Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

18-09-2014

Mangiare cibi fritti, almeno una volta alla settimana, è legato ad un rischio elevato di cancro alla prostata, secondo un nuovo studio americano. I ricercatori suggeriscono che l’olio o il grasso di cottura dei cibi fritti, rilasciano potenzialmente composti cancerogeni. I ricercatori, del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista prostate. Studi precedenti hanno già dimostrato i legami tra il cancro alla prostata e gli alimenti sottoposti a temperature elevate, come la carne alla griglia, ma gli autori ritengono che il loro è il primo studio a esaminare i potenziali collegamenti tra cibi fritti e tumore alla prostata. L’autore della ricerca, Janet L. Stanford, co-direttore del Programma del Centro Hutchinson sulla Ricerca sul Cancro alla prostata, ha detto in una dichiarazione rilasciata questa settimana: “Il legame tra il cancro alla prostata e cibi fritti sembra essere limitato al massimo livello di consumo – definito nel nostro studio come più di una volta alla settimana – il che suggerisce che il consumo regolare di cibi fritti conferisce particolare rischio per lo sviluppo del cancro alla prostata”.
C’è già la prova che il consumo di cibi fritti è legato ad altri tumori, vale a dire a tumori del seno, del polmone, del pancreas, testa e collo, e tumori esofagei. Per il loro studio, Stanford e colleghi hanno esaminato i dati su 1.549 uomini con diagnosi di cancro alla prostata e 1.492 uomini di pari età sani che vivono nella zona di Seattle. I ricercatori hanno scoperto che gli uomini che hanno mangiato patatine fritte, pollo fritto, pesce fritto e/o ciambelle, almeno una volta alla settimana, hanno un rischio elevato di cancro alla prostata tra il 30 e il 37%. Anche quando altri fattori che potrebbero influenzare il rischio sono stati presi in considerazione, come l’età, storia familiare di cancro alla prostata, razza, indice di massa corporea e la storia dello screening PSA, i collegamenti sono rimasti gli stessi. Stanford suggerisce che alte temperature necessarie per friggere, sviluppano composti potenzialmente cancerogeni che possono formarsi negli alimenti. Questi composti tossici, che aumentano quando l’olio viene riutilizzato e riscaldato, includono acrilammide, amine eterocicliche, gli idrocarburi policiclici aromatici, aldeidi e acroleina, acrilammide e si trovano in alimenti ricchi di carboidrati, come patatine fritte e nella carne, quando l’olio raggiunge temperature elevate. I cibi fritti sono anche noti per contenere i più alti livelli di prodotti finali della glicazione avanzata (AGE), un gruppo di composti legati all'infiammazione cronica e allo stress da ossidazione, le condizioni che sono associate con il cancro. Un petto di pollo fritto in olio per circa 20 minuti, avrà circa 9 volte più AGEs di uno che viene fatto bollire per un’ora, dicono i ricercatori. Gli autori suggeriscono che il legame tra cancro alla prostata e cibo fritto in olio potrebbe essere anche un’indicazione di un legame tra la malattia e il consumo di fast food.

 

http://www.medicalnewstoday.com/articles/255582.php

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23335051

Giovedì, 18 Settembre 2014 12:53

FRUTTI DI BOSCO PER PREVENIRE IL CANCRO ORALE.

18-09-2014

Ci sono diverse classi di pigmenti che donano il tipico colore vivo nelle bacche e i frutti di bosco. Ma, non tutti hanno le stesse caratteristiche, quando si tratta di essere degradati e assorbiti nella bocca dopo che si è consumato il frutto. Rispetto alle altre quattro classi conosciute, gli unici che pare subiscano questo processo sarebbero gli antociani. La possibilità dunque che queste sostanze possano sopravvivere per più tempo all’interno del cavo orale, le rende potenzialmente utili proprio nella prevenzione del cancro. Ecco quanto scoperto dai ricercatori Usa della Ohio State University, in un nuovo studio preliminare in cui si è altresì dimostrato che i batteri che vivono nella bocca sono responsabili della maggior parte della ripartizione di questi composti che avviene nella saliva. Quello che ora i ricercatori stanno cercando di comprendere è se queste sostanze che promuovono la salute siano i pigmenti stessi, o invece il risultato della loro degradazione. Questa e le altre scoperte che dovessero avvenire a seguito di ulteriori approfondimenti, secondo gli scienziati, contribuirebbero allo sviluppo di caramelle, gomme da masticare e altri dispositivi di somministrazione per la prevenzione ed, eventualmente, il trattamento di malattie come la malattia parodontale e i tumori del cavo orale.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Food Chemistry, ed è stato condotto con il coinvolgimento di 14 persone adulte che sono stati sottoposti a una serie di test per valutare gli effetti dell’assunzione di estratti di pigmenti antociani da mirtilli, lamponi, ribes nero, uva rossa e fragole. I possibili effetti sono stati analizzati raccogliendo campioni di saliva dai partecipanti. I ricercatori sapevano già di come i lamponi neri (Rubus leucodermis) fossero ritenuti avere proprietà chemiopreventive nei confronti dei tumori di bocca ed esofago, ma anche del colon – tutti benefìci dimostrati in diversi studi su modello animale. Questi benefìci, si ritiene siano proprio dovuti al loro altro contenuto di antociani. «Tutti i frutti sono unici in quanto la loro composizione chimica, o impronta digitale, varia – spiega nella nota OSU il prof. Mark Failla, docente di nutrizione umana presso la Ohio State e presidente ad interim del Dipartimento di Scienze Umane –. Ci sono molte e diverse bacche commestibili. Qualcuna potrebbe essere migliore nell’offrire effetti di promozione della salute all’interno della cavità orale, mentre altre possono essere più benefiche per la salute del colon. Noi, semplicemente, al momento non lo sappiamo». Si rendono pertanto necessari ulteriori e approfonditi studi al fine di identificare quali siano le bacche, o frutti di bosco, che possono offrire i maggiori vantaggi per la salute del cavo orale, e non solo.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22868153

Giovedì, 18 Settembre 2014 12:48

NIENTE SNACK AI CANI: FANNO MALE.

18-09-2014

Gli ossi e gli stick da masticare per cani potrebbero essere dannosi per la salute dei nostri amici a 4 zampe, secondo un nuovo studio della Cummings School of Veterinary Medicine della Tufts University. Gli snack apporterebbero infatti troppe calorie agli amici a quattro zampe. E non solo. Con questi ossi e stick, i cani sono a rischio di contaminazioni da batteri. Il team di ricercatori americani e canadesi ha analizzato l'apporto calorico e la contaminazione batterica di questi popolari snack. Lo studio, pubblicato sul Canadian Veterinary Journal, ha esaminato 26 tipi di "bully stick" in commercio negli Stati Uniti. I risultati hanno dimostrato che in media gli snack per cani contengono il 9% delle calorie quotidiane richieste per un cane di venti chili e il 30% delle calorie necessarie al giorno per un cane di quattro chili e mezzo. Dei 26 stick analizzati, il 4% è risultato contaminato dal Clostridium difficile, l'1% dallo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina e il 27% dall'Escherichia coli, incluso il tipo resistente alle tetracicline. La rivista canadese di veterinaria fornisce anche consigli su una corretta alìmentazione per i cani. Occorre sempre comunque fare attenzione agli alimenti industriali, perchè possono contenere sostanze con effetti negativi.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3524813/

18-09-2014

La chemioterapia usata da decenni per combattere il cancro in realtà può stimolare, nelle cellule sane circostanti, la secrezione di una proteina che sostiene la crescita e rende "immune" il tumore a ulteriori trattamenti. La scoperta, "del tutto inattesa", è stata pubblicata sulla rivista Nature medicine ed è frutto di uno studio statunitense sulle cellule del cancro alla prostata tesa ad accertare come mai queste ultime siano così difficili da eliminare nel corpo umano mentre sono estremamente facili da uccidere in laboratorio. Sono stati analizzati gli effetti di un tipo di chemioterapia su tessuti raccolti da pazienti affetti da tumore alla prostata. Sono stati scoperti "evidenti danni nel DNA" nelle cellule sane intorno all'area colpita dal cancro. Queste ultime producevano quantità maggiori della proteina WNT16B che favorisce la sopravvivenza delle cellule tumorali. La scoperta che "l'aumento della WNT16B interagisce con le vicine cellule tumorali facendole crescere, propagare e, più importante di tutto, resistere ai successivi trattamenti antitumorali era del tutto inattesa", ha spiegato il co-autore della ricerca Peter Nelson del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle nello stato di Washington. La novità conferma tra l'altro un elemento noto da tempo tra gli oncologi: i tumori rispondono bene alle prime chemio salvo poi ricrescere rapidamente e sviluppando una resistenza maggiore ad ulteriori trattamenti chemioterapici. Un dato dimostrato dalla percentuale di riproduzione delle cellule tumorali tra i vari trattamenti. "I nostri risultati indicano che il danno nelle cellule benigne può direttamente contribuire a rafforzare la crescita cinetica del cancro", si legge nello studio che, hanno spiegato i ricercatori, ha trovato conferma anche nei tumori al seno e alle ovaie.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Peter+Nelson+WNT16B

Mercoledì, 17 Settembre 2014 12:20

FRUTTA E VERDURA AIUTANO A RILASSARSI.

17-09-2014

Seguire un'alimentazione naturale a base di frutta e verdura fa bene alla salute e questo è ormai acclarato. Ora, secondo un nuovo studio dell'Università di Otago, c'è un beneficio in più: mangiare frutta e verdura aiuta a calmarsi. Inoltre l'alimentazione "verde" non si limita a rendere le persone più rilassate ma le aiuta a sentirsi anche più felici e cariche di energie nella quotidianità. La ricerca è stata pubblicata sul British Journal of Health Psychology ed è stata condotta da Tamlin Conner, Bonnie White e Caroline Horwath; ha coinvolto 281 adulti giovani con un'età media di vent'anni. Lo studio ha monitorato i partecipanti per ventuno giorni e ha rilevato una strettissima correlazione tra l'umore quotidiano e il consumo di frutta e verdura. Lo studio è stato citato anche dalla British Psychological Society.
I risultati hanno dimostrato che mangiare più frutta e verdura rilassa i nervi, aumenta la positività e il senso di felicità individuale. Le persone coinvolte nel progetto hanno dichiarato, infatti, di sentirsi più felici e rilassate del normale durante le giornate in cui avevano assunto più frutta e verdura rispetto ad altre tipologie di cibo, le giornate insomma nelle quali l'alimentazione vegetariana prevaleva. "Le porzioni di frutta e verdura da consumare al giorno per essere più sereni devono essere sette o otto, valutando le dimensioni di una porzione sulla base del quantitativo che rientra in una mano o nella metà di una tazza", ha spiegato la Conner.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Tamlin+Conner%2C+Bonnie+White%2C+Caroline+Horwath

17-09-2014

Il primo a parlare dell'esistenza di un cervello nella pancia è stato l'esperto di anatomia e biologia cellulare della Columbia University, Dr. Michael D. Gershon, nel 1998, anno in cui ha pubblicato il suo libro: “Il secondo cervello”. “Sappiamo che, per quanto il concetto possa apparire inadeguato, il sistema gastroenterico è dotato di un cervello. Lo sgradevole intestino, è più intellettuale del cuore e potrebbe avere una capacità “emozionale” superiore. E' il solo organo a contenere un sistema nervoso intrinseco, in grado di mediare i riflessi in completa assenza di input dal cervello o dal midollo spinale” afferma Gershon. Le trentennali ricerche di Gershon, hanno portato il mondo accademico a conoscenza dell'esistenza di una connessione strettissima tra intestino e cervello poiché, nell’intestino, si trova una rete nervosa molto complessa composta da oltre cento milioni di neuroni (sistema nervoso enterico) che gestiscono le attività intestinali e che si collegano al cervello tramite il sistema nervoso vegetativo. Inoltre, l'intestino produce il 95% della serotonina del nostro corpo, neurormone noto per garantire il buonumore ed il benessere dell'intero organismo.
A confermare e completare le ricerche di Gershon, il team di ricerca canadese della McMaster University, guidato dal Dr. Stephen Collins, nel 2011, ha pubblicato sulla rivista scientifica Gastroenterology i risultati di uno studio che dimostra l'influenza della flora batterica intestinale, più precisamente chiamata microbiota, sul chimismo cerebrale e sul comportamento. Nell'intestino di ogni persona vivono molte migliaia di miliardi di batteri che concorrono a svolgere diverse disparate funzioni essenziali per il mantenimento di uno stato di buona salute e dell'equilibrio dell'umore. Neuroni e flora batterica intestinale, dunque, sono direttamente coinvolti nei meccanismi dell'ansia e della depressione, nei nostri comportamenti e nell'umore con cui affrontiamo la vita. Il nostro secondo cervello decide i nostri stati d'animo, in base allo stato di salute del microbiota che, a sua volta, incide sull'attività del sistema nervoso enterico. Questi studi hanno risvolti molto importanti sia perché spesso le malattie dell'intestino (come per esempio la sindrome dell'intestino irritabile) sono legate a stati ansiosi o depressivi, sia perché numerose malattie, finora ritenute neuropsichiatriche, potrebbero avere la loro genesi proprio nell'intestino.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21683077

17-09-2014

Bere alcolici prima di andare a dormire sconvolge il ciclo del sonno e può anche provocare insonnia. E' questa la conclusione di uno studio del London Sleep Centre, pubblicato sulla rivista "Alcoholism: Clinical and Experimental Research", secondo cui anche se il cosiddetto bicchiere della staffa aiuta ad addormentarsi più velocemente, in realtà ci priva di una delle fasi del sonno più soddisfacenti, quella REM in cui si sogna. Inoltre, bevuto troppo spesso, l'alcol può causare anche insonnia. ''Uno o due bicchieri possono essere utili nel breve periodo - spiega Irshaad Ebrahim, uno degli autori dello studio - ma se presi in modo continuativo possono provocare diversi problemi. Se si beve, è meglio aspettare 1,5-2 ore prima di andare a letto, in modo che l'alcol sia già stato metabolizzato. Le persone inoltre possono diventare dipendenti dall'alcol per dormire, avere un sonno meno ristoratore e iniziare a russare''. I ricercatori inglesi hanno revisionato oltre un centinaio di studi, e scoperto che l'alcol cambia il sonno in tre modi: ne accelera l'inizio, facendo addormentare più in fretta; fa cadere in un sonno molto profondo; il sonno diventa più frammentato e meno piacevole nella seconda parte della notte. L'alcol riduce il tempo della fase REM, in cui si sogna, e il sonno diventa quindi meno ristoratore.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Irshaad+Ebrahim+Alcoholism%3A+Clinical+and+Experimental+Research

17-09-2014

A chi mangia fuori casa, che sia per lavoro o in occasione di pic-nic, può capitare di utilizzare i piatti di plastica, perché più comodi o perché non vi è alternativa. Tuttavia, alla comodità, può affiancarsi la pericolosità per la salute – specie se il cibo consumato è caldo. Un nuovo studio prospettico condotto dai ricercatori di Taiwan ha messo in evidenza come utilizzare stoviglie in melamina (o melammina) per consumare piatti caldi possa aumentare in modo significativo il rischio di sviluppare i calcoli renali. Il dottor Chia-Fang Wu, e colleghi del Kaohsiung Medical University di Taiwan, hanno studiato gli effetti della melamina riscaldata su due differenti gruppi di persone. I partecipanti dovevano consumare della minestra calda in piatti di plastica o in piatti di ceramica, a seconda del gruppo di appartenenza. Prima del pasto, e ogni due ore per 12 ore dopo questo, ai partecipanti sono stati prelevati dei campioni di urina. Tre settimane dopo il primo esperimento, i volontari sono stati invitati a consumare lo stesso tipo di zuppa, ma invertendo tra i gruppi il tipo di recipiente usato, ossia chi aveva mangiato la prima volta nel piatto di melamina, ora avrebbe utilizzato quello di ceramica, e viceversa. Dopo questa seconda fase dello studio, sono di nuovo stati prelevati i campioni di urina. Che sono poi stati sottoposti alla stessa trafila di esami.
I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista JAMA Internal Medicine, hanno mostrato che i livelli di melammina nelle urine dei partecipanti, 12 ore dopo che avevano assunto la minestra nei piatti di plastica, erano in media 8,35 microgrammi. I livelli di melammina nei soggetti che avevano utilizzato i piatti di ceramica erano invece circa 1,3 microgrammi – una decisa differenza. «Le stoviglie di melammina – spiega il dottor Chia-Fang Wu nel comunicato KMU – possono rilasciare grandi quantità di melammina quando siano utilizzate per servire i cibi ad alta temperatura». Tuttavia, come scoperto dagli autori, non solo le temperature più elevate possono favorire la contaminazione degli alimenti da parte della melamina, ma anche i cibi acidi. Infine, la quantità di rilascio di melamina dipende anche dalla qualità delle stoviglie e, come emerso dallo studio, anche in base alla marca del prodotto. A scanso di equivoci, e per tutelare la propria salute, i ricercatori consigliano di servire il cibo caldo in stoviglie di ceramica, evitando l’uso di piatti di plastica in queste occasioni. Sebbene non sia ancora chiaro l’effetto che l’assorbimento di melamina possa avere sulla salute in generale, precedenti studi avevano suggerito che esposizioni ripetute, anche a basso dosaggio, di melamina aumentano il rischio di calcoli renali in bambini e adulti. Studi sulla tossicità della melamina condotti su modello animale, poi, hanno indicato che l’ingestione di questa sostanza può causare la formazione di calcoli renali, causare danni ai reni e perfino provocare il cancro.

 

http://www.medicalnewstoday.com/articles/255305.php

http://www.foxnews.com/health/2013/01/21/study-finds-eating-chicken-noodle-soup-better-in-glass-bowls/

http://articles.chicagotribune.com/2013-01-22/lifestyle/sns-rt-us-melamine-chemicalbre90l0k5-20130122_1_melamine-tableware-kidney

16-09-2014

Il nostro pianeta è sempre più abitato: segno che la moltiplicazione della specie non ha mostrato nel tempo rallentamenti. Ma si può dire lo stesso della maggiore salute e forza degli esseri umani? Forse no. Nonostante i progressi della medicina, e il progresso in generale – che sia tecnologico o meno – a quanto pare la razza umana non sta meglio di un tempo. Verrebbe da pensare il contrario, dato che si dovrebbe andare sempre verso una migliore selezione ed evoluzione della specie. Invece, in base a quanto emerge da uno studio, le cose non stanno del tutto così. Quanto alla salute, basta guardarsi intorno per rendersi conto che le persone in realtà non stanno poi così bene. D’altronde siamo lo specchio dell’ambiente che ci circonda: e se questo è sempre più malato, non possiamo tirarcene fuori, dato che ne siamo interdipendenti. Ma quello di cui parliamo oggi è la forza. La forza muscolare che, secondo quanto emerso da uno studio condotto dai ricercatori dell’University of South Australia, viene sempre meno. In particolare, si è scoperto che le donne di oggi sono decisamente più deboli delle loro nonne – ma anche gli uomini non se la passano meglio.
Il dottor Grant Tomkinson e colleghi, hanno appurato che dagli anni Ottanta a oggi la resistenza muscolare è diminuita dall’8% al 10%, in media, tra le persone. E le più colpite sarebbero le donne. La capacità di esercitare sarebbe dunque messa in serio pericolo con il passare degli anni, anziché migliorare. Secondo la fisioterapista londinese Sammy Margo, stiamo assistendo a una vera e propria epidemia di donne deboli che non hanno forza muscolare, riporta il Daily Mail. Ci sono donne magre che non hanno muscoli che sostengono la colonna vertebrale, e signore in sovrappeso che non dispongono di muscoli sotto il grasso, fa notare Margo. Tra i vari colpevoli di questa situazione, gli esperti hanno ipotizzato vi siano la sedentarietà – e quindi il non esercitare i muscoli – la mania di essere sempre più magri e la conseguente dieta scorretta o povera: insomma, uno stile di vita scorretto. Quale che sia comunque la causa, ciò che fa pensare è proprio la maggiore debolezza delle persone che, non solo a livello muscolare, può essere fonte di diversi problemi di salute – soprattutto quando si tratta di far fronte agli attacchi dell’ambiente come virus, batteri, inquinamento e via discorrendo. Se queste sono le premesse, forse sarebbe ora che iniziassimo a preoccuparci.

 

http://www.dailymail.co.uk/health/article-2266092/Weaker-sex-Faddy-diets-fears-muscles-arent-feminine-left-modern-women-weaker-grannies.html

http://health.sify.com/modern-women-weaker-than-their-grannies/

http://archive.indianexpress.com/news/modern-women-weaker-than-their-grannies/1063520/

Martedì, 16 Settembre 2014 16:50

CANCRO AL SENO: INUTILE ELIMINARE I LINFONODI.

16-09-2014

Stanno facendo discutere in tutto il mondo i risultati di uno studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association da cui è emerso che lo svuotamento ascellare nelle donne con tumore al seno è una pratica che non ha alcuna incidenza sull’allungamento dell’aspettativa di vita. L’intervento è una conseguenza diretta dell’identificazione delle vie linfatiche quale canale di diffusione del cancro del seno. Scoperta che ha consentito di mettere a punto la tecnica del linfonodo sentinella grazie a cui è possibile verificare se il tumore è circoscritto o ha iniziato a propagarsi nell’organismo. “Per i pazienti in cui il linfonodo sentinella contiene metastasi, lo svuotamento ascellare [cioè l’eliminazione dei linfonodi ascellari] è lo standard di trattamento”, hanno scritto gli autori della ricerca.  Tuttavia, “non è chiaro se lo svuotamento incida sulla mortalità”. Si tratta di un dato essenziale, visto che l’intervento “può essere causa di complicazioni indiscutibili e spesso inaccettabili come sieroma [l’accumulo di siero nella cavità ascellare], infezioni o linfedema”, cioè l’ingrossamento del braccio per l’accumulo di linfa. Fino ad arrivare a deficit motori della spalla o del braccio a causa di lesioni a carico dei nervi. Per questa ragione il team di ricercatori coordinati dal Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York ha valutato l’impatto sulla mortalità di questo intervento.
La ricerca è stata condotta su quasi 900 donne con tumore al seno in stadio T1 e T2 (compresi tra 0,5 e 5 cm) e metastasi rilevate all’esame del linfonodo sentinella. Soltanto la metà di esse ha eseguito lo svuotamento ascellare, mentre i due gruppi hanno seguito il medesimo trattamento. A 5 anni, la mortalità nei due gruppi si è rivelato perfettamente sovrapponibile: 91,8 per cento nel gruppo che ha eseguito la dissezione ascellare, 92,5 nelle donne sottoposte soltanto al lifonodo sentinella. Nessuna differenza neanche nella sopravvivenza libera da malattia: 82,2 per cento nel primo gruppo, 83,9 nel secondo. Differenze abissali, invece, nei tassi di complicazioni: infezioni, sieroma e parestesie si sono verificate nel 70 per cento delle donne che avevano eseguito lo svuotamento ascellare e nel 25 delle altre. Dati che hanno indotto i ricercatori ad affermare che “l’implementazione di un cambiamento in questa pratica può migliorare gli esiti clinici in migliaia di donne ogni anno, riducendo le complicanze associate allo svuotamento ascellare e migliorando la qualità di vita. Senza che ciò incida su una riduzione della sopravvivenza”. Un cambiamento di rotta che potrebbe, in sostanza, avere ricadute immediate sui pazienti. Ma si tratta realmente di una novità? “Lo studio non sorprende per niente, dal momento che conferma quello che già si sapeva”, afferma Stefano Ciatto, consulente per lo screening mammografico di Padova e membro del consiglio scientifico della Scuola italiana di senologia. “Sappiamo da decenni che svuotare l’ascella non serve a salvare vite ma a capire come sarà la prognosi”, spiega. La positività al linfonodo sentinella, in sostanza, “dà semplici informazioni prognostiche, consente di sapere in quali soggetti il tumore è più aggressivo e si rifarà vivo”. Quindi, più che dare nuove indicazioni, lo studio pubblicato su Jama sottolinea l’inappropriatezza dello svuotamento ascellare così come eseguito finora. La pratica, infatti, spiega Ciatto, “andrebbe riservata soltanto ai soggetti che hanno un linfonodo ingrossato. In tal caso significa che la malattia cresce lì ed è quindi opportuno intervenire”. Tradotto in cifre, “per cento donne con cancro al seno, 30-35 hanno metastasi ascellari, ma soltanto 20 sono candidate allo svuotamento”, conclude.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21304082

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