Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

Mercoledì, 17 Dicembre 2014 07:47

CURCUMA CONTRO IL CANCRO AL SENO.

17-12-2014

Da anni, ormai, si cercano farmaci efficaci per combattere vari tipi di tumori e cancro. Le sostanze utilizzate e studiate sono molteplici, ma con molta probabilità, alla fine, si ritorna a prendere in considerazione anche gli antichi rimedi di origine naturale che la medicina millenaria da sempre usa come antitumorali. E’ forse il paradosso della scienza: cercare e cercare chissà quale novità, quando, alla fine l’antica sapienza aveva già tutte le risposte che oggi noi uomini moderni cerchiamo. Uno di questi esempi eclatanti deriva da uno studio condotto recentemente dall’Università di Louisville (Usa) nella cura contro il cancro al seno. Questa volta, la pianta esaminata è stata quella di curcuma, il cui rizoma contiene una sostanza anticancerogena: la curcumina. Si tratta di un rimedio conosciuto già migliaia di anni fa dalle antiche popolazioni orientali, che lo sfruttavano, tra le altre cose, proprio a tale scopo. Oggi la curcuma si trova un pò ovunque, in particolare nei negozi biologici e nei supermercati un pò forniti. In alternativa, è bene sapere che è uno degli ingredienti principali del famoso Curry.
Dagli esperimenti condotti dal dottor Ramesh C. Gupta e colleghi si è potuto constatare come la curcumina sia stata in grado di ridurre notevolmente le dimensioni del tumore negli animali da laboratorio e rallentare il tasso di riproduzione delle cellule cancerogene. Per arrivare a tali conclusioni sono state utilizzate delle capsule contenenti 200 milligrammi di polvere di curcumina. L’ingestione di capsule si è rilevata molto più attiva rispetto alla sola alimentazione a base di rizoma in polvere. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cancer Prevention Research.

 

http://www.medicaldaily.com/stop-breast-cancer-curry-compound-curcumin-shrinks-tumors-slows-growth-269034

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24501322

17-12-2014

I ‘soft drink’ potrebbero essere causa del cancro al pancreas. Eppure queste bibite a bassa gradazione zuccherate e gasate sono ormai insostituibili per aperitivi e cene. Secondo uno studio americano, pubblicato sulla rivista Cancer Epidemiology, Biomarkers and Prevention, chi consuma due o più volte a settimana i cosiddetti ‘soft drink’ vede aumentare dell'87% le probabilità di sviluppare la malattia, rispetto a chi invece non beve bevande del genere. Il motivo è che salgono esponenzialmente i livelli di zuccheri nel sangue, mettendo il pancreas sotto stress. Il team di ricercatori dell'Università del Minnesota ha controllato, per 14 anni, lo stato di salute di 60 mila uomini e donne residenti a Singapore. Tra questi, 140 soggetti hanno sviluppato nel tempo un tumore al pancreas. Secondo Mark Pereira, che ha diretto lo studio, proprio coloro che hanno manifestato la malattia bevevano spesso bevande zuccherate ed in genere avevano stili di vita non salutari. Nessun rischio, invece, dai normali succhi di frutta, anche se a elevato contenuto glicemico.
“I livelli elevati di zucchero nei soft drink possono aumentare il livello di insulina nel corpo, che riteniamo contribuisca alla crescita delle cellule tumorali nel pancreas”, ha spiegato il ricercatore americano. “Singapore è un paese ricco, con un sistema sanitario eccellente”, spiega Pereira, ricordando che nella sfarzosa città asiatica, “i passatempi preferiti sono mangiare e fare shopping”, come in gran parte dei paesi occidentali. Tuttavia, secondo Susan Taylor Mayne della Yale Cancer Centre, esistono in questo studio dei limiti dovuti al numero dei soggetti coinvolti: “Sebbene da questa ricerca è emerso un rischio, la conclusione si basa su un numero relativamente limitato di casi e non è chiaro se ci sia un nesso causale o meno. D'altronde a Singapore l'assunzione di soft drink potrebbe essere connessa anche ad un abuso di carne rossa e di fumo per i quali non sono stati raccolti i dati”. Anche per Giorgio Enrico Gerunda, direttore del Centro Trapianti e Chirurgia Epato-Bilio-Pancreatica dell'Università di Modena e Reggio Emilia, la relazione tra il cancro pancreatico e l'uso di bibite non è affatto chiara. “D'altronde queste bevande sono così diffuse mentre il cancro al pancreas così raro che siamo portati a credere che ci debba essere una predisposizione da parte di alcuni soggetti. Si ritiene che i pazienti diabetici siano più esposti, ma rimane comunque difficile trovare una connessione diretta tra diabete e questa forma di tumore”. Tuttavia, spiega il medico italiano, “uno stimolo protratto sul pancreas può effettivamente comportare dei rischi”.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Cancer+Epidemiology%2C+Biomarkers+and+Prevention+Mark+Pereira

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3404432/

15-12-2014

Gli oceani contengono alghe che producono alcune sostanze chimiche che possono essere dannose per l’uomo e per le altre creature viventi. Molte di queste sostanze chimiche sono considerate neurotossine perché causano danni al cervello. L’acido domoico, una neurotossina chiamata anche “Amnesic Shellfish Poisoning”, è resistente al calore, è una tossina molto stabile che sta diventando sempre più diffusa nelle regioni costiere, probabilmente a causa di cambiamenti ambientali. Può accumularsi in mitili, vongole, capesante e pesce e la FDA ha fissato un limite dei livelli di acido domoico nei frutti di mare, basata principalmente sui suoi effetti neurologici negativi, considerato sicuro. Poiché l’acido domoico viene eliminato dal corpo attraverso i reni, P. Darwin Bell, PhD, Jason Funk, PhD (Medical University of South Carolina), ed i loro colleghi hanno cercato di vedere se la tossina poteva avere effetti negativi anche su tali organi. Trattando i topi con dosi variabili di acido domoico, il gruppo ha trovato che il rene è molto più sensibile a questa tossina del cervello. “Abbiamo trovato che l’acido domoico danneggia i reni a concentrazioni che sono 100 volte inferiore a quello che provoca effetti neurologici”, ha detto il dottor Bell. ”Questo significa che gli esseri umani che consumano pesce possono essere ad aumentato rischio di danno renale che può portare ad insufficienza renale e dialisi”. Anche se i risultati devono essere verificati negli esseri umani, i ricercatori affermano che la FDA potrebbe riconsiderare il limite legale di acido domoico negli alimenti, a causa della sua tossicità renale.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=P.+Darwin+Bell%2C+Jason+Funk

Lunedì, 15 Dicembre 2014 13:58

PLASTICA NEGLI ALIMENTI E RISCHIO CANCRO.

15-12-2014

Che in alcuni casi la plastica fosse pericolosa lo si sapeva da tempo. Ma una nuova ricerca mette in luce l’alto rischio di cancro quando si usano di frequente alimenti chiusi in confezioni contenente il bisfenolo A, alias BPA, contenuto negli involucri plastificati. A suggerirlo sono stati alcuni ricercatori dell’Università del Michigan che, in merito ai loro studi appena condotti, sono riusciti a dimostrare l’esistenza di un legame tra una dieta con “contorno” di BPA nelle giovani donne e il rischio di tumore nei loro figli.
Lo studio, eseguito su modello animale e coordinato dalla studentessa Caren Weinhouse della Scuola del Dipartimento di Scienze della Salute Ambientale della Sanità Pubblica dell’Università del Michigan, ha evidenziato il pericolo nel 27 per cento dei topi esposti a tre diverse dosi di BPA, attraverso la dieta della madre. Tale percentuale ha fatto sì che si sviluppassero tumori del fegato o lesioni pre-cancerose. La probabilità era direttamente proporzionale al rischio di sviluppare un tumore. Le madri che avevano ricevuto il dosaggio più elevato, ovvero 50 milligrammi di BPA per ogni chilo di peso corporeo, si sono dimostrate essere sette volte più esposte al pericolo di sviluppare un tumore, rispetto alle mamme che non erano esposte al BPA. Per arrivare a tali conclusioni, i ricercatori hanno alimentato per 6 settimane i topi femmine con alimenti che contenevano dosi normalmente riscontrabili nei cibi che si acquistano. La dieta è stata fornita durante l’accoppiamento, in gravidanza e durante l’allattamento. La prole è poi stata seguita per dieci mesi. Si può dunque affermare che la prole sia stata esposta sin dai primi attimi di vita e che quindi l’effetto potrebbe risultare differente se l’esposizione avesse coinvolto esclusivamente un adulto.
Il Bisfenolo A, è una delle sostanze che si trova con maggior probabilità nella plastica per alimenti, ma è contenuto anche nelle lattine e persino negli scontrini della spesa. Ricordiamo che alcuni tipi di materiali, come quelle usato per le bottigilie (PET) non contiene il BPA. Però lo contengono tutti i contenitori in policarbonato e quindi anche certi biberon potrebbero essere a rischio, anche se dopo l’allarme lanciato alcuni anni fa le aziende produttrici dovrebbero averli eliminati dal commercio. Per approfondimenti, si può leggere l’intero studio sulla rivista Environmental Health Perspectives.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Environmental+Health+Perspectives+Caren+Weinhouse

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4014767/

15-12-2014

Una nuova ricerca condotta dagli scienziati statunitensi del CDC (Centers for Disease Control and Prevention) di Atlanta ha preso in esame e stimato l’associazione tra il consumo di zuccheri aggiunti e le malattie cardiovascolari, o CVD. Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati su JAMA Internal Medicine, e condotto dal dott. Quanhe Yang e colleghi del CDC mostra che la percentuale media di calorie giornaliere da aggiunta di zucchero è aumentata dal 15,7 per cento del periodo 1988-1994 al 16,8 per cento nel periodo da 1999 al 2004 e poi diminuita al 14,9 per cento tra il 2005 e il 2010. Nonostante ciò, il rischio malattia cardiovascolare e i tassi di morte correlati sono rimasti a livelli preoccupanti.
Secondo Yang e colleghi le principali fonti di zuccheri nella dieta sono le bevande zuccherate, i dolci a base di cereali (come biscotti, merendine eccetera), bevande alla frutta, dessert di latte e caramelle. Una lattina normale di bibita zuccherata contiene circa 35 g di zucchero (per un totale di circa 140 calorie). Le stime ricavate dagli scienziati riguardo al maggiore apporto di calorie da consumo di zuccheri aggiunti riportano che la maggioranza degli adulti (il 71,4%) ha assunto il 10 per cento di calorie in più, mentre il 10% degli adulti ha assunto il 25% di calorie in più.
La correlazione tra rischio di morte per malattie cardiovascolari è dose-dipendente, ossia aumenta con una maggiore percentuale di calorie ricavate dagli zuccheri aggiunti. E, maggiore è il consumo di bevande e alimenti zuccherati, maggiore era il rischio di malattie cardiovascolari. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda l’assunzione di zuccheri aggiunti a meno del 10 per cento, e l’American Heart Association raccomanda di limitare gli zuccheri aggiunti a meno di 100 calorie al giorno per le donne e 150 calorie giornaliere per gli uomini. A conclusione dello studio, gli autori raccomandano di attenersi a quelle che sono le linee guida e limitare l’assunzione di calorie da zuccheri aggiunti nella dieta.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=JAMA+Internal+Medicine+Quanhe+Yang

15-12-2014

Una nuova ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Aging Cell suggerisce che un aiuto contro la drammatica perdita di memoria che si manifesta nei pazienti affetti da demenza e malattia di Alzheimer potrebbe arrivare da frutta e verdura: in particolare fragole, mirtilli e cetrioli. Sarebbe una sostanza contenuta nei vegetali ad agire contro la perdita di memoria e il deficit cognitivo nei modelli animali utilizzati per questo studio, condotto dai ricercatori del Salk Institute for Biological Studies in California. I ricercatori, somministrando a un gruppo di topi con sintomi di Alzheimer una dose giornaliera di Fisetina, un flavanolo naturale della famiglia dei flavonoidi, hanno scoperto che questa sostanza impediva il deterioramento della memoria e dell’apprendimento. La sostanza somministrata non ha tuttavia modificato la formazione di placche amiloidi nel cervello, ossia quelle sostanze imputate di essere un biomarcatore della malattia di Alzheimer. Nonostante ciò, i risultati dello studio suggeriscono che si possa intervenire nel trattamento dell’Alzheimer a prescindere dalla presenza delle placche amiloidi. «Avevamo già dimostrato che in animali normali, la fisetina può migliorare la memoria – spiega la dott.ssa Pamela Maher, ricercatrice senior del Salk’s Cellular Neurobiology Laboratory e principale autrice dello studio – Quello che abbiamo mostrato qui è che può anche avere un effetto sugli animali a rischio di Alzheimer».
La ricercatrice si riferiva a una ricerca condotta più di un decennio fa, in cui aveva scoperto che la fisetina aiuta a proteggere i neuroni nel cervello dagli effetti dell’invecchiamento. Maher e colleghi hanno dimostrato sia in laboratorio su colture cellulari che su animali che il composto ha effetti sia antiossidanti che antinfiammatori sulle cellule del cervello. In questo nuovo studio hanno aggiunto evidenze che la fisetina accende una via cellulare nota per essere coinvolta nella memoria. «Quello che abbiamo capito è che la fisetina ha una serie di proprietà che riteniamo potrebbero essere utili quando si tratta di Alzheimer. E anche se la malattia comunque progrediva, la fisetina era in grado di continuare a prevenire i sintomi», conclude Maher.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24341874

Lunedì, 15 Dicembre 2014 13:52

ALLERGIA ALLE ARACHIDI: ECCO LA SOLUZIONE.

15-12-2014

Le arachidi come cura dell’allergia alle arachidi. Può sembrare un controsenso, ma è quanto invece suggerito da un nuovo studio condotto dai ricercatori del Cambridge University Hospitals e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet medical journal. Secondo quanto studiato dal dott. Andrew Clark e colleghi, la soluzione all’allergia si trova proprio nelle proteine delle arachidi che possono essere somministrare in piccole dosi giornaliere, permettendo così nel giro di pochi mesi di risolvere il problema. Lo studio ha infatti dimostrato che i bambini allergici sono in grado di tollerare piccole dosi giornaliere di proteine delle arachidi assunte sotto forma di farina che sia stata miscelata insieme a del normale cibo, per poi arrivare a mangiare le arachidi vere e proprie, che prima erano causa di pericolose reazioni allergiche – se non veri e propri shock anafilattici. «Prima del trattamento – spiega il dott. Clark – i bambini e i loro genitori erano costretti a controllare ogni etichetta alimentare ed evitare di mangiare fuori casa o nei ristoranti. Ora, la maggior parte dei pazienti dello studio può tranquillamente mangiare almeno cinque noccioline intere. Le famiglie coinvolte in questo studio dicono che questo ha cambiato la loro vita in modo clamoroso».
Per lo studio, i ricercatori hanno coinvolto 99 bambini e ragazzi di età compresa tra i 7 e i 16 anni, tutti con problemi di allergia alle arachidi. Ai partecipanti, suddivisi a caso in due gruppi, sono state somministrate dosi controllate di proteine di arachidi che andavano aumentando di mese in mese, per un totale di 6 mesi di test. Gli appartenenti al gruppo di controllo invece hanno continuato ad assumere cibi che non contenessero arachidi o tracce di esse. Al termine dello studio, gli appartenenti al primo gruppo avevano raggiunto l’assunzione di proteine equivalente a 800 mg (come 5 arachidi intere). E risultati finali hanno mostrato che tra l’84% e il 91% dei partecipanti potevano tranquillamente assumere 5 arachidi intere senza mostrare reazioni allergiche. Per contro, i bambini appartenenti al gruppo di controllo hanno mostrato di continuare a non tollerare l’assunzione di cibi che contenessero anche soltanto tracce di proteine delle arachidi o di arachidi stesse. In seguito a questa constatazione, anche il gruppo di controllo è stato sottoposto allo stesso trattamento, arrivando al termine del periodo di test di 6 mesi agli stessi positivi risultati del primo gruppo. «Questo trattamento ha consentito ai bambini soggetti a tutte le complicanze dell’allergia alle arachidi di mangiare grandi quantità di arachidi, ben al di sopra dei livelli che si trovano in snack e pasti contaminati, liberando loro e i loro genitori dalla paura di un potenziale pericolo di vita da reazione allergica», conclude il dottor Clark.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=The+Lancet+medical+journal++Andrew+Clark

14-12-2014

L’idea di fondo è meritevole: migliorare l’igiene orale e prevenire le malattie della bocca come l’infiammazione gengivale, la carie e così via. Per cui l’uso di un collutorio antibatterico può essere visto come un’azione benefica e consigliata. Allora perché usare un collutorio di questo genere può essere addirittura causa di un attacco di cuore? Cosa c’entra l’infarto o l’ictus con l’igiene orale? Secondo un nuovo studio, c’entra. E, in particolare, c’entrano i batteri che popolano il cavo orale. L’uso di un collutorio antibatterico, un pò come avviene con l’uso dei farmaci antibiotici, uccide infatti sia i batteri “cattivi” che, ahimè, quelli “buoni”. E sono proprio quelli buoni che promuovono il rilassamento dei vasi sanguigni; per cui se questi non ci sono più e non possono svolgere il proprio compito, vi può essere un aumento della pressione sanguigna con conseguente potenziale attacco di cuore, ictus e altri eventi correlati all’ipertensione.
L’inquietante scoperta è stata fatta dalla prof.ssa Amrita Ahluwalia della Queen Mary, University of London, che insieme ai colleghi ha analizzato gli effetti di alcuni collutori sulla flora batterica del cavo orale, pubblicando poi i risultati del loro studio sulla rivista Free Radical Biology And Medicine. Risultati che suggeriscono come i batteri buoni abbiano un ruolo molto importante nel mantenimento di una corretta pressione sanguigna, per cui uccidere questo tipo di batteri è «un disastro». Secondo la Ahluwalia, infatti, piccoli aumenti nella pressione sanguigna hanno un impatto significativo sulla morbilità e mortalità da malattie cardiache e ictus. Durante lo studio i ricercatori hanno seguito 19 persone sane che dovevano utilizzare un noto collutorio antibatterico due volte al giorno. I soggetti sono stati oggetto, sia al basale che durante lo studio, a misurazioni della pressione sanguigna.
Le misure hanno mostrato che la pressione sanguigna dei partecipanti variava tra le 2 e le 3,5 unità. Questo, secondo gli scienziati, significa che per ogni aumento di due punti della pressione sanguigna, il rischio di morire di malattie cardiache aumenta del 7%, e il rischio di morire di ictus del 10%. L’azione dei collutori antibatterici si rivolge sia ai batteri responsabili di carie e infiammazioni gengivali che su quelli buoni che producono una sostanza chiamata “nitrito”, il quale agisce direttamente sulla muscolatura liscia dei vasi sanguigni provocandone la dilatazione. Va da sé che se cessa la produzione di questa sostanza i vasi non riescono in questo processo, con conseguente aumento della pressione. Senza dunque creare allarmismi, è bene valutare con cognizione di causa se sia necessario o meno l’uso di collutori antibatterici. Nel dubbio, è bene rivolgersi al proprio medico di fiducia, specie se si è già soggetti all’ipertensione.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Physiological+role+for+nitrate-reducing+oral+bacteria+in+blood+pressure+control

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3605573/

14-12-2014

Si chiama idrossitirolo ed è uno dei componenti più importanti dell’olio di oliva. E grazie ai ricercatori probabilmente verrà sfruttato nella lotta contro il cancro al seno nelle donne in pre-menopausa. La sostanza è stata recentemente esaminata al Houston Methodist Cancer Center (Stati Uniti) al fine di comprenderne l’eventuale effetto positivo sulla densità del seno in seguito a un anno di trattamento. L’idea è di Tejal Patel, medico e oncologo dell’HMCC, in seguito a recenti ipotesi che trovavano un’associazione tra la densità del seno e il cancro. Lo studio, che inizierà a breve, intende quindi mostrare le potenzialità del componente dell’olio d’oliva nella riduzione della densità del seno. «Sappiamo che esiste una correlazione tra la densità del seno e il cancro al seno – spiega Patel– Una diminuzione della densità di una determinata percentuale può potenzialmente tradursi in un quasi 2 per cento di ridotto rischio di sviluppare il tumore». Le recenti ricerche hanno avvalorato ciò che da sempre la medicina popolare sosteneva: l’olio extravergine di oliva è un eccellente protettivo della salute; può ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, ipertensione ed effetti correlati come l’ictus. «La nostra speranza è quella di poter offrire alle donne un supplemento che contribuisca a ridurre il rischio di cancro al seno – aggiunge Patel – Abbiamo già dimostrato che possiamo prevenire alcuni tipi di carcinoma mammario; ora dobbiamo trovare il modo per farlo al meglio».
Per comprendere appieno le potenzialità della sostanza, il team di ricerca arruolerà 100 donne volontarie, di cui 50 in pre-menopausa e 50 in post-menopausa. A ognuna verranno forniti 25 milligrammi di idrossitirosolo in capsule da assumere quotidianamente per un anno. Le visite di controllo verranno eseguite ogni tre mesi. Il team ha scelto volontariamente di non adoperare alcun placebo. Con questo genere di ricerca si potranno così verificare eventuali cambiamenti nella densità del seno ed effetti avversi, qualora si presentassero. Tuttavia è bene dire che l’idrossitirosolo è stato già studiato precedentemente sia negli esseri umani che nelle colture cellulari in laboratorio, e dai risultati era già emersa la sua incredibile proprietà antiossidante, giudicata come una delle più potenti finora conosciute. Sempre gli stessi studi avevano anche evidenziato la sua bassissima tossicità anche in dosi minime.

 

http://www.sciencedaily.com/releases/2014/01/140122112401.htm

http://www.houstonmethodist.org/methodist.cfm?xyzpdqabc=0&id=495&action=detail&ref=1173

14-12-2014

I risultati presentati all'American Association for Frontiers del Cancer Research in Cancer Prevention Research Conference, suggeriscono che una piccola porzione giornaliera di pistacchi può ridurre il rischio individuale di sviluppare tumori del polmone. Gli esperti da tempo sostengono che la dieta ricca di vitamina E o più specificamente un tipo di vitamina E nota come gamma-tocoferolo, offre una certa protezione da alcune forme di cancro ai polmoni. I pistacchi sono facilmente accessibili e contengono quantità relativamente elevate di gamma-tocoferolo, per volume totale. Essi sono anche noti per essere una buona fonte di antiossidanti e hanno dimostrato di contribuire a bassi livelli di colesterolo. Secondo Ladia Hernandez, dietista senior di ricerca presso l’Università del Dipartimento di Epidemiologia del Texas MD Anderson Cancer Center di Houston, mangiare cibi, come i pistacchi, che sono naturalmente ricchi di gamma-tocoferolo, potrebbero essere un valido mezzo per diminuire il rischio di cancro al polmone.
In uno studio condotto presso l’Università del Texas Woman – Houston Centro campus, 36 partecipanti complessivamente sani sono stati divisi casualmente in gruppi di controllo e test sperimentali. I membri assegnati al gruppo di prova sperimentale dello studio sono stati istruiti a consumare circa 2 grammi di pistacchi al giorno. I membri del gruppo di controllo, hanno invece continuato con le loro normali diete preesistenti. Dopo un periodo iniziale di valutazione di base di due settimane, durante le quali sono stati stabiliti i singoli normali livelli sierici di sangue, a ciascuno dei partecipanti sono stati fatti esami del sangue settimanali per un ulteriore periodo di quattro settimane per determinare se c’erano stati dei cambiamenti. Secondo Hernandez ed i suoi colleghi, i partecipanti al gruppo sperimentale che hanno consumato pistacchi, avevano maggiori livelli sierici di gamma-tocoferolo, rispetto ai loro omologhi del gruppo di controllo e ridotto colesterolo. L’indice di massa corporea individuale è rimasta relativamente costante tra i membri del gruppo sperimentale dello studio. Ciò dimostra non solo che il consumo regolare di pistacchi può aiutare a ridurre il rischio di cancro ai polmoni, ma che non ci sono effetti collaterali indesiderati dal consumo, come aumento di peso che potrebbe potenzialmente minare i loro benefici per la salute.

 

http://www.naturalnews.com/027732_pistachios_cancer.html

http://www.sciencedaily.com/releases/2009/12/091208191956.htm

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