Angelo Ortisi
IL TE' FREDDO PUO' CONTRIBUIRE ALLO SVILUPPO DI CALCOLI RENALI.
11-12-2014
Un urologo della Loyola University Medical Center avverte: bere tè freddo può contribuire al rischio di sviluppare dolorosi calcoli renali. Il tè freddo contiene alte concentrazioni di ossalato, una delle sostanze chimiche chiave che portano alla formazione di calcoli renali, un disturbo comune del tratto urinario che colpisce circa il 10 per cento della popolazione degli Stati Uniti. “Per le persone che hanno la tendenza a formare il tipo più comune di calcoli renali, il tè freddo è una delle cose peggiori da bere”, ha detto il dottor John Milner, assistente universitario del Dipartimento di Urologia della Loyola University Chicago Stritch School of Medicine. La causa più comune di calcoli renali è ”non bere liquidi a sufficienza”. Soprattutto durante l’estate, le persone possono disidratarsi a causa dell’eccessivo sudare. Disidratazione, combinata con l’aumento del consumo di tè freddo, aumenta il rischio di calcoli renali, soprattutto nelle persone già a rischio. ”Alla gente viene consigliato in estate, di bere più liquidi”, ha spiegato Milner. ”Molte persone scelgono di bere tè freddo perché è a basso contenuto di calorie e ha un sapore migliore rispetto all’acqua. Tuttavia, in termini di calcoli renali, potrebbe causare dei danni…”. Anche il tè caldo contiene ossalato, ma è più difficile berne abbastanza da causare calcoli renali, ha detto Milner. Circa l’85 per cento del tè consumato negli Stati Uniti è “ghiacciato”, secondo l’Associazione Tea degli Stati Uniti.
Gli uomini hanno quattro volte più probabilità di sviluppare calcoli renali rispetto alle donne e il rischio aumenta drasticamente dopo i 40 anni. Le donne in postmenopausa con bassi livelli di estrogeni e le donne che hanno subìto la rimozione delle ovaie, sono anche a maggior rischio. I calcoli renali sono piccoli cristalli formati di minerali e sale normalmente presenti nelle urine, nei reni o ureteri, i piccoli tubi che drenano l’urina dal rene alla vescica. I calcoli renali di solito sono così piccoli che sono innocui e vengono espulsi dal corpo, naturalmente. Per placare la sete e idratare correttamente, l’acqua è la scelta migliore, ha continuato Milner, una limonata fatta da limoni spremuti (non in polvere) è un’altra buona opzione. ”I limoni sono ricchi di citrati, che inibiscono la crescita dei calcoli renali”. E’ consigliabile che le persone a rischio di calcoli renali elimino dalla loro dieta i cibi che contengono elevate concentrazioni di ossalati, come gli spinaci, cioccolato, rabarbaro e noci. Essi dovrebbero diminuire l’apporto di sale, mangiare carne con moderazione, bere diversi bicchieri di acqua al giorno e mangiare alimenti che forniscono adeguate quantità di calcio, che riduce la quantità di ossalato che il corpo assorbe. “A molte persone piace bere il tè freddo in estate”, ha detto Milner. «Ma non bisogna esagerare. Come per tante cose di una vita sana, la moderazione è la chiave”.
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/08/120802111332.htm
http://www.newswise.com/articles/iced-tea-can-contribute-to-painful-kidney-stones
IL LATTE? UN COCKTAIL DI PRODOTTI CHIMICI.
11-12-2014
Il latte fa bene, il latte è un alimento sano, sostengono molti nutrizionisti. E, difatti, il latte di per sé può in effetti esserlo. Ma cosa può contenere un bicchiere di latte oltre ai suoi noti componenti? Secondo lo scienziato spagnolo dell’Università di Jaen, Evaristo Ballesteros, in un bicchiere di latte c’è un vero e proprio cocktail di prodotti chimici – per lo più farmaci come antibiotici, antidolorifici…per un totale di circa 20 sostanze “estranee”. Per scoprire se e quante sostanze, in più, fossero contenute nel latte, i ricercatori si sono avvalsi di un test altamente sofisticato e sensibile. Con questo metodo hanno analizzato 20 campioni di latte vaccino (ossia di mucca), latte di capra e latte materno. I risultati hanno mostrato che nessun tipo di latte era esente dalla presenza di sostanze estranee. Quello che tuttavia presentava maggiori quantità era proprio il latte vaccino. Anche se la misura di sostanze chimiche presenti era molto bassa, i ricercatori sottolineano che ormai le sostanze chimiche artificiali sono presenti in tutta la catena alimentare; da qui il motivo per cui sono state trovate anche nel latte materno.
I risultati dello studio sono stati pubblicati sul “Journal of Agricultural and Food Chemistry” e mostrano come nel latte vaccino fosse più marcata la presenza di farmaci antinfiammatori e antidolorifici contenenti acido niflumico, acido mefenamico e ketoprofene, ma anche una forma di estrogeni quali l’ormone 17 beta-estradiolo. Quest’ultimo, in particolare, è stato rilevato in tre milionesimi di grammo per ogni chilo di latte; la più alta dose di acido niflumico rilevata è stata meno di un milionesimo di grammo per chilo di latte. Questo tipo di test, sottolineano gli scienziati, potrebbe essere utile nel rilevare la presenza di sostanze estranee anche in altri tipi di alimenti. «Riteniamo che la metodologia contribuirà a fornire un modo più efficace per determinare la presenza di questi tipi di contaminanti nel latte o altri prodotti [alimentari]. I laboratori di controllo qualità del cibo potrebbero utilizzare questo strumento per rilevare i farmaci prima che entrino nella catena alimentare. Ciò contribuirebbe a sensibilizzare i consumatori e dare loro la consapevolezza che il cibo è…innocuo, puro, genuino, benefico per la salute e privi di residui tossici», ha concluso Ballesteros.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21469656
L'ASPIRINA PUO' AUMENTARE IL RISCHIO DI MALATTIA DI CROHN.
11-12-2014
C’è un ampio corpus di documentazione di supporto alla capacità della piccola pillola bianca, di prevenire infarto e ictus, così come una serie di altri problemi di salute gravi come la formazione di coaguli di sangue in soggetti ad alto rischio. Più di recente tuttavia, un numero crescente di evidenze dimostra gravi effetti collaterali associati al suo uso quotidiano. Quali sono i pericoli collegati all’assunzione di aspirina? Assunte regolarmente per un periodo prolungato di tempo, anche piccole quantità di aspirina possono portare alla formazione di ulcere intestinali. Quantità maggiori sono state associate con tinnito (ronzio nelle orecchie) e interazione con una serie di altri farmaci. C’è anche un piccolo ma notevole potenziale di reazioni allergiche, soprattutto nei bambini più piccoli. L’aspirina è il più antico dei “farmaci antinfiammatori non steroidei”.
Ora, secondo i ricercatori dell'University of East Anglia (UAE) nel Regno Unito, sembra che l’assunzione regolare di aspirina può anche aumentare il rischio di sviluppare il morbo di Crohn, fino a cinque volte. La malattia di Crohn è una forma devastante di malattia infiammatoria intestinale (IBD) che può causare gravi irritazioni e persino sanguinamento, sull’intero tratto digestivo. Il suo impatto sui tessuti dell’apparato digerente è indiscusso. La tendenza dell’aspirina a causare le ulcere con l’uso prolungato, ha inizialmente portato i ricercatori universitari a studiare la sua connessione con la malattia di Crohn. I ricercatori hanno condotto indagini su 200.000 partecipanti che erano stati coinvolti in uno studio europeo precedente, iniziato nel 1993, che si è concentrato sul legame tra cancro, la nutrizione e l’uso di aspirina.
I gruppi di ricerca hanno seguito i volontari di età compresa tra 30-74 anni che vivono nel Regno Unito, Svezia, Danimarca, Germania e Italia. Un piccolo, ma statisticamente notevole numero di questi volontari, ha cominciato a sperimentare la malattia di Crohn. Il dottor Andrew Hart della School of Medicine della UEA dice: “Questo è il primo lavoro, ma i nostri risultati suggeriscono che l’uso regolare di aspirina potrebbe essere uno dei molti fattori che influenzano lo sviluppo di questa malattia dolorosa in alcuni pazienti”. I ricercatori avvertono che mentre i numeri suggeriscono fortemente che ci può essere una connessione tra l’uso di aspirina regolare e morbo di Crohn, sono necessarie ulteriori indagini.
http://www.sciencedaily.com/releases/2010/05/100503192451.htm
http://www.eurekalert.org/pub_releases/2010-05/uoea-ruo042210.php
LA MELATONINA PUO' RIDURRE IL RISCHIO DI CANCRO ALLA PROSTATA.
11-12-2014
La melatonina, sostanza fondamentale per la regolazione del ritmo sonno-veglia, pare sia anche correlata a un rischio maggiore o minore di sviluppare il cancro alla prostata in base ai livelli presenti nell’organismo. Questo è quanto emerso da un nuovo studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Epidemiologia della Harvard School of Public Health di Boston. Presentato alla AACR-Prostate Cancer Foundation Conference on Advances in Prostate Cancer Research tenutasi a San Diego dal 18 al 21 gennaio 2014, lo studio si è concentrato sugli effetti della melatonina, la sostanza prodotta in maniera esclusiva durante le ore notturne, in presenza però di buio. Il suo ruolo nel controllo e regolazione dei ritmi circadiani, o dell’orologio biologico interno all’organismo, è ritenuto di fondamentale importanza. Per cui un’alterazione nella produzione può dare adito a diversi problemi nei processi biologici legati al ciclo sonno/veglia.
La melatonina, tuttavia, non si limita al campo inerente ai ritmi circadiani, ma si ritiene abbia un ruolo nella regolazione di una serie di altri ormoni che influenzano alcuni tumori, tra cui quelli del seno e della prostata. «La perdita di sonno e altri fattori possono influenzare la quantità di secrezione di melatonina o bloccarla del tutto – ha spiegato Sarah C. Markt, principale autrice dello studio – e i problemi di salute associati con una bassa produzione di melatonina, l’interruzione del sonno, e/o l’interruzione del ritmo circadiano sono ampi, tra cui un potenziale fattore di rischio per il cancro». «Abbiamo scoperto – ha aggiunto Markt – che gli uomini con più alti livelli di melatonina hanno avuto un 75 per cento di riduzione del rischio di sviluppare il cancro della prostata avanzato rispetto agli uomini che avevano livelli più bassi di melatonina. I nostri risultati dovranno essere replicati, ma sostengono l’implicazione per la sanità pubblica dell’importanza di mantenere un ciclo luce/buio e di sonno/veglia stabili. Poiché i livelli di melatonina sono potenzialmente modificabili, sono assicurati ulteriori studi sulla melatonina e il rischio di cancro alla prostata e la sua progressione».
Per sostenere le proprie ipotesi, i ricercatori hanno condotto uno studio di coorte caso-controllato su 928 uomini di cui è stata studiata l’associazione tra i livelli nelle urine del principale prodotto di ripartizione della melatonina, 6-sulfatossimelatonina, e il rischio di cancro alla prostata. Da tutti i partecipanti, Markt e colleghi hanno raccolto campioni di urina mattutina al momento del reclutamento, e hanno poi chiesto ai volontari di rispondere a un questionario sui modelli di sonno. Dai dati raccolti in base alle risposte fornite al questionario, i ricercatori hanno trovato che un uomo su sette ha segnalato problemi nell’addormentarsi; uno su cinque ha segnalato problemi nel restare addormentato, e quasi uno su tre ha riferito assumere farmaci per dormire. Per quel che invece riguardava gli esami delle urine, si è trovato che il valore medi di 6-sulfatossimelatonina in tutti i partecipanti allo studio era di 17,14 nanogrammi per millilitro di urina. Tuttavia, gli uomini che avevano riferito di un’assunzione di farmaci per il sonno, problemi ad addormentarsi e problemi nel mantenere il sonno avevano livelli significativamente più bassi di 6-sulfatossimelatonina rispetto agli uomini senza problemi di sonno.
Durante il periodo di follow-up abbracciato dallo studio (2002-2009) a 111 dei partecipanti è stato diagnosticato il cancro alla prostata, di cui 24 con uno stadio avanzato della malattia. Le analisi hanno così evidenziato che i partecipanti i cui livelli di 6-sulfatossimelatonina erano superiori al valore medio avevano beneficiato di un 75% di diminuzione del rischio di carcinoma della prostata avanzato. Infine, è stato osservato un 31% di riduzione del rischio di cancro alla prostata in generale, sebbene il dato non fosse statisticamente significativo. «Sono necessari ulteriori studi prospettici per indagare circa l’interazione tra la durata del sonno, i disturbi del sonno e livelli di melatonina sul rischio per il cancro alla prostata», ha concluso Markt.
http://www.sciencedaily.com/releases/2014/01/140120085058.htm
http://www.huffingtonpost.com/2014/01/20/melatonin-prostate-cancer_n_4618939.html
http://www.eurekalert.org/pub_releases/2014-01/aafc-mml011314.php
TE' VERDE PERICOLOSO INSIEME AI FARMACI PER LA PRESSIONE.
09-12-2014
L’ipertensione è un male moderno e i farmaci contro la pressione alta sono molto diffusi e utilizzati, soprattutto dagli over cinquanta. Per tale motivo è bene conoscere l’interazione che anche alimenti o bevande d’uso comuni possono avere con questa tipologia di medicinali. A offrire suggerimenti in merito sono alcuni ricercatori della Fukushima Medical University, che hanno scoperto come del semplice tè verde – usato quotidianamente da molte persone – potrebbe disturbare l’assorbimento di un principio attivo denominato Nadolol, presente soprattutto in un farmaco di frequente prescritto e somministrato in Italia: il Corgard. Ma lo si può trovare anche in altri farmaci come l’Anabet, il Solgol, il Corzide, l’Alti-Nadolol, l’Apo-Nadol e il Novo-Nadolol. Il principio attivo è usato soprattutto per il trattamento della pressione alta a altre patologie cardiovascolari. Per comprendere appieno l’interazione tra tè verde e Nadol è stato somministrato a 10 volontari una dose singola del farmaco – pari a 30 mg di Nadololo – dopo aver consumato circa tre tazze al giorno di tè verde. Lo studio, della durata di quattordici giorni, prevedeva anche un gruppo di controllo a cui era stata data da bere della semplice acqua. Durante il confronto dei risultati era possibile notare, nei consumatori di tè, un valore ematico inferiore del 76% rispetto a chi aveva bevuto della semplice acqua potabile. Per tale motivo, gli autori dello studio guidati da Shingen Misaka consigliano: «i pazienti trattati con Nadololo dovrebbero evitare di assumere il tè verde».
«Gli individui che assumono Nadololo e consumano anche tè verde, dovrebbero essere consapevoli di questa potenziale interazione e discuterne con il loro medico», spiega il dottor Gregg Fonarow, professore di cardiologia presso l’Università della California a Los Angeles (UCLA) e portavoce dell’Heart Association Americana. È bene comunque dire che Fonarow ha basato questa dichiarazione esclusivamente vedendo i risultati, ma senza aver preso parte allo studio, che è stato condotto in collaborazione con altre università presenti in Germania e Italia. Indubbiamente il tè verde non è l’unico alimento-bevanda che interagisce con questo o altri farmaci. Non possiamo non citare l’ormai famoso succo di pompelmo che, come da tempo si sa, potrebbe aumentare notevolmente l’effetto di un farmaco se assunto in concomitanza di quest’ultimo. Ricordiamo che il Nadolol, non è un semplice antipertensivo ma è un beta-bloccante non selettivo, usato anche per il dolore toracico, malattie cardiache, angina. Negli ultimi anni il suo uso viene sfruttato anche in caso di emicranie, iperattività, tremore essenziale e malattia di Parkinson.
Fonarow spiega che, in ogni caso, come beta-bloccante è poco usato in America. Così come conferma la dottoressa Suzanne Steinbaum – cardiologo e direttore del Women’s Heart Health del Lenox Hill Hospital, di New York City. «Non è comunemente usato come beta-bloccante» e tra i limiti dello studio, spiega Steinbaum, vi è l’inclusione di un numero troppo piccolo di pazienti. Inoltre, «E’ raro vedere un paziente che beve più di due tazze di tè verde al giorno». Oltre a ciò, secondo Fonarow, mancano alcuni dati essenziali dai risultati dello studio: «Non è chiaro se i pazienti che usano altri farmaci per il cuore e bevono il tè verde siano inclusi, o se questi risultati si applicano anche al tè nero». Secondo il medico, nello studio, manca anche la relazione causa/effetto. Per tali motivi, anche i ricercatori sono d’accordo sul fatto che sono necessari ulteriori studi.
http://news.health.com/2014/01/13/green-tea-may-interfere-with-a-blood-pressure-medicine/
LA FIBRA ALIMENTARE RIDUCE L'ASMA.
09-12-2014
La Fibra Alimentare, o fibra dietetica, è costituita da carboidrati complessi e altre sostanze non assimilabili dall’organismo perché resistenti alla digestione da parte degli enzimi dell’intestino tenue. Una dieta ricca di fibra alimentare riduce la gravità dell’asma secondo uno studio pubblicato online su Nature Medicine. Questi risultati evidenziano come la dieta possa influenzare lo sviluppo delle cellule immunitarie e la malattia al di fuori dell’intestino. Negli ultimi decenni, l’incidenza di asma è aumentata nei paesi in via di sviluppo, mentre il consumo di fibra alimentare è diminuito in questi paesi. Sebbene l’assunzione di fibra alimentare può migliorare i disturbi gastrointestinali, non è chiaro se essa può influenzare l’infiammazione al di fuori dell’intestino.
Benjamin Marsland ed i suoi colleghi riferiscono che i topi alimentati con una dieta povera di fibre hanno sviluppato infiammazione polmonare in risposta alla sfida degli allergeni, mentre quelli nutriti con una dieta ricca di fibre, arricchita con pectina, hanno ridotto le malattie allergiche delle vie respiratorie. Gli autori ritengono che le fibre alimentari alterano la composizione dei batteri nell’intestino. Una volta ingeriti, questi batteri elaborano la fibra e rilasciano metaboliti, chiamati acidi grassi a catena corta, che entrano nella circolazione sanguigna e influenzano lo sviluppo delle cellule immunitarie in altre parti del corpo, compresi i polmoni. Nei topi, la somministrazione di propionato, un acido grasso a catena corta prodotto quando i batteri intestinali metabolizzano la fibra, ha ridotto l’infiammazione allergica nel polmone e suscitato lo stesso effetto protettivo della dieta ricca di pectina.
http://www.nature.com/nm/journal/v20/n2/full/nm.3444.html
http://news.sciencemag.org/health/2014/01/high-fiber-diet-may-ward-asthma
CANCRO ALLA PROSTATA: MELOGRANO, TE' VERDE, CURCUMA E BROCCOLI AIUTANO A COMBATTERLO.
09-12-2014
I ricercatori britannici hanno dimostrato scientificamente che i broccoli, la curcuma, tè verde e melograno aiutano a combattere il cancro alla prostata. Il professor Robert Thomas, che lavora come oncologo presso Bedford Hospital di Cambridge e il suo team hanno condotto uno studio umano di sei mesi che ha coinvolto 203 adulti maschi, tutti con il cancro alla prostata. Gli uomini sono stati divisi in due gruppi:
• un gruppo trattato con estratto di melograno, curcuma, tè verde e broccoli;
• un gruppo trattato con placebo.
Tutti hanno assunto una capsula al giorno con gli ingredienti di destinazione (denominata “Pomi-t”) o placebo. Dopo sei mesi, i ricercatori hanno trovato che i livelli di PSA erano inferiori del 63% tra coloro che assumevano capsule contenenti essenza di melograno, curcuma, tè verde e broccoli rispetto a quelli del gruppo placebo.
Che cosa è il PSA (antigene prostatico specifico)? Il PSA (antigene prostatico specifico) è una proteina prodotta dalle cellule della prostata. Un esame del sangue è in grado di misurare i livelli di PSA che possono contribuire a rilevare il cancro alla prostata. Le persone con cancro alla prostata hanno livelli più alti e in aumento di PSA nel sangue. Il test del sangue di PSA aiuta i medici a decidere se effettuare ulteriori test, come ad esempio biopsie per determinare se un paziente potrebbe avere il cancro alla prostata, anche se non è una prova definitiva in quanto alcuni pazienti possono avere maggiori livelli di PSA e nessuna malignità. Questo studio è stato realizzato in “doppio cieco” e né i medici né i partecipanti sapevano chi stava assumendo capsule di Pomi-t o placebo. Non solo le capsule Pomi-t controllano in modo significativo i livelli di PSA, ma sono senza effetti collaterali. Gli studi precedenti, che erano incentrati su integratori con estratti di minerali, licopene e vitamine, hanno dimostrato che questi integratori hanno fatto più male che bene. Test di laboratorio e piccoli studi randomizzati avevano dimostrato gli effetti anticancro di alimenti ricchi di polifenoli, come broccoli, curcuma, tè verde e melograno. Questo studio del Prof. Thomas è il primo a stabilire chiaramente l’influenza sulla progressione del cancro all’interno di una valutazione scientificamente ineccepibile. Thomas e la squadra hanno presentato i loro risultati all’American Society of Clinical oncology, al convegno ASCO a Chicago. Il professor Thomas ha spiegato: “La nostra esperienza ha portato a risultati che avranno un impatto a livello mondiale e speriamo che aiuterà milioni di uomini a combattere l’insorgenza del cancro alla prostata. All’Unità di Primrose a Bedford c’è una lunga esperienza di progettazione e valutazione delle strategie di stile di vita e questa ricerca è stata una progressione naturale. Mangiare sano e stile di vita è il modo principale per combattere lo sviluppo del cancro, ma gli uomini possono ora anche utilizzare un integratore alimentare intero che ha dimostrato di funzionare“. Studi precedenti hanno dimostrato le qualità di questi alimenti.
MELOGRANO
- Il melograno aiuta a fermare la diffusione del cancro alla prostata. Scienziati dell’Università della California hanno identificato i componenti del succo di melograno che aiutano a prevenire le metastasi del cancro alla prostata.
- Il melograno ha effetti benefici per i pazienti in dialisi. Gli scienziati del Technion-Israel Institute of Technology, Haifa, Israele, in studi preliminari, hanno scoperto che il succo di melograno può aiutare a scongiurare diverse complicanze per i pazienti con malattie renali che sono in dialisi, tra cui l’alto tasso di morbilità dovuto a malattie cardiovascolari e infezioni.
- Composti di melograno possono fermare la crescita del cancro al seno. Uno studio condotto presso l’Università della California di Los Angeles ha scoperto che sei composti del melograno sembrano fermare la crescita del cancro al seno, bloccando l’aromatasi, un enzima che trasforma gli androgeni in estrogeni. Gli scienziati hanno avvertito che il loro era uno studio in vitro che non è stato testato su animali o esseri umani.
BROCCOLI
- I broccoli contengono sulforafano che protegge da artrite. Un team di ricercatori della University of East Anglia, in Inghilterra, ha condotto uno studio sul sulforafano nei broccoli, che blocca gli enzimi che causano la distruzione articolare in osteoartrite, il tipo più comune di artrite.
- Il sulforafano può prevenire o curare il cancro al seno. Gli scienziati dell'University of Michigan Comprehensive Cancer Center hanno iniettato topi con tumore con concentrazioni variabili di sulforafano estratto dai broccoli. Essi hanno scoperto che il numero di tumori delle cellule staminali è diminuito sensibilmente. Hanno anche scoperto che le cellule tumorali non sono state in grado di generare nuovi tumori.
- Il sulforafano può rallentare la progressione della BPCO. Scienziati della Johns Hopkins School of Medicine di Baltimora hanno riferito che il sulforafano aumenta l’attività di un gene che protegge i polmoni dai danni ossidativi causati da BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva), una malattia comunemente sviluppata da regolari fumatori a lungo termine.
CURCUMA
- La curcuma aiuta a sopprimere la crescita del cancro della testa e del collo. La dottoressa Marilene Wang e la sua squadra della UCLA Jonsson Comprehensive Cancer Center hanno condotto uno studio pilota che ha dimostrato che la curcumina sopprime una via di segnalazione cellulare che promuove la crescita di tumori della testa e del collo. La Dr. Marilene Wang ha detto: “L’inibizione della via di segnalazione cellulare è anche correlata ad una ridotta espressione di una serie di citochine pro-infiammatorie o molecole di segnalazione nella saliva, che promuovono la crescita del cancro. Questo studio indica che la curcumina può lavorare nella bocca dei pazienti con neoplasie della testa e del collo e ridurre le attività che promuovono la crescita del cancro. E non solo influenza il tumore inibendo una via di segnalazione cellulare critica, ma riduce le citochine pro-infiammatorie all’interno della saliva“.
- Curcuma e cannella riducono la risposta negativa del corpo ai pasti ricchi di grassi . Il Professore Sheila e colleghi della Pennsylvania State University, hanno scoperto che le persone che mangiano una dieta ricca di spezie, in particolare cannella e curcuma, hanno risposte meno negative a pasti ricchi di grassi – i loro livelli ematici di trigliceridi (tipo di grasso) non finiscono con l’essere alti come quelli di altre persone che consumano diete ad alto contenuto di grassi.
- La curcuma può correggere dalla fibrosi cistica. Una componente primaria della curcuma, la curcumina, è stato trovato utile per correggere la fibrosi cistica nei topi di laboratorio, secondo gli scienziati dell’Hospital for Sick Children e Yale University School of Medicine.
TE' VERDE
Ci sono state decine di studi sul tè verde, molti dei quali riferiscono dei benefici importanti per la salute umana di epigallocatechina-3 gallato, componente principale del the:
- Il tè verde riduce il rischio di ictus. Le persone che bevono the verde regolarmente hanno un minor rischio di ictus, secondo quanto scoperto dai ricercatori del Centro Cardiovascolare del Giappone dopo aver effettuato uno studio che ha coinvolto 83.269 adulti giapponesi di età compresa tra 45 a 74 anni.
- Il tè verde può favorire consapevolezza spaziale e memoria. Yun Bai, dal Terzo Military Medical University di Chongqing, in Cina e colleghi, hanno riferito che EGCG (epigallocatechina-3 gallato), un composto chimico organico e ingrediente principale del tè verde, se consumato regolarmente, aiuta la memoria e la consapevolezza spaziale.
- Il tè verde riduce il rischio di disabilità funzionale in età avanzata. Un team di ricercatori della Tohoku University Graduate School of Medicine, Sendai in Giappone, ha scoperto che bevitori regolari di tè verde a lungo termine, hanno meno probabilità di sviluppare disabilità funzionale durante la vecchiaia.
http://www.telegraph.co.uk/health/healthnews/10093092/Superfoods-shown-to-fight-prostate-cancer.html
NUOVO STUDIO SUL TRICLOSAN: A RISCHIO CUORE E MUSCOLI.
08-12-2014
Lo possiamo trovare nel dentifricio e in molti collutori, così come nei detergenti per le mani, nei cosmetici (rossetti in particolare), deodoranti e detersivi per la casa: è il triclosan, una sostanza chimica utilizzata in centinaia di prodotti per le sue ottime proprietà antibatteriche. Ma i dubbi su questo componente erano già noti, tanto che molti ricercatori ne consigliavano un utilizzo molto moderato e solo in caso di effettivo bisogno (si teme infatti che nel tempo possa rafforzare i batteri contro l’azione dei comuni antibiotici). Ora uno studio pubblicato su Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS) ha dimostrato, su topi e pesci, che questo composto può provocare gravi problemi muscolari e dovrebbe essere usato con cautela. Infatti compromette anche la contrattilità del cuore e dell’apparato muscolo scheletrico. I ricercatori dell’Università Davis School of Veterinary Medicine (California) e dell’Università del Colorado, ritengono che il triclosan possa essere una preoccupazione sia per l’ambiente che per la salute. «Il triclosan si trova praticamente in tutte le case ed è diffuso nell’ambiente – spiega il professor Isaac Pessah, principale autore dello studio – Questi risultati forniscono una forte evidenza che la chimica è fonte di preoccupazione per la salute umana e ambientale».
Introdotto negli anni settanta, è sempre più utilizzato e oggi sono tantissime le tonnellate di triclosan che ogni anno vengono prodotte e che finiscono nell’ambiente (l‘Environmental Protection Agency ha stimato che dal 1998 oltre 450 tonnellate di triclosan sono state prodotte ogni anno solo negli Stati Uniti). Questo componente è stato trovato all’interno del nostro organismo, anche nel sangue, nelle urine e nel latte materno, oltre che nelle falde acquifere e negli organismi acquatici come i pesci e alghe. Per comprendere meglio quali effetti può avere questa sostanza sulla salute, i ricercatori hanno esposto un gruppo di topi, e delle cellule in laboratorio, alle dosi di triclosan a cui, in proporzione, possiamo essere esposti durante la nostra vita quotidiana. I risultati dei test hanno mostrato che le cellule muscolari erano influenzate dal triclosan che ne comprometteva le funzioni: nello specifico le cellule isolate di muscolo cardiaco hanno mostrato una compromissione nella funzione, compresa quella del battito cardiaco. Allo stesso modo sono risultate compromesse nella corretta funzione le fibre muscolari e scheletriche, così come i movimenti muscolari in generale. I test sui topi hanno mostrato una riduzione della forza muscolare del 18% (che durava fino a un’ora dopo la somministrazione della sostanza in dose singola) e hanno sofferto di una riduzione della funzionalità cardiaca del 25% già dopo 20 minuti che erano stati esposti alla sostanza chimica.
«Gli effetti del triclosan sulla funzione cardiaca erano davvero drammatici», conclude il cardiologo Nipavan Chiamvimonvat, coautore dello studio. Nel nostro Paese l’uso del triclosan è regolamentato e non può superare una concentrazione massima pari al 0,3%. C’è però da tenere in considerazione che questo composto è presente in molti prodotti di uso quotidiano (dentifrici, collutori, cosmetici, saponi liquidi.. etc etc) e quindi, a fronte di una bassa percentuale in un unico prodotto, si dovrà fare i conti con la somma della sua presenza in tutti gli altri. Anche in questo caso quindi, è essenziale una attenta lettura dell’etichetta. Qui infatti troviamo (obbligatori per legge) gli ingredienti che compongono il prodotto che si sta per acquistare, valutando in questo caso solo quelli che non riportino il triclosan tra i suoi componenti (e la scelta per fortuna in supermercati e ipermercati è molto vasta, non sarà quindi difficile trovare il prodotto che più soddisfa le proprie esigenze).
I SONNIFERI AUMENTANO IL RISCHIO DI ATTACCHI DI CUORE DEL 50%.
08-12-2014
Sono tante le persone che non possono fare a meno di assumere un sonnifero per poter dormire. Ci sono quelli che hanno iniziato a prendere la pillola perché non riuscivano più a dormire e chi invece lo ha fatto dopo un qualche episodio, anche sporadico: ma ciò che spesso li accomuna è il non riuscire più a farne a meno. Ma questo è solo uno dei tanti effetti avversi di questo genere di farmaci; un altro, ancora più preoccupante, è l’aumento del rischio di essere vittime di un evento cardiaco potenzialmente letale – aumento del rischio che secondo un nuovo studio può arrivare al 50%.
L’allarme è stato lanciato da un team di scienziati della China Medical University di Taiwan durante il Meeting annuale dell’American Heart Association a Dallas, in Texas, la più grande conferenza mondiale di cardiologia. Qui, i ricercatori hanno presentato i risultati di uno studio condotto su 5.000 vittime di attacco di cuore che sono stati monitorati e analizzati al fine di confrontare i dati con quelli di 20mila adulti sani. I risultati dell’analisi hanno mostrato che vi era un tasso significativamente più alto di attacchi di cuore nelle persone che avevano assunto lo “Zolpidem”, un farmaco ipnotico non benzodiazepinico piuttosto diffuso. Secondo quanto riferito dai ricercatori, il rischio di eventi cardiaci sarebbe dose/dipendente, ossia più se ne assumono, più aumenta il rischio. Nello specifico, l’assunzione di 35 milligrammi di principio attivo all’anno – equivalenti a 4 pillole in dose standard – farebbero aumentare del 20% il rischio di eventi cardiaci. Un’assunzione su base annua equivalente a 60 pillole farebbe raddoppiare il rischio.
Sebbene gli scienziati non siano riusciti a provare un reale e definitivo collegamento tra l’assunzione del Zolpidem e l’infarto miocardico acuto, dichiarano che i risultati dello studio sono preoccupanti e meritano indagini su larga scala e più approfondite. «Il rischio di infarto miocardico acuto è notevolmente aumentato con l’esposizione allo Zolpidem», si legge infatti nel rapporto. Per contro, i produttori del farmaco fanno sapere al Daily Express che non ci sono reazioni cardiache avverse note, e che questa sicurezza è supportata dall’uso quasi trentennale del farmaco in tutto il mondo.
http://www.huffingtonpost.co.uk/2014/01/08/sleeping-pill-zolpidem-heart-attack-risk_n_4559853.html
C'E' UN LEGAME TRA CELLULARI, TV, COMPUTER, MATERASSI E CANCRO ALLA TIROIDE.
08-12-2014
I cosiddetti ritardanti di fiamma (o PBDE) sono dei prodotti chimici che ritroviamo in moltissimi dei prodotti che utilizziamo ogni giorno: è praticamente quasi impossibile trovare un qualcosa che non li contenga. Queste sostanze, infatti, le troviamo nei telefoni cellulari (o smartphone), tablet, computer, televisori…ma anche in automobili, tende, materassi e cuscini, tappeti, macchine per il caffè, forni a microonde e così via… l’elenco infatti è quasi interminabile. I ritardanti di fiamma sono divenuti compagni fedeli della nostra vita, e da cui è praticamente impossibile scampare o starci lontani. Il loro compito sarebbe quello di evitare che i prodotti che li contengono scoppino in fiamme e causino pericolosi incendi. Ma, se il proposito è quello di proteggerci in qualche modo, pare che tuttavia l’esposizione a essi non sia del tutto benefica. E i ricercatori dell’Università di Yale intendono capire in che misura c’è un legame tra l’esposizione agli eteri di difenile polibromurato (PBDE) e il cancro alla tiroide.
Secondo il dott. Yawei Zhang, professore associato presso il Dipartimento di Scienze della Salute Ambientale della Yale, il collegamento è più che probabile, dato che numerosi studi hanno mostrato come i PBDE siano correlati a tutta una serie di disturbi biologici e neuro-fisici, interferenze nella produzione di ormoni tiroidei essenziali e con le ghiandole endocrine (compresa la tiroide), una diminuzione della fertilità nelle donne, basso peso alla nascita e problemi di sviluppo nei bambini. A partire dunque da quanto suggerito dalle precedenti ricerche, Zhang e colleghi si avviano a condurre un’indagine, per mezzo di uno studio caso-controllato, basato sulla popolazione che intendere trovare un collegamento tra il rischio di cancro alla tiroide e i PBDE. L’indagine si avvarrà in una prima fase dei casi di cancro della tiroide diagnosticati tra il 2010 e il 2011 e, in una seconda fase, dei casi diagnosticati tra il 2000 e il 2012.
«Il cancro della tiroide una volta era molto raro – spiega Zhang nel comunicato Yale – con solo cinque casi per 100.000 persone all’anno. Ma negli ultimi vent’anni è aumentato a quasi 15 casi per 100.000. Nessun altro tumore mostra una tale rapida tendenza di crescita». La notizia di questo rapido aumento dei casi è particolarmente preoccupante soprattutto per le donne che, come ricorda lo scienziato, sono colpite dal cancro alla tiroide tre volte più che gli uomini, diventando il quinto tipo di tumore più comune tra il sesso femminile. I livelli di PBDE rilevati nel sangue delle persone sono andati aumentando di anno in anno. Soltanto negli Usa si stima che siano presenti nel 97% della popolazione, neonati compresi. E, sebbene i livelli superino di 10 volte quelli riscontrati in Europa, anche nel nostro Paese non siamo al sicuro, vista le crescente domanda di prodotti resistenti alle fiamme.
I ritardanti di fiamma sono così utilizzati in dosi piuttosto massicce nella produzione di vari beni di consumo: per esempio, in un divano con cuscini in schiuma poliuretanica possono esserci fino a 2 chili di PBDE. Nel 2004 l’Unione Europea ha vietato l’uso di penta e octaBDE. Nel 2009 i due composti sono stati messi nella lista degli inquinanti organici persistenti (POP) della Convenzione di Stoccolma, che uniscono altri POP famigerati (e noti agenti cancerogeni) come i policlorobifenili (PCB) e diclorodifeniltricloroetano (DDT). Sebbene la produzione di alcune di queste sostanze sia cessata, gli esperti avvertono che questo non significa la fine dell’azione o delle conseguenze per la salute umana. «Come altri inquinanti organici persistenti – sottolinea Zhang – queste sostanze chimiche sono molto persistenti nell’ambiente e mostrano anche bioaccumulazione», ossia si accumulano nel corpo e lì vi restano: per esempio, negli esseri umani l’emivita dei PBDE va da due a 12 anni. I PBDE si assorbono per mezzo di inalazione e ingestione e, a meno che non smettiamo di respirare, è probabile che tutti ne veniamo in contatto. «I PBDE sembrano mimare l’ormone tiroideo e disturbare l’omeostasi della tiroide – spiega l’esperto – Questo può causare i tumori. Ecco perché abbiamo proposto questa ipotesi di collegamento tra PBDE e cancro alla tiroide. Vorrei trovare i fattori di rischio responsabili delle tendenze di crescita dei casi per questa malattia».
http://medicalxpress.com/news/2014-01-explores-link-flame-retardants-thyroid.html