Angelo Ortisi
FAVE: RISULTATI STUPEFACENTI CONTRO LE CELLULE DEL CANCRO.
24-09-2014
Che una sana alimentazione aiuti a prevenire il cancro è cosa risaputa. Molti studi in questi anni, si stanno occupando delle proprietà anticancro di diversi alimenti. I ricercatori della Charles Sturt University hanno scoperto un nuovo alimento che potrebbe avere effetto anticancro, si tratta delle fave. Sembrerebbe inoltre che questi legumi, oltre ad avere effetti anticancro avrebbero proprietà benefiche contro l’ipertensione e il sovrappeso. Nell’ambito di uno studio sui benefici delle fave per la salute, Siem Siah della Charles Sturt University, ha applicato i composti fenolici provenienti da questi alimenti a cinque diverse linee di cellule di cancro in esperimenti di laboratorio. Gli effetti sulle cellule tumorali sono sembrati subito stupefacenti, infatti in tutti i casi il tasso di morte delle cellule tumorali è stata accelerata. Siah ha detto: “Sappiamo che la proprietà antiossidanti sono potenzialmente legati alla proprietà anti-cancro, quindi abbiamo cercato di cercare le connessioni”. ”Siamo rimasti assolutamente stupefatti dai risultati”, ha detto il dottor Chris Blanchard, responsabile della ricerca che è stata pubblicata sul British Journal of Nutrition. Nelle piante, i composti fenolici sono sostanze chimiche in gran parte responsabili del colore, del metabolismo e dei meccanismi di difesa in quanto svolgono un ruolo forte di protezione contro gli insetti.
Siah ha cresciuto colture di quattro linee cellulari tumorali – vescica, stomaco, fegato e colon – poi ha applicato i composti fenolici e ha aspettato 24 ore per misurare la proliferazione delle cellule e ha trovato che il tasso di moltiplicazione delle cellule tumorali era notevolmente ridotto. Per un quinto tipo di cellula del cancro, la leucemia promielocitica acuta, Siah ha applicato un metodo chiamato citometria a flusso. Il dottor Jennifer Wood ha detto che l’esperimento ha reso visibile il meccanismo che inibisce la moltiplicazione delle cellule del cancro. “Le cellule sane sono programmate per moltiplicarsi, crescere e morire (la morte delle cellule si chiama apoptosi),” ha spiegato il dottor Wood. “Le cellule tumorali eludono il processo di apoptosi, continuando a proliferare e diventando tumori. “Questo lavoro ha dimostrato che i fenoli della fava hanno indotto la morte delle cellule normali che si trasformavano in cellule tumorali. Viceversa, gli estratti non hanno avuto effetto sulla proliferazione delle cellule normali del colon umano esaminate, un risultato molto favorevole“. Ulteriori esperimenti sulle interazioni con importanti enzimi umani hanno dimostrato che gli estratti fenolici delle fave hanno inibito enzima convertitore dell’angiotensina (ACE), un obiettivo comune dei farmaci per l’ipertensione. Questi composti hanno anche inibito l’azione degli enzimi digestivi della alfa-glucosidasi e della lipasi, che potrebbero implicare una digestione lenta (e quindi una maggiore sensazione di sazietà), e un minore assorbimento di grassi e zuccheri dal sistema digestivo. Il dottor Blanchard ha detto che varie vie potrebbero essere perseguite su questi risultati per cercare le applicazioni terapeutiche per la salute umana, se i finanziamenti saranno disponibili. Blanchard ha spiegato che si potrebbero usare gli estratti e inserirli in grandi quantità in esperimenti sull’alimentazione, oppure si potrebbero analizzare, cercare di sintetizzarli e farne un uso farmaceutico. C’è anche una terza possibilità: si potrebbero iniziare degli esperimenti inserendo le fave nella dieta umana per studiare gli effetti sul lungo periodo.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=British+Journal+of+Nutrition+Siem+Siah
INTEGRATORI DI ISOFLAVONI DI SOIA NON PROTEGGONO DA CANCRO AL SENO.
24-09-2014
Un nuovo studio ha rivelato che gli integratori di isoflavoni di soia non diminuiscono la crescita del cancro al seno e la proliferazione delle cellule tumorali, in uno studio clinico randomizzato i cui risultati sono stati pubblicati su Cancer Prevention Research, una rivista della American Association for Cancer Research. Il ricercatore Seema A. Khan, professore di chirurgia presso la Northwestern University, ha detto che i risultati di questo studio sono coerenti con i risultati di studi precedenti per testare i benefìci degli integratori alimentari nella prevenzione contro il cancro. “In parole povere, gli integratori non sono cibo. Anche se gli alimenti a base di soia sembrano avere un effetto protettivo, non stiamo vedendo lo stesso effetto con l’integrazione con componenti isolati di soia, quindi continuare a testare i possibili benefìci degli integratori a base di soia probabilmente non è sensato”, ha detto Khan. Khan ha detto che anche la supplementazione di beta-carotene e selenio non ha mostrato alcun beneficio in altri studi per la prevenzione del cancro del polmone. “Gli alimenti sono molto complessi e ci sono probabilmente delle altre sostanze che non abbiamo identificato e che proteggono contro il cancro”.
Per l’attuale studio, Khan e colleghi hanno assegnato in modo casuale a 98 donne un supplemento misto di isoflavoni di soia oppure placebo (cioè dei finti integratori contenenti solo eccipienti). Gli isoflavoni sono componenti degli alimenti a base di soia che ci si aspettava avessero una attività anti-estrogeno. Queste donne avevano più di 4.000 cellule tumorali epiteliali mammarie. Dopo sei mesi, i ricercatori hanno valutato i livelli di Ki-67, un marker della crescita delle cellule cancerose. Nelle donne dello studio non è stata osservata alcuna differenza dopo sei mesi nei due gruppi che ricevevano il supplemento o il placebo. Tuttavia, tra le donne pre-menopausa, il livello di Ki-67 è aumentato, suggerendo addirittura un effetto negativo della supplementazione. “Questa è una piccola ricerca, che però dovrebbe suggerire cautela nell’uso degli integratori a base di isoflavoni”, ha detto Khan.
FRITTURA CON OLIO DI OLIVA NON FA AUMENTARE RISCHIO DI MALATTIE CORONARICHE.
24-09-2014
Chi ama i cibi fritti e ha problemi alle arterie può fare un sospiro di sollievo: secondo una ricerca spagnola se si usa olio di oliva il fritto non costituisce un più alto rischio di malattia coronarica. Uno studio pubblicato questa settimana sul British Medical Journal ha analizzato i dati di 40.757 persone di età tra i 29 e 69 anni in Spagna, che sono stati monitorati per una media di 11 anni. I soggetti non erano affetti da malattie coronariche all’inizio dello studio. Durante gli 11 anni hanno compilato questionari per accertare cosa mangiavano e cosa usavano come metodo di cottura. Infine, sono stati monitorati per vedere se sviluppavano malattie coronariche. Durante gli 11 anni della durata dello studio, ci sono stati 606 eventi legati a malattie coronariche, come infarto o dolore al petto, e 1.135 persone sono morte. Tuttavia, mangiare cibi fritti non è risultato associato con una qualsiasi malattia cardiaca o coronarica, né ad aventi come infarto o ischemie.
Anche dopo che i valori sono stati normalizzati tenendo conto della diversa assunzione di calorie, dell’età, del sesso, dell’indice di massa corporea e della pressione alta. I tipi di di oli utilizzati per friggere i cibi – oli vegetali di oliva, girasole o altro – non cambiavano il risultato. Mangiare cibi fritti non ha nemmeno influito negativamente sulla probabilità di morte per qualunque causa. In media i partecipanti hanno mangiato circa cinque grammi di cibo fritto al giorno, ossia circa il 7% dell’importo totale di cibo. Per quanto riguarda l’olio utilizzato per friggere, il 62% utilizzava olio di oliva (ricordiamo che lo studio si è svolto in Spagna), e il resto ha utilizzato olio di girasole o altri tipi di olio vegetale. Di tutti i cibi fritti mangiati, il 24% era pesce, il 22% carne, il 21% patate e l’11% uova.
LA RADIOTERAPIA CONTRO IL CANCRO AL SENO PUO' DANNEGGIARE IL CUORE.
24-09-2014
Le donne che si sono sottoposte a radioterapia – anche a basse dosi – per trattare il tumore al seno sono più a rischio di sviluppare problemi cardiaci in seguito. Questo quanto suggerisce uno studio appena pubblicato sul New England Journal of Medicine. Lo studio è stato condotto dai ricercatori britannici dell’Università di Oxford, guidati dalla dottoressa Sarah Darby. Sono state coinvolte 2.168 donne con diagnosi di cancro al seno provenienti da Svezia e Danimarca, e trattate con le radiazioni. Dal totale delle partecipanti, durante il periodo d’osservazione, 963 hanno subìto un attacco di cuore. Di queste, qualcuna ha necessitato di una procedura di ricanalizzazione arteriosa; altre sono morte per cause legate a problemi di cuore o arterie diversi anni dopo il trattamento con le radiazioni. Le restanti 1.205 pazienti non hanno sviluppato problemi cardiaci. Al fine di valutare l’entità dell’esposizione alle radiazioni per ogni paziente, i ricercatori hanno utilizzato una misura che viene chiamata “scala di grigi”, che mostra il grado di assorbimento delle radiazioni da parte dei tessuti. Nello specifico, si è cercato di stimare quante unità di grigio hanno raggiunto il cuore e le arterie delle pazienti, a seguito della terapia con le radiazioni.
In media, le pazienti hanno assorbito da 1 a 5 unità di grigio. Media che aumentava se il tumore trattato si trovava nel seno sinistro. Il rischio di malattia cardiaca e morte relativa aumentava di circa il 7 per cento per ogni unità di grigio assorbita. Questo rischio si manifestava per la prima volta dopo cinque anni dal trattamento radioterapico e persisteva per almeno vent’anni. Il dilemma che si pone a questo punto è se si debba rinunciare al trattamento contro il cancro per proteggere cuore e arterie. Gli scienziati sono tutti concordi che la priorità vada data alla cura contro il cancro, anche perché si stanno studiando nuovi modi per proteggere cuore e arterie dal possibile danno indotto dalle radiazioni. In attesa di nuove conferme e rassicurazioni, ogni donna è bene sia comunque informata su quali siano i pro e i contro di una terapia con le radiazioni.
FDA AVVERTE: ZITHROMAX ANTIBIOTICO PUO' COMPROMETTERE L'ATTIVITA' CARDIACA.
24-09-2014
La US Food and Drug Administration ha emesso un avviso che indica che l’azitromicina, antibiotico comunemente prescritto, (Zithromax o Zmax) può causare problemi cardiaci gravi con risultato di un ritmo cardiaco fatale. Zithromax è ampiamente prescritto per il trattamento di una serie di infezioni come la polmonite, bronchite, respiro affannoso e BPCO. I pazienti con problemi cardiaci preesistenti o bassi livelli ematici di potassio o magnesio sono ad un rischio particolarmente elevato di sviluppare questo effetto collaterale del farmaco. La FDA avverte che i medici devono essere consapevoli del rischio di ritmo cardiaco fatale associato ad azitromicina e considerare di prescrivere antibiotici alternativi ai loro pazienti con problemi cardiaci esistenti o bassi livelli di potassio o magnesio. Il nuovo avvertimento arriva a seguito di uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, condotto da ricercatori della Vanderbilt University. Lo studio ha rivelato che i pazienti che hanno assunto l’antibiotico erano a più alto rischio di problemi cardiaci in via di sviluppo. I ricercatori hanno esaminato i rischi per la salute di molti diversi antibiotici (azitromicina, amoxicillina, ciprofloxacina, levofloxacina) per la raccolta di dati da oltre 540 milioni di prescrizioni effettuate tra il 1992 al 2006. Di tutti gli antibiotici prescritti, Zithromax è risultato causare problemi cardiaci gravi. L'azitromicina è attualmente prescritto per le seguenti condizioni:
- Sinusite batterica acuta
- Polmonite
- Faringite / tonsillite
- Infezioni della pelle
- Uretrite e cervicite
- Ulcera genitale
Secondo la dichiarazione della FDA: ”Lo studio ha riportato un aumento delle morti cardiovascolari in persone trattate con un ciclo di 5 giorni di azitromicina (Zithromax) rispetto ai soggetti trattati con amoxicillina, ciprofloxacina, o nessun farmaco. I rischi di morte cardiovascolare associati al trattamento con levofloxacina sono stati simili a quelli associati al trattamento con azitromicina".
http://www.mc.vanderbilt.edu:8080/reporter/index.html?ID=12740
http://www.cbsnews.com/news/zithromax-antibiotics-tied-to-rare-heart-risks/
GLI ANTIBIOTICI NATURALI NON AUMENTANO IL RISCHIO DI RESISTENZA.
24-09-2014
In questi giorni è tornata alla ribalta una notizia sulla minaccia all’umanità da parte della resistenza agli antibiotici. Il problema è serio e non va sottovalutato. E altrettanto seri provvedimenti devono essere presi al più presto. Se ci si trova a dover fare i conti con una resistenza, diviene pertanto necessario trovare un’alternativa. Questa alternativa, se pur con le dovute limitazioni, può essere trovata nei rimedi naturali e quelle sostanze di provata azione antibiotica. Tra le tante, c’è il noto olio essenziale di Tea tree – il cosiddetto albero del tè che cresce spontaneo in Australia, il cui nome botanico è Melaleuca Alternifolia. Una recente ricercata pubblicata sulla rivista scientifica International Journal of Antimicrobial Agents, ha inteso valutare proprio gli effetti dell’olio essenziale di Tea tree nei confronti della potenziale resistenza agli antibiotici. Lo studio, condotto da un team di ricercatori – principalmente della University of Western Australia – ha valutato gli effetti dell’olio essenziale di Tea tree su una coltura di Staphylococcus spp. Gli effetti sulla resistenza sono stati confrontati con il triclosan, il terpinen-4-olo e il carvacrolo. I ricercatori hanno condotto una serie di test per osservare l’azione delle varie sostanze nei confronti di 30 ceppi batterici che causano le più comuni malattie della pelle. Per quanto riguarda l’azione del Tea tree, si è osservato come i batteri dello Stafilococco venissero uccisi utilizzando una concentrazione pari allo 0,25 per cento. A seguito di un’esposizione, in seconda battuta, a una concentrazione di Tea tree dello 0,0075 per cento, durante tre giorni, si è scoperto che la suscettibilità ad altri antibiotici è rimasta invariata. «Un’assuefazione a concentrazioni sub-letali di olio essenziale di Tea tree – scrivono i ricercatori – ha portato a piccoli cambiamenti nella crescita batterica (detta anche MIC), solo una delle quali può essere clinicamente rilevante». «Non ci sono [pertanto] prove che suggeriscono che l’olio di Tea tree induca resistenza agli agenti antimicrobici», concludono i ricercatori Natalie A. Thomsen, Katherine A. Hammer, Thomas V. Riley, Alex Van Belkum, Christine F. Carson. Ecco dunque che, sebbene una resistenza non possa essere esclusa dall’abuso di sostanze antibiotiche – anche naturali – ci sono assai minori probabilità che questo accada.
I SALUMI AUMENTANO DEL 72 PER CENTO IL RISCHIO DI MORTE PREMATURA.
23-09-2014
Mangiare con regolarità prosciutti, salsicce, salame, pancetta e simili aumenta in modo significativo il rischio di sviluppare tutta una serie di malattie, come quelle cardiovascolari, il cancro, e morte precoce. Lo studio che mette in evidenza i rischi di una dieta scorretta è stato condotto seguendo per circa tredici anni, mezzo milione di persone di età compresa tra i 35 e i 70 anni, provenienti da dieci Paesi europei. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista BMC Medicine e riportano che chi è solito consumare insaccati, e carni lavorate in genere, vede aumentare in modo significativo il rischio di morte prematura. I ricercatori dell’Università di Zurigo hanno raccolto una mole di dati relativi alla dieta dei cittadini europei. I dati comprendevano il consumo personale di carne rossa, bianca e lavorata. Nello specifico, la carne rossa includeva quella di bovino, suino, equino e ovino; la carne bianca il pollame in genere, ma anche anatra e coniglio. Infine, la carne lavorata includeva prosciutti, salami, salsicce, pancetta e tutti i salumi e insaccati in genere. Durante il periodo di follow-up, una persona su 17 è morta. Di questi, chi mangiava circa 160 grammi al giorno di carne lavorata vedeva aumentare il rischio di morte del 44%, rispetto a coloro che ne mangiavano circa 20 grammi al giorno. Nei circa 13 anni di studio, ci sono stati 5.556 decessi per malattie cardiache e vascolari, 9.861 morti per cancro e 1.068 a causa di malattie respiratorie. Analizzando i dati per causa, si è scoperto che il consumo di carne lavorata era quello che aumentava maggiormente il rischio di malattie e morte prematura: nella fattispecie mangiare molta carne lavorata aumentava del 72% il rischio di malattie cardiovascolari e dell’11% il rischio di cancro.
L’ECCESSO DI SALE NELLA DIETA PUO' FAVORIRE LO SVILUPPO DI MALATTIE AUTOIMMUNI.
23-09-2014
Maggiore assunzione di sale nella dieta può favorire un gruppo di cellule immunitarie aggressive che inducono malattie autoimmuni. Questo è il risultato di uno studio internazionale pubblicato sulla rivista Nature. Nelle malattie autoimmuni, il sistema immunitario attacca i tessuti sani invece di combattere gli agenti patogeni. Negli ultimi decenni, gli scienziati hanno osservato un aumento costante dell’incidenza di malattie autoimmuni nel mondo occidentale. Dal momento che questo aumento non può essere spiegato solo da fattori genetici, i ricercatori ipotizzano che il forte aumento di queste malattie è legato a fattori ambientali. Tra i colpevoli sospetti ci sono cambiamenti nelle abitudini di vita e alimentari nei paesi sviluppati, dove i cibi altamente trasformati e fast food sono spesso nel menù del giorno. Questi alimenti tendono ad avere un contenuto di sale notevolmente superiore ai pasti cucinati in casa. Lo studio è il primo ad indicare che l’assunzione di sale in eccesso, può essere uno dei fattori che guidano l’aumento dell’incidenza di malattie autoimmuni. Qualche anno fa Jens Titze ha dimostrato che l’eccesso di sale nella dieta (cloruro di sodio) si accumula nei tessuti e può colpire i macrofagi (un tipo di cellule scavenger) del sistema immunitario. Indipendentemente da questo studio, Markus Kleinewietfeld e David Hafler hanno osservato cambiamenti nelle cellule T helper (Th) negli esseri umani, che sono state associate con specifiche abitudini alimentari. Gli scienziati si sono interrogati sul ruolo del sale sulle cellule immunitarie. Le cellule T helper sono avvisate di pericolo imminente, dalle citochine di altre cellule del sistema immunitario. Si attivano per “aiutare” le altre cellule effettrici per combattere gli agenti patogeni pericolosi e per eliminare le infezioni. Un sottogruppo di cellule T helper produce la citochina interleuchina 17 ed è perciò chiamato Th17. Le cellule Th17, oltre a combattere le infezioni, giocano un ruolo fondamentale nella patogenesi delle malattie autoimmuni. Il sale aumenta drasticamente l’induzione di cellule immunitarie aggressive Th17.
In esperimenti di coltura cellulare i ricercatori hanno dimostrato che il maggiore consumo di cloruro di sodio può portare ad una drammatica induzione di cellule Th17 citochina in un ambiente specifico. “In presenza di elevate concentrazioni di sale questo aumento può essere dieci volte superiore a quello in condizioni normali,” hanno spiegato Markus Kleinewietfeld e Dominik Müller. A causa della presenza eccessiva di sale, le cellule subiscono ulteriori modifiche nel loro profilo delle citochine, favorendo cellule Th17 particolarmente aggressive. Nei topi, una maggiore assunzione di sale nella dieta, ha portato a una forma più grave di encefalomielite autoimmune sperimentale, un modello per la sclerosi multipla. La sclerosi multipla è una malattia autoimmune del sistema nervoso centrale in cui il sistema immunitario distrugge la guaina mielinica isolante intorno agli assoni dei neuroni e quindi impedisce la trasduzione di segnali, portando ad una varietà di deficit neurologici e di invalidità permanente. Recentemente, i ricercatori hanno postulato che le cellule Th17 autoreattive svolgono un ruolo centrale nella patogenesi della sclerosi multipla. E’ interessante notare che secondo i ricercatori, il numero di cellule pro-infiammatorie Th17 nel sistema nervoso dei topi è aumentato drammaticamente con una dieta contenente un eccesso di sale. I ricercatori hanno dimostrato che la dieta con molto sale ha accelerato lo sviluppo di cellule T helper nelle cellule Th17 patogeni. I ricercatori hanno anche condotto un esame più approfondito di questi effetti in esperimenti di coltura cellulare e hanno dimostrato che l’induzione maggiore di cellule Th17 aggressive è regolata dal sale a livello molecolare. ”Questi risultati sono un contributo importante per la comprensione della sclerosi multipla e possono offrire nuovi bersagli per un miglior trattamento della malattia, per la quale attualmente non esiste una cura nota,” ha dichiarato Ralf Linker, capo della Sezione Neuroimmunologia e Assistente Medico presso il Dipartimento di Neurologia, Ospedale Universitario di Erlangen. Oltre alla sclerosi multipla, Dominik Müller e i suoi colleghi vogliono ora studiare la psoriasi, un’altra malattia autoimmune con forti componenti Th17. ”Sarebbe interessante scoprire se i pazienti con psoriasi sono in grado di alleviare i loro sintomi, riducendo l’assunzione di sale”, hanno detto i ricercatori. ”Tuttavia, lo sviluppo di malattie autoimmuni è un processo molto complesso che dipende da molti fattori genetici e ambientali,” ha concluso l’immunologo Markus Kleinewietfeld. ”Di conseguenza, sono necessari ulteriori studi in grado di dimostrare in che misura l’assunzione di sale maggiore, contribuisce effettivamente allo sviluppo di malattie autoimmuni.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3637879/
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3637864/
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3746493/
http://www.nature.com/nature/journal/v496/n7446/full/nature11868.html
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/03/130306134358.htm
http://www.eurekalert.org/pub_releases/2013-03/haog-ise030513.php
IL SESSO COME CURA PER L'EMICRANIA E LA CEFALEA.
23-09-2014
Si sa, una delle scuse più addotte per non dover fare sesso è, da sempre, quella del mal di testa. Ma, oggi, le cose potrebbero cambiare e far diventare questa scusa non più valida, visto che è stato scoperto che proprio il sesso è in grado di far scomparire in modo parziale o anche del tutto i sintomi dell’emicrania o la cefalea nelle persone che ne soffrono. E' uno studio condotto dai ricercatori tedeschi del Dipartimento di Neurologia dell’Università di Münster ad aver promosso il sesso quale rimedio come – se non meglio – gli antidolorifici, quanto a efficacia. I ricercatori hanno coinvolto, nella loro ricerca sugli effetti dell’attività sessuale nei confronti delle varie forme di mal di testa, 1.000 pazienti. Di questi, 800 soffrivano di emicrania; 200 di cefalea a grappolo. A tutti i partecipanti, gli scienziati tedeschi hanno inviato un questionario a cui dovevano rispondere al fine di valutare le problematiche connesse ai problemi di testa e l’attività sessuale.
I dati raccolti hanno permesso di rilevare come in più della metà di coloro che soffrivano di emicrania, e che avevano avuto rapporti sessuali durante gli episodi di dolore, si era registrato un miglioramento dei sintomi. Nello specifico, un paziente su cinque ha registrato una remissione totale del dolore, mentre negli altri (due pazienti su tre) si è comunque registrato un significativo miglioramento – specialmente nelle persone di genere maschile. Un terzo dei pazienti ha tuttavia segnalato un peggioramento dei sintomi. I risultati finali dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Cephalalgia, della International Headache Society, e riportano che anche chi soffriva di cefalea a grappolo ha beneficiato dall’attività sessuale. Di questi pazienti, quasi un terzo ha avuto esperienze di sesso durante gli attacchi, con il 37% di questi che ha segnalato un miglioramento della condizione. In più del 90% dei casi vi era stato un sollievo dai sintomi da moderato a totale. Per contro, il 50% ha riferito un peggioramento. I neurologi che hanno condotto lo studio, dottori A. Hambach, S. Evers, O. Summ, I.W. Husstedt e A . Frese, ritengono che i benefici sulle varie forme di mal di testa siano dovuto al rilascio di endorfine durante l’attività sessuale. Questi antidolorifici naturali del corpo, promossi attraverso il sistema nervoso centrale, possono ridurre, o addirittura eliminare, il mal di testa. Ecco dunque come l’attività sessuale possa essere benefica non solo per il corpo in generale, come suggerito da numerosi studi, ma anche come potenziale rimedio per il mal di testa.
IL TE' VERDE FA BENE ALLA SALUTE DENTALE.
23-09-2014
I benefici del tè verde per la salute sembrano infiniti. Vanno dalla cura del cancro, all’aiuto per perdere peso, le infezioni e aumentano la salute del cuore, gli scienziati hanno anche trovato che il tè verde favorisce anche la salute dentale. “E stato a lungo ipotizzato che il tè verde possedesse una serie di benefici per la salute”, il dottor Yoshihiro Shimazaki della Kyushu University in Giappone ha detto su ScienceDaily.com. “Dal momento in cui molti di noi assumono tè verde su base regolare, i miei colleghi ed io eravamo desiderosi di studiare l’impatto del consumo di tè verde sulla salute parodontale, soprattutto considerando la crescente informazione sul legame tra salute parodontale e salute generale”. Gli antiossidanti famosi nel tè verde hanno dimostrato di ridurre la malattia parodontale, che è un’infiammazione cronica che interessa anche le gengive. Nel tè verde e stata rilevata la presenza di alcuni componenti antimicrobici, chiamati catechine, che promuovono anche una buona salute dentale. Secondo il dottor Yoshihiro Shimazaki, i bevitori di tè verde in genere hanno una migliore salute dei denti rispetto ai non bevitori di tè verde. Inoltre, i bevitori di tè verde hanno più probabilità di mantenere i loro denti, mentre i non bevitori hanno una maggiore probabilità di perderli nel tempo. Adesso sappiamo che c’e un modo semplice per incrementare la nostra salute parodontale.
http://www.joponline.org/doi/abs/10.1902/jop.2009.080510
http://www.sciencedaily.com/releases/2009/03/090305183128.htm