Angelo Ortisi
LATTE: ALIMENTO ANTICO O RECENTE?
08-05-2019
Il latte animale è la sostanza di base da cui derivano tutti i latticini. Non si sa con precisione da quanto tempo venga usato come cibo dagli uomini, ma una cosa è abbastanza chiara: il latte di capra e di altri animali fu usato da popoli nomadi molto tempo prima di quello delle mucche domestiche. Gli europei introdussero il latte di mucca negli Stati Uniti intorno al 1625; poco dopo fu formata la prima mandria degli Stati Uniti per la produzione di latte. L’attrattiva che il latte esercitò fu forte, soprattutto grazie alla strenue propaganda di un gruppo entusiasta di uomini d’affari, che furono i fondatori di una delle più grosse e influenti industrie alimentari degli Stati Uniti e al supporto che diede loro il governo stesso nel promuovere il latte come un cibo importante per l’alimentazione dell’uomo.
A partire dal 1830 la domanda costrinse i produttori a meccanizzare la produzione, e a partire da allora praticamente tutto quello che poteva essere fatto al latte fu fatto, irradiamento compreso. Con l’avvento della pastorizzazione, dell’omogeneizzazione e dei mezzi di trasporto refrigerati la disponibilità di latte crebbe, e alla fine della Seconda guerra mondiale il latte era diventato il simbolo del modo di mangiare ben congegnato e dieteticamente superiore tipico di quell’american way of life che negli anni successivi andrà con esso a imporsi in tutto il mondo.
Il latte il cibo definito “puro e perfetto” a causa del suo alto contenuto di calcio, di proteine e di profitto, sta venendo rapidamente smascherato come qualcosa che non è affatto perfetto come siamo stati indotti a credere. Infatti moti nutrizionisti e molti degli stessi consumatori hanno iniziato a ricredersi circa la sua importanza e persino sulla sua sicurezza come cibo da usarsi tutti i giorni. Ma, purtroppo, l’uso eccessivo che si è fatto del latte e dei suoi derivati ha già provocato l’indebolimento del sistema immunitario dell’uomo, della sua costituzione fisica e del suo carattere, e ci vorrà molto tempo per cancellare le cicatrici che questi alimenti hanno lasciato su almeno tre generazioni.
LA VITAMINA C SCARSEGGIA NELLE PERSONE CHE SOFFRONO DI ARTRITE.
07-05-2019
Mentre molti ricercatori consigliano di prendere supplementi di vitamina C semplicemente per controbilanciare gli effetti collaterali negativi della terapia a base di aspirina, altre ricerche hanno dimostrato che la vitamina C, in molti ammalati di artrite, è mancante o insufficiente nella dieta. Il Journal of the American Dietetic Association descrive un controllo fatto su 131 bambini sofferenti di febbri reumatiche, confrontati con 131 bambini sani accuratamente abbinati. I bambini con febbri reumatiche mangiavano meno cibi ricchi di vitamina C di quelli sani. Molti dei bambini ammalati non ricevevano neppure una razione al giorno di cibo contenente un sia pur moderato quantitativo di vitamina C. Le persone anziane, particolarmente quelle ricoverate in istituti, mangiano poca frutta e presentano in corrispondenza un tasso scarso di vitamina C nel sangue. Quando ai pazienti artritici cronici vennero somministrate quotidianamente dosi elevate di vitamina C, riferirono che i dolori diminuivano, e che avevano più appetito e un maggior senso di benessere. In questo caso, dosi elevate significavano quattro grammi (4.000 mg) al giorno. Quando l’artrite colpisce, il suo sintomo più comune è una combinazione di rigidità, di impedimento delle giunture e di dolori tormentosi. Di conseguenza, gli ammalati accolgono con entusiasmo qualsiasi cosa possa diminuire i loro sintomi. Per la maggior parte degli artritici,, i trattamento più comune è l’aspirina, che come sappiamo diminuisce anche il livello dell’acido ascorbico nell’organismo.
Ma due ricercatori, Abrams e Sandson, scrissero sugli Annals of Rheumatic Disease che il fluido sinoviale (il fluido che lubrifica le giunture) diviene meno denso (facilitando i movimenti) quando il tasso di acido ascorbico nel siero è alto. L’American Journal of Clinical Nutrition commentava: “resta da vedere se questa scoperta finirà per indicare che la quantità di vitamina C nella dieta del paziente artritico dovrà essere aumentata”. Vale la pena di notare che l’acido ascorbico è drenato dall’organismo da un trattamento prolungato con ACTH o cortisone, secondo gli Archives of Internal Medicine. Entrambe queste sostanze sono usate in dosi massicce nella cura dell’artrite, benchè l’aspirina sia di gran lunga la cura più comune. Ora sappiamo, che anche l’aspirina, in forti dosi, esaurisce le riserve della vitamina C. Perciò, come risulta dall’accumularsi delle prove concrete, se il corpo non ha a sua disposizione abbastanza vitamina C (e si ricordi che la vitamina C è una sostanza solubile in acqua, che il corpo non può immagazzinare), una vittima dell’artrite ha poche speranze di guarigione. E varie ricerche dimostrano che dosi forti di aspirina al giorno, che rappresentano per milioni di persone nel mondo il dosaggio quotidiano per la terapia dell’artrite, sono il fattore primario della riduzione del tasso di vitamina C nelle piastrine e nel plasma del sangue degli artritici. Nella maggioranza dei casi, le persone che prendono aspirina riducono i loro dolori, ma fanno peggiorare la malattia. Per concludere voglio ricordarvi la raccomandazione pubblicata sulla prestigiosa rivista medica britannica Lancet: “appare ragionevole che i pazienti che ricevono forti dosi di aspirina per il trattamento dell’artrite reumatoide debbano prendere supplementi di vitamina C”.
L'USO DI STATINE PUO' AUMENTARE IL RISCHIO DI DIABETE.
07-05-2019
Il trattamento con statine ad alta potenza (in particolare atorvastatina e simvastatina) può aumentare il rischio di sviluppare il diabete, secondo un nuovo studio. Le statine sono tra i farmaci più prescritti per la prevenzione di eventi cardiovascolari. Anche se ben tollerate, un recente studio ha suggerito un aumento del rischio di diabete del 27% con rosuvastatina e del 30% con pravastatina. La ricerca è stata condotta da ricercatori provenienti dal Canada, su una popolazione di 1,5 milioni di residenti in Ontario, per esaminare l’associazione tra uso di statine individuale e diabete di nuova insorgenza. Tutti i pazienti avevano età compresa tra 66 anni e oltre ed hanno iniziato la terapia con le statine tra il 1997 e il 2010. L’età media era di 73 anni. IL follow up terminava alla fine del 2010 o al massimo cinque anni dopo l’avvio della terapia.
I dati sono stati estratti dal database Drug Benefit Ontario del Canadian Institute for Health Information Discharge. Le statine, incluse nello studio sono state: fluvastatina, lovastatina, pravastatina, simvastatina, atorvastatina e rosuvastatina. Atorvastatina ha rappresentato più della metà di tutte le nuove prescrizioni di statine, seguita da rosuvastatina, simvastatina, pravastatina, lovastatina e fluvastatina. Il rischio complessivo di sviluppare il diabete era basso, ma questo rischio è risultato aumentato tra alcuni pazienti che assumevano le statine: i pazienti trattati con atorvastatina hanno avuto un 22% di aumento del rischio di diabete di nuova insorgenza, rosuvastatina un aumento del rischio del 18% e simvastatina un aumento del rischio del 10%. Al contrario, i pazienti trattati con fluvastatina avevano un 5% di rischio in diminuzione e lovastatina una diminuzione del rischio dell’1%. In conclusione, i ricercatori sostengono che i medici dovrebbero prendere in considerazione il rischio di insorgenza del diabete, quando consigliano la terapia con le statine.
LA MARIJUANA POTREBBE CURARE LA SCLEROSI MULTIPLA.
07-05-2019
In un nuovo studio della Tel Aviv University si è trovato che alcuni composti presenti nella cannabis, o marijuana, possono combattere e impedire l’infiammazione cerebrale e nel midollo spinale. La dott.ssa Ewa Kozela e colleghi della TAU hanno inteso valutate gli effetti dei composti isolati della marijuana nel regolare l’infiammazione per proteggere il sistema nervoso e le sue funzioni. Tra i diversi componenti della cannabis vi sono il THC, o tetraidrocannabinolo, che è il composto più abbondante e responsabile degli effetti di alterazione della mente, e il CBD, o cannabidiolo, anch’esso presente in abbondanza. Proprio quest’ultimo componente è quello su cui si sono concentrati i ricercatori, poiché offre benefìci medicinali senza i controversi effetti del THC. Già in un precedente studio, Kozela e colleghi avevano dimostrato che il CBD era in grado di trattare i sintomi di malattie simil-sclerosi multipla nei topi, impedendo alle cellule immunitarie di trasformarsi e attaccare le coperture isolanti delle cellule nervose nel midollo spinale.
Partendo da questi risultati, in questo ultimo studio i ricercatori hanno cercato di osservare se le note proprietà antinfiammatorie di CBD e THC potrebbero essere applicate anche al trattamento dell’infiammazione associata con la SM. Lo studio si è focalizzato sulle cellule immunitarie isolate, e prelevate da topi con paralisi, che sono implicate nel danneggiamento specifico del cervello e del midollo spinale. Queste sono poi state trattate in laboratorio sia con il THC che con il CBD. I risultati dello studio, pubblicati sul Journal of Pharmacology Neuroimmune, mostrano che in entrambi i casi le cellule immunitarie hanno prodotto meno molecole infiammatorie, in particolare una, chiamata interleuchina 17 (o IL-17), che è fortemente associata con la SM e risulta molto dannosa per le cellule nervose e la loro guaina isolante. A conclusione dello studio, gli autori ritengono che il CBD, come anche il THC, impedisce alle cellule immunitarie l’innesco di molecole infiammatorie, limitando al contempo la capacità delle molecole di raggiungere e danneggiare cervello e midollo spinale.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Journal+of+Pharmacology+Neuroimmune+Ewa+Kozela
CARENZA DI VITAMINA D DIETRO ALL'IPERTENSIONE.
06-05-2019
La notizia di uno stretto legame tra la vitamina D e la pressione arteriosa arriva dalla Conferenza annuale dell'European Society of Human Genetics (ESHG), che si è tenuta a Parigi. Ma perché uno studio del genere è stato presentato a un congresso in cui si discute di genetica? Perché, se diversi studi osservazionali avevano già dimostrato un legame tra vitamina D e pressione arteriosa, per confermarlo e provare una correlazione di causa/effetto ci è voluto proprio uno studio genetico su larga scala. La ricerca è stata condotta - e poi presentata - dal dottor Vimal Karani S. e colleghi dell’Institute of Child Health, presso l’University College di Londra. I ricercatori hanno acquisito e analizzato i dati forniti dal D-CarDia collaboration (nota per gli studi epidemiologici), e basati su 35 studi con il coinvolgimento di oltre 155.000 persone e numerosi centri in Europa e Nord America. Le informazioni raccolte hanno mostrato che coloro che presentavano alte concentrazioni di 25-idrossivitamina D (25 (OH)D) avevano una bassa pressione sanguigna e quindi un ridotto rischio di ipertensione. «Abbiamo saputo da precedenti studi osservazionali che basse concentrazioni di 25 (OH)D erano suscettibili di essere associate con aumenti della pressione sanguigna e l’ipertensione, ma la correlazione non era di causalità, ha spiegato il dottor Karani. Inoltre, gli studi randomizzati controllati sulla vitamina D in soggetti umani hanno prodotto effetti contradditori sugli esiti cardiovascolari. L’intero quadro era un pò confuso, e abbiamo deciso di provare a capirlo una volta per tutte». Lo studio ha dunque potuto dimostrare che vi è una relazione di causa/effetto tra le concentrazioni di vitamina D nel sangue e i valori della pressione arteriosa: alti (o regolari) livelli di vitamina D, uguale pressione bassa o nella norma; bassi o scarsi livelli di vitamina D, comportano un rischio di pressione alta o rischio ipertensione. Per ottenere maggiore vitamina D si possono assumere alimenti che la contengono (per esempio, l’olio di fegato di merluzzo, il pesce azzurro e il salmone, il burro e le uova) o esporsi con regolarità e in modo adeguato alla luce del Sole.
http://universityhealthnews.com/daily/heart-health/natural-remedy-for-high-blood-pressure-vitamin-d/
https://www.sciencedaily.com/releases/2013/06/130610192638.htm
VERRUCHE: UN VIRUS DA CUI CI SI PUO' DIFENDERE.
06-05-2019
La risposta all’enigma della causa delle verruche va cercata in una loro origine virale. Le verruche infatti scompaiono quando si stimola il meccanismo immunitario dell’organismo e il paziente produce quegli anticorpi che impediscono la propagazione virale o addirittura distruggono direttamente i virus stessi. Gli elementi nutritivi presenti nella normale alimentazione possono avere un’influenza profonda sulla causa delle verruche, specialmente di quelle (come le verruche plantari) che non sono causate da microrganismi contagiosi. In un articolo su Modern Medicine, il dottor Hyman scrive che certi amminoacidi contenenti zolfo, come quelli che si trovano nelle compresse di fegato essiccato, possono intervenire in un’interazione ancora non molto chiara con l’ipotalamo, che stimola gli anticorpi responsabili del processo immunitario. Osserva infatti che le verruche sono state trattate con successo in un certo numero di pazienti ospedalizzati sottoposti a un regime quotidiano di tre compresse di fegato essiccato. Il fegato essiccato è una buona fonte non solo di questi amminoacidi essenziali per il sistema immunitario, ma anche dell’intero complesso B. Le comuni verruche sono per lo più fastidiose, antiestetiche e chiaramente dolorose quando compaiono in parti del corpo sottoposte a sfregamento continuo degli abiti o altri contatti. Di solito vengono eliminate mediante estirpazione chirurgica o applicazione di sostanze caustiche; tuttavia, in alcuni casi la vitamina A si è dimostrata una terapia efficace e non dolorosa.
La teoria del dottor Hyman, secondo cui le verruche scomparirebbero quando si stimola il meccanismo immunitario dell’organismo, mette in evidenza fra l’altro il ruolo fondamentale che la vitamina A svolge nelle difese immunitarie. Il dottor Kuhn, in un articolo sul Southern Medical Journal, descrive i risultati ottenuti su 90 pazienti con vari tipi di verruche, trattati con palmitato di vitamina A idrosolubile in dosi quotidiane di 25.000 unità in media, per periodi da una settimana a sei mesi: in 79 casi si sono avuti miglioramenti dal 50% al 100% e non c’è stato nessun insuccesso totale. Alcuni autori ritengono che le verruche si formino laddove esiste una carenza della vitamina A nella pelle e che introducendo la vitamina si ottenga l’effetto di riportare la pelle in condizioni di normalità. Il dottor Marvin Sandler, podologo di Allentown (Pennsylvania) riferisce di aver utilizzato un’iniezione di vitamina A in pazienti con verruche plantari, con ottimi risultati. Anche un altro podologo di Allentown, il dottor Philip LeShay, prescrive sistematicamente vitamina A, abbinata ad altre cure, nel trattamento delle verruche dei piedi.
In un articolo comparso sulla rivista Clinical Medicine, due ricercatori riferiscono i risultati ottenuti da 119 medici nel trattamento di un totale di 228 casi di verruche plantari con una soluzione acquosa di palmitato di vitamina A: in 208 casi si era avuto un miglioramento notevole, o la guarigione completa e in un solo di questi casi le verruche erano ricomparse. In base a una sperimentazione controllata su 25 pazienti presso il Jewish Hospital di Brooklyn, il dottor Joel Freeman e i suoi collaboratori concludono che l’incidenza di miglioramenti e guarigioni permanenti nella terapia delle verruche con palmitato di vitamina A è così alta che non si giustifica il ricorso ad estirpazioni e applicazioni ripetute di cheratolitici, a meno che il trattamento vitaminico non si sia rivelato inefficace.
CLOROFILLA: VERO ELISIR DI LUNGA VITA.
06-05-2019
La clorofilla è il pigmento che colora di verde le foglie dei vegetali. La sua funzione è quella di assorbire la luce del sole (le radiazioni rosse, blu e violette) per innescare il processo di fotosintesi, vitale per la pianta. La sua formula chimica è curiosamente affine a quella dell’emoglobina del nostro sangue: una sola sostanza le differenzia, il magnesio, che nella clorofilla sostituisce il ferro dell’emoglobina. È grazie alla sua presenza che possiamo avvertire al gusto il senso di freschezza delle verdure verdi. Le sue virtù extra-nutrizionali, poi, sono preziose per l’organismo: la clorofilla ha un’importante funzione antianemica, purifica il sangue, tonifica il cuore, regola il livello di colesterolo, cicatrizza, disinfetta e deodora la pelle, neutralizza le tossine e ricostruisce i tessuti.
PROPRIETÀ DELLA CLOROFILLA
• La clorofilla è dotata di attività normalizzatrice della flora batterica, soprattutto intestinale, in quanto battericida per certi ceppi di batteri ed è conosciuta per le sue proprietà antinfettive. Si può quindi usare con successo nelle alterazioni della flora intestinale, associandola ai fermenti lattici multi microbici.
• Ha un’azione regolatrice sul sistema nervoso che innerva l’apparato intestinale.
• È un nutriente vitale per il nostro corpo.
• È in grado di eliminare insetticidi tossici e residui medicinali come pure di legare con materiali radioattivi ed eliminarli dal corpo.
• Migliora l’artrite e l’artrite reumatoide.
• Rafforza il sistema immunitario.
• Aumenta la resistenza ai raggi X.
• Contribuisce ad eliminare germi ed inibisce la crescita di batteri nocivi.
• Purifica il fegato e mitiga l’infiammazione del pancreas.
• Accresce enormemente il livello di ossigeno nelle cellule dei tessuti.
Nel corpo umano la clorofilla è necessaria per molte altre peculiarità, fra le quali:
• aumenta i globuli rossi, porta ferro agli organi e migliora le condizioni anemiche;
• aiuta a purificare il fegato e porta miglioramento nel caso di epatite;
• regolarizza le mestruazioni;
• porta miglioramento ai diabetici e nei casi di asma;
• migliora il drenaggio nasale e diminuisce il gocciolamento del naso;
• utile per i tessuti ulcerosi e le emorroidi;
• rivitalizza il sistema vascolare nelle gambe e migliora le vene varicose;
• migliora la depressione per il suo effetto tonico;
• favorisce l’assorbimento del calcio;
• porta sollievo in caso di colite, gastrite, ulcera.
La clorofilla contiene molto ferro biologico assimilabile ed ha il pregio di aumentare del 20% il consumo di ossigeno in tutte le cellule del corpo umano. Viene usata dagli sportivi perchè favorisce lo sviluppo della “massa muscolare esente da grasso” a scapito della “massa che contiene il grasso”, ne risultano muscoli asciutti e scolpiti. Dimagrire con la clorofilla credo che sia i miglior sistema, abbinata a proteine leggere come pesce azzurro o pesce poco grasso, carni bianche ma tenere e facilmente masticabili. Questo libererà il fisico dal peso superfluo, con la prerogativa di mantenere il fisico “in piena forma”.
DOVE SI TROVA?
Abbondanti fonti di clorofilla sono gli spinaci, le erbette, i broccoli, il cavolo riccio, il tarassaco, la cicoria e le cime di rapa. Le insalate e gli ortaggi più ricchi di clorofilla sono di colore verde intenso. L’ideale è cibarsi di questi ortaggi crudi o poco cotti, ricordando che anche i broccoli, tagliati sottili e conditi con olio extra vergine di oliva, sale e limone, crudi sono gustosissimi, e più digeribili. La clorofilla inoltre contribuisce, insieme a polifenoli e carotenoidi, a conferire all’alimento virtù antiossidanti e protettive (si complessa, ad esempio, con sostanze cancerogene, come gli idrocarburi aromatici che si trovano nel fumo di tabacco o certe ammine eterocicliche presenti nella carne bruciacchiata, riducendone l’assorbimento a livello gastrointestinale).
COME ASSUMERLA
Per tutto il mese l’ideale è consumare questi prodotti freschi e crudi in insalata (o almeno non troppo cotti), poiché la quantità di clorofilla si riduce con il passare del tempo dal momento del raccolto e con elevate temperature. Inoltre nell’ortaggio fresco la clorofilla è associata ad altre sostanze brucia grassi e drenanti come l’acido ascorbico (vitamina C) e i sali minerali di zinco, magnesio e potassio. In alcuni negozi specializzati si trovano le alghe verdi in polvere che posso essere usate al posto del sale: contrastano la ritenzione. La clorofilla può essere usata assieme a tanti altri rimedi perché fa da catalizzatore cioè, aumentando il consumo di ossigeno, accelera le reazioni chimiche all’interno delle cellule, quindi associata ad altri rimedi naturali ne aumenta l’efficacia proprio perché favorisce il metabolismo cellulare.
PIU’ SNELLI CON LA CLOROFILLA
• Risolve la flatulenza sgonfiando l’intestino e la parte bassa del corpo.
• Depura il fegato aiutando a smaltire gli accumuli di tossine depositate nell’organismo.
• Allevia la fame nervosa e tonifica reni e circolo, migliorando il drenaggio dei liquidi.
INTEGRATORI
Se la dieta è carente di questi tipi di ortaggi si può ricorrere a integratori in tavolette, in polvere o in gocce. Se acquistate la forma in polvere si sciolgono due cucchiaini in un abbondante bicchiere d’acqua due volte al giorno. In tavolette invece se ne assumono 6-8 al giorno per un mese. Mentre in gocce se ne prendono 20 gocce disciolte in un bicchiere d’acqua prima dei pasti principali.
AMIGDALINA: BENEDIZIONE PER IL CORPO LASCIATACI DA DIO.
05-05-2019
Dovunque si vada a cercare (enciclopedie, internet) la prima informazione che si legge riguardo all’amigdalina (o laetrile, o vitamina B17) è che la sua assunzione in qualunque forma è pericolosa. Addirittura, ho letto nel sito internet del Ministero della Salute quanto segue: “Talune segnalazioni, recentemente pervenute a questo ministero, riguardano la presenza di siti internet che propagandano, anche a scopo di vendita, l’utilizzo di semi ricavati da noccioli di albicocca, come metodo alternativo o complementare delle terapie convenzionali ai trattamenti antitumorali. I suddetti prodotti, secondo quanto riportato nei messaggi pubblicitari, conterrebbero un glicoside cianogeno denominato “amigdalina”, “laetrile” o “vitamina B17” il quale “possiederebbe particolari virtù terapeutiche nella cura dei malati affetti da tumori o patologie croniche”. Non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino l’efficacia dell’amigdalina nel trattamento delle affezioni tumorali, mentre è invece conosciuta la loro tossicità, infatti è noto ormai da tempo che l’amigdalina contenuta nei semi delle albicocche, se ingerita in quantitativi superiori alle dosi tollerabili, può causare la morte di un individuo. In base al parere della food standard agency la quantità massima è di uno, massimo due semi al giorno”.
Io non voglio stare a sindacare sui motivi per cui scrivano tali menzogne, perché molti altri lo hanno già fatto prima di me, e sono scienziati e medici. La lettura del materiale disponibile su moltissimi siti vi sarà sufficiente per approfondire tali ragioni, e per capire ogni cosa. Quanto posso però fare è citarvi la seguente dichiarazione di un malato di cancro:
"io prendo l’amigdalina da ormai 8 mesi, e sono ancora vivo, non solo grazie all’amigdalina, ma sicuramente anche grazie ad essa. Essendo malato di cancro, le mie dosi terapeutiche sono state pari a 30 semi al giorno, più 3 grammi di amigdalina in pastiglie. Ora ne prendo solo 20 semi al giorno. Mia moglie prende 15 semi al giorno a scopo preventivo, e sta meravigliosamente bene. E così come noi ci sono migliaia di persone al mondo che assumono giornalmente amigdalina, sia a scopo preventivo che curativo (nei centri specializzati dove la iniettano per via endovena ai malati di cancro, anche fino a 9 grammi giornalieri), e nessuno di loro ha mai accusato alcun sintomo di intossicazione da cianuro. Siamo forse tutti “miracolati”? Forse sì, ma solo nel senso che siamo stati in grado di vedere oltre la cortina di fumo della “medicina ufficiale” e di procedere oltre. Il cianuro è presente nell’amigdalina quale ione, e non allo stato libero (come l’idrogeno - letale - è legato all’ossigeno nell’acqua, o il cloruro - letale - al sale da cucina), e viene rilasciato solo nelle cellule tumorali grazie all’enzima beta-glucosidasi che è presente solo nelle cellule cancerogene. Se i semi vengono presi a scopo preventivo, e non ci sono cellule tumorali, il cianuro non viene neppure rilasciato. Questo ha fatto il nostro Signore per i suoi figli. Lui ha fatto ogni cosa buona.
L’unico effetto secondario durante la terapia (che prevede dosi straordinarie per 21 giorni) è nausea e vomito, che non avrei accusato se avessi potuto assumere il laetrile via endovena, ma i dottori in Italia non sono informati su queste terapie, e quindi non si prestano a collaborare con i propri pazienti. Non temete dunque, i semi dei frutti nitrilosidici non sono velenosi, purchè non ne mangiate una scodella tutta in una volta! Ma del resto, mille altre sostanze prese a scodelle sarebbero dannose per la salute, e spesso anche letali.
Volete delle regole semplici da seguire in base alla mia esperienza? Non più di 1 semino ogni 4,5 chili di peso corporeo al giorno; non più di 30 semini al giorno; non più di 5 semini alla volta ogni due ore; sempre insieme a un frutto nitrilosidico (albicocca, prugna, pesca, mela, pera, ecc.); sempre a stomaco pieno; masticare bene; bere tanta acqua. Tutto qui. Mi auguro che presto anche i nostri medici di base possano approfondire la loro conoscenza di questi rimedi naturali, che Dio ci ha provveduto per risolvere in modo semplice problemi che agli occhi miopi dell’uomo sono diventati irrisolvibili".
BARDANA: OTTIMO RIMEDIO PER I PROBLEMI DELLA PELLE.
05-05-2019
La pelle è un vero e proprio organo che, data la sua estensione, riveste un’importanza notevole nell’economia dell’organismo. Le malattie che la colpiscono non sono sempre dipendenti da cause locali. Spesso dipendono da cause generali, come disturbi del ricambio, del sistema nervoso ecc., ma anche quando le cause sono locali, e agiscono esternamente determinando ferite, ulcerazioni ecc., non sono da trascurarsi, in quanto la cute con la sua ricchezza di vasi, terminazioni nervose e ghiandole fa sì che si possano avere ripercussioni assai lontane dalla sede di lesione.
Per combattere i disordini biologici e metabolici che accompagnano certe affezioni cutanee, esistono alcune piante, fra le quali appunto la bardana, le quali possiedono proprietà diuretiche, diaforetiche e colagoghe tali da giustificare in pieno la loro fama di piante depurative atte al drenaggio. La tecnica del drenaggio permette, infatti, l’eliminazione delle tossine da parte dell’organismo, attraverso quelli che possono essere considerati gli emuntori naturali: fegato, reni, intestino, pelle. Il risultato di un buon drenaggio consiste in un potenziamento dell’attività epatica, della secrezione biliare, della diuresi, del transito intestinale e in una accresciuta attività della secrezione delle ghiandole sudoripare e nella regolazione della secrezione sebacea.
La bardana, che risponde a tutti questi requisiti, può essere annoverata, infatti, tra le piante di drenaggio, soprattutto a livello cutaneo, in virtù della sua attività globale sull’organismo ma anche elettiva su un tessuto, quale quello cutaneo, il cui funzionamento difettoso ostacola l’eliminazione delle tossine prodotte dall’organismo. Da sempre conosciuta come potente depurativo, deve le sue proprietà al fatto di essere un buon diuretico, ed un valido stimolatore della funzionalità biliare ed epatica, attività alle quali affianca un’interessante azione ipoglicemizzante, ipocolesterolemizzante ed antibiotica. La radice fresca della pianta contiene infatti alcuni principi dotati di attività antibiotica. Grazie quindi all’insieme di queste attività risulta essere particolarmente valida nel trattamento delle forme cutanee quale acne, eczema, seborrea ecc.
Trattamenti orali con preparazioni ottenute da pianta fresca, come la tintura madre, risultano essere particolarmente efficaci nella cura di acne e foruncolosi: alla terapia interna può essere affiancato un trattamento esterno mediante lavaggi, impacchi, creme e lozioni. L’impiego cosmetico è destinato a pelli grasse, asfittiche, con punti neri e predisposte all’acne o alla seborrea. Decotti di bardana possono essere utilizzati per prevenire foruncoli e pustole di acne su pelli grasse, mentre può essere utilizzato il succo delle foglie fresche per frizioni al cuoio capelluto grasso.
Fra le applicazioni terapeutiche particolari, attribuite da sempre alla bardana, si annovera, infatti, l’uso delle radici per favorire la crescita dei capelli. L’abate Kneipp, che ne fu strenuo sostenitore, annotò in base alle molte esperienze personali accumulate, che se il bulbo non era morto grazie all’uso del decotto di radice, con il quale si dovevano eseguire frizioni a livello del cuoio capelluto per 3-5 volte alla settimana, si poteva ottenere l’accrescimento dei capelli. A questo proposito scriveva: “Naturalmente non si deve pretendere che cominciando la cura il lunedì, si debba il sabato chiamare il barbiere; l’accrescimento avviene lentamente”. Anche se molti autori negano l’azione stimolante sulla crescita dei capelli, indubbia comunque è l’attività della bardana come antiseborroico nei casi di forte secrezione sebacea del cuoio capelluto, il che ne giustifica la presenza in molti cosmetici per capelli.
LA NIACINA PUO' AIUTARE LE VITTIME DI ATTACCHI CARDIACI.
04-05-2019
Ricercatori del Royal Infirmary di Edimburgo hanno scoperto che la somministrazione di una forma di niacina, definita da loro un analogo dell'acido nicotinico, è in grado di ridurre l'aritmia ventricolare (fluttuazioni nella rapidità e intensità del battito cardiaco) in pazienti appena usciti da un attacco cardiaco. In un articolo su Lancet il dottor Michael J. Rowe e i suoi collaboratori spiegano come il livello degli acidi grassi nel sangue aumenti di oltre il doppio nelle prime due ore dopo un attacco cardiaco: questo aumento degli acidi grassi può provocare una grave aritmia ventricolare, minacciando maggiori danni al cuore del paziente. Il dottor Rowe e la sua èquipe hanno trovato che la somministrazione dell'analogo di acido nicotinico entro cinque ore dall'attacco cardiaco porta a ridurre vistosamente il livello di acidi grassi nel sangue, diminuendo in misura significativa l'incidenza dell'aritmia cardiaca in questi pazienti. I ricercatori riferiscono inoltre di non aver osservato effetti collaterali di rilievo a seguito di tale trattamento; gli stessi rossori della pelle erano piuttosto rari. I possibili benefìci che possono derivare ai pazienti colpiti da attacchi cardiaci dal trattamento con acido nicotinico sono grandi. Esaminando sulla Medical Tribune i risultati di precedenti sperimentazioni cliniche con questa sostanza, il dottor Rowe esprimeva la speranza che l'analogo dell'acido nicotinico si sarebbe presto diffuso nella cura degli esiti di attacchi cardiaci.