Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

15-05-2019

CARDO MARIANO

Noto soprattutto per i suoi effetti antiepatotossici, il cardo mariano è ancora più indicato per stimolare la rigenerazione del fegato. Il complesso di flavonoidi in esso contenuto, detto silimarina, stimola la sintesi proteica a livello epatico determinando un aumento della produzione di nuove cellule che vanno a sostituire quelle vecchie e danneggiate.

COMPOSTI SOLFORATI

La somministrazione di L-cisteina, solfato inorganico o taurina contribuisce ad aumentare la solfatazione epatica. Dal momento che per alcune tossine il sistema della solfatazione supplisce alle carenze di quello del glutatione, se una persona è esposta a dosi tali di xenobiotici da consumare tutto il glutatione, è possibile che si esauriscano anche le riserve di solfato. Aglio e cipolle sono buone fonti alimentari di composti dello zolfo.

GLICINA

La glicina viene usata da tempo in molte patologie da tossicità. Già negli anni Sessanta Roger Williams, pioniere della ricerca nutrizionale, la consigliava agli alcolisti e a coloro che erano a contatto con alti livelli di tossine chimiche. Tramite vari meccanismi la glicina favorisce la detossicazione di fase II. Interviene in maniera diretta nella coniugazione delle sostanze xenobiotiche e nella sintesi del glutatione e anche indirettamente, favorendo la produzione di acido glucuronico, che serve per la glucuronazione.

VERDURE DELLA FAMIGLIA DELLE CROCIFERE

Le verdure della famiglia delle Crocifere (cavoli, cavolfiori, broccoli e soprattutto cavolini di Bruxelles) contengono varie sostanze che migliorano molto la funzionalità epatica. I flavonoidi e i carbinoli contenuti in questi alimenti incrementano l’attività del sistema di detossicazione di fase II basato sulla glutatione-S-transferasi e sono particolarmente utili per la prevenzione dei tumori.

VITAMINA C

La vitamina C partecipa ai processi di detossicazione sia di fase I sia di fase II. In caso di esposizione a xenobiotici, l’attività degli enzimi specifici che neutralizzano queste sostanze aumenta. Poiché il corpo umano non è in grado di produrla da solo, il contatto con le tossine aumenta il fabbisogno di vitamina C. Il fumo, sia attivo sia passivo, impoverisce le riserve di vitamina C.

GLUTATIONE

Il glutatione, utilizzato dal fegato durante la coniugazione di fase II, è disponibile nella dieta e viene sintetizzato a partire dagli aminoacidi glicina, cisteina e acido glutammico. Il glutatione intercetta le sostanze tossiche e insieme con esse forma coniugati idrosolubili che vengono poi eliminati senza danni. Il glutatione entra anche nella composizione della glutatione-S-transferasi, un enzima epatico importante per la neutralizzazione dell’alcol. Il cardo mariano, oltre a prevenire la carenza di glutatione provocata dall’alcol e da altre tossine epatiche, aumenta il livello di glutatione nel fegato di oltre il 35% rispetto ai soggetti non trattati. Ciò è molto utile in caso di forte esposizione a sostanze tossiche.

15-05-2019

Un gruppo di ricercatori inglesi, a cui si deve una relazione su Lancet, indagando sulla relazione tra acido pantotenico e artrite, osservarono che gli artritici reumatoidi avevano bassi livelli di acido pantotenico nel sangue. Quanto più basso era il livello, tanto più grave erano i sintomi della loro artrite. Iniezioni quotidiane di acido pantotenico e dosi di pappa reale (una secrezione delle api che è ritenuta ricca di pantotenato) condusse a un accrescimento graduale dei livelli di acido pantotenico del sangue, a un miglioramento delle condizioni generali, delle mobilità delle giunture e a una caduta del tasso di sedimentazione. Quando il trattamento venne ridotto, anche i livelli di acido pantotenico del sangue diminuirono e si ebbe una ricaduta clinica.
Secondo Executive Health, due scienziati inglesi, Wright ed Elliot, hanno curato pazienti artritici per molti anni, e si sono convinti di una netta relazione tra i bassi livelli di acido pantotenico del sangue e i sintomi dell’artrite. Il dottor Wright afferma che un rapporto insufficiente di acido pantotenico è un fattore dell’artrite, e incolpa l’uso crescente di cibi industriali (che hanno perduto la maggior parte del loro contenuto vitaminico) dell’aumento dell’artrite reumatoide e ossea.

15-05-2019

La micosi può diffondersi non solo sulla pelle, ma anche sulle unghie. Il caldo, l’umidità, piedi bagnati, batteri, possono provocare un’infezione dell’unghia, che necessita di cure se non si vuole incappare nel distaccamento totale dell’unghia, provocando molto dolore. Il primo sintomo è una macchia bianca o giallastra, apparentemente innocua, sulla punta dell’unghia. Con il progredire dell’infezione, l’unghia colpita diventa spessa e di colore più scuro. Nella maggior parte dei casi la forma della tua unghia potrebbe cambiare ed è molto probabile che si rompa o si stacchi. Prima che l’infezione vada ad intaccare le altre unghie, bisogna agire con tempestività. Esistono diversi rimedi naturali che possono aiutare a debellare l’infezione. Eccoli di seguito.

OLIO DI COCCO

Uno dei modi più semplici per combattere un’infezione fungina dell’unghia del piede è data dallo sfregamento dell’olio di cocco sulle aree infette. Lo si trova in tanti supermercati o negozi che vengono prodotti naturali. Basta applicarlo sull’unghia un paio di volte al giorno. Ogni volta è consigliato lavare il piede abbondantemente, in modo da disinfettare la zona. L’ammorbidimento della superficie ungueale, aiuta a debellare il fungo.

OLIO DI TEA TREE

Un potente agente antimicotico e antisettico naturale è l’olio di tea tree. In realtà, le proprietà di questo olio permettono di gestire tutti i tipi di problemi causati da funghi, forfora, tigna e prurito. Occorre applicare questo olio solo una volta miscelato: un cucchiaino di olio essenziale di tea tree deve essere miscelato con 1/2 cucchiaino di olio d’oliva e 1/2 cucchiaino di olio essenziale di arancio. Una volta che tutti e tre gli oli sono stati accuratamente miscelati, lo si può applicare con un batuffolo di cotone o una garza sterile. Lasciare che il composto asciughi e faccia la sua azione.

ACETO

Anche l’aceto, essendo un acido, combatte i funghi che non ne sopportano l’azione acidificante. L’aggiunta di un pò di bicarbonato di sodio all’aceto velocizzerà il processo di guarigione dall’infezione fungina del piede. Bisogna riempire una bacinella con acqua tiepida, aggiungere una tazza di aceto e immergere i piedi per circa 15 minuti. Dopo aver tolto i piedi, occorre versare 5 cucchiai di bicarbonato di sodio nella bacinella d’acqua, mescolare e immergere nuovamente i piedi. Dopo 15 minuti, togliere i piedi e asciugali completamente.

14-05-2019

Una buona ragione per prendere vitamina C quando si va all'ospedale, dal medico o dovunque è il potere della vitamina C di disintossicare molti farmaci comuni. I corticosteroidi sono prescritti per una vasta gamma di malattie diffuse, come acne, febbre reumatica, eczema, allergie, asma bronchiale, disturbi intestinali infiammatori, miastenia. A molti artritici si somministrano questi farmaci. Queste "medicine miracolose" sono anche accompagnate da una lista impressionante di effetti tossici collaterali: maggiore vulnerabilità alle infezioni, edema, ipertensione, iperglicemia, acne, disturbi mentali, congestioni cardiache, fragilità della pelle e minore cicatrizzazione delle ferite, irregolarità mestruali, glaucoma, per nominarne solo alcuni. Ma se si prende vitamina C insieme al farmaco, le probabilità di evitare queste complicazioni migliorano notevolmente. Uno studio condotto da Jane Henkel Chretien, del Georgetown University Hospital, pubblicato sul Journal of the Reticuloendothelial Society, prevede l'uso di vitamina C per correggere i difetti causati dai corticosteroidi nel sistema di difese immunitarie dei pazienti. La somministrazione per via orale di 2 g di vitamina C nell'arco di 12 ore riduce completamente il blocco dei sistemi di difesa contro le infezioni. Conclude la Chretien: "la correzione dei difetti metabolici intracellulari indotti dagli steroidi suggerisce l'uso di acido ascorbico nei pazienti trattati con queste sostanze per lunghi periodi".
Un'altra ricerca, curata da Vincent Zannoni e Paul Sato della New York University School of Medicine, dimostra che la vitamina C può prevenire la tossicità dei farmaci accelerandone il metabolismo, in modo che non si accumulino eccessivamente nel sangue. La vitamina C riduce gli effetti collaterali della L-dopa usata nel trattamento del morbo di Parkinson, secondo quanto scrive il dottor Williams Sacks, del Centro ricerche del Rockland State Hospital di Orangeburg (New York) in una lettera a Lancet: l'azione è così notevole che un uomo di 62 anni, costretto a sospendere il trattamento a causa di un'intollerabile nausea e salivazione, aveva potuto riprendere la terapia con L-dopa a dosi ridotte. "In capo a quattro settimane dall'inizio della somministrazione di acido ascorbico, la capacità di muovere la testa era aumentata; anche la salivazione era diminuita, ed erano migliorate considerevolmente la favella e la scrittura a mano. Ricominciò a suonare l'organo, cosa che non aveva più potuto fare da alcuni anni", riferisce il dottor Sacks. Per controllare ulteriormente i risultati, il dottor Sacks alternò l'acido ascorbico con un placebo in un nuovo esperimento a doppio cieco. Gli effetti collaterali ritornarono col placebo, e scomparvero nuovamente con la vitamina C.

14-05-2019

Curare la pelle del viso è un momento fondamentale per ogni donna e delle ottime alleate per la sua igiene sono sicuramente le maschere per il viso. In commercio ne esistono tantissime e di tutti i tipi, però spesso possono essere molto aggressive per la pelle. E allora perchè non farne una in casa? Ecco quali sono le ricette migliori da utilizzare, dopo aver accuratamente dilato i pori del viso con il vapore caldo. Questo passaggio è molto semplice, basta far bollire dell’acqua in una pentola e starci sopra per 5 minuti con un asciugamano in testa che possa far incanalare il vapore. Fatto questo potete applicare la maschera che preferite tra queste che vi propongo.

MASCHERA AGLI ALBUMI

Per farla avete bisogno del bianco dell’uovo da montare a neve energicamente. Fatto ciò, applicatela sul viso e aspettati che secchi. Risciacquatevi con acqua tiepida e il gioco è fatto! Questa maschera è davvero molto semplice, ma soprattutto rende la pelle perfettamente luminosa e profondamente pulita.

MASCHERA AL TUORLO

Questa è perfetta per chi ha la pelle secca perchè ha proprietà idratanti. Basterà sbattere il tuorlo con una forchetta e poi stendere sul viso e sul collo, tenendolo applicato per trenta minuti. Trascorso il tempo bisogna sciacquarsi con acqua fredda.

MASCHERA PANNA ACIDA E AVOCADO

Ideale per tutti i tipi di pelle, ma forse un pò più complicata da fare per i suoi ingredienti. Bisogna prima lavorare l’avocado per poi aggiungere un tuorlo d’uovo, un cucchiaio di panna acida e uno di olio di oliva. Questa maschera deve essere tenuta in posa per 15 minuti, risciacquandola poi accuratamente.

MASCHERA ALLA FRUTTA

Servono cinque acini di uva, due fragole mature, un cucchiaio di miele e uno di ricotta. Gli acini vanno lavati e schiacciati prima di unire tutti gli altri ingredienti. Le caratteristiche di questa maschera sono legate alla sua freschezza, ridando leggerezza alla pelle dopo soli 15 minuti di applicazione.

MASCHERA ALLA PAPAIA

Dopo aver schiacciato della papaia senza semi, aggiungere un pò di olio di oliva. La crema ottenuta sarà molto densa. Deve rimanere in posa per 30 minuti.

Lunedì, 13 Maggio 2019 10:52

CONSIGLI NATUROPATICI PER LA COLITE.

14-05-2019

È l'infiammazione del colon, il tratto più importante dell'intestino crasso, e spesso viene assimilata al colon irritabile. Si manifesta con feci diarroiche o decomposte, che a volte possono contenere muco e tracce di sangue. Normalmente è di origine infettiva, ma può essere scatenata da allergie e intolleranze alimentari, o anche da antibiotici e lassativi. Un'alimentazione che non irriti il colon, può contribuire in misura rilevante a migliorare la colite. La crusca di grano può causare colite alle persone stitiche che la prendono in abbondanza come lassativo.

ALIMENTI DA PREFERIRE

- ORTAGGI: gli ortaggi, comprese le verdure, in genere si tollerano bene in caso di colite e non presentano controindicazioni. Preferibilmente devono essere consumati cotti, ma se sono teneri si possono anche mangiare crudi in insalata. Forniscono fibre solubili, vitamine, minerali ed enzimi, che favoriscono la rigenerazione della mucosa del colon.

- ZUCCHINA: esercita un'azione emolliente sull'intestino e sul tubo digerente. Si tollera molto bene in tutti i tipi di colite, compresa quella di origine ulcerosa.

- FERRO: spesso la colite può causare anemia da mancanza di ferro. La melassa (miele di canna), il sesamo e le verdure a foglia sono buone fonti di questo minerale ben tollerato in caso di colite. Al contrario, i prodotti farmaceutici a base di ferro possono irritare l'intestino e peggiorare la colite.

- VITAMINA A: è indispensabile per la salute delle cellule che formano lo strato mucoso che riveste l'interno degli organi cavi, come l'intestino.

ALIMENTI DA ELIMINARE

- CRUSCA DI GRANO: è dura e non solubile in acqua, perciò irrita la mucosa intestinale e deve essere evitata in caso di colite.

- LIEVITI INDUSTRIALI: i prodotti industriali preparati con farina e zucchero raffinati possono peggiorare i sintomi della colite, perciò si consiglia di evitarli.

- LATTE: peggiora la colite, specialmente a causa del lattosio che contiene e che alcune persone non riescono a digerire, provocando irritazione e alterazione della flora intestinale nel colon.

- CAFFE': i componenti dell'aroma del caffè, presenti anche in quello decaffeinato, sono particolarmente irritanti per la mucosa intestinale. Il caffè in generale deve quindi essere sempre evitato in caso di colite.

- SPEZIE: le spezie piccanti irritano il tubo digerente dalla bocca fino all'ano e, in caso di una qualsiasi infiammazione gastrica (come la colite), devono essere sempre evitate.

Domenica, 12 Maggio 2019 10:15

IL RUOLO ANTICANCEROGENO DELLA VITAMINA A.

22-10-2017

Quando si provoca in animali da laboratorio una carenza di vitamina A, le sostanze chimiche cancerogene hanno su di essi maggiore effetto che su animali ben nutriti (si formano più tumori e questi compaiono molto prima). Quando alcuni sicuri agenti cancerogeni sono aggiunti a colture di tessuti prostatici di topi, la loro usuale nocività per le cellule può essere prevenuta aggiungendo contemporaneamente vitamina A. la vitamina può anche rendere reversibile l’effetto dannoso, quando è aggiunta alla coltura dopo che il fattore cancerogeno ha iniziato la sua azione devastatrice. In un certo numero di cancri del tessuto epiteliale (la pelle e le mucose che rivestono la bocca e le cavità), sia i carcinomi umani che quelli dei topi possono regredire con un trattamento a base di vitamina A. In un articolo su Science, il dottor Thomas Maugh cita queste osservazioni di laboratorio come esempi di quanto è stato scoperto circa il ruolo anticancerogeno della vitamina A. Secondo il dottor Maugh, una ricerca presentata a un seminario pratico patrocinato dal National Cancer Institute e dalla Hoffmann-La Roche, fa pensare che le cellule possono essere protette, dopo l’esposizione a un agente cancerogeno, dall’azione della vitamina A. Potrebbe esser possibile che tale vitamina abbia la capacità di mediare un ritorno alla normalità dopo che il danno si è verificato, prevenendo così la piena trasformazione ulteriore delle cellule verso la forma maligna. Forse che la scienza ha finalmente scoperto il mezzo per la guarigione e la prevenzione del cancro, identificandolo in quella semplice e ben conosciuta sostanza nutritiva che è la vitamina A? Dovremmo tutti imbottirci di megadosi di vitamina A come assicurazione contro il cancro? Certamente no. In primo luogo, perché la vitamina A in megadosi può essere tossica. Come probabilmente sapete, grandi quantitativi in eccesso di questa vitamina liposolubile non si possono espellere senza danno (come invece nel caso della vitamina C) e possono accumularsi nell’organismo con conseguenze anche dannose. Secondariamente, non esiste una singola sostanza nutritiva che rappresenti la sola risposta al problema della prevenzione del cancro. Una cellula sana (che possa cioè resistere all’attacco di agenti cancerogeni) richiede non una, ma tutte quante le sostanze nutritive essenziali, come ha ripetutamente sottolineato il dottor Roger Williams dell’Università del Texas nel suo libro Nutrition Against Disease. Il dottor Williams documenta l’utile funzione di numerosi elementi nutritivi (inclusa la vitamina A) nel prevenire o ritardare la crescita dei tumori negli animali. Le prove portate dal dottor Maugh indicano che la vitamina A ha un importante ruolo nel proteggere l’organismo dal cancro. E mentre megadosi di questa sostanza non sono indicate, dosi sufficienti di vitamina A nella dieta giornaliera rappresentano con tutta probabilità un’importante misura anticancro.
Quando si sviluppa un cancro, le cellule maligne cominciano a moltiplicarsi sfrenatamente. Una cellula si divide in due, poi in quattro, in otto, e così via, finchè si sviluppano grossi tumori e le cellule maligne raggiungono molte parti dell’organismo. Le cellule sane, invece, si dividono e si moltiplicano soltanto nel caso che ne occorrano di più, come nella crescita del feto, nella cicatrizzazione di una ferita, nella sostituzione delle cellule della pelle e del sangue. Qualunque sia il meccanismo che di norma sopprime la tendenza delle cellule a proliferare, possiamo esser sicuri di un fatto: questi meccanismi dipendono dall’alimentazione. Lo possiamo affermare con assoluta certezza, poiché tutto nell’organismo (strutture cellulari, enzimi, ormoni, anticorpi ecc.) è, in ultima analisi, costruito con ciò che è stato precedentemente cibo e bevanda. Perciò, dove cercare per scoprire perché le cellule diventano maligne? La risposta sembra evidente: se una o più sostanze nutritive, tra quelle necessarie per la soppressione del meccanismo, mancano o sono insufficienti, è ovvio che il meccanismo non funzionerà perfettamente. I “freni”, per così dire, si rompono. E una sostanza nutritiva carente o insufficiente sarà la prima a doversi sospettare come fattore che permette la proliferazione delle cellule. La carenza, insomma, può avere un ruolo causale nel cancro. Secondo il dottor Maugh, la vitamina A interviene nella lotta dell’organismo contro il cancro in una fase che precedentemente non si è considerata con la dovuta attenzione. Il primo obiettivo della terapia del cancro, egli ha osservato, è stato quello di distruggere le cellule maligne dopo che si sono formate. Uno sforzo un pò minore è stato diretto a ridurre l’incidenza dell’esposizione agli agenti cancerogeni, ma quasi nulla si è fatto “per scoprire cosa si può fare nel periodo tra l’esposizione della cellula all’agente cancerogeno e la trasformazione della cellula stessa in maligna”. Questo periodo di latenza, conosciuto come pre-neoplasia, è lungo; spesso più di vent’anni, nel caso di cellule umane. Inizialmente, come ha spiegato il dottor Maugh, il fattore cancerogeno produce un cambiamento relativamente permanente in una o più cellule, come il cambiamento in un gene. Molti anni dopo l’esposizione al fattore cancerogeno ha luogo la “trasformazione”: “le cellule, piuttosto bruscamente, mostrano le proprietà caratteristiche dei tumori e cominciano a proliferare”. Che cosa sia successo all’interno della cellula nel frattempo sconcerta ancora gli esperti: “quasi nulla si sa sulle mutazioni cellulari nella pre-neoplasia”, dice Maugh. E’ tuttavia chiaro a suo avviso che, “in molti casi (forse nella maggioranza), le cellule pre-neoplastiche si restaurano e “spontaneamente” tornano alla salute”. In altre parole, difese insite nell’organismo (che dipendono dalla nutrizione) sono in grado di rendere reversibili i mutamenti delle cellule causati dagli agenti cancerogeni e prevenirne pertanto la trasformazione finale in cellule cancerose. Altre cellule alterate, si pensa, possono essere distrutte dal sistema difensivo del corpo. Vi sono sempre maggiori prove che la vitamina A è un elemento chiave in quest’azione protettiva. La più decisiva scoperta e la più convincente per gli scienziati è la constatazione che molti cancerogeni sono molto più potenti in animali da tempo carenti di vitamina A. E’ pertanto possibile, secondo il dottor Maugh ed altri ricercatori partecipanti al seminario del National Cancer Institute, che la vitamina A qualche volta agisca ancor prima del danno iniziale alla cellula. Nel caso di alcune sostanze pericolose, si pensa che la vitamina A inibisca la loro conversione chimica nell’organismo in sostanze cancerogene attive. Qualche volta, la vitamina può inibire la crescita cancerosa, anche dopo che la cellula si è tramutata in maligna. La vitamina A “può provocare regressioni nei carcinomi delle cellule squamose e basali (tumori epiteliali) dei topi e degli esseri umani”, scrive il dottor Maugh. Il vero modo in cui la vitamina A funziona nel combattere il cancro è ancora poco chiaro. Le ricerche ci fanno pensare che parte della sua azione anticancerogena consista nell’indebolimento dell’adesione del cancerogeno al materiale genetico della cellula, il DNA, che contiene i geni. Poiché si crede che nella perdita del controllo della cellula sulla proliferazione sia implicato un disturbo genetico, tale indebolimento aiuterebbe la cellula nello spontaneo ritorno alla salute, dichiara il dottor Maugh. Egli cita vari esperimenti da cui risulta che vari agenti cancerogeni si uniscono molto più strettamente al DNA in colture derivate da animali carenti di vitamina A. Vi è poi la possibilità che i composti della vitamina A stimolino in qualche modo il sistema immunitario a una maggiore efficienza nel contrastare la formazione maligna. Come gli scienziati hanno compreso in anni assai recenti, certe cellule bianche (leucociti) del sistema immunitario, elaborate al passaggio attraverso il timo, riconoscono le cellule cancerogene come corpi estranei e tentano di rigettarle. Molti farmaci hanno effetto anticancerogeno in quanto stimolano questa reazione immunitaria; secondo il dottor Maugh la vitamina A ha mostrato di centuplicare quest’azione antitumorale di tali farmaci. A questo punto va anche ricordato che la vitamina A può esaltare questa reazione immunitaria contro i tumori proteggendo l’integrità del timo stesso. Negli animali sperimentali, questa piccola ghiandola (situata nel torace) si riduce via via che si sviluppano i tumori, in seguito all’iniezione di virus tumorali. Quando agli animali si somministrano successivamente forti dosi di vitamina A, riferiscono i ricercatori, entrambi questi fenomeni regrediscono: i tumori si riducono e il timo ritorna di dimensioni normali. “La vitamina A” essi deducono, “sembra non agire direttamente come sostanza antitumorale, ma piuttosto influire nel processo di rigetto del tumore”. In altre parole, una forte reazione immunitaria di rigetto del tumore dipende da un timo sano, che a sua volta dipende da un adeguato rifornimento di vitamina A. Qualunque siano le scoperte future circa il modo in cui la vitamina A agisce contro il cancro, sembra indubbio che essa contribuisca notevolmente alle nostre difese naturali contro le cellule maligne.

13-05-2019

Con un tale insieme di terapie farmacologiche tra le mani, i dottori non sono particolarmente abili ad adottare un atteggiamento “aspetta ed osserva”, per vedere se un certo disturbo se ne va da solo. Nonostante la medicina in questi giorni sostenga di essere più cauta nel prescrivere automaticamente farmaci anticonvulsivi ai bambini con crisi epilettiche e blackout leggeri, la saggezza convenzionale tra la maggior parte dei dottori dice ancora che, a meno che non vengano soppresse da trattamenti farmacologici, le crisi epilettiche si ripresenteranno e che il trattamento farmacologico può influenzare il corso della malattia riducendo il rischio che un’epilessia scoperta presto si trasformi in un disordine incurabile. Il problema è che l’epilessia è super diagnosticata. Alcuni esperti del Birmingham Children’s Hospital hanno concluso che circa la metà dei casi di cosiddetta epilessia giovanile sono mal diagnosticati. Questo è significativo, dato che si crede che più della metà dei 340.000 casi di epilessia cronica in Gran Bretagna siano cominciati durante l’infanzia. Il dottor Michael Prendergast, consulente psichiatrico per l’infanzia presso il Birmingham Children’s Hospital, ha esaminato 311 bambini che si erano rivolti all’ospedale per una diagnosi o un sospetto di epilessia ed ha scoperto che 138 di loro (cioè il 44%) in realtà non ne soffrivano. I suoi risultati sono quasi identici a quelli di uno studio scozzese compiuto nel 1986 dal Royal Hospital per i bambini malati di Glasgow. In quello studio il dottor John Stephenson, il neurologo pediatrico consulente di quell’ospedale, scoprì che il 47% dei bambini che si erano rivolti a quell’istituzione, in realtà non soffrivano di epilessia. A una bambina, che ora ha 38 anni, era stata diagnosticata l’epilessia quando aveva 11 anni dopo che aveva sofferto di vari blackout. Fu messa immediatamente in terapia a base di farmaci anticonvulsivi, nonostante la prima convulsione non sia apparsa se non dopo l’inizio della terapia farmacologica. Dopo anni di battaglia contro la miriade di effetti collaterali dei medicinali, tra cui blackout e convulsioni, nel 1988, quando iniziò a ridurre il dosaggio dei medicinali che prendeva, le sue crisi iniziarono a diminuire, passando da circa 200 a qualche dozzina all’anno. 
È molto difficile sapere se i medicinali dati subito sono in grado di migliorare la situazione o no, dato che è difficile trovare persone che soffrono di epilessia e non seguono una terapia farmacologica. Ma gli studi eseguiti suggeriscono che i medicinali non fanno praticamente nessuna differenza. In uno studio, dopo i 20 anni, la metà del gruppo che non assumeva medicinali era entrato in remittenza. Questa percentuale è equivalente a quelle persone che vanno in remissione dopo anni di assunzione di medicinali. In modo simile in un gruppo di pazienti in Africa e in altri gruppi in Ecuador nei quali casi il trattamento farmacologico è stato iniziato in ritardo, le percentuali di remittenza di sei mesi erano le stesse delle popolazioni alle quali venivano somministrati trattamenti con farmaci da subito. Ci sono nuove prove che indicano che i bambini che soffrono della loro prima crisi non peggiorano se non si inizia il trattamento prima di una seconda crisi. Ritardare il trattamento non riduce le possibilità di controllare le crisi in seguito, né influenza possibili remittenze quando il bambino cresce. L’unico vantaggio di un trattamento precoce è che può ritardare la crisi successiva, ma i dottori e i genitori che insistono ad iniziare una terapia farmacologica dopo il primo attacco non sapranno mai se questo era destinato ad essere l’unico.
Molte prove su trattamenti precoci suggeriscono che i pazienti che assumono medicinali potrebbero addirittura peggiorare. In uno studio, i pazienti che hanno iniziato ad avere delle crisi in seguito ad una lesione alla testa e che poi hanno assunto la fenitoina per l’epilessia hanno avuto più crisi di quelli che prendevano un placebo. In uno studio italiano recente che confrontava i pazienti che assumevano medicinali rispetto a quelli che prendevano una caramella di zucchero, nonostante il gruppo che riceveva il trattamento probabilmente corresse solo la metà dei rischi di soffrire di un ulteriore crisi, fino ad ora non è stata rilevata alcuna differenza nei due gruppi in termini di tempi di remittenza. I dottori effettivamente non hanno informazioni sufficienti per incoraggiare il trattamento precoce con certezza, soprattutto perché tutti i medicinali per l’epilessia provocano un insieme di effetti collaterali a volte letali. In un altro studio recente gli effetti collaterali evidenziati erano tanto gravi che quasi un quarto dei pazienti che assumevano il fenobarbitone e l’11% di quelli che assumevano la carbamazepina hanno dovuto sospendere il trattamento. In una delle prime prove mediche per giudicare la sicurezza dei medicinali anti-epilessia su bambini, il 9% di coloro che assumevano fenobarbitone per il trattamento dell’epilessia, hanno dovuto sospenderlo per i gravi effetti collaterali che provocava. I ricercatori del King’s College Hospital di Londra hanno scoperto un problema simile con la fenitoina, e almeno il 4% dei bambini ha avuto reazioni negative o al sodio valproico o alla carbamazepina. 
Effettivamente tutti i medicinali per l’epilessia sono potenzialmente letali; il produttore dell’acido valproico (Depakin in Italia) avverte che alcuni pazienti che hanno assunto questo medicinale sono morti di collasso al fegato. Questo è quello che può essere successo ad Eleonora, 12 anni, a cui era stato prescritto il Depakin, quando si pensava che fosse un farmaco sicuro. Sua madre scrive: “Nel giro di qualche mese iniziò a consumarsi davanti ai miei occhi. Diveniva sempre più magra e iniziò ad avere allucinazioni. Alla fine iniziò a perdere conoscenza. Il dottore era convinto che avesse dei problemi emozionali e che le piacesse attirare l’attenzione. La sua condizione continuò a peggiorare finchè non raggiunse un peso che era la metà di quello normale. Ancora il dottore pensava che fosse solo una bambina viziata che faceva fare quello che voleva lei ai suoi genitori molto affezionati. Dopo 8 mesi, iniziò a delirare e fu portata all’ospedale d’emergenza. Morì qualche giorno più tardi, pesava solo 19 chili”.

13-05-2019

La serotonina è il più importante neurotrasmettitore (canale di comunicazione del cervello) che regola il desiderio di cibo, il senso di sazietà (l’appetito), l’umore, il sonno, il dolore, l’aggressività, l’ansia e molto altro. Il desiderio smodato di cibo è dovuto a bassi livelli di serotonina. Quando questa sostanza non è presente a livelli adeguati, nel nostro inconscio nasce il desiderio di cibi che entrino velocemente in circolo nel sangue sotto forma di zuccheri, come per esempio i carboidrati ad alto indice glicemico (IG). Questi particolari carboidrati sono contenuti nel pane bianco, nella pasta, nei dolci, nelle patatine, nei crackers, nelle caramelle, nei cereali, nelle bibite dolci, nei succhi di frutta ecc. Questi cibi innalzano i livelli di insulina. L’insulina, in qualche modo, fa sì che il triptofano entri nel cervello. Il triptofano poi si trasforma in serotonina. E la serotonina ci fa sentire bene! Per questa ragione certi cibi vengono definiti “cibi di conforto”. Ed ecco la ragione per cui le persone tendono a mangiare seguendo le emozioni. Questo cambiamento di condizione che avviene nel cervello, benché sottile, ci fa sentire bene. Per dirla con parole semplici, le persone mangiano questi particolari cibi per sentirsi meglio. Sono infatti alimenti di auto-cura. Come vedete, dunque, le scelte alimentari rispondono a ragioni emotive e a sistemi premianti. Sfortunatamente questa è proprio la ragione per cui l’incidenza dell’obesità è così alta. I cibi a basso tenore di grassi o addirittura senza grassi sono pieni di zuccheri e provocano la medesima risposta. Inoltre, i cibi come il pane, la pasta e i cereali sono solitamente senza grassi e in genere considerati carboidrati complessi, ma subiscono un processo di raffinazione in modo da avere un gusto estremamente piacevole. È questo processo di raffinazione che li rende carboidrati ad alto IG. Perché? Perché i cibi sottoposti a raffinazione e processi di lavorazione industriale richiedono tempi di digestione brevissimi. Quindi, il minuto dopo che li avete mangiati, sono già entrati in circolo nel sangue sotto forma di zuccheri. Questo provoca il rapido aumento dei vostri livelli di insulina. Sarebbe meglio che mangiaste invece cibi contenenti grassi salutari. Inoltre, questi cibi senza grassi o con pochi grassi contengono pochissime fibre e una quantità irrisoria di proteine. Quando la serotonina si abbassa nuovamente, si ripresenta il desiderio di cibo. Mangiare questi carboidrati ad alto IG e/o quantità eccessive di carboidrati in genere provoca un rapido rilascio di insulina. Una delle funzioni dell’insulina è quella di regolare accuratamente la quantità di zucchero che il sangue porta al cervello e l’aumento dei livelli di insulina fa aumentare anche i livelli di serotonina. Ed è proprio la serotonina che ci fa sentire così dannatamente bene. Ma la sensazione di benessere che deriva da questi cibi è solo temporanea, dura poco più di un’ora. Per provarla nuovamente, il nostro cervello ci forza, a un livello subcosciente, a mangiare ancora i cibi che innescano la reazione. E ancora una volta, l’insulina aumenterà e porterà a produrre serotonina. Questo ciclo si ripete all’infinito. Giorno dopo giorno. Mese dopo mese. E, mentre gli effetti della serotonina sono di breve durata, le calorie in eccesso restano e non se ne vanno. Il risultato è una nazione dove il 65% della popolazione è obesa e depressa, oltre al fatto che il 98% delle diete continuerà inevitabilmente a fallire fino a che non saremo capaci di mantenere livelli adeguati di serotonina. La serotonina controlla il desiderio di cibo, ma anche le calorie totali che vengono introdotte giocano un ruolo essenziale nella perdita di peso e nel mantenimento. Il concetto base della perdita di peso è: se mangi più cibo di quanto il tuo corpo ne richieda, esso verrà immagazzinato sotto forma di grasso. Questo è vero soprattutto se c’è un eccesso di carboidrati, perché i carboidrati possono essere utilizzati solo come carburante per il corpo e per la mente. Quindi, se non vengono utilizzati, tendono ad essere immagazzinati come grasso. Invece, proteine e grassi possono essere utilizzati dal corpo per la ricostruzione e il ripristino delle cellule, degli ormoni, degli enzimi, dei muscoli, dei neurotrasmettitori ecc. Anche in questo caso, la serotonina controlla le due ragioni chiave del fallimento della dieta: il desiderio di carboidrati e l’appetito.
Livelli adeguati di serotonina sono cruciali anche per alleviare la depressione, l’ansia, gli attacchi di panico, lo stress, il mal di testa, l’emicrania, il dolore, la PMS, l’ADD ecc. Una volta raggiunti e mantenuti livelli adeguati di serotonina, non solo comincerete a perdere peso, ma sarete anche di ottimo umore. Vi sentirete meno stressati. Migliorerà moltissimo la qualità del sonno. Vi arrabbierete molto meno, sarete più calmi e più concentrati. L’indolenzimento e il dolore si ridurranno. Vi sentirete più energici senza bisogno di utilizzare dannosi stimolanti. La vostra stessa vita vi sembrerà più ricca e intensa. La maggior parte di noi non sa perché desidera dolci al cioccolato, maccheroni al formaggio, patate fritte oppure caffeina e alcol. Diamo semplicemente per scontato il fatto di essere deboli, dipendenti o senza forza di volontà. Non è vero! Il desiderio di questi cibi è l’effetto collaterale di bassi livelli di serotonina. Ma aumentare la serotonina in questo modo, richiede anche un’impennata dell’insulina. E l’insulina è l’ormone che porta il corpo ad immagazzinare il grasso. Il componente più importante è un amminoacido chiamato triptofano. Il triptofano si trova naturalmente nelle proteine alimentari ed è essenziale per la produzione di serotonina. Quando osservate una dieta con pochi grassi o priva di grassi, spesso eliminate cibi come la tanto temuta carne rossa, le uova, le noci, gli avocado, il pollame e il formaggio (che sono fonti salutari di proteine). Facendo questo, private il vostro corpo della materia prima necessaria per produrre quantità adeguate di triptofano. Senza sufficiente triptofano, il vostro corpo non può produrre naturalmente abbastanza serotonina. Compaiono numerosi effetti collaterali quando c’è una carenza di serotonina. Comunque, quello che contribuisce al fallimento della dieta è certamente il desiderio di carboidrati e la fame compulsiva, soprattutto per quel tipo di carboidrati che immettono velocemente zuccheri nel sangue. E, come avete appena appreso, questi carboidrati cono conosciuti come IG. Anche la depressione è un effetto collaterale molto comune. La depressione è molto spesso dovuta alla carenza di serotonina, soprattutto quando essa è costantemente bassa. (Anche la carenza di magnesio può causare depressione). Per quanto riguarda gli altri effetti collaterali, sono in molti a rimanere attoniti quando, una volta avute le informazioni, realizzano che ci sono moltissime situazioni direttamente correlate alla bassa serotonina. (Situazioni che la FDA e le aziende farmaceutiche chiamerebbero malattie).
La gente deve sapere che la serotonina è il “Neurotrasmettitore principale” e che, come tale, quando non è bilanciato, il corpo e la mente soffrono in più di un modo. Oltre al desiderio di carboidrati, alla fame compulsiva, all’insonnia e alla depressione, gli altri effetti collaterali includono l’obesità, la facilità ad arrabbiarsi, le collere improvvise, gli sbalzi d’umore, l’ADD/ADHD, l’estrema agitazione, l’ansia, gli attacchi di panico, la PMS, l’alcolismo, il mal di testa, l’emicrania, i comportamenti ripetitivi, il dolore cronico, la mancanza di energie, la mancanza di creatività, la diminuzione del desiderio sessuale (sì, proprio la diminuzione del desiderio sessuale!), la sindrome da intestino irritabile, la perdita di memoria, le dipendenze, la schizofrenia e le tendenze suicide. Recenti studi suggeriscono che la serotonina giochi anche un ruolo nella regolazione endocrina, nella contrazione dei muscoli, nelle funzioni cardiovascolari, nell’infarto, nell’ipertensione e nelle nostre capacità di apprendimento. Quindi, come possono raggiungere e mantenere livelli adeguati di serotonina in maniera naturale? Per cominciare, dovete fare in modo di nutrirvi in maniera bilanciata, fare esercizio regolarmente e dormire bene. Queste cose aiutano a garantire livelli adeguati di serotonina. Anche un’alimentazione che contenga molti cibi ricchi di triptofano, come pesce fresco, carne, uova, formaggio fresco, tacchino e noci, può aiutare a rafforzare la serotonina. Sfortunatamente, è estremamente difficile mangiare a sufficienza di questi cibi per soddisfare il nostro bisogno di triptofano. Dovete anche eliminare lo stress, gli stimolanti, le droghe, i carboidrati ad alto IG e il consumo eccessivo di carboidrati in generale, lo zucchero, i dolcificanti artificiali, i farmaci, la nicotina, la caffeina, l’alcol e ogni altro fattore che rilascia insulina. Aggiungete a queste cose il fatto che molta gente fa una vita sedentaria ed è dunque facile comprendere perché è pressoché impossibile mantenere livelli adeguati di serotonina. Osservando lo stile di vita della maggior parte degli italiani, possiamo dire che siamo una nazione che soffre di quella che viene definita “sindrome da carenza di serotonina”.

Venerdì, 10 Maggio 2019 16:51

ERBE ANTINFIAMMATORIE.

11-05-2019

AMAMELIDE

Qualcuno potrà pensare che sia una credenza infondata, ma l'amamelide ha veramente proprietà lenitive nelle infiammazioni cutanee. La sua applicazione topica è particolarmente efficace per l'eczema (dermatite atopica) e le emorroidi e non provoca alcun effetto collaterale. Sono efficaci sia gli estratti idroalcolici sia quelli acquosi. L'attività antinfiammatoria del distillato di amamelide è stata paragonata a quella di altre erbe e farmaci antinfiammatori. In uno studio sulle bruciature superficiali indotta da esposizione a raggi UV è risultata più efficace la crema a base di cortisolo 1%, seguita dalle creme all'amamelide e alla camomilla. L'aggiunta del nutriente fosfatidilcolina alla crema di amamelide ne potenzia l'efficacia nel trattamento delle infezioni cutanee.

CURCUMA

La curcuma è l'ingrediente principale del curry e viene utilizzata anche per preparare la mostarda, oltre che molti cibi cui viene aggiunta per dare colore e sapore. Inoltre, sia la medicina cinese sia in quella ayurvedica indiana, viene usata come antinfiammatorio. Numerosi studi sperimentali su animali hanno dimostrato che la frazione oleosa volatile della curcuma esercita una potente azione antinfiammatoria, mentre un effetto ancora maggiore contro l'infiammazione acuta si riscontra con la curcumina, il pigmento giallo della curcuma. Per via orale, la curcumina ha molteplici effetti antinfiammatori: inibisce la formazione dei leucotrieni, inibisce la risposta dei globuli bianchi agli agenti infiammatori e stabilizza le membrane lisosomiali dei globuli bianchi impedendo il rilascio di sostanze infiammatorie (il che a sua volta inibisce la formazione di leucotrieni). Nei modelli di infiammazione acuta la curcumina è risultata altrettanto efficace del cortisone e del fenilbutazone, ma in quelli cronici ha un'efficacia del 50% soltanto rispetto a tali sostanze. Tuttavia, mentre il cortisone e il fenilbutazone sono associati a una significativa tossicità, la curcumina non ne evidenzia alcuna. Inoltre si è rivelata più potente di un farmaco antinfiammatorio molto comune, l'ibuprofene. A basse dosi la curcumina inibisce la sintesi delle prostaglandine, mentre ad alti livelli stimola le surrenali a secernere più cortisone.

BROMELINA

La bromelina è un enzima proteolitico ottenuto dal fusto dell'ananas. Molte ricerche ne hanno dimostrato l'utilità in un'ampia gamma di patologie infiammatorie. Pare che la sua attività antinfiammatoria sia dovuta all'effetto inibitorio che esercita sulla produzione delle prostaglandine pro-infiammatorie, all'induzione della produzione delle prostaglandine antinfiammatorie di tipo 1 e all'inibizione dell'aumento della permeabilità capillare che causa l'edema. È utilizzata con successo per malattie infiammatorie quali l'artrite, i traumi sportivi, la cellulite, l'edema, la sinusite e la tromboflebite (coaguli di sangue negli arti inferiori). La bromelina è particolarmente utile per diminuire il dolore e il gonfiore causati dal trauma chirurgico e sembra anche accelerare la guarigione.

PARTENIO (TANACETO)

Il partenio viene utilizzato da secoli in Europa sia come antinfiammatorio sia per il trattamento dell'emicrania e dell'artrite. Di recente la ricerca ne ha confermato l'efficacia spiegandone il meccanismo d'azione, dovuto all'inibizione della sintesi di prostaglandine infiammatorie, leucotrieni e trombossani e dell'attività dei globuli bianchi. Risulta efficace per il trattamento dell'artrite reumatoide e degli attacchi di emicrania.

RADICE DI LIQUIRIZIA

La radice di liquirizia è uno dei rimedi fitoterapici più studiati. Viene utilizzato da migliaia di anni dalla medicina naturale in Oriente e in Occidente per trattare le infezioni virali e le malattie infiammatorie. Il principio attivo più importante è la glicirrizina, che viene convertita in acido glicirrizico ed è presente nella radice in concentrazioni che vanno dal 6 al 14%. La radice di liquirizia svolge un'importante azione antinfiammatoria e antiallergica tramite due meccanismi: l'attività simil-cortisolo e l'inibizione della sintesi di prostaglandine pro-infiammatorie e leucotrieni. Risulta clinicamente utile in buona parte dei disturbi infiammatori.

N.B.: La radice di liquirizia non va assunta per più di qualche settimana di seguito perchè in alcuni pazienti predisposti può innalzare i valori pressori. Se ne sconsiglia l'uso a chi ha una storia di ipertensione, problemi renali, o prende la digitale.

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