti, disperdibili e solubili, con coloro che assumono la versione senza sodio, non effervescente, degli stessi farmaci, tra il 1987 e il 2010. Oltre 1,2 milioni di pazienti nel Regno Unito sono stati monitorati per una media di poco più di sette anni. Durante questo periodo, si sono verificati oltre 61.000 eventi cardiovascolari.
I fattori che possono influenzare i risultati, come indice di massa corporea, fumo, assunzione di alcol, la storia di varie malattie croniche e l’uso di alcuni altri farmaci, sono stati presi in considerazione. Nel complesso, i ricercatori hanno trovato che i pazienti che hanno assunto i farmaci effervescenti contenenti sodio, avevano un aumento del rischio del 16% di un attacco di cuore, ictus o morte vascolare, rispetto ad altri pazienti che assumevano le versioni senza sodio e non effervescenti degli stessi farmaci. I pazienti che assumono i farmaci contenenti sodio hanno presentato anche sette volte più probabilità di sviluppare la pressione alta e tassi complessivi di mortalità, superiori del 28%. Questi eventi sono in gran parte guidati da un aumento del rischio di ipertensione e ictus. Gli autori riconoscono che c’è ancora qualche polemica per quanto riguarda il rapporto tra sodio nella dieta e gli eventi cardiovascolari, ma sostengono che i loro risultati “sono di grande importanza per la salute pubblica”. Essi concludono: “La prescrizione di queste formulazioni contenenti sodio deve essere fatta con cautela ed i pazienti devono essere attentamente monitorati per la comparsa di ipertensione”.
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/11/131126191557.htm
http://www.eurekalert.org/pub_releases/2013-11/bmj-hsl112213.php
MANGIARE MIRTILLI PER COMBATTERE LA COLITE.
25-11-2015
Un nuovo studio proveniente dalla Svizzera dimostra che la natura ha ancora un altro rimedio straordinario in serbo per noi. La ricerca promettente, condotta dal professor Gerhard Rogler e dal suo team presso l’Ospedale Universitario di Zurigo, rivela che le sostanze bioattive naturali nei mirtilli possono migliorare la colite e promuovere la salute generale dell’intestino. “I nostri dati mostrano effetti molto positivi dei mirtilli, in particolare per la colite”, si legge nello studio. Come tutti gli altri frutti di bosco, i mirtilli hanno un alto contenuto di flavonoidi e antocianine, che sono pigmenti vegetali naturali con straordinari effetti antiossidanti. Vi sono prove scientifiche che le antocianine possono avere effetti sulla salute contro il cancro, invecchiamento precoce, degradazione neurologica, diabete, infiammazione, malattia fibrocistica e infezioni batteriche. Le sostanze bioattive contenute in questi piccoli frutti riducono la quantità di radicali liberi nel corpo e agiscono come una barriera protettiva naturale tra le nostre cellule e le tossine provenienti dall’esterno. Regolarmente inclusi nella dieta, i mirtilli possono migliorare la vista e migliorare i problemi di visione come la degenerazione maculare. Precedenti relazioni sugli effetti dei mirtilli sul corpo umano hanno dimostrato che possono essere utilizzati con successo nella lotta contro i vari problemi intestinali, comprese le forme gravi di diarrea. Sulla base di questi risultati, il team di scienziati svizzeri ha cercato di ottenere ulteriori prove cliniche a sostegno dei benefici del consumo di mirtilli sulla salute intestinale.
Per lo studio è stato utilizzato un gruppo di topi di laboratorio affetti da colite. I topi sono stati divisi in tre gruppi distinti. Ciascuno dei gruppi è stato alimentato con pasti che erano stati integrati con bacche essiccate o estratti di flavonoidi dai frutti. Il primo gruppo ha ricevuto pasti contenenti il 20% di frutta secca, mentre gli altri due gruppi sono stati alimentati con il 10% di mirtilli e 1% di antociani. I risultati dimostrano che l’assunzione di mirtilli secchi ha portato ad una diminuzione dell’infiammazione e della gravità della colite sia acuta che cronica. “Questi risultati promettenti giustificano uno studio clinico sul loro effetto terapeutico nei pazienti con malattia infiammatoria intestinale”, hanno aggiunto i ricercatori, "e i notevoli risultati ottenuti nel corso dello studio possono fare dei mirtilli una potente alternativa al trattamento standard con steroidi per la colite".
http://www.naturalnews.com/034769_bilberries_gastrointestinal_health.html#ixzz30Uw2xfOr
http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/mnfr.201100380/abstract
IL PIU' GRANDE STUDIO MAI CONDOTTO COLLEGA IL CONSUMO DI FRUTTA SECCA A UNA RIDUZIONE DEL 20% DELLA MORTALITA'.
25-11-2014
E' durato ben trent’anni uno dei più grandi studi del suo genere mai condotti, e pubblicato sul New England Journal of Medicine, che incorona la frutta secca (o a guscio) come un vero e proprio elisir di lunga vita. Secondo quanto emerso, infatti, le persone che hanno mangiato una manciata di frutta secca ogni giorno avevano il 20% in meno di probabilità di morire per qualsiasi causa. A condurre lo studio sono stati i ricercatori del Dana-Farber Cancer Institute, del Brigham and Women’s Hospital e della Harvard School of Public Health, i quali hanno scoperto che tra i numerosi vantaggi offerti dal mangiare frutta secca a guscio vi era anche quello di non mettere su peso, come da molti creduto. Ma il risultato più rilevante, come accennato, è stato quello sull’aspettativa di vita. «Il vantaggio più evidente è stata una riduzione del 29% delle morti per malattia di cuore (il big killer numero uno) – ha spiegato il prof. Charles S. Fuchs, direttore del Gastrointestinal Cancer Center al Dana-Farber e autore senior – Ma abbiamo anche visto una significativa riduzione dell’11% del rischio di morire di cancro». Quello che è apparso evidente ai ricercatori è che non vi era un tipo di frutta secca che mostrava maggiori vantaggi rispetto a un altro: l’effetto protettivo non è stato infatti determinabile e sia noci che mandorle, nocciole, anacardi, noci del Brasile, noci macadamia, noci pecan, pistacchi, arachidi e pinoli hanno mostrato tutti di avere più o meno le stesse proprietà benefiche.
Già diversi studi precedenti avevano trovato un’associazione tra l’aumento del consumo di frutta secca e un minor rischio di malattie come quelle cardiache, il diabete di tipo 2, il cancro del colon, i calcoli biliari e la diverticolite. Ma non solo: un maggiore consumo di frutta secca è stato altresì collegato a una riduzione dei livelli di colesterolo, dello stress ossidativo, dell’infiammazione, dell’adiposità (il grasso) e dell’insulino-resistenza.
Per questo largo studio gli scienziati hanno utilizzato i grandi database provenienti da due ben noti studi osservazionali in corso, e che raccolgono dati sulla dieta e altri fattori di stile di vita e diversi risultati di salute. Nello specifico, il “Nurses’ Health Study” ha fornito dati su 76.464 donne raccolti tra il 1980 e il 2010, e il “Health Professionals’ Follow-up Study” ha raccolto dati su 42.498 uomini tra il 1986 e il 2010. Tutti i partecipanti agli studi hanno compilato ogni 2-4 anni dettagliati questionari riguardanti la dieta. Insieme a ogni questionario alimentare ai partecipanti è stato chiesto di valutare quanto spesso hanno consumato frutta secca in porzioni da poco più di 18 g, equivalenti a un tipico piccolo pacchetto di noccioline.
Per mezzo di sofisticati metodi di analisi dei dati sono stati eliminati possibili fattori confondenti e che possono aver rappresentato altrimenti benefici in termini di ridotta mortalità. Per esempio, i ricercatori hanno scoperto che le persone che mangiavano più frutta a guscio erano più magre, meno propense a fumare e più inclini a praticare attività fisica. Queste stesse persone utilizzavano integratori multivitaminici, consumavano più frutta e verdura. Al termine della scrematura si è così stati in grado di isolare l’associazione tra il consumo di frutta secca e la mortalità, indipendentemente da questi altri fattori. «In tutte queste analisi, le persone che hanno mangiato più frutta secca era meno probabile che morissero durante il periodo di follow-up durato 30 anni», ha dichiarato il dottor Ying Bao del Brigham and Women’s Hospital e primo autore del rapporto.
I dati hanno in particolare rivelato che coloro che mangiavano frutta secca meno di una volta a settimana avevano una riduzione del rischio di morte del 7%; coloro che mangiavano la frutta secca almeno una volta a settimana avevano una riduzione dell’11%; nel caso di 5 o 6 volte a settimana, vi era una riduzione del 15% e infine nel caso di 7 o più volte a settimana la riduzione del rischio di morte arrivava al 20%. Sebbene lo studio non abbia dimostrato una relazione di causa/effetto, gli autori ritengono i risultati fortemente coerenti con «una ricchezza di dati di studi osservazionali e clinici esistenti a sostegno dei benefici per la salute del consumo di frutta secca su molte malattie croniche».