Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

27-09-2014

Il tasso di malattie cardiovascolari è molto più bassa in Giappone che negli altri Paesi e ora gli scienziati del Centro di Ricerca Cardiovascolare e il Dipartimento di Fisiologia alla Temple University School of Medicine di Philadelphia pensano di sapere perché. La gente in Giappone mangia riso praticamente ogni giorno e il riso in particolare, contiene un composto naturale che appare utile contro la pressione alta e malattie cardiache. Il riso è già ben noto come un cibo sano, una buona fonte di fibre, vitamine del gruppo B e di altre sostanze nutritive. Ma la nuova ricerca appena presentata dalla Temple University dal ricercatore Satoru Eguchi alla conferenza Experimental Biology dell'American Physiological Society tenutosi a Anaheim, in California, rivela un altro beneficio per la salute, di questo alimento. Un composto naturale specifico trovato in uno strato di tessuto circostante ai grani di riso integrale, inibisce una proteina nota come endocrino angiotensina II. In eccesso, l’angiotensina II può innescare gravi problemi cardiovascolari. Questa notizia è enormemente significativa perché l’angiotensina II è un colpevole ben documentato nello sviluppo di ipertensione e aterosclerosi. L’angiotensina II restringe le arterie, aumenta la pressione sanguigna e costringe il cuore a lavorare di più. Inoltre si ispessiscono e si irrigidiscono le pareti dei vasi del cuore. Big Pharma ha creato una grande industria che produce antagonisti del recettore dell’angiotensina II (ARB), venduti con marchi come Atacand, Teveten, Avapro e Cozaar, e questi farmaci sono progettati per bloccare l’angiotensina II, rilassare il trasporto del sangue, in modo che la pressione sanguigna si possa abbassare. Ma gli effetti collaterali di questi farmaci possono essere gravi e persino mortali. Essi includono danni al feto (eventualmente fatale) se i farmaci vengono assunti durante la gravidanza, vertigini, visione offuscata, svenimenti, diminuita capacità sessuale, infezione, dolore al petto, gonfiore, difficoltà di respirazione e altro ancora. La nuova scoperta indica che il riso integrale o anche il riso lavorato solo a metà, potrebbe essere un naturale rimedio privo di effetti collaterali, per bloccare l’ angiotensina II.
Il Dr. Eguchi, professore associato di fisiologia, ed i suoi colleghi, hanno studiato il substrato del riso giapponese. Questo substrato è ricco di oligosaccaridi (carboidrati complessi noti per i benefici sul sistema digerente) e fibre alimentari. Ma quando il riso integrale viene lucidato per essere trasformato in riso bianco, questo strato viene strappato via insieme ad alcune delle sostanze nutritive. Il gruppo di ricerca del Tempio, in collaborazione con gli scienziati del Wakayama Medical University, Dipartimento di Patologia e del Collegio Nazionale di Tecnologia e Dipartimento di Ingegneria dei Materiali in Giappone, hanno rimosso il substrato dal riso Kinmemai e con una serie di prove di laboratorio, hanno dimostrato che i componenti di questo strato di riso inibiscono l’attività dell’angiotensina II. “La nostra ricerca suggerisce che vi è un potenziale ingrediente del riso che può essere un buon punto di partenza per la ricerca in medicina preventiva per le malattie cardiovascolari“, ha concluso il Dott. Eguchi in una dichiarazione ai media.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Satoru+Eguchi+rice

27-09-2014

La riflessologia plantare, quella sorta di massaggio ai piedi che stimola i punti riflessi, pare possa lenire i dolori di diversa natura. Tra questi, i dolori da artrite, i vari tipi di mal di schiena e anche i dolori causati da tumori. Ma, in particolare, aumenta la tolleranza al dolore stesso, favorendo così il minore ricorso ai farmaci antidolorifici che, se da una parte sono efficaci, dall’altra non sono esenti da pesanti effetti collaterali. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Complementary Therapies in Clinical Practice, ed è stato condotto dai ricercatori britannici dell’Università di Portsmouth.
I ricercatori hanno reclutato un gruppo di 15 volontari (11 donne e 4 uomini), la cui età media era 37 anni. L’intento era quello di valutare l’azione della riflessologia nell’aumentare la soglia di sopportazione del dolore. Per questo motivo i partecipanti sono stati sottoposti a due distinti esperimenti. Nel primo è stato somministrato loro un trattamento di riflessologia; nel secondo, un trattamento di finta Tens (che fungeva da controllo), ma che i volontari credevano fosse attiva. Dopo ogni trattamento, i partecipanti dovevano immergere una mano in una bacinella con acqua ghiacciata, per poi vedere quanto resistevano al dolore. I risultati dei due test hanno mostrato che quando i partecipanti erano stati trattati con la riflessologia, avevano sperimentato un sollievo dal dolore di circa il 40 per cento. Allo stesso tempo erano stati in grado di resistere di circa il 45 per cento in più agli stimoli dolorosi. Nello specifico, riportano i ricercatori, quando i volontari hanno ricevuto il trattamento di riflessologia prima di immergere la mano nell’acqua ghiacciata, sono riusciti a tenerla a bagno più a lungo, prima di provare dolore. La stessa cosa non è accaduta quando prima del test erano stati sottoposti al trattamento con la finta Tens. La dottoressa Carol A. Samuel, e il collega Ivor S. Ebenezer, hanno dichiarato che la riflessologia probabilmente funziona in modo simile all’agopuntura. Questa azione stimola il cervello a rilasciare le sostanze chimiche che riducono i segnali di dolore. In conclusione, i ricercatori ritengono che «la riflessologia può essere utile da sola o in aggiunta ai farmaci nel trattamento delle condizioni dolorose nell’uomo».

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Samuel+CA1%2C+Ebenezer+IS.

25-09-2014

Abusare con determinati farmaci, compresi quelli usati per trattare le emicranie, può condurre “all’emicrania da abuso del farmaco” (MOH) ed i ricercatori hanno stabilito con esattezza i farmaci più colpevoli. Riesaminando i dati di 1.200 pazienti affetti da emicrania acuta visitati durante gli anni 2005, 2000, 1995 ed il 1990, i ricercatori dall’università di Princeton hanno trovato che la diagnosi di MOH è rimasta stabile durante il periodo di 15 anni. Tuttavia, i farmaci responsabili della MOH sono cambiati drammaticamente:

• MOH da abuso di ergotamina è calata dal 19 per cento a 0.

• MOH da triptani, una classe di farmaci più recenti, è aumentata dallo 0 al 22 per cento.

• MOH dovuto agli analgesici è aumentata dall’8 al 32 per cento.

• L’emicrania da abuso di combinazioni farmacologiche è aumentata dal 10 al 23 per cento.

• MOH da abuso di oppioidi è diminuita un pò.

Molti pazienti fanno abuso di farmaci di prescrizione e i ricercatori suggeriscono di aumentare le iniziative da parte della sanità pubblica per istruire i medici e i pazienti a fissare dei limiti sulla prescrizione e aumentare la consapevolezza che l’abuso di farmaci contro l’emicrania può provocare MOH.

COMMENTO

Le emicranie sono così comuni che ogni anno nel mondo si spendono miliardi di euro per ottenerne sollievo. Il dolore connesso con le emicranie può essere così severo che alcuni pazienti prendono realmente in considerazione il suicidio come un’alternativa ragionevole. Così, quando si considerano le opzioni del suicidio o di una pillola, la pillola certamente sembra essere la soluzione migliore. Il problema con i farmaci contro l’emicrania più vecchi erano le ben documentate emicranie di rimbalzo. Inizialmente i farmaci funzionavano molto bene, ma col tempo funzionavano meno e, più ancor peggio, causavano un’emicrania di rimbalzo dolorosa quanto l’emicrania originale che si cercava di trattare.
I farmaci più recenti, come i triptani, di cui Imitrex (sumatriptan) è il più popolare, si pensava non presentassero più questo problema. Ma ora, scopriamo che non è vero e che effettivamente anche loro causano le emicranie di rimbalzo. Se soffrite di emicrania spesso si ottengono ottimi risultati seguendo un programma alimentare evitando alimenti allergizzanti, e usando magnesio in endovena. Oralmente non funziona ma, somministrato per via endovenosa fa sparire la maggior parte delle emicranie in pochi minuti. Si utilizza il cloruro o il solfato di magnesio. Il magnesio induce i vasi sanguigni a dilatarsi e produce calore, a seconda della velocità con cui viene iniettato. Di solito si usano 1.500 mg di magnesio per un adulto medio. Inoltre, la maggior parte dei pazienti che adotta il piano alimentare in base alla propria tipologia genetica con eliminazione dei cereali, ha quasi sempre sperimentato dei miglioramenti drammatici. La maggior parte delle emicranie sembra essere una reazione all’assunzione di alimenti come cereali, latticini, zucchero ecc. In genere c’è una riduzione del 70-80% sia in frequenza che intensità.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16643579

Giovedì, 25 Settembre 2014 18:43

LA FRODE DEI PLACEBO.

25-09-2014

Sapete di tutte quelle migliaia e migliaia di test clinici, che vengono condotti da qualche decina d'anni, che comparano i nuovi farmaci con dei placebo? Bene, i risultati di quei test non possono essere considerati validi perchè gli studi non possono essere considerati scientifici. E perché? Perché i placebo usati nei test non erano incontrovertibilmente “placebo”, rendendo così gli studi scientificamente non validi. Questa è la conclusione a cui sono giunti alcuni ricercatori dell’Università della California, che hanno pubblicato le loro scoperte su Annals of Internal Medicine. Hanno revisionato 167 test basati su placebo pubblicati su riviste mediche peer-reviewed tra il 2008 e il 2009, trovando che il 92% di essi non ha mai descritto gli ingredienti dei placebo utilizzati. E perché questo è importante? Perché si suppone che i placebo siano sostanze inerti. Ma nulla è inerte a quanto è dato sapere. Anche le cosiddette “pillole di zucchero” contengono zucchero, ovviamente. E lo zucchero non è una sostanza inerte. Se stai conducendo un test clinico su persone diabetiche, per testare l’efficacia di un farmaco anti-diabete rispetto a un placebo, è ovvio che nel tuo test le pillole di farmaco risulteranno più efficaci di un placebo se il placebo che usi è una pillola di zucchero. Alcuni placebo sono pillole di olio d’oliva, che potrebbero avere qualche ricaduta sull'apparato cardiaco. Altri placebo usano oli parzialmente idrogenati, che nuocciono alla salute del cuore. Soltanto l’8% dei test clinici si sono presi la briga di elencare gli ingredienti costitutivi dei placebo usati! La FDA (Federal Drug Administration - l’ente statunitense che approva i farmaci) non ha mai stabilito delle norme che riguardano la composizione dei placebo usati nei test clinici. Tecnicamente, chi dirige un test clinico potrebbe usare occhi di tritone o zampe di lucertola come placebo, e non sarebbe obbligato a far menzione di tali nefasti dettagli nelle conclusioni del suo test. Perchè questo causerebbe un bel pò di problemi. Sappiamo già che nei test clinici le frodi abbondano. Molti dei test utilizzati dalle aziende farmaceutiche per ottenere l’approvazione della FDA per i loro farmaci, per esempio, sono finanziati dalle stesse aziende farmaceutiche. Ed è un fatto verificabile che molti test clinici tendono ad ottenere risultati che favoriscono gli interessi finanziari dell’organizzazione che li finanzia. Quindi cosa mai potrebbe far desistere Big Pharma dal progettare il placebo perfetto che nuoccia ai pazienti giusto quel tanto che basta per far apparire il proprio farmaco migliore nel test comparativo? I placebo vengono di solito forniti dalla stessa azienda che finanzia il test clinico! Intravedete un qualche spazio per la frode in questa equazione?
Il comportamento del placebo influenza in modo significativo l’approvazione o meno da parte della FDA. In quanto informazione-chiave per le sue decisioni di approvazione, la FDA vuole sapere se un farmaco funzioni meglio del placebo. Questa è la prima richiesta! Se il farmaco è migliore del placebo anche solo del 5%, viene considerato “efficace” (il che significa che "funziona"). E questo è vero anche se il placebo è stato selezionato specificamente per far apparire il farmaco migliore nel test comparativo. Come vedete, se non esistono norme o regolamentazioni riguardanti i placebo, nessuno dei test clinici fondati su placebo sono scientificamente validi. E’ stupefacente constatare come i ricercatori in campo medico diventino intransigenti quando attaccano l’omeopatia, enfatizzando come la loro medicina sia basata sullo “scientificamente provato” e quando però questo fatto viene meno, le loro prove scientifiche sono solo chiacchiere condite con un pò d'illusione e un tocco di gergo pseudoscientifico, il tutto incorniciato nel linguaggio dello scientismo dai membri della FDA che non riconoscerebbero la vera scienza se inciampassero e cadessero in un otre pieno di essa. Big Pharma e la FDA hanno fondato l’intero loro sistema di prove scientifiche su una frode inerente i placebo. E se il placebo non è un placebo, la prova scientifica non è scientifica. Oh, ma aspettate. Loro la chiamano scienza perché desiderano che il placebo sia un placebo. Già. I ricercatori clinici oggigiorno sono medium, sensitivi e cartomanti che semplicemente decretano che quella pillola di olio d’oliva “sia un placebo” mentre compiono con le mani un gesto degno di David Copperfield. James Randi può non aver mai visto un sensitivo trasmutare del piombo in oro, ma ha senza dubbio visto dottori trasmutare sostanze biochimicamente attive in materie totalmente inerti, soltanto desiderandolo! Strabiliante! E questo mi porta alla parte, veramente interessante, del “come fare per…”. Stai cercando di capire come creare il tuo placebo scientificamente valido, approvato dalla FDA? E’ più facile di quanto pensi.

1. Trova qualcosa che abbia una forma di pillola. Può essere una pillola ripiena di olio d’oliva, o di zucchero, o di olio di palma, o di acqua fluorizzata, o di gesso da lavagna, o di una sostanza chimica di sintesi o qualunque altra cosa tu possa immaginare.

2. Chiudi gli occhi e concentrati.

3. Questa è la parte fondamentale - Ripeti almeno 5 volte mentre ruoti su te stesso in senso antiorario: “Sono un ricercatore scientifico che sta praticando la medicina basata su prove”. Devi ripeterlo fino a che tu sia veramente e sinceramente convinto di esserlo. Se non ci credi abbastanza, l’effetto placebo non si realizzerà.

4. Avvicina i tuoi palmi aperti verso le tue pillole di placebo e grida con quanta voce hai in gola: “Ora tu sei un placebo”. Puoi sentire un brivido di energia correre lungo il tuo corpo. Questo è il potere del placebo che si sprigiona dalle pillole.

Il processo è concluso. Ora puoi utilizzare queste pillole di placebo in qualunque test clinico e aspettarti la piena approvazione per questo dai tuoi colleghi, da celebri riviste mediche e dai burocrati della FDA. (Non è uno scherzo. Questo è lo stato dell’arte oggi come oggi nella medicina convenzionale). Anche la speranza ha un ruolo essenziale in tutto questo. Quanto più speri che i tuoi placebo siano realmente placebo, tanto migliori saranno i risultati che otterrai. Di fatto, nel riportare questo fiasco totale, il direttore dello studio che ha messo in luce tutto questo, dr. Beatrice Golomb, sostiene: “Possiamo solo sperare che questo non abbia seriamente e sistematicamente colpito i trattamenti medici”. E invece, certamente lo ha fatto. (e a proposito: nessuna mancanza di rispetto per la dr.ssa Golomb. Merita rispetto per essere stata disposta ad affrontare questo argomento, che senza dubbio la renderà molto impopolare fra i cultori dello scientismo come è praticato oggi dai ricercatori medici convenzionali). Per risultati migliori, prova ad utilizzare la sostanza placebo più dannosa che puoi. Per esempio, in un test clinico che coinvolge malati di AIDS - che tendenzialmente sono intolleranti al lattosio - i ricercatori hanno usato pillole contenenti...indovinate un pò? Lattosio! Questo è un pò come condurre un test clinico su eroinomani utilizzando l’eroina come placebo, no? Beh, in un modo o nell'altro il nostro farmaco funzionerà “meglio del placebo”. Divertente come funziona, vero? E se anche non ottenessi i risultati che speri, basta inventarti i tuoi dati, come fanno altri ricercatori clinici. Ricordate il dr. Scott Reuben? Questo rispettabilissimo ricercatore clinico falsificò almeno 21 test per Big Pharma. I suoi test clinici fraudolenti vengono ancora citati per vendere farmaci! Diamine, a chi serve un placebo se puoi inventarti i dati?
Provate a riflettere su questo, a chi serve la scienza se si può usare qualunque cosa e chiamarla placebo, in primo luogo? La medicina convenzionale opera test clinici nello stesso modo in cui banche e società di intermediazione finanziaria gestiscono i documenti per i mutui. Si inventano man mano i dati che gli servono, commettendo crimini ogni giorno sperando che nessuno se ne accorga. Dove sono gli scettici quando la frode scientifica viene da Big Pharma? Seriamente, devi semplicemente amare la situazione odierna della scienza medica. Non ho mai osservato un gruppo più divertente di idioti assicurarsi l’un l’altro di essere tutti così scientifici mentre praticano gli imbrogli più inimmaginabili. Quel che avviene oggi in nome della sperimentazione clinica di Big Pharma rende in confronto sensitivi e cartomanti decisamente più portati per la scienza. Fanno davvero stupire questo cosiddetti “scettici”, vero? Se sono scettici sull’omeopatia, sui tarocchi, sui medium psichici e sulla gente che sostiene di poter levitare, posso almeno capire il bisogno di porre domande difficili su tutte queste cose. Anch’io faccio domande difficili, specialmente quando la gente mi dice di aver visto fantasmi o spiriti ritornare dal regno dei morti o altri fenomeni inesplicabili. Ma scettici più convenzionali non sono mai usciti dai confini della loro "zona di sicurezza" di argomenti popolari per i quali lo scetticismo si può esprimere in tutta sicurezza. Non osano fare domande scettiche riguardo la scienza ciarlatana a sostegno dell'industria farmaceutica, giusto per fare un esempio. Né faranno domande difficili sui vaccini, o sulla mammografia, o sulla chemioterapia. E ti sarebbe difficile trovare qualcosa di più ricco di vera e propria ciarlataneria fraudolenta che l'industria farmaceutica com’è oggi gestita (e la branca che si occupa del cancro in particolare). Ecco perché sono scettico riguardo gli scettici. Se uno scettico non pone domande sulla pseudoscienza facilona praticata da Big Pharma, non ha alcuna credibilità come scettico. Non si può essere scettici selettivamente su alcune cose, ma poi fare finta di niente riguardo altre truffe solo perché sono sostenute da aziende farmaceutiche. Ma torniamo un attimo su quello studio…

Abstract dello studio

Ecco di seguito alcuni stralci dall’abstract della ricerca pubblicata in Annals of Internal Medicine.

“What’s in Placebos: Who Knows? Analysis of Randomized, Controlled Trials”
(“Cosa c’è nei placebo: chi lo sa? Analisi di test controllati randomizzati”)

Background: Nessuna regolamentazione disciplina la composizione dei placebo. La composizione dei placebo può influenzare i risultati di un test e merita di essere riportata.

Scopo: Valutare quanto spesso i ricercatori specificano la composizione del placebo in test randomizzati basati su placebo.

Sintesi dei dati: gran parte degli studi non esplicitano la composizione del placebo utilizzato. La dichiarazione della composizione risulta meno comune per le pillole rispetto alle iniezioni e altri trattamenti (8,2% contro il 26,7%).

Conclusioni: I placebo sono stati raramente descritti in studi randomizzati e controllati di pillole o capsule. Poiché la natura del placebo può influenzare i risultati dei test, la formulazione dei placebo dovrebbe essere dichiarata nella documentazione dei test basati su placebo.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20956710

25-09-2014

La maggior parte della gente sa che l’insulina viene prodotta dal pancreas; tuttavia alcuni ricercatori recentemente hanno scoperto che l’insulina viene prodotta anche dal nostro cervello. Essi hanno anche scoperto che l’insulina cerebrale e i suoi fattori di crescita, sono necessari per la sopravvivenza dei neuroni. Sembra dunque che una carenza di questa nuova insulina possa contribuire alla progressione dell’Alzheimer. Mentre in precedenza si era scoperto che la resistenza insulinica, una caratteristica del diabete, è associata a una neurodegenerazione, ora uno studio ha dimostrato una forte evidenza di un legame fra diabete e morbo di Alzheimer.
Attraverso lo studio di ratti geneticamente modificati per bloccare i segnali insulinici a livello cerebrale, i ricercatori hanno trovato che insulina e IGF (Insulin-like growth factor) I e II erano espressi in neuroni posizionati in varie aree del cervello. I ricercatori hanno concluso che una diminuzione nel signaling insulinico nel cervello contribuisce alla degenerazione dei neuroni, segno precoce di morbo di Alzheimer. Queste irregolarità, tuttavia, non sono correlate a diabete di Tipo 1 e 2, ma servono come indicatrici di un processo patologico più complesso che colpisce il Sistema Nervoso Centrale. Analizzando il tessuto cerebrale di pazienti Alzheimer postmortem, i ricercatori hanno scoperto che i growth factor non erano prodotti a livelli normali nella parte del cervello deputata alla memoria (conosciuta come ippocampo) provocando la morte delle cellule in altre parti del cervello. Insulina e IGF-I erano marcatamente ridotti in tutte le zone del cervello afflitte dalla progressione del morbo di Alzheimer. Tali aree includono la corteccia frontale, l’ippocampo e l’ipotalamo. Mentre molti scienziati hanno sempre sospettato un legame fra diabete e morbo di Alzheimer, questo è il primo studio che ne dimostra il nesso.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15750214?dopt=Abstract

25-09-2014

Per gli italiani, l'origano è soprattutto il condimento della pizza. Tuttavia, tale erba potrebbe essere molto di più: in particolare un metodo per trattare il tumore alla prostata, migliore e con meno effetti collaterali dei sistemi attuali. Questa l'ipotesi al vaglio di una ricerca della Long Island University (New York, USA), diretta dalla dottoressa Supriya Bavadekar e presentata al congresso della Federation of American Societies for Experimental Biology di San Diego.  La dottoressa e la sua squadra sono stati spinti da diversi indizi. In primis il ruolo dell'origano nella medicina naturale dell'antichità, che lo indicava come rimedio per infiammazioni e malattie varie. Inoltre, ricerche passate avevano mostrato come chi consuma pizza regolarmente è meno soggetto a tumori. Fino ad oggi, tutto il merito era del licopene del pomodoro ma, spiega Bavadekar, "Ora noi riteniamo che anche il condimento con l'origano possa giocare un ruolo".
Infine, le terapie attuali contro il tumore alla prostata hanno effetti negativi sulla qualità di vita del paziente. Così, in cerca di un'alternativa valida, gli esperti hanno condotto test in laboratorio, usando carvacrolo, principio attivo dell'origano, su cellule cancerose. Il test ha così mostrato come il carvacrolo spingesse le cellule all'apoptosi, la morte programmata che l'organismo usa per le cellule difettose. Intervistata, la capo-ricercatrice ha ammesso come il meccanismo di eliminazione presenti dei lati oscuri, ma i risultati rendono meritevole l'approfondimento. Detto altrimenti, "Noi sappiamo che l'origano possiede proprietà sia antibatteriche che antinfiammatorie. Ma i suoi effetti sulle cellule tumorali innalza questa spezia al livello di super-spezia, al pari della curcuma, usata per potenziare gli effetti della radioterapia e della chemioterapia". Allora, "Se lo studio continua a dare risultati positivi, questa super-spezia può rappresentare una terapia davvero promettente per i pazienti affetti da tumore alla prostata".

 

http://www.sciencedaily.com/releases/2012/04/120424162224.htm

http://www.prostate.net/2012/prostate-cancer/oregano-treatment-for-prostate-cancer/

25-09-2014

Donne attenzione, una nuova ricerca ha evidenziato che il parabene è cancerogeno, è cioè tra le cause del tumore al seno.  I parabeni sono una classe di composti chimici usati come conservanti nei prodotti cosmetici (anche per l'infanzia) e farmaceutici, nei prodotti per l’igiene personale e in alcuni casi negli alimentari (come additivi). Il loro successo commerciale si deve alla loro efficacia come conservanti ed al loro basso costo e, molto spesso, si trovano anche in molti prodotti cosiddetti "naturali" o spacciati per "ecologici". Nello specifico, i parabeni si trovano nelle creme per il viso, negli struccanti, nei detergenti intimi, nei deodoranti, nei dentifrici e negli shampoo, nelle creme solari e nei doposole. I parabeni sono stati finora considerati non cancerogeni e legalmente autorizzati nell'Unione Europea e largamente utilizzati nell'industria cosmetica in quanto ritenuti sicuri, ma già in passato diversi studi hanno tentato di testarne l’eventuale pericolosità. I riultato ottenuti però si sono sempre limitati alle normali dermatiti o irritazioni cutanee e altre reazioni allergiche. Adesso, invece, da una ricerca più recente è emerso che nei tessuti di numerose pazienti sottoposte a mastectomia è stata rintracciata la presenza di parabeni. La ricerca, condotta dalla professoressa Philippa Darbre dell’Università inglese di Reading, pubblicata sulla rivista “Journal of Applied Toxicology”, si è basata su un totale di 160 campioni prelevati tra il 2005 e il 2008 a 40 pazienti di sesso femminile, affette da 20 tipi differenti di tumore primario alla mammella ed è emerso che nel 99% dei casi era contenuto almeno un tipo di parabene, mentre nel 60% ce n’erano ben cinque. Secondo la professoressa Darbre “questi risultati sono preoccupanti perché è stato dimostrato che i parabeni sono in grado di simulare l’azione dell’ormone estrogeno femminile. Quest’ultimo può portare a sviluppare i tumori al seno. Molte delle concentrazioni dei parabeni misurate nei tessuti delle donne con cancro al seno sarebbero sufficienti a produrre questo risultato”. Come evitare dunque questo rischio? Innanzitutto imparando a leggere l'etichetta dei cosmetici: i comuni parabeni presenti nei prodotti commerciali sono indicati sulle etichette degli "ingredienti" come: Metil-Parabene (E218; il suo sale sodico E219), Etil-Parabene (E214; il suo sale sodico E215), Propil-Parabene (E216; il suo sale sodico E217), Butil-Parabene, Isobutil-Parabene, Isopropil-Parabene, Benzil-Parabene.  Donne, dunque, fate attenzione e, se possibile, cercate di orientarvi verso prodotti davvero naturali e non dannosi per la vostra salute.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22744862

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23364952

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24652746

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25047802

Giovedì, 25 Settembre 2014 17:13

FORTE DOSI DI STATINE LEGATE A LESIONI DEL RENE.

25-09-2014

Un nuovo studio dimostra che le statine ad alta potenza sono legate ad un rischio più elevato di insufficienza renale acuta, rispetto alle statine meno potenti e che il rischio persiste per due anni. Il ricercatore Colin Dormuth, della University of British Columbia a Vancouver in Canada, e colleghi, hanno pubblicato la loro scoperta online, sulla rivista BMJ, il 19 marzo. Le statine sono una classe di farmaci ampiamente diffuse, per abbassare il colesterolo, per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, spesso con dosi più alte previste per i soggetti ad alto rischio. C‘è stata però, una tendenza verso l’aumento della potenza delle statine, sia con dosi maggiori come simvastatina oppure atorvastatina 40-80 mg, o con la forma più potente, rosuvastatina, per i diversi trattamenti. Ma i ricercatori stanno cominciando a suggerire che l’aumento di potenza può portare a problemi renali. Studi clinici mostrano che gli effetti collaterali negativi non interessano un gran numero di pazienti e possono così non essere abbastanza comuni da essere identificati.
E’ solo nel monitoraggio post-marketing e dalle analisi di grandi gruppi di pazienti, che cominciano ad emergere gli effetti collaterali dall’uso di forti dosi di statine. In questo recente studio, i ricercatori hanno osservato pazienti che hanno assunto statine ad alta potenza, rispetto a coloro a cui sono state prescritte statine a bassa potenza, in sette province canadesi. Inoltre, sono stati esaminati i dati di due banche internazionali (Regno Unito e Stati Uniti), raccolti tra il 1997 e il 2008. Sono state analizzate le cartelle cliniche dei 2 milioni di persone della rete canadese, per gli studi osservazionali sull’effetto del farmaco e per valutare il nesso tra il trattamento con statine ad alta potenza rispetto alle statine a bassa potenza e l’ospedalizzazione per l’insufficienza renale acuta in pazienti con e senza malattia renale cronica.
Tutti i pazienti avevano più di 40 anni di età. La potenza elevata delle statine è stata definita come rosuvastatina, dose di 10 mg o superiore, atorvastatina dosi di 20 mg o superiore, e simvastatina a dosi di 40 mg o superiore. Tutti gli altri farmaci contenenti statine, sono stati definiti a bassa potenza. Quando i ricercatori hanno analizzato i dati, hanno scoperto che gli utenti di statine ad alta potenza hanno avuto il 34% in più di probabilità di essere ospedalizzati per insufficienza renale acuta, rispetto ai pazienti che hanno fatto uso di statine a bassa potenza, nei primi 120 giorni di trattamento. Ed il rischio resta elevato per due anni dopo l’inizio del trattamento. I tempi non sono risultati significativamente aumentati nei pazienti con malattia renale cronica. I ricercatori stimano che per ogni 1.700 pazienti senza malattia renale cronica trattati con statine ad alta potenza in contrapposizione ad un bassa potenza, c’è un ricovero supplementare per il danno renale acuto.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23511950

24-09-2014

Uno studio condotto dalla Yale University School of Medicine di New Haven, coordinato da Elizabeth Claus, e pubblicato sulla rivista scientifica Cancer, ha evidenziato come vi sia una stretta connessione tra i raggi x e lo sviluppo di tumori cerebrali non maligni. I ricercatori hanno preso in esame, per un periodo di circa cinque anni, la storia clinica dentale di 1.433 persone (tra i 20 e i 79 anni) affetti da meningioma (un tumore benigno, ma molto pericoloso, in quanto, crescendo, comprime delle aree del cervello creando complicazioni), ed hanno effettuato un confronto con le cartelle cliniche di 1.350 persone sane. Lo studio ha messo in luce che, i pazienti che avevano effettuato radiografie ai denti una o più volte l’anno hanno avuto maggiori probabilità di sviluppare il meningioma (da 1,4 a 1,9 volte); in particolar modo, il rischio maggiore è stato rilevato relativamente alle radiografie bidimensionali delle arcate dentali (panorex).
Elizabeth Claus, coordinatrice della ricerca, ha dichiarato: “lo studio offre l’opportunità di giudicare con maggiore prudenza l’utilizzo dei raggi x per la diagnosi di problemi dentali, in modo tale da poter ridurre questo fattore di rischio”. Dunque, come spiega la dottoressa Claus, nonostante, le radiografie ai denti siano molte volte indispensabili “è meglio ricorrervi moderatamente per non inficiare la salute dei pazienti”.  Talvolta, infatti, i medici dovrebbero evitare di prescrivere esami di cui i pazienti non hanno realmente bisogno, soprattutto quando si tratti di radiografie, risonanze magnetiche o tac, i quali espongono il paziente a delle radiazioni che possono essere nocive per la salute. Nonostante al giorno d’oggi, esistano diverse tecniche moderne che consentono un’esposizione minore alle radiazioni, è comunque opportuno evitare il più possibile di far ricorso a questo tipo di esami. Si evidenzia come i pazienti che controllano la salute dei propri denti, sono esposti a una dose più bassa di radiazioni; comunque le indicazioni degli esperti sono: “per i bambini una radiografia massimo ogni due anni, per i ragazzi una ogni tre anni e per gli adulti una ogni 2-3 anni”.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22492363

24-09-2014

I ricercatori statunitensi della Facoltà di Medicina dell’Università del Maryland sono riusciti a individuare un peptide, o proteina, contenuta nel merluzzo del Pacifico che sarebbe attiva contro il cancro. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista PNAS e, in particolare, si è scoperto che questo antigene chiamato TFD (Thomsen-Friedenreich Disaccharide) che si trova in questa proteina del merluzzo, può inibire la diffusione delle metastasi e lo sviluppo del cancro della prostata – oggetto dello studio. Tuttavia, l’antigene può essere attivo anche contro altre forme di tumore o cancro. «L’uso di prodotti dietetici naturali con attività antitumorale è un settore importante ed emergente della ricerca – spiega Hafiz Ahmed, professore di biochimica e biologia molecolare presso l’UM e scienziato dell’Istituto per l’ambiente marino e la tecnologia (IMET) – Capire come funzionano questi prodotti potrebbe consentire di sviluppare alimenti che fungono anche da terapie contro il cancro e agenti per l’immunoterapia».
La possibilità di avere delle armi efficaci contro le cosiddette metastasi – ossia quel processo di invasione dei tessuti circostanti il tumore e la migrazione attraverso il sangue e i vasi linfatici che è spesso causa di morte dei pazienti oncologici – è più che auspicabile. E, secondo quanto emerso dallo studio, potenzialmente fattibile. Per fare un esempio, il cancro alla prostata (oggetto dello studio) si diffonde in genere ai polmoni, le ossa e il fegato. «Questo studio è tra i primi a esplorare l’utilità terapeutica di un peptide bioattivo del merluzzo TFD contenente un glicopeptide in grado di inibire la progressione del cancro alla prostata», ha sottolineato il dottor Ahmed. L’antigene TFD che si trova nella proteina del pesce è nascosto nelle cellule umane normali, ma è esposto sulla superficie delle cellule tumorali e si ritiene svolga un ruolo chiave nel modo in cui il cancro si diffonde. Ecco perché l’azione del TFD trovato nel merluzzo potrebbe essere determinante nel controllo della diffusione e sviluppo del cancro.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Hafiz+Ahmed++PNAS

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