Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

13-09-2014

Ormai siamo alla pura follia: una ricerca scientifica del CDC (Center for Disease Control) ha stabilito che il latte materno impedisce ad un certo vaccino di funzionare al meglio nel corpo del neonato, e quindi suggeriscono di evitare l’allattamento al seno. La ricerca si intitola “Inhibitory effect of breast milk on infectivity of live oral rotavirus vaccines” (Effetto inibitorio del latte materno sull'infettività del vaccino orale rotavirus vivo). Una ricerca simile si domanda se il latte materno possa interferire con il vaccino rotavirus, mentre una terza conferma che la madre passi al bambino gli anticorpi per combattere il rotavirus tramite l’allattamento. In altre parole, ci si lamenta che il latte materno impedisca di immunizzare il bambino, infettandolo intenzionalmente con il rotavirus, quando il bambino è già perfettamente in grado di distruggere il virus per conto suo. La differenza, naturalmente, è che il latte materno non costa nulla, mentre il vaccino te lo vende la casa farmaceutica. Non vi ricorda niente, questo strano meccanismo perverso? Pensateci bene…
Come si fa a quintuplicare in pochi anni il budget del Pentagono? Si toglie alla difesa aerea la capacità di intervenire, bloccando alcuni punti nevralgici della catena di comando. Poi si fanno “attaccare” gli Stati Uniti da una banda di dirottatori qualunque, causando una catastrofe impressionante, che scatena nella gente una tale paura e indignazione da chiedere di rafforzare al massimo una difesa che era già perfettamente in grado di respingere qualunque terrorista al mondo. Problema, reazione, soluzione. Solo che in questo caso hanno esagerato, perchè nel mettere sotto accusa una cosa così universalmente valida, apprezzata e insostituibile come il latte materno, persino la più distratta della persone si accorge che c’è qualcosa che non quadra. Ma loro se ne fottono, e ci provano lo stesso. Ed hanno ragione a farlo: finchè la gente non si ribella e li manda tutti a quel paese, loro hanno solo da guadagnarci. Al massimo non ci casca nessuno, ma si può sempre riprovare.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Inhibitory+effect+of+breast+milk+on+infectivity+of+live+oral+rotavirus+vaccines

13-09-2014

Uno studio, pubblicato negli Archives of Internal Medicine, ha scoperto che alcuni tipi di cancro al seno sono naturalmente guariti. I ricercatori hanno concluso che alcune neoplasie mammarie sarebbero probabilmente regredite spontaneamente, se non fossero mai state scoperte con mammografia e trattate. Ora ci sono prove dagli scienziati della University of California, Berkeley e dal Lawrence Berkeley National Laboratory che le cellule mammarie maligne possono essere guidate di nuovo verso un modello di crescita normale, senza l’utilizzo di prodotti chimici. I risultati, che i ricercatori hanno recentemente annunciato in occasione della riunione annuale della American Society for Cell Biology a San Francisco, rivelano per la prima volta, che le forze meccaniche da sole, possono impedire alle cellule tumorali di crescere senza controllo e farle tornare alla normalità. Cosa c’è di più? Le cellule tumorali possono tornare alla normalità anche se le mutazioni genetiche responsabili di innescare il tumore maligno, non si modificano.
Che cosa hanno fatto i ricercatori per fare tornare le cellule tumorali alla normalità? Hanno letteralmente messo una stretta di compressione su di loro. In particolare, hanno dimostrato che la pressione meccanica esercitata sulle cellule del cancro, le faceva sembrare cellule normali e di nuovo in salute. Per il loro studio, gli scienziati hanno messo cellule mammarie maligne epiteliali in una sostanza gelatina simile. Le cellule sono state iniettate di silicone flessibile che ha permesso ai ricercatori di applicare una forza di compressione sulle cellule tumorali, in una fase iniziale del loro sviluppo. I ricercatori hanno utilizzato microscopia time-lapse per diversi giorni per mostrare che i cambiamenti di compressione precoci indotte nelle cellule maligne che hanno restituito loro i tratti caratteristici del normale sviluppo cellulare. “Le persone sanno da secoli che la forza fisica può influenzare i nostri corpi,” ha affermato Gautham Venugopalan, che ha condotto nuovi esperimenti come parte del suo dottorato di ricerca ed ha recentemente completato la sua tesi di laurea all’Università di Berkeley. “Quando solleviamo pesi, i nostri muscoli diventano più grandi. La forza di gravità è essenziale per mantenere le ossa forti. Qui mostriamo che la forza fisica può svolgere un ruolo nella crescita – e ritorno alla normalità – delle cellule tumorali".
I ricercatori non stanno necessariamente proponendo lo sviluppo di reggiseni a compressione come trattamento per il cancro al seno. La compressione, in sé e per sé, non è probabile che sia una terapia”, ha detto il ricercatore principale Daniel Fletcher, professore di bioingegneria all’Università di Berkeley e docente presso il Laboratorio di Berkeley. “Tuttavia, i risultati sono estremamente importanti perché mostrano che le cellule tumorali possono essere, in un certo senso, riabilitate e tornare alla normalità. “Le cellule maligne non hanno completamente dimenticato di poter essere in buona salute. Hanno solo bisogno di spunti giusti che le guidi di nuovo in un modello di crescita sana,“ ha concluso Venugopalan.

 

http://www.eurekalert.org/pub_releases/2012-12/asfc-bcc120412.php

http://www.eurekalert.org/pub_releases/2012-12/uoc--trb121212.php

13-09-2014

I ricercatori del Dana Faber Cancer Institute hanno stabilito che i sopravvissuti al cancro del colon, la cui dieta è ricca di zuccheri complessi e di carboidrati, hanno di gran lunga maggiori probabilità di avere una recidiva della malattia. In uno dei primi studi di questo tipo, i ricercatori, in una pubblicazione nel Journal of National Cancer Institute, hanno esaminato come la dieta può influenzare le probabilità che la malattia si ripresenterà. Essi hanno scoperto che alimentarsi con una dieta ricca di carboidrati è un potenziale pericolo per coloro che già soffrono di cancro al colon. L’autore dello studio, il dottor Jeffrey Meyerhardt, ha commentato: “Il nostro studio supporta certamente l’idea che la dieta può influenzare la progressione del cancro al colon e che i pazienti e i loro medici dovrebbero prendere in considerazione questa possibilità al momento del post-trattamento”. Studi precedenti hanno mostrato che i sopravvissuti al cancro del colon-retto la cui dieta e modelli di attività portano ad una quantità eccessiva di insulina nel sangue, hanno un rischio maggiore di recidiva di cancro e di morte dalla malattia. Le diete ricche di carboidrati raffinati e cibi carichi di zuccheri, aumentano i livelli di insulina e nutrono le cellule tumorali. E’ stato dimostrato che una tipica dieta occidentale caratterizzata da un elevato consumo di dolci, carne, grassi, cereali raffinati e zuccheri, può triplicare il rischio di recidiva del cancro del colon.
In questo studio, i ricercatori hanno esaminato la dieta di 1011 pazienti affetti da cancro del colon. Hanno osservato i carboidrati totali consumati e l’indice glicemico dei pazienti. Ogni partecipante è stato analizzato sulla base di un collegamento statistico tra l’alimentazione e la ricorrenza del cancro del colon. Essi hanno scoperto che i partecipanti con il carico glicemico più alto e assunzione di carboidrati, hanno un rischio dell'80 per cento maggiore di recidiva del cancro del colon o di morte rispetto a coloro che avevano livelli più bassi. Il Dr. Meyerhardt ha concluso: “Noi pensiamo che un alto carico glicemico possa stimolare la produzione di insulina che, a sua volta, può aumentare la proliferazione delle cellule e prevenire il naturale processo di morte cellulare nelle cellule tumorali che metastatizzano dal loro originario sito“. Molte linee di cancro si sviluppano nel corso degli anni e dei decenni fino a diventare visibile come un tumore. Durante questo periodo, una dieta ad alto contenuto di carboidrati lavorati che rapidamente possono scindersi in zuccheri alimentari combustibili, questa crescita aumenta. Eliminando i carboidrati raffinati, grassi trans e zuccheri dalla dieta, si può ridurre significativamente il rischio di cancro al colon e molte altre forme della malattia.

 

http://www.sciencedaily.com/releases/2012/11/121107161551.htm

http://www.eurekalert.org/pub_releases/2012-11/jotn-hdg110512.php

http://jnci.oxfordjournals.org/content/early/2012/11/02/jnci.djs399

13-09-2014

Come ben sanno i patiti della dieta dimagrante consumare quantità eccessive di pasta e pane (cibi ricchi di carboidrati) non giova al mantenimento della linea. La spiegazione sarebbe custodita nel meccanismo cerebrale di regolazione della fame che tali eccessi addirittura danneggerebbero. A sostenerlo è uno studio condotto all’Università australiana di Monash dal neuroendocrinologo Zane Andrews. Secondo la ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Nature, le cellule nervose deputate alla regolazione della sensazione di appetito e sazietà, smettono di funzionare come dovrebbero a causa di un’alimentazione scorretta, caratterizzata dal consumo eccessivo di zuccheri e carboidrati. Ed è proprio il loro malfunzionamento che induce a mangiare di più e, quindi, ad ingrassare.
Come ha spiegato lo stesso autore della ricerca: ”Quando lo stomaco è vuoto un ormone (la grelina) segnala al cervello che siamo affamati. Se abbiamo già mangiato, invece, si attivano dei neuroni detti Pomc, che inibiscono l’appetito. I radicali liberi attaccano questi neuroni, provocando degli squilibri nell’organismo umano”. Mangiare troppi cibi ricchi di carboidrati e di zuccheri provocherebbe, secondo Andrews, il deterioramento (prematuro) dei suddetti neuroni Pomc che bloccano l’appetito. ”Più carboidrati si mangiano, più si danneggiano queste cellule, e si finisce per mangiare di più”.

                               

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Zane+Andrews+nature

Sabato, 13 Settembre 2014 19:01

PRENDERE STEROIDI ANABOLIZZANTI UCCIDE I RENI.

13-09-2014

Quello che già in molti sapevano ufficiosamente, ora è confermato scientificamente: gli atleti che fanno uso di steroidi anabolizzanti possono aumentare la massa muscolare e la forza, ma possono anche distruggere la loro funzione renale. A spiegarlo è un documento presentato al 42esimo meeting annuale dell’American Society of Nephrology and Scientific Exposition di San Diego, California. I risultati indicano che l’uso abituale di steroidi ha gravi effetti nocivi per i reni che non sono stati in precedenza riconosciuti. Le relazioni su atleti professionisti che usano gli steroidi anabolizzanti in modo eccessivo sono sempre più comuni. Molti sanno che l’uso di steroidi non è buono per la salute, ma fino ad ora, i loro effetti sui reni non erano noti. Leal Herlitz, della Columbia University Medical Center, e colleghi, hanno condotto di recente il primo studio che descrive le lesioni ai reni dovuto ad un abuso di steroidi anabolizzanti a lungo termine. I ricercatori hanno studiato un gruppo di 10 culturisti che hanno usato steroidi per molti anni e la perdita di proteine nelle urine che hanno sviluppato, le quali hanno mostrato forti riduzioni della funzione renale.
I test ai reni hanno rivelato che nove dei dieci culturisti avevano sviluppato una condizione chiamata glomerulosclerosi focale segmentale, che forma come delle cicatrici all’interno dei reni. Questa malattia si verifica in genere quando i reni sono sovraccarichi di lavoro. Il danno renale ha delle somiglianze con quello osservato nei pazienti patologicamente obesi, ma sembra essere ancora più grave. Quando il culturista interrompe l’uso di steroidi, le anomalie renali migliorano, tranne se la malattia renale è avanzata, sviluppando l’insufficienza renale all’ultimo stadio, quella che richiede la dialisi. Inoltre, se un culturista iniziasse nuovamente a prendere steroidi, avrebbe una ricaduta della disfunzione renale grave. I ricercatori hanno concluso affermando che l’aumento della massa muscolare estrema richiede ai reni di aumentare la loro velocità di filtrazione, inviando livelli dannosi di stress su questi organi. E’ anche probabile che gli steroidi abbiano effetti tossici diretti sui reni. I medici degli atleti che fanno uso di steroidi anabolizzanti devono essere consapevoli dei rischi potenzialmente gravi per i reni, ha concluso il Dott. Herlitz.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19917783

13-09-2014

Gli scienziati stanno segnalando l’identificazione di due sostanze presenti nella liquirizia – ampiamente usate in medicina tradizionale cinese – che uccidono i batteri, principali responsabili di carie e malattie gengivali. Lo studio, pubblicato in ACS Journal of Natural Products, dimostra che queste sostanze potrebbero avere un ruolo nel trattamento e nella prevenzione della carie e malattie gengivali.
Stefan Gafner e colleghi spiegano che la radice secca della pianta liquirizia è un trattamento comune nella medicina tradizionale cinese, soprattutto come un modo per aumentare l’attività di altri ingredienti erboristici o come aromatizzante. Medici tradizionali usano radice secca di liquirizia per il trattamento di vari disturbi, come ad esempio problemi respiratori e digestivi, ma pochi studi scientifici moderni hanno cercato di dimostrare se la liquirizia funziona davvero. Il nuovo studio ha dimostrato che due dei composti della liquirizia, licoricidin e licorisoflavan A, sono sostanze antibatteriche molto efficaci. Queste sostanze hanno ucciso due dei batteri principali responsabili di carie e due dei batteri che favoriscono le malattie gengivali. Uno dei composti – licoricidin – ha anche ucciso un terzo batterio causa delle malattie gengivali. I ricercatori affermano che queste sostanze potrebbero curare o addirittura prevenire le infezioni orali.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22074222

13-09-2014

Carpentieri, personale di alberghi e ristoranti, minatori e addetti al trasporto degli animali, risultano le figure professionali che presentano maggiori rischi di sviluppare cancro all’esofago. E’ quanto scoperto da un recente studio condotto da scienziati spagnoli, che hanno rivelato come l’esposizione prolungata ad alcune sostanze possa effettivamente influire sull’incidenza di questo tipo di tumore. A coordinare la ricerca Jesús Vioque, ricercatore presso l’Università Miguel Hernandez di Alicante, che ha studiato nelle sue analisi l’occorrenza del tumore e gli studi già effettuati in questo campo, cercando il rapporto tra il tipo di professione svolta dal paziente oncologico e tre tipi di tumore – esofageo, del pancreas e dello stomaco. L’articolo, che mostra il legame tra alcune professioni e il rischio di soffrire di cancro dell’esofago, è probabilmente il primo a essere pubblicato su questo argomento.
Lo studio, che appare sulla rivista Occupational and Environmental Medicine, analizza i due principali tipi di cancro dell’esofago, che rappresentano oltre il 90% di tutti i casi – carcinoma a cellule squamose (70-75%) e adenocarcinoma (15-20%). Come spiega lo stesso Vioque:  "I due principali fattori di rischio per questo tipo di tumore sono l’alcool e il tabacco, ma vi è un numero aggiuntivo (circa il 4-5%) dei casi connessi con determinate professioni". La ricerca, che è stata effettuata in nove ospedali di Valencia e Alicante, ha analizzato i casi di 185 uomini con recente diagnosi di cancro dell’esofago (147 tumori a cellule squamose, 38 adenocarcinoma) e 285 controlli su soggetti sani. Tutti coloro che hanno preso parte allo studio hanno compilato un questionario sulla loro dieta, sullo stile di vita e le rispettive professioni. I risultati hanno tenuto conto di altri fattori quali l’età, il livello di istruzione e il consumo di alcool e di tabacco.
Per la varietà a cellule squamose, un aumento significativo del rischio è stato rilevato tra coloro che hanno lavorato nel settore alberghiero e della ristorazione, nelle attività estrattive in miniera e nella lavorazione del legno. Per l’adenocarcinoma, il rischio aumentava tra coloro che lavoravano come carpentieri o a contatto con animali. Un aumento è stato rilevato anche tra i lavoratori coinvolti nell’edilizia e negli elettricisti, anche se questi ultimi dati si basavano su un numero molto limitato di casi. Lo studio ha rivelato un rischio significativo di tumore a cellule squamose derivante da esposizione a radiazioni ionizzanti, e per l’adenocarcinoma da esposizione a zolfo e composti di piombo. L’esposizione ad altre sostanze come l’amianto potrebbe anche triplicare il rischio di cancro esofageo, a seconda del livello a cui si è esposti. Conclude Vioque: "Non vogliamo certo dire che questi lavoratori debbano cambiare professione ma dal momento che sono a rischio devono adottare tutte le misure di protezione del caso (occhiali, maschere). Si tratta di cercare di educare questi lavoratori, al fine di ridurre il loro consumo di alcool e di tabacco, ma anche per garantire che essi facciano uso di tutte le opportune misure di sicurezza, in quanto maggiormente esposti alla possibilità di sviluppare tumori".

 

http://www.sciencedaily.com/releases/2008/12/081217192811.htm

13-09-2014

Oltre alle proprietà anticancro, digestive, antinvecchiamento, dimagranti, da una recente ricerca è emersa un’altra proprietà della bevanda: il contrasto della perdita di smalto dei denti. Alcuni acidi che si trovano nelle bevande alla frutta sono risultati alle analisi più erosivi dell’acido cloridrico e dell’acido solforico. Questi zuccheri raffinati che si trovano anche nella soda e in molte bevande a base di agrumi, provocano l’erosione dei denti, fenomeno che porta via la parte dura del dente, lo smalto. E una volta che lo smalto dei denti è perso, è andato per sempre. C’è una una bibita, però, che non produce questi risultati irreversibili. Al momento di decidere tra le tante opzioni disponibili, la cosa migliore da bere per evitare l’erosione dei denti è proprio il tè, secondo uno studio pubblicato sulla rivista General Dentistry edita dall’Academy of General Dentistry (AGD).
Mohamed A. Bassiouny, autore principale dello studio, ha esaminato il tè rispetto alla soda e al succo di arancia in termini di effetti a breve e lungo termine sulla salute umana e sull’erosione dei denti. Dallo studio è emerso che l’effetto erosivo del tè è simile a quello dell’acqua, che non ha alcuna azione erosiva. In particolare il tè verde è stato individuato essere superiore in quanto contiene una grande quantità di flavonoidi e antiossidanti. Se si beve il tè, gli esperti suggeriscono di evitare il latte, il limone, lo zucchero perché si combinano con i flavonoidi e ne diminuiscono le prestazioni. Secondo Kenton Ross la perdita di smalto dei denti in molti pazienti è associata ad un consumo eccessivo di bibite gassate e succhi di frutta acidi. Scegliere il tè come bevanda abituale può essere una valida soluzione per contrastare l’erosione dei denti.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18683403

12-09-2014

Una recente ricerca statunitense, pubblicata sulla rivista di divulgazione scientifica Archives of Dermatology, mette in guardia le donne dal consumare birra con una certa frequenza. Pare infatti che berne almeno cinque bicchieri alla settimana, arrivi addirittura a raddoppiare il rischio di ammalarsi di psoriasi, una malattia della pelle. Prima di trarre queste conclusioni, i ricercatori dell’Harvard Medical School hanno esaminato un campione molto nutrito di donne, ben 82mila, di età compresa tra i 27 ed i 44 anni. Rispetto a chi beveva birra analcolica, vino e liquori, le amanti della bionda avevano una probabilità 2,3 volte maggiore di sviluppare la patologia. Per i ricercatori questo può suggerire che siano i cereali il fattore scatenante: Il fatto che sia la birra l’unica bevanda che aumenti la psoriasi suggerisce che siano i cereali i fattori scatenanti. I cereali vengono usati per far fermentare la bevanda e contengono glutine, una proteina che è spesso associata a questo tipo di manifestazioni e intolleranze anche in chi non è affetto da celiachia.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20713772

Venerdì, 12 Settembre 2014 11:40

ESSERE FOCOSI ALLUNGA LA VITA.

12-09-2014

C’è da sempre chi esalta il self-control, la capacità di restare calmi, di trattenersi. Ma, sebbene questa capacità può apparire come una virtù, secondo un nuovo studio, trattenersi, controllarsi troppo, può invece avere degli effetti collaterali non del tutto benefici, anzi. Chi tende a controllarsi nelle situazioni particolari, in cui magari altri si lasciano andare esprimendo le proprie emozioni e sentimenti anche forti come la paura o la rabbia, pare che possano soffrire più facilmente di pressione alta, malattie cardiovascolari, malattie renali e perfino cancro. In media, poi, chi si trattiene tende a vivere 2 anni in meno rispetto a chi è più impulsivo, istintivo, e tende a manifestare le proprie emozioni. A sostenere dunque che mostrare aplomb, o compostezza, non sia poi così conveniente sono i ricercatori tedeschi dell’Università di Jena che hanno condotto uno studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Health Psychologies.
Il professor Marcus Mund, insieme a Kristin Mitte e colleghi, hanno coinvolto nello studio oltre 6.000 persone per valutare gli effetti dell’interiorizzazione dei sentimenti e del trattenere le emozioni, soprattutto quelle più prorompenti come, per esempio, la paura. Dall’analisi delle caratteristiche personali, il modo in cui le persone manifestavano o trattenevano i sentimenti, i ricercatori sono riusciti a identificare ed etichettare un gruppo di partecipanti che sono stati denominati “repressori”. Questi soggetti, secondo gli autori, sono considerati a rischio per diversi disturbi, sia a livello fisico che mentale. Dette persone si distinguono in particolare per l’atteggiamento che hanno nel cercare di nascondere i segni esteriori derivanti, in questo caso, dalla paura. E da come assumano un comportamento difensivo, nel tentativo di attuare un più alto livello di controllo sull’ambiente circostante, sulle situazioni e su se stessi. Tutti questi soggetti, se esposti a situazioni stressanti, mostravano un aumento della frequenza cardiaca, rispetto a coloro che invece non tentavano di nascondere i propri sentimenti.
Ecco quindi come il non lasciare emergere liberamente le proprie emozioni e sentimenti possa, al pari di una pentola a pressione, far aumentare il rischio che prima o poi si esploda. Per cui è forse meglio apparire meno controllati, ma più umani – senza lasciarsi andare a eccessi, ma comunque più “vivi”. Tuttavia, chi pecca di eccessivo autocontrollo, ha comunque il pregio di riuscire a rimediare più velocemente in caso di malattia o disturbo che comporti un cambiamento nel proprio stile di vita, rispetto agli altri: questo perché, sostengono i ricercatori, i “repressori” sono più motivati a far sì che nella propria vita sia tutto sotto controllo – compresa dunque la salute.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22081940

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